I PACIFISTI IGNORANO LA REALTÀ E LA REALTÀ IGNORA I PACIFISTI
Filippo Piperno
15/12/2024
In un mondo messo ferro e fuoco da dittature autoritarie e regimi clericali, uniti nell’odio per le democrazie e dalla consuetudine alla sopraffazione, qui in Italia c’è ancora chi si balocca con pacifismo e altre alienazioni. È lecito dubitare che questo sedicente pacifismo sia in buona fede ma poco importa. Ne ha scritto in modo molto chiaro e convincente Giulio Massa su InOltre di oggi. (Lo trovate qui)
Il piano della realtà, che non si cura dei buoni propositi, ci racconta una storia diversa. Se Putin non è riuscito nel suo obiettivo di ridurre l’Ucraina ad uno stato vassallo della Russia, lo si deve alla determinatezza degli ucraini che hanno deciso, ad un prezzo altissimo, di vendere cara la pelle, piuttosto che finire sotto il tacco di ferro putinista.
Se, con buona pace di quelli che hanno evocato “il suicidio d’Israele”, lo Stato ebraico sta uscendo trionfatore dal conflitto che l’Iran e i suoi accoliti gli hanno scatenato contro, ciò lo si deve alla scelta di combattere i suoi nemici senza tentennamenti e senza quartiere.
Israele ha accettato di combattere la guerra sporca che gli era stata apparecchiata a Gaza da Hamas col dichiarato intento di scatenare l’indignazione del mondo. I capi di Hamas, per loro stessa ammissione, sapevano molto bene che non ci voleva molto per riattizzare il sentimento di odio che covava nei confronti d’Israele.
Hamas, l’Iran, Hezbollah hanno sperato che Israele sarebbe stata travolta dall’onda di risentimento internazionale, hanno contato sull’amichevole operato delle Nazioni Unite che sono – e senza alcun pudore – una palude antisemita e forse hanno ritenuto che i tentennamenti dell’ennesima disastrosa amministrazione democratica americana in politica estera avrebbero contribuito a minare la tenuta degli israeliani.
Avevano fatto male i calcoli per una semplice ragione, nota a chiunque conosca la storia dello Stato ebraico: Israele, di fronte alla propria sopravvivenza, anche quando viene gravemente ferito – com’è avvenuto con il pogrom del 7 ottobre – risponde sempre colpo su colpo.
Non è bastato l’ignobile ricatto degli ostaggi rapiti da Hamas, non sono bastati gli scudi umani usati in modo deliberato da Hamas a Gaza, non è bastata l’ondata di antisemitismo che accompagna da decenni il sentimento diffuso nei confronti d’Israele, non è bastata neanche la pessima reputazione di cui godeva il Primo ministro Netanyahu presso una parte dell’opinione pubblica israeliana per indurre gli israeliani a rinunciare al loro diritto di difendersi da chi li vorrebbe annientare.
I grotteschi dibattiti cui abbiamo assistito in molti paesi occidentali – beninteso tutti debitamente al riparo da minacce incombenti – non si addicono a quei popoli che rischiano la propria libertà e la propria sopravvivenza. La carriera di Netanyahu sembrava finita perché il suo governo aveva reso possibile il pogrom del 7 ottobre e non per la successiva decisione di combattere a Gaza e poi in Libano.
Come ha scritto Micol Flammini su il Foglio di qualche giorno fa “il capo dell’intelligence ucraina Kyrylo Budanov ha capito che per far male a Mosca, l’Ucraina non si sarebbe dovuta limitare a rispondere e difendersi, ma avrebbe dovuto inseguire i suoi soldati e i suoi mercenari ovunque: in Russia, ovviamente, ma anche in Sudan, in Mali o in Siria”.
Budanov va considerato uno sconsiderato guerrafondaio o sta semplicemente facendo bene il suo lavoro? I riservisti israeliani, tornati in fretta e furia in patria dopo il 7 ottobre, sono tutti dei rambo indemoniati o avrebbero preferito rimanere alle loro professioni in qualche capitale europea?
Ci vuole così tanto a capire che la guerra per costoro non è stata una scelta ma una terribile necessità?
Sono circostanze così evidenti che attribuirgli un intento in malafede è solo un ultimo disperato tentativo di salvaguardare l’intelligenza di chi, tra un’intervista, un post su qualche social e un salotto televisivo continua a sproloquiare in modo sconsiderato e frivolo di pace e pacifismo.