mercoledì 19 febbraio 2025

PROJECT 2025 E LA DISSOLUZIONE DELLO STATO Alessandra Libutti



 PROJECT 2025 E LA DISSOLUZIONE DELLO STATO

Alessandra Libutti 

Quando Donald Trump ha preso le distanze dal 2025 Presidential Transition Project, noto come Project 2025, negando anche di essere a conoscenza della sua esistenza, molti avevano sentito quel nome solo pochi giorni prima, quando Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation (da lui definita l’istituzionalizzazione del trumpismo), aveva irritato i donatori della campagna elettorale di Trump, definendo Project 2025 un “piano di battaglia” per la seconda Rivoluzione americana. 

Riesce difficile ritenere che Trump non ne avesse mai sentito parlare. Tra gli autori del testo Mandate for Leadershiop 2025 (il manifesto di Project 2025), figurano 6 suoi ex segretari di gabinetto, circa 140 ex dipendenti della sua amministrazione e parte del suo team legale. Tra gli aperti sostenitori del progetto troviamo anche persone vicine all’ex presidente: il suo ex capo dello staff Mark Meadows e il suo consigliere Stephen Miller; il suo avvocato durante l’impeachment Jay Sekulow e i due legali del suo fallito tentativo di ribaltare le elezioni presidenziali del 2020, Cleta Mitchell e John Eastman. Con la nomina di JD Vance come candidato alla vicepresidenza (un uomo vicino alla Heritage e supportato da Roberts) è riuscito difficile credere anche alle parole con le quali ridicolizzava il piano.

Di cosa si tratta?

Project 2025 mira a rimodellare la società americana secondo principi basati sul conservatorismo, fornendo al Presidente repubblicano eletto una base ideologica, un piano di attuazione e gli strumenti per metterlo in pratica, a partire da una trasformazione del governo federale degli Stati Uniti finalizzata a consolidare il potere esecutivo.

Il progetto ha 4 obiettivi principali, i “pilastri”: 

Ripristinare la famiglia come fulcro della vita americana 

Smantellare lo stato amministrativo 

Difendere la sovranità e i confini della nazione 

Garantire i diritti individuali concessi da Dio a vivere liberamente 

È nato in conseguenza del rifiuto da parte dei dipendenti pubblici di sostenere Trump durante il suo tentativo di ribaltare il risultato elettorale. Per il direttore associato del progetto, Spencer Chretien, occorreva “gettare le basi per una Casa Bianca più simpatetica alla destra”. A tal fine fine, il progetto prevede di utilizzare i primi 180 giorni della presidenza per smantellare lo Stato, trasformando migliaia di cariche federali in nomine politiche.

Ci soffermeremo innanzitutto sul punto due, perché del “dissolvere lo Stato” ne abbiamo già sentito parlare parecchio alcuni anni fa quando Steve Bannon, il teorico della “dissoluzione dello Stato”, andava per la maggiore non solo tra le cerchie trumpiane ma anche nei circoli sovranisti europei, quando cioè lo vedevamo osannato da Nigel Farage e da Marie Le Pen, esaltato dal nostro governo gialloverde, ritratto a braccetto di Giorgia Meloni ad Atreju (dove era ospite d’onore). Senza poi far menzione del suo progetto (fallito) di aprire una scuola sovranista nella Certosa di Trisulti con il beneplacito di Giuseppe Conte.

Bannon sarà anche caduto in disgrazia ma quel progetto di dissoluzione dello Stato, nelle cerchie dell’estrema destra americana, è più vivo che mai, tanto da essere redatto per filo e per segno in un documento mirato ad influenzare un eventuale nuovo mandato di Donald Trump. Viene allora da chiedersi se il riaffiorare, in una forma strutturata, di una teoria che pareva ormai relegata nei sottosuoli dei ghetti sovranisti, non vada preso come un monito anche in Europa. Perché sì, il sovranismo potrebbe essere in discesa nel nostro continente, ma la base ideologica, seppur travestita e in apparenza annacquata, resta la stessa: il sovranismo ha un obiettivo preciso: creare un apparato statale “più simpatetico alla destra”.

Attenzione. scrivo di “creare un apparato statale più simpatetico alla destra” non di dissolvere lo Stato, perché nel testo Mandate for Leadershiop 2025, la “dissoluzione” è solo di facciata, uno specchio per allodole per infinocchiare i neoliberisti. Il piano non prevede affatto di “dissolvere” lo Stato, ma di farne un apparato del governo. Infatti quello che emerge dal manifesto è un apparato più statalista che mai.

Cerchiamo di spiegarlo più chiaramente. Al fine di rendere la Casa Bianca “più simpatetica alla destra”, le cariche e le istituzioni chiave diventerebbero organi del partito in carica così che siano leali al governo. Vengono in mente diversi Paesi in cui le cose funzionano così, nessuno dei quali figura particolarmente in alto nel Democracy Index, la graduatoria delle democrazie.

Project 2025 è in breve la soluzione ad un problema: secondo i curatori, le figure istituzionali (indipendenti) sarebbero “troppo liberali” e dunque ideologicamente legate alla sinistra. La narrativa (e guardiamo bene al linguaggio di tutti i sovranisti, inclusi quelli nostrani) è quello di uno Stato le cui istituzioni sarebbero in mano alla sinistra, creando così un ostacolo per i governi di destra che non riescono a governare come vorrebbero. La logica è dunque quella di portare gli organi istituzionali sotto il controllo del governo per “riequilibrare”. Una cosa tra amici, insomma.

Quanto alla cancellazione della separazione dei poteri, gli autori non se ne fanno un problema e suggeriscono che i dipartimenti di Giustizia, del Commercio, delle Comunicazioni, della Sicurezza Interna e dell’FBI vengano controllati direttamente dal governo.

Se uno degli obiettivi elimina la separazione dei poteri, facendo strage dei principi democratici, un altro cancella la secolarità dello Stato, proponendo di infondere nella società valori cristiani che dovrebbero essere alla base delle leggi. Tra questi, oltre che alla proibizione dell’aborto e alla contraccezione, anche la criminalizzazione della pornografia. Verrebbero anche rimosse le protezioni legali contro le discriminazioni.

Il piano prevede anche l’abolizione le normative ambientali e del Dipartimento dell’Istruzione; verrebbero tagliati i finanziamenti per l’assistenza sanitaria; terminati i programmi di diversità, equità e inclusione; promosso l’arresto, la detenzione e la deportazione degli immigrati illegali.

Non c’è modo di sapere se le presa di distanza da parte di Trump sia reale (forse dettata da alcuni finanziatori che auspicano politiche conservatrici sì ma non anti-democratiche) o parte della mistificazione trumpiana, certo è che Project 2025 è supportato da una larga fetta di repubblicani.

La cosa rassicurante è che la strada che queste politiche dovrebbero percorrere per divenire realtà è ardua: per alcune di esse i repubblicani dovrebbero avere un’ampia maggioranza sia al Congresso che al Senato; per altre, oltre al controllo delle precedenti, occorrerebbe anche che la Corte Suprema si pronunciasse sulla costituzionalità delle proposte. La cosa meno rassicurante è che, per quanto improbabile, non è impossibile.

Anche per chi, come chi scrive, il woke rappresenta una deriva pericolosa, tanto da averne scritto e riscritto, Project 2025 rappresenta una deriva ancora più inquietante: una che dietro la pretesa di contrastare alcuni estremismi della sinistra, tenta di riconsegnare la società ad un’etica e ad una forma di governo di stampo medioevale, qualcosa che sembra impecettare insieme elementi della Russia di Putin, della Cina di Xi Jinping e di un Iran in chiave cristiana. Roba che nulla ha in comune con una democrazia moderna.

La polarizzazione statunitense ha portato a questo: a due culti. Due ideologie entrambe puritane: una, figlia di un neo-puritanesimo culturalmente suicida; e l’altra di un puritanesimo che per salvaguardare la cultura cristiana, si presenta così retrograda e antidemocratica da apparire distopica, come l’anticamera di Gilead.