mercoledì 12 febbraio 2025

TREGUA IN OSTAGGIO Iuri Maria Prado

 


TREGUA IN OSTAGGIO

Iuri Maria Prado

Tregua in ostaggio: Hamas rinvia il prossimo rilascio ostaggi e prosegue verso la propria autodistruzione. La tregua a Gaza non ha basi solide, l'antisemitismo è un male che l'umanità si porta sempre.

È probabile che Hamas non avesse previsto con esattezza l’effetto che avrebbero fatto le immagini degli ostaggi ridotti a larve rilasciati sabato scorso. Per una volta, forse, l’efficacia comunicazionale della teatralità terrorista è risultata controproducente anche presso le platee più disponibili a minimizzarne l’atrocità. E l’annuncio di ieri, secondo cui la “resistenza” sospenderà fino a nuovo ordine l’attuazione del programma che prevedeva la liberazione di altri ostaggi israeliani, è verosimilmente il risultato del riscontro negativo prodotto dalle immagini di quei tre uomini resi irriconoscibili da mesi e mesi di tortura per fame. Per altro verso, si teme che un altro motivo si aggiunga a spiegare quell’annuncio: e cioè che i pochi ostaggi ancora in vita siano in condizioni analoghe, o anche peggiori, e che Hamas possa aver deciso di sopprimerli perché liberarli in quelle condizioni determinerebbe un ritorno di immagine anche più distruttivo che restituirli morti. Di un cadavere si può dire che la colpa è di un bombardamento israeliano; per uno stremato che porta i segni di mesi di tortura è più difficile inventarsi giustificazioni.

Lo scenario è cambiato

Resta in ogni caso che lo scenario, dalla settimana scorsa, è grandemente cambiato. È cambiato perché il punto di vista da cui guardare ciò che è successo dal Sabato Nero a questa parte non è più lo stesso, e non è più uguale la prospettiva che si apre sul futuro di Gaza.

La guerra di Gaza ci sarebbe stata anche senza le immagini mandate in mondovisione dagli smartphone dei miliziani e dei civili palestinesi che sventravano Israele il 7 ottobre del 2023. Ma la scena dei massacratori che saccheggiavano i frigoriferi delle cucine allagate di sangue, bevendo le bibite e i succhi di frutta dei bambini cui avevano appena sparato in faccia, induceva gli israeliani a una determinazione poco compresa altrove. E cioè la decisione di combattere quella guerra alle condizioni e al prezzo stabilito da Hamas: le condizioni erano che Gaza, con tutti i suoi tunnel e tutti i suoi civili, sarebbe stata un intero campo di battaglia; e il prezzo era la distruzione di Gaza.

L’orrore dei video

Sedici mesi dopo altri smartphone, adoperati da altri miliziani e civili palestinesi, avrebbero fatto fare il giro del mondo ad altre immagini capaci di un identico effetto. Questa volta gli israeliani avrebbero visto i corpi ischeletriti di tre ebrei ridotti a delle cose tirate fuori dai tunnel costruiti con i soldi della cooperazione internazionale. Sarebbero stati palestinesi nuovamente festanti e visibilmente ben nutriti a scattare quelle foto e a girare quei video, il sontuoso reportage a dileggio degli ostaggi avviati alla libertà di apprendere che le mogli, i figli, i parenti erano stati uccisi. E gli israeliani avrebbero assistito a queste altre scene – con la loro gente ridotta a sacchi di ossa e con la folla circostante in discreta pinguedine – dopo sedici mesi di pubblicistica sull’azione genocidiaria di Israele e sulla carestia cui era sottoposta la popolazione palestinese.