L’ISLAM MODERATO PERSEGUITATO DAL POLITICALLY CORRECT
Alessandro Tedesco
Sarebbe ora che ci chiedessimo se esiste un islam moderato. E se esiste dove sia finito. Dovremmo chiederci perché non ne sentiamo mai parlare, perché non lo vediamo nei salotti TV, perché non ne leggiamo sul web, sui social. Eppure c’è. Quanti autori e scrittrici musulmane dissidenti conosciamo, dal più famoso Salman Rushdie al premio nobel Shirin Ebādi, l’autrice iraniana, fino alle sue coraggiose più sconosciute connazionali.
E quanti imam moderati ci sono in giro per l’Europa, a cui non viene mai data parola, mai incoraggiati.
L’islam moderato c’è, ma deve vivere protetto dalla polizia, accusato di islamofobia, razzismo, fascismo.
Ecco il grave errore della sinistra europea e Occidentale, quello di aver aperto al fondamentalismo ostacolando la moderazione, perché criticare o solo obiettare dell’islam logorerebbe una rendita di posizione guadagnata con anni di tolleranza smodata, della vicinanza alla causa musulmana, della condivisione acritica del politically correct: l’accettazione della libertà di professare l’islam trascurando la sicurezza, del chador, del nijab, del burka, del multiculturalismo, lo sdoganamento di ogni aspetto della cultura islamica ha consentito al fondamentalismo di attecchire anche in Europa.
Dobbiamo fare i conti con una deriva che assume insieme aspetti farseschi e drammatici: quei valori conquistati al prezzo di miliari esecuzioni sui sanpietrini, con persecuzioni e roghi, con secoli di parole che hanno aperto le porte alle libertà, alla laicità, oggi messi in discussione da chi non conosce né la propria storia tantomeno quella di un profeta spietato.
Così fioriscono le roccaforti della sharia tra le capitali europee, come il quartiere Molenbeek a Bruxelles, o il distretto di Schilderswijk ad Aja, dove aveva base il gruppo Hofstadt, che ha pianificato l’assassinio del regista Theo van Gogh, discendente del pittore, reo di aver prodotto un corto sulla condizione femminile nell’islam. A Copenaghen la zona controllata dalla sharia è il sobborgo di Tingbjerg; Malmo con il 30% della popolazione di fede musulmana.
E i tribunali della sharia del Londonistan, le “Sharia Court” in UK, che decidono sulle controversie matrimoniali, camuffati da organo di pace penetrano nel sistema giudiziario anglosassone (date uno sguardo al video di un sito di propaganda islamica che preconizza la sostituzione delle chiese con le moschee).
In Spagna più che di quartieri è una intera regione: ‘al Andalus’, quei territori che il Califfato prima omayyade poi abasside ha governato per quasi 5 secoli fino al XIII, riconquistato dai cristiani e che gli islamici ritengono appartenga di diritto al Califfato Islamico.
In Francia vengono chiamate ‘Zus’, (Zones urbaines sensibles). Secondo le autorità di Parigi ce ne sono 751 in tutto il paese e ospitano almeno cinque milioni di musulmani.
La Germania gode di una modesta attività di colonizzazione culturale, sebbene l’Islam operi ad personam. E qui apriamo sulle vicende delle donne femministe musulmane con la “moschea liberale” Ibn Rushd-Goethe a Berlino chiusa definitivamente nel 2023: fondata da Seyran Atesş, berlinese di adozione ma nata a Istanbul da madre turca e padre curdo, la moschea descritta nei forum islamici come un “luogo di culto del diavolo” era stata chiusa temporaneamente a causa di un piano dell’ISIS per attaccarla (nel cuore di Berlino!). Poi la decisione definitiva. In quella moschea, donne, uomini, LGBT pregavano insieme all’avvocata femminista, prima tra le imam donna in Europa. Atesş vive ormai da molti anni sotto la protezione della polizia tedesca, al suo attivo una pallottola alla gola dai Lupi Grigi turchi.
Come è stata aggredita Fatma Keser studentessa universitaria colpevole di essere andata contro il suo Comitato studentesco dell’Università di Francoforte che protestava per le restrizioni sul velo in Germania. “Cagna”,“puttana”,“ razzista” sono gli insulti che le sono stati rivolti.
“L’accusa di razzismo anti islamico immunizza l’islam e i suoi simboli” – la stessa accusa la giornalista RAI Goracci, e la “polizia morale” di sinistra rivolge a me e chi si rischia di criticare l’islam ndr -, ha spiegato Keser, nata nel sud-est della Turchia, e che dall’età di tre anni vive a Düsseldorf.
“L’islamismo uccide, ma la resistenza continua a vivere: dalle lotte contro l’ISIS a Saqqez, luogo di nascita di Jina Amini, a Teheran e oltre, oggi Jin, Jiyan, Azadi simboleggiano la lotta incessante contro tutte le forme di oppressione islamista in tutto il mondo. Le donne stanno combattendo in Kurdistan, Israele, Iran, Turchia, Siria, Iraq,
Sudan, Afghanistan ecc. contro tutte le forme di islamismo.” Sono le parole di Fatma, sul suo account Instagram con hashtag #IslamismKillsYouToo.
Ma torniamo alla moschea di Ates, era incorsa non soltanto nelle ire islamiste, ma anche nel mirino dei progressisti di sinistra. Il Soura Film Festival di Berlino, dedicato al cinema LGBT, aveva in programma un documentario su Ibn Rushd-Goethe. Ma Seyran Ates è stata accusata di “islamofobia”, e gli organizzatori hanno cancellato la conferenza sull’unica moschea femminista in Europa. A un’ora dalla proiezione, i responsabili della moschea hanno ricevuto una telefonata dal Festival: “Prendiamo le distanze dalle sue dichiarazioni islamofobe”.
“L’incidente – dichiara Seyran Ates – è un esempio di come parti della sinistra siano cieche di fronte al pericolo rappresentato dagli islamisti. Combattono le strutture patriarcali e le chiese. Ma quando si tratta di musulmani, improvvisamente diventano difensori di un islam conservatore, patriarcale e politico”.
Fatma insieme ad altre due donne musulmane Monireh Kazemi, iraniana, e Naïla Chikhi nata ad Algeri, fondano il movimento Donne migranti per la laicità e scrivono al Die Ziet: “La sinistra ha un atteggiamento indulgente quando non addirittura di collaborazione con gruppi che rappresentano un islam fondamentalista: come è possibile che negli ultimi anni spesso si sono ritrovati dalla parte dei fondamentalisti?”.
Con il pretesto della libertà religiosa, cresce sempre più l’influenza dell’Islam fondamentalista e politico. È questo l’islam politico.
L’Islam politico non ha nulla di religioso, è l’antitesi dell’islam moderato come sostiene Mina Ahadi, secolarizzatrice dell’islam, residente in Austria e dissidente comunista ma costretta a scappare dal suo paese:
“La strategia di questo movimento politico è di introdursi in Europa cercando di accreditarsi come movimento religioso: le varie organizzazioni «islamiche» presenti nei diversi paesi europei – come il Zentralrat der Muslime e l’Islmarat in Germania – non sono altro che coperture. […] L’elemento centrale per individuare l’islam politico sta proprio nella pretesa che alcuni precetti della religione o della tradizione musulmana diventino legge dello Stato.” La sharia, appunto. Mina Ahadi vive oggi sotto scorta, accusata di islamofobia dalla stessa sinistra.
In Francia vivono sotto protezione i redattori di Charlie Hebdo sopravvissuti all’attentato del 2015, contro cui è stato pure aperto un fascicolo per incitamento razziale: “per la sinistra i critici dell’islam sono considerati dei disturbatori nel paradiso multiculturale”.
Mila O, una ragazza franco-tedesca divenuta in Francia l’icona contro l’islam che avrebbe osato rifiutare le avance di un migrante, si sfogava sui social imprecando “Odio la religione”, il Corano è “pieno di odio”, “l’islam fa schifo”. Ha dovuto lasciare la scuola e oggi vive sotto protezione in una località segreta.
La sinistra francese sta dalla parte di coloro che definiscono Mila volgare, infantile, immatura, blasfema o islamofoba. L’ex ministra della Giustizia Nicole Belloubet (Diverse gauche) aveva definito lo sfogo di Mila un “attacco alla libertà di coscienza”.
In Italia? Patrick Zaki, il nostro dissidente egiziano illuminato nel buio delle prigioni di casa, fa il percorso inverso, abbraccia l’“islam politico” con le sue dichiarazioni pro Hamas, forse Al Sisi non è stato indulgente per nulla. Zaki icona della sinistra.
E Roberto Saviano che invita i ragazzi a “spiegare bene ai vostri genitori l’islam” riferendosi all’islamismo della Black Music, ma facendo un errore storico pacchiano: le radici della musica nera sono animiste. E quando poi sostiene che in Afghanistan “Non ha vinto l’islamismo, dopo vent’anni di guerra. Ha vinto l’eroina. Errore è chiamarli miliziani islamisti: i talebani sono narcotrafficanti”. La distorsione della storia a beneficio del politicamente corretto. La nostra intellighenzia di sinistra.
Se si esprime un parere contrario non si è soltanto critici di una posizione culturale ma si diventa automaticamente maledetti omofobi, razzisti, perché si propone un punto di vista fascista, e ci si dimentica che Mussolini brandiva al cielo la Spada dell’Islam.
“Se provi a spiegare che di fronte a un massacro epocale è forse sciocco concentrarsi solo sul problema del terrorismo senza prendere in considerazione il problema dell’islamismo non sei solo un critico del politicamente corretto, sei un coglione occidentale.” afferma con lucido cinismo Andrea Mercenaro.
E non si è una persona che prova a spiegare in modo concreto come sia inevitabile parlare della natura contorta e distante dell’islam da tutti i nostri sani valori occidentali, ma sei solo un maledetto provocatore che con il tuo punto di vista non fai che alimentare l’islamofobia. Facciamo una croce sul laicismo, sul positivismo, il realismo, sulla moderazione, quei concetti scordiamoceli, quando si parla di islam politico si deve essere estremamente accoglienti.