QUELL'ORRORE CHE NON INDIGNA MAI NESSUNO
Giulio Massa
Quell'orrore messo in scena da Hamas che non indigna mai nessuno
Siamo un paese di indignati speciali, indignati in servizio permanente effettivo. Indignati per tutto, soprattutto da quando ci hanno convinti, in barba a Croce e Machiavelli, che la morale, l’etica sono la quintessenza della politica e ne esauriscono la sfera. Se fosse negoziabile sui mercati, l’indignazione, ben più del turismo, sarebbe il nostro vero petrolio.
Ma evidentemente anche con il consumo di indignazione non è consentito esagerare. Indignati oggi, indignati domani, alla fine la spia rossa della riserva si accende anche negli animi più nobili.
Non può esserci altra spiegazione a fronte del vuoto d’indignazione che si percepisce in queste ore di fronte al macabro rituale di rilascio di Eli Sharabi, Or Levy, Ohad Ben Ami. Chi sono? Sono tre sopravvissuti tra gli israeliani fatti ostaggio dai terroristi di Hamas il 7 ottobre. Sono i tre che, per usare la sconcertante (o forse no, per nulla) terminologia usata qualche settimana fa sul sito del “Corriere della Sera”, oggi “lasciano” la striscia di Gaza.
Eli Sharabi passa dalla prigione di Hamas al carcere dell’esistenza previsto per un uomo a cui i “liberatori” hanno ucciso moglie, due figlie ed un fratello e che, per inciso, lo apprende solo oggi, dopo la “liberazione”. Anche ad Or Levy hanno ucciso la moglie, ma il tempo di piangerla sarà limitato per lui dall’impegno per crescere il piccolo Almog, tre anni, abbandonato dai terroristi dopo avergli ammazzato la mamma. Solo Ohad Ben Ami potrà riabbracciare la famiglia e stracciare le indicazioni inviate alla figlia in vista della sua morte.
La perversa ed efferata strategia comunicativa di Hamas, quella che da sedici mesi alimenta e soddisfa a suon di “genocidio” e “carestia” la domanda di indignazione di un’opinione pubblica occidentale credulona e prevenuta (a voler essere ottimisti), ora, nei rilasci di ostaggi, ha un target diverso. L’obiettivo è provocare Israele, il suo governo, la sua gente. Tendere la corda della provocazione quanto più possibile, confidando che sia lo Stato ebraico a spezzarla, revocando la tregua e ripiombando in pieno nella riprovazione planetaria di chi chiamerebbe “pace” anche il più ignominioso ed iniquo dei compromessi.
Per questa ragione, ad ogni rilascio il consolidato, cinico canovaccio di provocazioni (la comunicazione tardiva degli ostaggi rilasciati, il palco con la guardia scelta di combattenti per la “resistenza” armata di tutto punto, la festa di popolo per l’esibizione umiliante dei trofei di guerra viventi, strappati all’entità sionista) si arricchisce di nuovi dettagli.
In quest’occasione le novità sono due: una grottesca, l’altra tragica.
Di grottesco c’è l’“intervista” pubblica a cui i tre ostaggi sono stati sottoposti prima della liberazione. Di tragico, invece, ci sono le condizioni fisiche dei tre uomini liberati: condizioni che restituiscono un’immagine di impressionante denutrizione, sofferenza, fragilità.
Ora, non sappiamo quale effetto produrranno in Israele queste immagini sconvolgenti, per giunta accompagnate, nella sconcertante contabilità di questo “cessate il fuoco”, dalla conseguente liberazione di 183 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane (tra i quali un giglio di campo che sta scontando diciotto ergastoli cumulativi).
Sappiamo, però, quale reazione dovrebbe prodursi qui da noi, ma in queste ore, eventualmente pronti a ricrederci, ne avvertiamo, senza sorpresa, la mancanza. Sarebbe ora di attingere a piene mani alle suddette riserve di indignazione.
Sarebbe ora di riconoscere nei corpi smunti di quei tre uomini la “carestia” agitata con sommo sdegno da più di un anno, sarebbe ora di riconoscere che se l’accostamento tra Gaza ed Auschwitz non era del tutto osceno lo si comprende solo oggi, di fronte a quelle immagini infernali che fanno dire alla giornalista Camilla Conti su X, con amara genialità, “Hamas macht frei”. Sarebbe ora di dare un senso autentico, e non blasfemo, alle trite giaculatorie del “mai più”.
Ma, stando alle reazioni delle prime ore, l’aria non sembra questa.
Forse i professionisti dell’indignazione onorano il weekend. O forse, come si diceva all’inizio, le riserve di indignazione sono ai minimi termini.
Del resto, è stata una settimana impegnativa.
C’è Donald Trump che funziona come una vera idrovora di indignazione. Dalla squinternata, folle e incendiaria idea di Mar – a – Gaza (drammaticamente e di gran lunga preferibile all’immagine odierna della Striscia) fino alla liberalizzazione delle cannucce di plastica (“signora mia no, la plastica no!”), The Donald riesce a coprire l’intero spettro delle nostre ragioni di indignazione. Spesso con ragione, beninteso. Salvo che si accettano scommesse sul fatto che molti di quelli in prima fila nella sua mostrificazione li ritroveremo pronti a digerire come una foglia di lattuga tutto ciò che in Trump trovano abietto se davvero il neopresidente venderà sciaguratamente gli ucraini a Putin e regalerà loro la “pace” che bestemmiano da tre anni.
Ma non c’è solo Trump. È stata una settimana di defatigante indignazione per un’opinione pubblica dominata da anime belle che, in questi giorni, hanno appreso con sgomento l’esistenza della ripugnante ragion di stato e degli “arcana imperii” (che purtroppo non hanno nulla di arcano in questa barzelletta di paese). Last but not least, siamo alla vigilia della settimana sanremese, da sempre fucina di sesquipedali minchiate su cui riversare fiumi di indignazione.
Così sembra evaporare la carica di violenza espressa nelle immagini odierne, la loro attitudine a scuoterci, a svelarci che, alla fine, Gaza è una colossale, tragica storia di terrorismo e di ostaggi: gli ostaggi israeliani e gli ostaggi civili palestinesi, non collusi con Hamas, utilizzati come scudi umani.
O forse non è un problema di scarsità di indignazione, ma solo di utilizzo selettivo della stessa. Magari, come qualche rumors dal Medio Oriente sembra poter far presagire, Israele dirà che la misura è colma, che non è interessato a proseguire con la seconda fase del cessate il fuoco. Allora, “di fronte alla minaccia alla pace “, gli indignados interromperanno il weekend e daranno fondo a insospettabili riserve di indignazione: verso Israele, of course.