giovedì 12 dicembre 2024

COL CORPO CAPISCO Estratto David Grossman


COL CORPO CAPISCO
Estratto
David Grossman 
Recensione
Vale Flip
David Grossman. Col corpo capisco.
È la storia di una coppia più un altro; raccontata dall'uno, non dall'altro. Un viaggio in macchina, due persone, un tremore, un'emozione. 
Chi ascolta è la cognata Esti, che quando parte è riottosa ad accompagnare quell'uomo , Shaul di una certa importanza, ma chiuso, freddo, distante, quasi odioso.
Amore, quante essenze evoca questa parola. Per Shaul è tormento, resa, estasi, desiderio, rimpianto, nostalgia, tenerezza. Il viaggio è lungo. Accade così che il racconto di lui risvegli in lei emozioni dimenticate da tempo, sepolte nella routine del quotidiano...emozioni. La storia procede stratificando momenti del presente , ricordi del passato con fantasie ed allucinazioni di lui, emozioni e ricordi di lei, la cognata. L'erotismo è sottocute, ma pressante e ribattuto come rullo di tamburo. È normale, è usuale, è la vita.
Poi, la seconda storia. Una madre insolita, una figlia reattiva, un libro come nodo.
In un libro la figlia racconta la madre rivisitando/ricreando un episodio lacerante della vita di lei. La narratrice conosce briciole di realtà, ma reinventa secondo il suo tormentato rapporto con l'io narrato, la sua conflittuale conoscenza di lei, le ricadute di tutto ciò nella sua difficoltosa maniera di vivere. Non si sono mai capite/incontrate, adesso però, succede; succede quando la vita di Nili è pressoché alla fine.
In sintesi: 
Una passione amorosa che scatena gelosia visionaria e poi...una percezione del proprio corpo come fisico, psiche, sentimento, con capacità di empatia estrema ed uso di questo straordinario strumento nella relazione.

COL CORPO CAPISCO

[...] Ma come fa a resistere?, pensa lui, tutti quei riti minuziosi a cui attenersi ogni volta, e la corsa nervosa tra le stanze prima di uscire, ante d’armadio sbattute, cassetti aperti e richiusi, e l’espressione impenetrabile, ermetica, del suo bel viso in quei momenti. Guai, infatti, se scordasse qualcosa –il pettine, un libro, il flacone dello shampoo –tutto crollerebbe. Lui è seduto alla scrivania con la testa fra le mani, lei gli lancia un “ciao”frettoloso dalla porta e lui prova un tuffo al cuore; non è nemmeno venuta a salutarlo, questo significa che oggi laggiù avverrà qualcosa di speciale. Lei si precipita in strada, tiene gli occhi bassi per non incorrere in sguardi o conversazioni superflue. Ma come fa a non cedere? Dove trova la forza per sopportare tutto questo, giorno dopo giorno? Poi, come in un attimo di debolezza, lui chiude gli occhi, la segue col pensiero mentre lei sale in macchina, la sua Polo piccola e verdissima. Gliel’ha comprata lui, una sorpresa. Lei era inorridita per il colore e si era infuriata per lo spreco di denaro. Ma lui voleva che avesse un’auto tutta sua. Per muoverti a piacimento, aveva detto, per non stare sempre a litigare sulla macchina. E aveva voluto che fosse d’un verde brillante. Nella sua mente quell’auto era come un dispositivo elettronico fosforescente immesso nell’apparato circolatorio e da seguire con una telecamera. Lentamente lui appoggia la testa contro lo schienale mentre lei guida. Lei ha il viso proteso in avanti, troppo vicino al parabrezza. Impiegherà otto o nove minuti ad arrivare. Ma bisogna anche aggiungere gli imprevisti (ingorghi, semafori guasti, l’uomo in attesa laggiù, nell’appartamento, che non trova le chiavi e tarda ad aprire la porta) facendo perdere altri quattro o cinque minuti preziosi. Elisheva, dice lui ad alta voce, lentamente, scandendo ogni sillaba. Poi ripete quel nome, anche per l’uomo laggiù. Il quale inizia comunque a spogliarsi, peccato sprecare anche un solo istante. E mentre lei si destreggia nel dedalo di viuzze che collegano questa casa all’altra, l’uomo si spoglia in camera da letto, o forse accanto alla porta, si sfila i pantaloni di velluto marrone, morbidi, la camicia ampia e stinta che un tempo era stata arancione o marrone, o forse rosa. Sì, lui sarebbe decisamente capace di mettere una camicia rosa, non gli importa di cosa pensa la gente. È questo il bello di quell’uomo, pensa Shaul, il fatto che non gliene importa niente, né di quello che pensa la gente né di quello che dice; è questo il suo punto forte, la perfezione da cui lei è probabilmente attratta. Lei va da lui, sfreccia verso di lui, con gli occhi fissi sulla strada e la bocca contratta, quella bocca che tra poco bacerà, si ammorbidirà, lieviterà, si infiammerà. Le labbra di un altro la sfioreranno, quasi senza toccare, una lingua ne disegnerà il contorno, e quella bocca si tratterrà dal sorridere perché subito si sentirà un brontolio: non muoverti mentre dipingo, e lei ubbidirà con un mugolio. Poi quelle labbra si poseranno sulle sue con rude, virile intensità, le ingoieranno, vi sguazzeranno, si allontaneranno un istante e un alito caldo le lambirà. Alla fine verranno lentamente risucchiate, con una passione davvero grande, seria, le lingue guizzeranno come creature vive e gli occhi di lei si apriranno per un istante con un sospiro leggero, i globi si rovesceranno all’indietro, scoloriranno, spariranno. Dietro le palpebre socchiuse si intravedrà un biancore vuoto, terrificante. È una donna grande, Elisheva, generosa anche nel corpo. È persino un po’troppo grande per un’automobile così piccola, forse anche per questo gli aveva rimproverato di averle comprato una Polo. E forse per questo lui gliel’aveva comperata. Chissà, solo ora gli viene in mente. Forse è stato per la sensazione che lei quasi scoppiasse fuori dal quel guscio mentre si dirigeva laggiù, che fosse sempre sul punto di esplodere mentre si concentrava sulla strada, addolcendosi al pensiero che nella mente dell’uomo in attesa si agitavano i suoi stessi pensieri: in questo modo è come se trascorressimo un altro momento insieme, gli aveva detto lei una volta. Elisheva sfreccia lungo le strade, l’automobile verde lampeggia nel reticolo di vene teso da qui fino a quell’uomo e quando Shaul emerge dall’ondata di dolore lei è laggiù, con lui. Shaul la vede appena: una macchia di calore grande, ampia, dalle braccia robuste. Vede il gesto rapido con cui afferra la spalla dell’uomo e si piega per togliersi la scarpa senza aprire il fermaglio. Vede il modo in cui si aggrappa con dita rigide di nostalgia al corpo nudo dell’uomo i cui abiti sono sparsi per terra, e su di essi ora ricadono i vestiti di Elisheva. Shaul chiude gli occhi, sente il dolore di quelle stoffe che si congiungono, così acuto da fargli distogliere lo sguardo, perché per un istante perfino l’esistenza di quell’uomo fa meno male dei loro abiti ammonticchiati. L’uomo che si è già spogliato per risparmiare secondi preziosi e ha aspettato Elisheva con impazienza, camminando per casa nudo ed emozionato, eccitandosi al pensiero della donna grande, bella e decisa che si sta recando da lui con la sua automobile verde, sexy –così l’aveva definita, sorridendo, il giovanotto bruno che l’aveva venduta a Shaul, e proprio per quell’aggettivo lui non aveva potuto esimersi dal comprarla. Benché di temperamento tranquillo, l’uomo si aggira nudo e irrequieto nel piccolo appartamento, Shaul ne vede tutti i movimenti, nota il suo modo di camminare e di parlare un po’flemmatico, autoritario. Ora però sussulta perché i passi di Elisheva risuonano rapidi sulle scale. Ecco, arriva. L’uomo apre la porta, sceglie con cura la posizione in cui mostrarsi perché il suo corpo nudo –come dire? –potrebbe non apparire troppo seducente, soprattutto se rimane in piedi, in piena luce –una luce di certo non benevola con i numerosi nei che gli punteggiano il ventre e il torace, con i grossi seni maschili e maestosi, con i peli grigi che vi crescono sopra rigogliosi. Ma oggi, mentre lei sale velocemente le scale, lascia la porta socchiusa, si precipita nella stanza da letto immersa nella penombra, si sdraia con cura in una posizione più lusinghiera, bocconi, con un ginocchio leggermente piegato, come se dopo averle aperto la porta fosse stato colto da una leggera sonnolenza e sonnecchiasse con l’indifferenza di un uomo sano che non ha problemi di digestione, o di coscienza. Agli occhi di Elisheva, quando entrerà, appariranno prima la schiena dall’aria solida e forte –probabilmente lo è davvero –poi il sedere, e da ultimo le gambe, che sembrano quasi giovani in quella posizione. Elisheva si ferma un istante, lo osserva, sorride tra sé, quindi avanza verso il letto e con delicatezza calcolata gli passa un dito lungo la schiena, dalla nuca alle reni, poi si china e con un movimento lento, trattenuto, gli lecca la nuca con la punta della lingua, da un lato all’altro, lasciandogli intuire quanto sia umida la sua bocca. Lui prova un brivido e soffoca un gemito nel cuscino, come se gli stessero mozzando la testa…Un paio di giorni dopo, forse tre (quando Elisheva non c’è, il tempo è come la cella circolare di una prigione), Shaul si ritrova disteso sul sedile posteriore di una grossa Volvo. Una notte d’ottobre fresca e nebbiosa viene spalmata e cancellata dai tergicristalli sul parabrezza. Accanto a lui, sul pavimento dell’automobile, sono posate un paio di stampelle. La gamba sinistra, con la tibia fratturata, riposa su un cuscino vecchio e liso, e lui osserva l’ingessatura bianca che ondeggia qua e là, come se faticasse a capire cos’ha a che fare con lui. Esti, la moglie di suo fratello Miha, è al volante. Viaggiano ormai da mezz’ora ma ancora non sono riusciti a imbastire una conversazione come si deve. Ogni frase ha un fondo torbido. Lui ha cinque, forse sei anni più di lei, Shaul non ricorda con precisione, e quando è in sua compagnia si sente ancora più magro e allampanato. Le braccia e le gambe lunghe e sottili, il viso affilato, persino il pomo d’Adamo prominente, tutto in lui si fa più marcato quando lei gli è vicino con il suo corpo pieno, il viso scuro, largo. Ogni volta che lei lo guarda, Shaul ha l’impressione di essere come uno di quei vecchi metri gialli di suo padre, quelli a stecche, con le tacche, che si ripiegano su perni sottili. Quando lei l’ha aiutato a salire sul sedile posteriore, c’è stato un momento in cui lui si è appoggiato alle spalle di Esti con quasi tutto il suo peso, ma lei non ha nemmeno fiatato. Se l’ha notato, di certo ha pensato che fosse a causa dell’ingessatura. Shaul sa bene di non avere peso agli occhi della cognata, sa che lei lo paragona continuamente al fratello. Esti lo ha guardato nello specchietto retrovisore, turbata dal sospiro che gli è sfuggito; non lo aveva mai sentito sospirare. Avrebbe dovuto accompagnarlo Miha ma all’ultimo momento era stato chiamato a occuparsi di un’autocisterna carica di acetone ribaltatasi sull’autostrada tra Tel Aviv e Haifa. Alla sua porta era comparsa Esti, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, scusandosi di non essere Miha e infastidita dalla vaga sensazione che lei e Shaul si stessero osservando come in uno specchio deformante. Lei aveva fatto un respiro profondo e senza rendersene conto aveva incurvato le spalle, come per sostenere la bufera che stava per pioverle addosso. Sulle prime Shaul sembrava non aver capito chi fosse, poi aveva avuto un moto di rifiuto, no, no, che diamine, grazie, io ho bisogno di Miha, solo di Miha. Parlando, però, aveva fatto qualche passo avanti, come spinto fuori a mettersi in viaggio. Aveva afferrato di nuovo la maniglia della porta ed era rimasto a testa china, sforzandosi di ricordare. Dov’è Elisheva? La domanda era sfuggita a Esti, come se gli avesse chiesto: dov’è andata la mamma, perché ti ha lasciato qui? Shaul le sembrava sempre perso senza di lei, e ora, con il viso tumefatto e la gamba ingessata, questa impressione era ancora più forte. Lui non aveva risposto, si era limitato a fissarla, a osservarne i lineamenti da trovatella all’improvviso più marcati, proprio come quando lei era arrivata nella loro famiglia, anni prima, al fianco di Miha, in quella stessa posizione, con la medesima espressione spaventata e selvaggia. “Sembra uscita dalla spazzatura”aveva dichiarato sua madre. E lei, pienamente consapevole di cosa Shaul stesse vedendo, si era piantata saldamente sulle gambe cercando freneticamente dentro di sé quella risorsa antica e preziosa: la capacità di sopportazione di una bambina non amata ma tenace che all’occorrenza sa trasformarsi in un piccolo essere umano, chiuso come un pugno e con le palpebre serrate, capace di piantarsi esattamente dove non lo si vuole e di restare lì, rallentando al minimo i battiti del cuore finché, in qualche modo, ci si abitua alla sua presenza, ai vantaggi che questa comporta, e alla fine non si può più fare a meno di lui... E da lì era riemersa. Con il suo corpo florido, gli anni, i figli, Miha. Aveva incrociato le braccia sul petto e aveva detto che forse non era il caso che Shaul partisse poche ore dopo un incidente tanto grave. Aveva domandato con cautela cosa fosse successo, ma Shaul era indietreggiato ed era rientrato in casa, come se non l’avesse nemmeno sentita, ed era quasi caduto per via delle stampelle a cui non era abituato. Aveva gli occhi rossi: di pianto o di insonnia, o di qualcos’altro che vi bruciava dentro e che Esti non aveva mai visto. Aveva sussurrato con voce roca che doveva partire, ma era assolutamente fuori discussione che lei lo accompagnasse. Esti aveva lasciato che il suo malumore la sorvolasse, gli aveva domandato dove voleva andare e lui aveva
risposto: a sud. Poi all’improvviso aveva sollevato una stampella e con un gesto quasi ridicolo, da uccello, aveva detto: vabbè, andiamo, e aveva cercato di simulare una risata allegra dicendo che quella situazione era davvero folle ma doveva arrivare laggiù questa notte, force majeure, aveva esclamato con un accento che in quella circostanza a Esti era parso come il fruscio della vestaglia di un nobile decaduto. Poi le aveva spiegato ciò che era ovvio, che insomma non poteva viaggiare da solo in quelle condizioni e perciò aveva chiesto a Miha di accompagnarlo. Ancora una volta Esti aveva cercato di capire dove volesse andare nel cuore della notte, e con un preavviso così breve, ma Shaul non aveva risposto e lei si era infuriata, con lui ma ancor più con Miha, che l’aveva coinvolta in un’impresa simile solo per accontentare il fratello che non avrebbe mai fatto lo stesso per lui, tanto meno per lei. Poi Shaul aveva ripreso lucidità, come se la furia trattenuta della cognata fosse riuscita a far breccia nel suo stato d’agitazione. Le aveva lanciato un’occhiata così sconsolata da aprire in lei un’incrinatura e aveva detto: lo so che è difficile per te ma non ho scelta, e lei aveva annuito, confusa e un po’spaventata. Poi lui aveva aggiunto: ti spiegherò strada facendo. Laggiù, talvolta loro si godono giornate tranquille, davvero tranquille, ricorda Shaul a se stesso mentre sdraiato sul sedile posteriore della vecchia Volvo, febbricitante, cerca con tutte le forze di ignorare la presenza della silenziosa autista e la processione di invisibili formichine lungo la gamba ingessata. Giornate come quella dell’altro ieri, per esempio –o è stato quattro giorni fa? –quando Elisheva è entrata in quella casa dalla porta socchiusa e vi si è infilata di profilo, sollevando leziosamente una spalla. Chi avrebbe mai immaginato che ci fosse ancora tanta malizia in lei? Ha sorriso per il sollievo di trovarsi lì, libera da ogni inganno e finzione, libera dall’estenuante sforzo di vivere una doppia vita. Si è fermata per un istante a riprendere fiato, ha pensato quanti anni ancora avrebbe potuto salire così, di corsa, quei quattro piani. Forse in un giorno non lontano avrebbero dovuto cercarsi un altro appartamento. Hanno già dovuto cambiare casa sei o sette volte. In questo non hanno avuto fortuna. Ma è impossibile avere fortuna in tutto. Ha appoggiato per terra la borsa blu, quella della piscina, ha richiuso piano la porta e ha abbozzato un sorriso nuovo, intimo, perché sapeva che lui, il suo uomo, aveva avvertito persino quel tonfo sommesso, e dopo aver chiuso forte gli occhi, come se non potesse contenere altro, si era proteso verso di lei come l’ago di una bussola. Quel giorno, però, lei aveva altri programmi di cui lui ancora non era a conoscenza. Elisheva cammina adagio in corridoio pensando a come convincerlo a rinunciare, senza sapere che quell’incedere lento a lui pare un’andatura felina calcolata, tesa a intrecciare i fili del suo desiderio fino a far male. Ma lei è già sulla porta della stanza, si ferma, si appoggia allo stipite, lo guarda con occhi teneri. Sono qui, dice piano, e lui, quasi sorpreso, si gira lentamente, contraendo il ventre. Eccoti, dice senza riuscire a nascondere la gioia. Ha il viso disteso, raggiante, ma lei ancora non si muove, aspira quella visione, la assorbe, la distribuisce in ogni cellula del corpo, ne fa provvista per un’intera giornata durante la quale dovrà patire la fame e la sete. Lo abbraccia con lo sguardo: dai piedi grandi, dagli alluci distesi con agio patriarcale, fino al volto raggiante. E ripete con un sorriso e un sussurro: eccomi. Ma l’uomo non pensa che quella ripetizione sia superflua, al contrario. Gonfia il petto per assorbire tutto ciò che è racchiuso in quella parola: eccomi, sono qui per te, così come sono veramente, sbucciami. E il suo volto dice sì, il suo corpo dice sì, il suo cuore, gli occhi, il respiro, tutto dice sì. Per l’ennesima volta lui pensa che pure le cose semplici e ovvie che Elisheva dice contengono un’eco di meraviglia. È questo il punto, pensa Shaul, ogni frase che lei pronuncia laggiù comprende entrambi questi elementi: l’ovvietà e la meraviglia. Agli angoli del sorriso stanco di Elisheva spunta una rosea freschezza e anche l’uomo sorride. L’intero suo volto si trasforma e sul viso di Shaul appare, quasi inconsapevolmente, quello stesso sorriso. Impensierita dal silenzio prolungato, Esti si gira, lo vede, e trasalisce, come se avesse aperto una lettera non sua. Riporta subito gli occhi grandi e scuri sulla strada e pensa che proprio in quel modo Shaul guardava Elisheva un tempo, anni prima. Poi, senza quasi rendersene conto, sistema lo specchietto retrovisore e incornicia il volto di Shaul con gli occhi chiusi, ancora velato da quell’espressione così strana da sembrare ipnotica, un misto di felicità, solitudine e supplica. È uscito di casa con tanta fretta, Shaul, da aver dimenticato di chiudere a chiave la porta. Se ne è ricordato quando erano già arrivati all’automobile ed Esti ha detto: aspetta, vado io. Prima di chiudere a chiave, però, è entrata in casa e ha fatto rapidamente il giro delle stanze, come se cercasse qualcosa. Da tre o quattro anni non era più entrata in casa di Shaul ed Elisheva, faceva fatica persino a ricordare quand’era stata l’ultima volta che avevano invitato i parenti. Forse Elisheva avrebbe voluto, ma Shaul di certo si era opposto. Esti ha notato come la casa fosse cambiata. Le è parso che gli oggetti fossero molto più distanti gli uni dagli altri, che i mobili fossero sistemati con una sorta di violenta precisione. Quel pensiero l’ha fatta procedere con maggiore prudenza. Si voltava di tanto in tanto in preda a una sensazione strana, come se solo un attimo prima qualcuno avesse fatto schioccare una frusta e ogni suppellettile fosse scattata al proprio posto, rimanendo lì impietrita e trepidante. È lui, ha pensato, certo non lei, perché in Elisheva c’è sempre stata una sorta di trascuratezza sbarazzina e ovunque lei andasse si lasciava dietro una scia di oggetti dimenticati: chiavi, portafogli, pettini, sciarpe, imprimendo a ogni stanza un marchio di soave svagatezza. Dove sei? ha pensato Esti, ti sei talmente allontanata…Ha chiuso la porta a chiave e con un senso di vaga oppressione ha attraversato il giardino buio, inspiegabilmente trascurato e incolto. Ha visto Shaul che l’aspettava in piedi, accanto all’auto, borbottando tra sé e dondolandosi nervosamente su una stampella, senza nemmeno sospettare la sua rapida intrusione. La luce del lampione gli conferiva una patina cerea e tutto il suo essere era concentrato su qualcosa che le sfuggiva. Esti ha di nuovo pensato che non fosse saggio strapazzarsi così nel suo stato. Non riusciva a immaginare cosa potesse spingerlo a partire. Anche lui, naturalmente, sapeva che non avrebbe dovuto recarsi laggiù, e di certo non con lei. Che c’entrava Esti? Come le avrebbe spiegato? Che storia le avrebbe raccontato? Erano anni che loro due si scambiavano solo frasi di circostanza in occasione di riunioni familiari. In Esti c’era qualcosa che lo aveva sempre turbato, benché non riuscisse a puntarvi il dito. Forse perché lei si rifiutava di tenere conto della sua posizione, della sua fama, degli onori che tutti gli attribuivano, come se pretendesse da lui un altro genere di prove che non era in grado di fornire... Shaul, Esti l’ha chiamato con voce particolarmente dolce, con un’intonazione nuova, come se proclamasse una tregua immediata e totale, ma lui ha scosso la testa con rabbia, andiamo, ha detto, aiutami a salire in macchina. Elisheva è ancora nel punto in cui lui l’ha lasciata, mentre abbraccia con lo sguardo il viso dell’uomo sdraiato sul letto e si mordicchia il labbro inferiore. Un tempo, agli inizi della sua relazione con Shaul, aveva questo vezzo. Poi aveva smesso di mordersi il labbro ogni volta che lo vedeva. Senza muoversi lei sussurra: amo tanto il tuo viso. E l’uomo fa una smorfia: il mio viso da ranocchio? Lei gli si avvicina lentamente con la sua andatura stupenda, il fruscio delle sue cosce, e si siede sul bordo del letto, tende la mano, gli accarezza il braccio fremente, dalla spalla al pollice. Sì, il tuo viso, dice con tristezza improvvisa mentre si lascia scivolare al suo fianco senza toccarlo. Lui borbotta che lei è troppo vestita per i suoi gusti ma Elisheva chiude gli occhi. Oggi no, dice. Oggi staremo così, ad accarezzarci. Lui sembra deluso. Ha già sciolto le redini della fantasia, il sangue caldo è affluito, si è spogliato e disteso in una posa lusinghiera. Come sempre, però, le ubbidisce. Ogni desiderio di Elisheva si trasforma immediatamente nel suo. Anche adesso, nonostante l’eccitazione, la asseconda, sorpreso dall’influsso magico che lei esercita su di lui. Chissà perché prova piacere nel sentirsi debole e privo di volontà accanto a lei. Chiude gli occhi, vede il rivolo sottile della propria volontà fuggire via e vede quello del desiderio di Elisheva riversarsi dentro di lui, imprimere nella sua anima una piega nuova e sconosciuta. Poi si gira pigramente. Se oggi saranno solo carezze, allora può assumere una posizione più disinvolta che sveli la sua villosità da orsacchiotto. Elisheva gli volta le spalle, gli si rannicchia contro, si appallottola a mo’di punto interrogativo, contrapposto a quello esclamativo del pene eretto, gli prende la mano grande e calda e se la passa sul viso con gesto lento e trasognato. Una volta e poi ancora. Se la preme contro, languidamente, vi si aggrappa, vi riversa il suo viso. E lui, finalmente, si rende conto di qualcosa che Shaul ha già notato da tempo, molto prima di lui: Elisheva gli sta donando qualcosa che non hanno ancora condiviso. Con segni familiari sta creando una combinazione nuova. Di colpo l’anima dell’uomo si riempie di gratitudine, di gioia. Anche il suo corpo, naturalmente. Ma Elisheva non sembra felice, ha il viso contratto, addolorato. Gli si stringe contro con una sorta d’intensa disperazione, come se volesse serbare un ricordo, quasi il suo viso fosse una lettera di commiato destinata solo a quell’uomo, come quando tracciava con la lingua, o con un dito inumidito laggiù, una linea lunga e ritorta sulla sua schiena, rifiutandosi di svelargli cosa aveva scritto. Leggi tu, attraverso la pelle, diceva. Ora lei stringe fra le mani le dita dell’uomo, se le passa freneticamente sulla fronte aggrottata, sulle sopracciglia quasi trasparenti, sulle palpebre sottili, sul viso lungo e armonioso. Poi sulla bocca –la sua bocca grande –se le infila dentro, le morde con forza. L’uomo però si controlla, non si lascia sfuggire nemmeno un sospiro, ha una straordinaria capacità di sopportazione, sa bene che questo Elisheva vuole verificare: se riuscirà a resisterle. Lei preme le dita sui suoi denti inferiori, spinge, morde, freme, con un’eccitazione che lui non comprende. Sta scomponendo il suo viso, pensa l’uomo, me lo offre scomposto. Un’oscura paura lo attanaglia, una di quelle paure indefinite che lei talvolta risveglia in lui, paure che lasciano i loro sedimenti sulle pareti del suo corpo. In fondo, pensa Shaul, forse nemmeno lui la capisce completamente. In momenti come quelli, però, sa allargare il palmo della mano per racchiudervi il viso inquieto di Elisheva, e con pazienza e saggezza placarne l’agitazione. Lei allora si acquieta, alita caldi respiri nel suo palmo, e lui, lentamente, comincia a ricomporle il viso. Riporta ogni lineamento al proprio posto, ne ridisegna il contorno, lo accarezza, sente il corpo contratto della donna rilassarsi e tranquillizzarsi. Il cuore gli si allarga, cos’è successo? Dove l’ha portato senza che lui capisse? Come fa a sorprenderlo e a sconvolgerlo ogni volta, quasi dentro di lei un’ala irrequieta battesse senza posa? Anche dopo tutti questi anni lui ancora non capisce come un’ala tanto minuscola possa commuoverlo e sconvolgerlo, possa rimescolare i suoi novanta chili e dissolvere la sua cinica lucidità. Shaul deglutisce, spalanca gli occhi chiusi a forza, quasi a spremere con violenza quelle gocce di visioni, e giace stremato. Ancora un istante, no, è difficile abbandonare quella visione. Elisheva si gira verso l’uomo, gli si rannicchia in grembo, esausta per ciò che un attimo prima l’ha sconvolta. Chiude gli occhi, è sul punto di assopirsi, ma l’uomo non glielo permette. Si solleva su un gomito, la sovrasta, pretende di sapere cos’è successo, cosa l’ha tanto spaventata. E lei: non so, d’un tratto ho avuto paura. Lui si spazientisce: ma di cosa? Lei è sfinita: davvero, non so. Allora perché non hai detto niente? Lui è quasi offeso. Perché ti chiudi in te stessa e non mi dici come aiutarti? Con un sorriso Elisheva risponde che lui sa sempre come aiutarla, non c’è nessuno al mondo che sappia aiutarla come fa lui, però non è in grado di parlare. Sai, dice, è come quando talvolta si fa l’amore, c’è un momento in cui non si riesce a contenere tutto e non si può dire niente. A me è successo lo stesso, per la troppa angoscia però. Non so, all’improvviso qualcosa mi ha spaventato, mi ha fatto rabbrividire. L’uomo scuote la testa, sorpreso. Le crede quando lei dice di non sapere cos’è successo, che è impossibile spiegare. E per questo l’ama ancora di più, per quei momenti di smarrimento. Di nuovo lei gli posa la testa sul petto, si sente leggera. Ha sofferto, si è sfogata e fa ora le fusa con sottile piacere. E Shaul deve ammettere in cuor suo che quello è un godimento a lui ignoto, una reazione che si risveglia in Elisheva solo quando lei è con quell’uomo. Ci sono sostanze che si sprigionano nel cuore solo quando si è in compagnia di una determinata persona e non di un’altra. Elisheva ha ancora gli occhi chiusi, respira soavemente. Ti ricordi che domani parto?, mormora contro il petto dell’uomo, inebriata di dolcezza. Mmmmmhhh, fa lui. Silenzio. Quattro giorni... Sono tanti. Voglio star sola, risponde lei trasognata, quattro giorni da sola. Davvero non vuoi che venga con te? Elisheva spalanca gli occhi. Lui sente le sue ciglia sfiorargli i peli del petto e anche senza guardarla sa che sguardo ha in quel momento. Sospira, entrambi si chiudono in se stessi. Per un istante condividono il peso insostenibile della vita di Elisheva, quella doppia vita che la spacca in due, quel ronzio costante nella testa, un alveare di bugie e di segreti. A volte lei non capisce come possa provare qualcosa, per l’uno o per l’altro. Lui sorride: forse laggiù incontrerai qualcuno, chissà? Lei gli dà un buffetto col naso sulla spalla. Ti ci metti anche tu adesso? L’uomo aggrotta la fronte: perché? Ha dato ancora i numeri? È uscito completamente di testa, come ogni anno; ma questa volta gli passerà, se ne farà una ragione, cosa sono poi quattro giorni…? Lui la stringe a sé. Rappezza con la sua grossa mano ciò che Shaul ha guastato e lascia sfuggire un sospiro dal profondo del cuore. Elisheva lotta per non raccontargli tutto, cerca di preservare la dignità di suo marito. Il filo spinato sempre teso dentro di lei –la linea di demarcazione tra i suoi due uomini –si fa incandescente. L’uomo ascolta a occhi chiusi. Di tanto in tanto scuote la testa, con dolore. Stamattina, esclama alla fine Elisheva, quando ho cominciato a fare i bagagli mi è venuto vicino…Esita, poi avvicina le labbra al grande orecchio dell’uomo e sussurra qualcosa. Shaul non riesce a sentire ciò che lei dice ma sa bene cosa è successo quella mattina, cosa lui ha buttato nella valigia spalancata. La sua anima è sulla punta delle dita di Elisheva, freme per sapere cosa lei ha sussurrato all’orecchio dell’uomo, come lo ha descritto, con quali parole. Silenzio. Gli occhi tranquilli dell’uomo si rabbuiano, la sua è una tristezza furibonda, ed Elisheva gli posa una mano sul petto per tranquillizzarlo. Hanno già lasciato la superstrada di Tel Aviv in direzione sud e Shaul non sa ancora quando comunicare a Esti la loro destinazione. Nessun momento sembra quello adatto e quando lui pensa a cosa dire, a come spiegare, tutto gli sembra assurdo, un autentico delirio. Alla fine appoggia la testa contro il finestrino e chiude gli occhi con rassegnazione, con la docilità di un animale in trappola. Ogni volta che li riapre, però, vede davanti a sé il profilo della cognata e si ricorda, con una fitta, come se la vedesse per la prima volta. Il loro silenzio sottende una dichiarazione di ostilità, quasi volgare. Senza rendersene conto entrambi fingono di essere due predatori di specie diverse, senza alcun legame fra loro. Dopo mezz’ora di viaggio, però, sono esausti. A Esti dolgono le mascelle per il risentimento verso Shaul che sente crescere dentro di sé. E verso Miha, per la sua debolezza nei confronti del fratello che l’ha messa in questa situazione. “Per una volta che mi chiede un favore...”aveva mormorato Miha, quasi pietrificato dal fatto che Shaul si fosse rivolto a lui, che avesse telefonato, che sapesse il loro numero. Esti stava stendendo con lui i panni sul balcone e aveva ascoltato solo la parte di Miha nella conversazione, le esclamazioni di dolore e di incredulità per qualcosa di terribile che era accaduto a Shaul il giorno prima (ma si sente sempre una sola versione, pensa ora). Miha interrogava il fratello, lo interrompeva, come suo solito, con raffiche di domande tese a dimostrare la misura del suo interesse, la sua simpatia, e soprattutto la sua sconfinata fedeltà. Shaul, però, non permetteva mai che lo si interrompesse e anche quella sera, con un paio di frasi laconiche, aveva prosciugato l’ondata di piena emotiva che l’aveva travolto. Esti aveva visto Miha ammutolire, farsi piccolo, tacere, e subito dentro di lei aveva cominciato a ribollire l’offesa per il marito, la rabbia nei confronti di Shaul, nonché, suo malgrado, un po’di ammirazione per l’arroganza del cognato. Due minuti dopo quella conversazione, però, era arrivata la chiamata urgente del ministero per l’Ambiente e Miha era dovuto scappare. A denti stretti Esti lascia sfuggire l’aria trattenuta nei polmoni. Dove troverà la forza per guidare dopo una giornata così lunga? Chissà quanto ancora durerà questo viaggio, senza contare che dovrà pure riaccompagnare Shaul da quel fantomatico “laggiù”a Gerusalemme e poi tornare a casa sua, a Kfar Saba. Come ha potuto lasciarsi coinvolgere in un mistero tanto idiota? Si domanda vagamente se per caso passeranno dalla sua Beer Sheva e Shaul si lascia sfuggire un sospiro pesante, soffoca una nuova ondata di dolore nella speranza che fra poco succeda qualcosa, che svenga, o perda conoscenza prima di arrivare a destinazione. Però non osa neppure addormentarsi accanto a Esti. Ogni istante torna a sbirciare il suo profilo da india, con il mento pesante, i capelli neri, lunghi e sciolti. In occasione della nascita di Tom, Esti aveva regalato loro un quadro. Shaul non era riuscito a capire se lei lo avesse dipinto, cucinato o cotto in forno. Era un disegno su carta riciclata, grezza, fatto con la paprica, il cumino e il curry, e ritraeva una madre con un bambino molto più somigliante a Esti che a Elisheva. Shaul ricorda come per anni, ogni volta che avvicinava il naso a quel quadro, sentiva l’odore di Esti. Talvolta infatti (ma non questa notte) lei emanava un odore particolare, acre, che non si preoccupava di nascondere, e Shaul si domandava come facesse suo fratello a sopportarlo. Ricorda ciò che sua madre aveva detto quando Miha aveva annunciato che si sarebbe sposato con lei, facendo anche riferimento a quell’odore. A tal punto era arrivata! Ora Shaul è ancora più risentito con la cognata per le sciocchezze che gli vengono in mente impedendogli di concentrarsi, ma lei canterella una vivace melodia: deve stirare l’uniforme di Shira, cucire i gradi da caporale su tre camicie e i costumi da cavalieri per i gemelli da indossare l’indomani, all’asilo. Ancora non ha capito che davanti a lei si apre una strada lunga e ignota. Ancora non ha avvertito, sotto tutti i materassi, il pisello della ragazzina scura che raccontava a se stessa storie in cui la cosa più eccitante erano le parole “d’un tratto”all’inizio di una frase o prima di una descrizione, per infiammare la propria anima, o tenerla in sospeso. “D’un tratto”, “d’un tratto”. Il suo cuore sussultava quando sussurrava a se stessa “d’un tratto”. Dov’è Elisheva?, pensa Esti. Perché Shaul non lo dice? Forse le ha fatto qualcosa di male. Esti lancia un’occhiata nello specchietto retrovisore, nota di sfuggita il livido bluastro sotto l’occhio destro di Shaul e, come ogni volta che i loro occhi si incontrano, entrambi distolgono lo sguardo, quasi fossero stati graffiati da un’unghia estranea. Ha davvero l’aspetto di qualcuno che ha appena commesso un omicidio, pensa Esti. Quel pensiero l’aveva già sfiorata mentre si trovava in casa sua. Per questo aveva fatto il giro dei locali. Altrimenti, inarca un sopracciglio, perché farebbe tanto il misterioso? Si stiracchia un po’, fa schioccare la lingua tra le guance e gli lancia uno sguardo insistito. Solo l’altro ieri l’ha visto per caso in televisione, era stato intervistato a proposito dei tagli alle ore di insegnamento delle materie scientifiche nella scuola dell’obbligo, e lui era stato acuto, sagace, decisamente convincente; con velenosa laconicità aveva fatto a pezzi i rappresentanti del ministero del Tesoro. L’argomento in questione non le interessava ma come sempre, quando Shaul appariva sullo schermo, aveva seguito con attenzione le espressioni del suo viso, cercando di scorgere ciò che lui nascondeva con tanta maestria. Calmati, pensa massaggiandosi il collo indolenzito, non l’ha uccisa. Non riesce a fare un passo senza di lei. E poi è un codardo. Le pupille le si assottigliano come quelle di un gatto nella luce verdastra emessa dagli strumenti sul cruscotto. A Esti piace immaginare omicidi fra partner, un piccolo trucco con cui cerca di risvegliare la propria curiosità, e forse un po’di simpatia, verso coppie per le quali non prova nessun interesse. Immagina i due partner mentre cercano di uccidersi a vicenda appostandosi, tendendosi agguati, strisciando nel folto della savana casalinga. Talvolta, nel corso di noiose serate in casa di amici, con la pensierosa determinazione di un verme dentro una mela, volge attorno lo sguardo alla ricerca di possibili armi del delitto: un pesante recipiente per la frutta in vetro di Murano, un coltello per il formaggio con l’impugnatura in ceramica di Delft, uno schiaccianoci, un apribottiglie... Shaul nota il sorriso bizzarro e un po’cospiratore di Esti. Il suo sguardo distratto vi si sofferma per un secondo. Tra loro corre un’occhiata fugace, velata, inconsapevole; ma subito, come se avesse sprecato del tempo prezioso, chiude gli occhi e si allontana da tutto, si concentra su se stesso, su un unico raggio oscuro, e nel finestrino buio e umido di fronte a lui vede riflesso il proprio viso, dentro il quale appare Elisheva. Lei corre lungo il pendio di una bianca collina, con movimenti rapidi, bruschi, che fendono l’oscurità. I pantaloni chiari hanno delle lacerazioni sull’orlo. Forse si sono impigliati nei rovi. Lui sta per urlare d’incredulità nel vederla lì, ma tace, con uno sforzo sovrumano, perché l’autista non la noti. Perché ora c’è un autista. A mezzanotte è squillato il telefono e una voce gli ha annunciato che sua moglie era scomparsa. Partita. Non si sa per dove. Non si sa perché. La voce dell’uomo aveva persino un tono di accusa, come se Shaul fosse colpevole della partenza di Elisheva. Lui era rimasto in silenzio ad ascoltare. L’uomo aveva detto che avrebbero mandato qualcuno a prenderlo. Shaul non aveva nemmeno chiesto per andare dove. Probabilmente stanno organizzando delle ricerche, si era detto. Aveva allungato una mano insonnolita verso il lato del letto di Elisheva e l’aveva trovato vuoto. Solo allora sembrava avere afferrato cosa stava succedendo e si era seduto di soprassalto. L’uomo al telefono aveva detto: si tenga pronto, e aveva riattaccato. Shaul era rimasto a sedere fissando il vuoto: quando mai la polizia informa le famiglie che qualcuno è scomparso? Di solito è il contrario, no? Un attimo dopo, tuttavia, un individuo grasso, robusto, con mani lisce e tozze da delfino bussava alla porta. Erano le mani dell’uomo che aveva installato l’impianto di comunicazione tra l’asilo nido di Elisheva, al primo piano, e il suo studio. Lo aveva seguito in silenzio fino a una Subaru scalcinata e lercia, non un’auto della polizia, poi era salito sul sedile posteriore e vi si era rannicchiato senza dire una parola. Avevano viaggiato per più di un’ora verso sud finché lui aveva visto Elisheva correre sulla collina. Una sagoma chiara e velocissima che spariva nelle tenebre e riappariva un attimo dopo su un’altra collina, correndo con movimenti leggeri e guizzanti, come un pesciolino in un oceano buio. Intorno a lei decine di occhi invisibili, rossi, brillanti, si accendevano al suo passaggio. Ora la sua camicetta sottile si impiglia nel ramo basso di un albero, viene lacerata, strappata via. Elisheva rimane col reggiseno preferito da Shaul, quello bianco, da cui lei sapeva sfilare, con gesto indistinto, un seno candido e caldo, ansioso di essere succhiato dalla sua bocca. Ma perché non si gira? Così vedrebbe Shaul e sarebbe salva. Tutto quello che lei deve fare è guardarlo, lui allora tenderebbe la mano e la salverebbe. Ma lei non lo fa. Probabilmente non vuole. Preferisce continuare a correre, è ovvio. Non sente il bisogno di essere salvata, le piace stare sola e correre veloce…Le sue gambe si alzano e si abbassano, il viso è proteso in avanti, il corpo d’un tratto è così forte; chi avrebbe mai immaginato che Elisheva possedesse una forza simile? Corre quasi nuda, lasciando cadere i vestiti. Tra poco si toglierà anche il reggiseno. Eppure non si ferma, non si stanca. Illumina le ombre che le gravitano attorno come se la punta dei suoi nervi producesse elettricità. Si libra con una leggerezza incomprensibile, del corpo ma anche della mente. In quel preciso momento, una nuova ombra, lunga, si distacca silenziosa da dietro una roccia e un corpo grande, agile e scattante, comincia a rincorrerla. Shaul si lascia sfuggire un gemito di stupore, scuote la testa. Non ancora, c’è tempo per questo, lascia perdere, su. Lancia un’occhiata a Esti. Si domanda se quel gemito abbia risvegliato i suoi sospetti, ma lei guida assorta, assentendo a chissà quale pensiero. Lui pensa distrattamente che da lì, da quella posizione, lei ha un volto decisamente interessante. Non bello ma forte, sofferto. E mentre la scruta, scopre un orecchino minuscolo, tondo, che non aveva notato prima, un cerchiolino insignificante, da bambina, pensa Shaul vagamente, una bambina che gioca sola sul marciapiede. Fissa quel puntino dorato, lucente, stampigliato sul lobo dell’orecchio, se ne sente quasi attratto con uno strano senso di vuoto. Poi, a poco a poco, si calma. Ora, senza motivo, si stabilisce un po’di normale conversazione tra loro. Shaul domanda a Esti dei figli, nomina Shira, Eran e con un leggero sforzo anche Naamà. Non ricorda i nomi dei gemelli, pensa Esti, consapevole che agli occhi di Shaul cinque figli sono certo una volgarità, una dimostrazione di cattivo gusto, come mettere cinque cucchiaini di zucchero nel caffè. Ma il pensiero che lui non ricordi i nomi dei figli di suo fratello suscita in lei un brivido di pietà. Decide di smettere di combatterlo, almeno per la durata di questo viaggio, si propone di accantonare le sue rimostranze per essersi allontanato dalla famiglia. Questa notte è comunque persa, perché allora non trarne qualcosa di buono? Risponde quindi alle domande titubanti di Shaul, racconta in dettaglio dei figli, ne ripete i nomi per aiutarlo a collegarli ai volti, aggiunge qualcosa del carattere di ciascuno, soffermandosi in particolare su Idò, il gemellino più piccolo. Forse perché talvolta le ricorda Shaul. Non nell’aspetto (Idò è l’unico ad avere preso qualcosa della sua carnagione scura), ma nella fragilità, nella riservatezza, in quel filo di svagata malinconia che aleggia intorno a lui e che le stringe il cuore con un incomprensibile senso di colpa. Esti domanda di Tom –ha sempre avuto l’impressione che un giorno quel ragazzo gli avrebbe riservato delle brutte sorprese –e Shaul racconta dei suoi studi di matematica alla Sorbona, delle borse di studio vinte, eliminando dalla voce qualsiasi nota d’orgoglio o di compiacimento. E mentre parla, Esti vede il nipote in una biblioteca buia, con la testa troppo grande sul collo filiforme, e vorrebbe domandare qualcosa ma decide che è meglio di no. Eran ha la ragazza?, chiede Shaul, ed Esti, benché sospetti che stia solo cercando di sviare la conversazione da Tom o abbia fretta di sprofondare ancora nel suo inquieto borbottio, è felice di raccontare della ragazza minuta e dolce di Eran, ridendo del fatto che si sono già organizzati un “nido d’amore”in casa, nella mansarda, con grande ansia di Miha naturalmente, il quale ritiene che diciassette anni sia troppo presto per una vita di coppia. Ma oggi tutti cominciano presto, no? Poi lei ci ripensa, si corregge, be’, non tutti, certo, ognuno ha i suoi tempi. Shaul annuisce, commosso che lei abbia capito. Continua a sperare, dice, che sia solo per via dei geni del suo lungo celibato e che alla fine una qualche ragazza accalappi Tom, così come Elisheva ha accalappiato lui. Esti sorride, dice che anche lei, in fondo, sente di avere dei geni simili. Cosa vorresti dire?, risponde Shaul, che alla fine Tom verrà accalappiato da uno come Miha? Voleva essere una battuta ma non la è perché entrambi sanno che contiene un fondo di verità, quella non è una possibilità da scartare. I loro sguardi si incrociano nello specchietto, per una frazione di secondo vi si delineano possibilità, speranze, desideri, scelte, sepolti sotto spessi strati di polvere della vita. Esti è la prima a sbattere le palpebre, a distogliere lo sguardo. Ha l’impressione che proprio a causa del suo stato Shaul possa vedere di più, forse troppo. Gli rivolge nello specchietto un sorriso rapido e ingannevole, i suoi denti regolari sfavillano e a Shaul torna di nuovo in mente la prima volta che suo fratello gliel’ha presentata. È passato un sacco di tempo da allora, no? Vent’anni, precisa lei, ne avevo quasi ventinove quando io e Miha ci siamo conosciuti. Shaul sembra sbalordito. Con un filo di voce esclama che non è quasi cambiata ma Esti getta la testa all’indietro e ride di cuore, sa che è davvero convinto che tutti quegli anni, e quei figli, non l’abbiano affatto cambiata. Shaul vede le cose in modo superficiale, ha spiegato una volta a Miha, ne vede solo l’ombra. Ma ora che il suo sguardo vaga intorno a lei, le pare che lui abbia del tutto rinunciato alla possibilità di uscire dal proprio guscio, di conoscere davvero qualcosa al di fuori di sé. A quel tempo però portavi una treccia, no?, grida lui come colpito da un’illuminazione improvvisa. Ed Esti si commuove, la mia bella treccia, esclama lisciandosi la nuca e facendo scorrere la mano lungo la spalla. Shaul osserva incantato quel movimento morbido e, come gli accade sempre quando ricorda un dettaglio del passato, si sente pervaso da uno strano senso di dolcezza e gratitudine, come se, il giorno in cui qualcuno gli chiedesse se ha mai avuto dei momenti particolarmente intensi nella vita, lui potesse citare quell’istante. Certo, ripete, avevi una treccia lunga, spessa; si aggrappa a quel dettaglio, rifiuta di separarsene, ed Esti intuisce cosa questo significhi per lui –lei che non riesce a dimenticare nulla, che ricorda ogni parola, gesto, voce, odore. Lo trascina nella conversazione, gli ricorda quanto Miha fosse nervoso per quel loro primo incontro, come temesse il suo giudizio, quasi mi stesse portando davanti a un giudice supremo. D’un tratto lei si fa seria, sappi che per me la casa dei tuoi genitori rappresentava un vero rifugio, un’ancora di salvezza. È incerta se raccontargli che solo dopo esserci entrata aveva veramente capito cosa fossero una casa e una famiglia. Shaul ripensa invece alla scenata di sua madre, alle urla, alle frasi sibilate quando le era stato chiaro che Miha, con una determinazione insolita per lui, si era deciso a sposare “quella”. Per un momento si domanda come Esti sia riuscita a superare l’ostilità profonda, quasi pagana, di sua madre. Se non si vergognasse le domanderebbe che incantesimo ha operato per far sì che oggi lei le sia così affezionata. Ed Esti sorride, pensa che forse ha fatto bene ad accompagnarlo. Continuano a parlare con l’allegria di due persone che in qualche modo sono riuscite a risolvere uno screzio, benché Esti noti che Shaul, anche quando ride con lei e si lascia trasportare dai ricordi, è come se impedisse a entrambi di abbandonarsi alla dolcezza dei particolari, attento a che la conversazione non trascenda una chiacchierata tra due amici che in passato hanno trascorso del tempo insieme. In un campeggio estivo, per esempio; o in un campo di concentramento, pensa Shaul. Esti vede nello specchietto il suo viso lungo e tormentato e per un istante non riesce a distoglierne lo sguardo, nemmeno dalle labbra che si muovono continuamente come se lui intrattenesse fra sé una conversazione animata, del tutto estranea a quella che ha con lei. D’un tratto il suo cuore è punto da un dolore sordo e si domanda se lui abbia qualcuno vicino, una persona che abbia incrociato in qualche punto la sua linea. A parte Elisheva, naturalmente, pensa con un leggero sforzo. Esti tende la mano, fruga nella grande borsa sul sedile accanto al suo, offre a Shaul dei panini da un sacchetto, della frutta, un po’di verdura, delle uova sode ancora calde, un paio di yogurt, una fetta di Camembert, i suoi famosi biscotti al sesamo; Shaul la guarda rovistare nella borsa, meravigliato, la osserva estrarne una sfilza di provviste mentre continua a guidare senza sbandamenti. Si rammenta dell’incidente della sera prima, borbotta di non avere appetito mentre Esti, dopo un istante di esitazione (perché sa come rimbomberà il suo masticare nella cassa di risonanza nervosa e fremente di Shaul), scarta un panino con i denti, si stringe nelle spalle e mangia con gusto, piluccando anche qualche oliva nera e bevendo del caffè da un thermos. Shaul aspira gli aromi del cibo, i vapori del caffè e benché il suo appetito si sia risvegliato decide di non chiedere nulla, di imporsi quasi un piccolo castigo per non avere accettato prima, quando lei gliel’ha offerto. Esti si pulisce la bocca, gli domanda per la terza o quarta volta come abbia potuto mettersi in viaggio con una frattura così recente e lui la rassicura che l’analgesico che ha preso comincia a fare effetto. Solo il prurito lo fa impazzire, il formicolio, mormora che tutto il dolore del mondo non sarebbe una punizione sufficiente per un incidente tanto stupido. Lei gli domanda ancora dove sia avvenuto e lui risponde: ricordo a malapena, stavo tornando a casa e sono andato a sbattere contro un marciapiede…Esti è costretta ad accendere la radio per sciogliere l’imbarazzo creato da quella bugia. Ascoltano in silenzio il notiziario delle nove e in chiusura Shaul, allibito, sente la giornalista raccontare con tono divertito, tipico degli aneddoti curiosi o delle piccole tragedie di altri popoli, quel che è successo a un alto ufficiale di polizia spagnolo, un uomo rispettato e conosciuto, di cui solo dopo la morte, avvenuta quella settimana, si è scoperto che manteneva due famiglie in due quartieri diversi di Madrid e che ogni famiglia era all’oscuro dell’altra. Aveva due mogli, ride la giornalista, e da ciascuna aveva avuto sei figli a cui ha dato gli stessi nomi, nello stesso ordine. Ah, ah, ride Esti, due set identici, pensa un po’, Shaul. Pensare cosa?, risponde lui precipitoso, quasi mordente, e lei, con leggera esitazione, pensa una cosa simile, ma lui esclama con amarezza: a dire il vero una cosa simile non mi è difficile immaginarla. Esti tace un istante, poi domanda discretamente: è successo qualcosa? Lui alza lo sguardo a fatica, la fissa con occhi sbarrati e d’un tratto si lascia sfuggire un gemito di dolore tanto forte che Esti frena di colpo e si ferma sul bordo della strada. No, no, vai avanti, mormora Shaul, è solo la gamba. Esti però non si muove, rimane seduta, impettita, ad aspettare. Shaul è rannicchiato su se stesso, nelle sue viscere si scatena la ben nota tempesta, un ruggito, un gemito intrecciato a una risata amara che lo risucchia all’interno e minaccia di scaraventarlo contro un muro fino a sgretolarlo, qualsiasi muro, deve pur esserci un muro alla fine, o il fondo di un pozzo profondissimo. Proverà un piacere terribile quando le sue radici verranno estirpate una a una, e davanti a lei oltretutto, pensa con amara ironia, proprio davanti a lei. Sarebbe il massimo, si compiace. A quel punto la cosa è decisa, per quanto lo riguarda. Piega la gamba sana contro il ventre e pensa: ecco, probabilmente è così che deve essere. Da noi, in ufficio, dice dopo qualche istante, è successa una cosa simile. Simile a cosa?, domanda Esti. Alla storia dell’ufficiale di polizia di Madrid. Non capisco, risponde lei, c’è un uomo che ha due mogli? Più o meno, replica Shaul, qualcosa di simile. Un giorno questo mio collega ha scoperto che la moglie aveva un altro. Be’, che ci vuoi fare?, commenta Esti, sono cose che capitano. Ma una lancetta femminile dentro di lei comincia a ticchettare. No, spiega Shaul, non si tratta di un amante e nemmeno di una delle solite storie. Si domanda se Esti sia di quelli che pronunciano la parola “scopare”con facilità. È qualcosa di molto più serio. A dire il vero –Shaul abbozza un sorriso ed Esti avverte la complessa elaborazione –è una cosa che va avanti da anni, ancora oggi…Si sente sempre parlare di cose simili, risponde Esti, confusa. La voce di Shaul ha un’intonazione strana, leggera, svagata. Passi felpati e furtivi le risalgono lungo la spina dorsale. Poi cala il silenzio. Prolungato e colmo di brusii. Una leggera pioggerellina li avvolge come un velo sottile. Di tanto in tanto accanto a loro sfreccia un’automobile, o un camion, e la Volvo ondeggia. Esti spegne i fari, fissa il ciglio della strada. Vede siepi piegate dal vento, un vecchio cartello stradale riverso su un lato. Due bicchieri di plastica bianchi sballottati di qua e di là. Shaul cerca ancora di salvarsi, si sforza di pensare a cosa accadrà domani, cosa farà Esti con quello che le racconterà, come lo guarderà, come lui potrà mostrare ancora la sua faccia in famiglia. Si raddrizza più volte ma il suo corpo continua a scivolare, vorrebbe chiedere a Esti di riportarlo a casa, prima che avvenga una tragedia, ma non riesce a pronunciare quelle parole. È così forte il bisogno di recarsi laggiù, la meta finale lo risucchia come si succhia un uovo da un forellino nel guscio. Shaul si dice che la tragedia è cominciata nel momento in cui ha cercato qualcuno che lo accompagnasse. Come ha potuto farlo? A cosa stava pensando quando ha telefonato a Miha e come credeva di giustificare questo viaggio? Sapeva che in quel momento non stava pensando a niente, e ora non ha la forza di fermare l’inevitabile, è in trappola. Nel caso di quella coppia però, non ci crederai…ride sommessamente. Esti conosce quella risata, un’espressione amara e feroce di autoderisione, piena di cattivi presagi. La cosa va avanti da otto, nove, forse dieci anni... E lui, il marito, non se n’è mai accorto? Shaul risponde che lo sa, il marito, anzi, a quanto pare lo sa da moltissimo tempo. Fin da quando è cominciata, probabilmente. Esti si agita sul sedile, sente di dover dire qualcosa, anche solo per rompere il silenzio che si addensa a ogni frase di Shaul. Sì, decisamente, prosegue il cognato, anche se Esti è certa di non avere avuto il tempo di domandare nulla, lui è d’accordo, il marito, ma questa storia è ancora più complicata. Ora lei nota gli artigli affilati che vengono sfoderati dalla morbida pelliccia. È ipnotizzata dal loro movimento e domanda con un filo di voce come può essere più complicata di così. Shaul però non risponde e lei ha l’impressione che tra una frase e l’altra lui si perda in se stesso alla ricerca della risposta giusta, quella che rivela e nasconde in uguale misura. Non capisco, sussurra lei, racconta. Tutto in lui acquista una strana flemma, gli occhi sembrano più pesanti, fissi. Ecco, sto per raccontare, pensa Shaul rilassato, con la calma di chi pensa “in fondo che male c’è?”. E sto per raccontare a lei, proprio a lei, fra tutti. Nei meandri della sua mente, come un dolce anestetico si diffonde la sensazione di commettere un errore terribile. Lui punta lo sguardo sul tettuccio dell’automobile e per un lungo istante non respira. Poi avverte un tremito leggero, dalla punta dei capelli a quella dei piedi, appoggia la testa al freddo vetro del finestrino e chiude gli occhi. A poco a poco il suo viso si distende e lui si concentra su se stesso, come per prepararsi a un piacere nudo. Il marito, mormora, sa persino di ogni volta che lei va dall’altro. Anzi, esige di saperlo. Sospira. Lui –come dire –deve sapere tutto. Esti deglutisce. Gli domanda con un filo di voce se vuole bere qualcosa. Shaul non risponde e lei non osa voltarsi. Rimangono seduti così per lunghi minuti, persi in se stessi, un po’scossi, come quando si riceve una botta ma non se ne avverte ancora il dolore, finché Shaul gira la testa con indicibile spossatezza, incontra nello specchietto gli occhi grandi e neri di Esti, che sembrano sempre cerchiati da un’ombra, e sussurra che farebbe meglio a riprendere il viaggio, peccato sprecare tempo prezioso. Shaul emana un calore che le avvolge la nuca e le si insinua sotto il vestito. Persino il gesso d’un tratto sprigiona freschi effluvi. Esti riprende la strada con andatura lenta, assorta, si sente riempire di una stupidità farinosa e non è in grado di pensare. Intuisce solo che il racconto di Shaul deve avere a che fare con l’incidente. Il suo tono le ricorda quello dei bambini quando si fanno male e scoppiano in un torrente isterico di parole. Miha, ricorda, le ha raccontato che Shaul non le aveva mai prese da nessuno, né le aveva mai date, nemmeno da piccolo. Non aveva mai fatto a botte, né si era mai rotto un braccio o preso una storta. Così ha detto Miha con stupore e un pizzico di ammirazione, come se Shaul fosse un reperto da museo; ora Esti immagina come il giorno prima, in un istante, la sua pelle e la sua carne si sono lacerate, le ossa frantumate. Forse adesso non è del tutto in sé, pensa. Vorrebbe dirgli di stare attento, di non dire cose di cui potrebbe pentirsi. Attende paralizzata le sue parole, con un misto di attrazione e repulsione, come l’occhio che viene calamitato dalla tragedia. Lui sta a casa ad aspettarla, continua Shaul con la calma apparente nella quale i tendini si gonfiano, consapevole di quanto tempo occorra alla moglie per arrivare a casa dell’altro, una precisione che spacca il minuto. L’accompagna lungo il tragitto fino a destinazione, sa dove parcheggia, come sale le scale, fino a che piano, il quarto, e anche quanti scalini deve fare... Esti rimane col fiato sospeso. Shaul non dice il numero degli scalini e solo per questo lei può ricominciare a respirare. Se l’avesse fatto, avrebbe urlato. Allora il marito... la segue?, chiede quando non riesce più a sopportare il silenzio. Ma non è quello che avrebbe voluto chiedere, altre cose la travolgono e da un punto nascosto del suo corpo, il gomito o la caviglia, si sprigiona un sospiro di sollievo per Elisheva, per il fatto che lei abbia una storia come quella nella sua vita e quindi non è malata come tutti già cominciavano a temere. Come?, domanda Shaul, no, lui non la segue, perché mai dovrebbe farlo? Esti ha l’impressione che sia arrabbiato, non per la domanda in sé ma per il fatto che una voce estranea gli impedisce di immergersi lentamente nella sua storia. Lui non ha bisogno di seguirla, bofonchia Shaul: lui sa. Pronuncia quelle parole con dolcezza ma anche con fermezza, come chi cala sul tavolo una carta vincente. Ma come…?, sussurra Esti lanciando un’occhiata furtiva alle spalle, sbalordita nello scoprire il cambiamento avvenuto nel cognato durante gli ultimi minuti: ora è pallido, ha gli occhi chiusi, il volto è contratto e proteso in avanti, come schiacciato da dita forti, impietose. [...]