PERCHÉ HAMAS DEV'ESSERE DISTRUTTO
Di Niram Ferretti
4 Febbraio 2025
Il culto della morte e del martirio, abbinato a un antisemitismo radicale, è al centro dell’ideologia di Hamas, costola palestinese della Fratellanza Musulmana.
“Le conclusioni di Hamas sul destino di Israele sono esplicitate inequivocabilmente nello Statuto. Secondo l’art. 6, Hamas, ‘innalzerà la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della Palestina. […] Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad'”, scrive Matthias Küntzel.
Lo Statuto di Hamas del 1988, mai abrogato, è il manifesto programmatico dell’organizzazione jihadista, un miscuglio esiziale di fanatismo religioso, antisemitismo e volontà eliminazionista. Così come Adolf Hitler aveva espresso in modo eloquente le sue intenzioni nel Mein Kampf, poi messe in atto in modo puntuale, lo stesso ha fatto Hamas.
Il 7 ottobre del 2023 è stato la logica conseguenza dello Statuto. Eppure, per sedici anni, dal 2007, (anno della presa assoluta del potere da parte di Hamas a Gaza), al 2023, Israele ha preferito ignorare la realtà dello Statuto considerando Hamas un attore politico che si poteva tenere a bada attraverso elargizioni economiche fornite dal Qatar, suo principale sponsor finanziario e ideologico. Tutto ciò ha portato a quattro conflitti, di cui, il più esteso è quello attuale interrotto attualmente da una tregua.
Già nel 2005, quando Ariel Sharon prese la decisione di mettere fine agli insediamenti ebraici nella Striscia, dichiarando che essa aveva il potenziale di diventare la Singapore del Medio Oriente, sottovalutava come il politico, quando è innestato sul religioso, subordina tutto alle proprie convinzioni.
Non c’è benessere economico, arricchimento personale, possibilità di migliorare le condizioni della vita collettiva che possa avere la meglio sulla convinzione ferocemente e religiosamente radicata che Israele deve essere cancellato dalla mappa del Medio Oriente. Il mero fatto che Hamas non possegga la capacità materiale di poterlo fare non modifica di nulla la sua pericolosità e il suo programma, come il 7 ottobre, vera e propria anticamera di un genocidio, ha ampiamente dimostrato.
Lasciare sopavvivere Hamas a Gaza sarebbe come avere voluto fare sopravvivere Al Qaeda in Afghanistan o l’Isis in Iraq invece di avere deciso di porre fine alla loro radicamento.
Non ci sono vie di mezzo, non possono esserci tregue che tengano, e duole dirlo, la vita degli ostaggi dovrebbe essere subordinata a questo obiettivo, la distruzione di Hamas e la bonifica di Gaza.
Durante la Seconda guerra mondiale, gli Alleati non decisero di lasciare intatto in Germania un residuo attivo ma operante del Terzo Reich, così come a Mosul non si è optato per preservare l’Isis dalla sconfitta totale dopo nove mesi di assedio e la morte reale di quarantamila civili.
L’evidenza di questa guerra che è durata quindici mesi e che ora si è momentaneamente arrestata, è che più che avere come obiettivo la capitolazionne di Hamas si sia optato per una massiccia operazione di deterrenza, esattamente come è accaduto nei conflitti precedenti, con il risultato che ciclicamente si è ripresentato lo stesso problema e si è infine giunti al magiore eccidio di ebrei dal dopoguera ai nostri giorni.
Netanyahu ha sempre dichiarato di volere la vittoria, ma è il primo a sapere che questo esito è inconciliabile con la liberazione di tutti gli ostaggi, l’assicurazione sulla vita di Hamas. La capitolazione di Hamas prevede un prezzo alto da pagare, la salvezza di tutti gli ostaggi un prezzo altrettanto alto, ma più esorbitante.
La realtà bruta è questo, il resto è solo ipocrisia e wishful thinking.
Domani avrà luogo a Washington dove è atterrato in queste ore, il primo incontro tra Donald Trump, presidente in carica degli Stati Uniti e Benjamin Netanyahu. Si tratta anche della prima visita ufficiale alla Casa Bianca di un premier straniero.
Sul tavolo c’è la questione dell’accordo con Hamas voluto dallo stesso Trump, che a breve entrerà nella seconda fase operativa. Si tratta di una questione complessa che pone due obiettivi sostanzialmente inconciliabili; la liberazione degli ultimi ostaggi tenuti in cattività a Gaza dall’organizzazione jihadista e il suo sradicamento dalla medesima.
Gli ostaggi, fin dall’inizio della guerra, causata dall’eccidio in Israele perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, sono la principale garanzia per la sopravvivenza di quest’ultimo all’interno della Striscia, motivo per cui, Hamas ha sempre posto come condizione necessaria al loro rilascio il ritiro completo delle forze armate israeliane dalla Striscia e la fine della guerra.
Netanyahu non ha mai cessato di proclamare che l’obiettivo principale della guerra fosse la vittoria, ovvero la fine del dominio politico e militare di Hamas a Gaza. Appare evidente che questo obiettivo, ancora non raggiunto dopo quindici mesi di conflitto, potrà esserlo realisticamente solo se la guerra proseguirà, e conseguentemente con l’occupazione temporanea di Gaza da parte di Israele finalizzata all’epurazione definitiva dei jihadisti.
Questo obiettivo tuttavia si scontra con l’avversione di Trump per le operazioni militari prolungate e la sua convinzione che la soluzione ai conflitti possa essere determinata soprattutto se non esclusivamente, da negoziati tra le parti. Questo significa, nel caso di Hamas, rinunciare a priori alla sua sconfitta, e quindi precludere a Israele la vittoria.
C’è un altro fattore estremamente problematico, ed è quello che riguarda le dichiarazioni di Trump relative all’evacuazione da Gaza della maggioranza della sua popolazione che dovrebbe essere accolta da Egitto e Giordania, i quali si sono già dichiarati indisponibili. Un progetto di questo tipo necessita non solo del consenso dei paesi citati ma anche di quello di Hamas.
È assai difficile immaginare che Hamas lasci svuotare la Striscia non potendo più contare sulla popolazione tra cui mimetizzarsi e da usare come carne da macello per potere poi accusare Israele di crimini di guerra se non di genocidio, diventando di fatto un bersaglio assai più facile da colpire qualora la guerra riprendesse.
Sono nodi aggrovigliati. La decisione di accordarsi con Hamas che Joe Biden ha sempre cercato di imporre a Israele senza successo fino a quando, a pochi giorni dal suo insediamento, Trump è riuscito ad ottenere, li ha resi ancora più difficili se non impossibili da sciogliere.