SICUREZZA PER TUTTI, ANCHE PER HEZBOLLAH
Alessandra Libutti
Eccoci qua, con una nuova perla da aggiungere alla collana delle dichiarazioni indimenticabili della politica italiana. Il ministro Tajani, in un impeto di sincerità o forse in un momento di distrazione strategica, ci ha regalato un’affermazione che, letta di primo acchito, suona come una battuta da bar alle due del mattino: le truppe italiane in Libano, ci dice, “hanno garantito la sicurezza anche di Hezbollah.” Sì, proprio così. Non “anche la sicurezza di civili” o “anche la stabilità dell’area,” ma di Hezbollah.
Ora, possiamo aspettarci a breve il solito copione: qualche collaboratore zelante apparirà davanti alle telecamere per dirci che Tajani è stato frainteso. “Non intendeva dire che le nostre truppe unite all’UNIFIL stessero difendendo un’organizzazione terroristica riconosciuta tale dall’UE. È evidente che le sue parole vanno contestualizzate, meditate, decantate come un buon vino.” Certo, perché tutti sappiamo che Hezbollah è famosa per apprezzare la pace e non, diciamo, per lanciare razzi contro Israele.
Mica vorremo pensare che sia stato davvero uno di quei lapsus freudiani, quei momenti subdoli in cui il subconscio prende il controllo e ti fa dire ciò che sarebbe meglio tenere nascosto, specialmente in politica, dove le parole pesano come macigni. È quel tipo di scivolone che lascia intravedere quello che hai ben chiaro in testa ma che non avresti mai voluto far uscire, perché sennò ci fai una figura imbarazzante, di quelle che restano negli annali. È come se, per un istante, la tua diplomazia si fosse distratta e avesse permesso a una verità scomoda di affacciarsi al mondo, lasciando il pubblico interdetto e i tuoi collaboratori intenti a scrivere la smentita del secolo, a buttarla in caciara o addirittura a ridere.
È un po’ difficile però trovare divertente l’idea che le nostre truppe, che a tutti gli effetti dovrebbero essere lì per mantenere la pace, possano in qualche modo essere percepite come “protettori” di un’organizzazione il cui curriculum non proprio pacifico è ben noto. Tajani, forse nella sua mente, immaginava un plot twist diplomatico: “Italiani, i pacieri di tutti! Garantiamo sicurezza anche ai vostri nemici!” Il che, diciamocelo, sarebbe proprio da Tajani. In fondo noi non facciamo distinzioni: un bel ‘peace and love’ e siamo a posto.
Adesso, aspettiamoci l’altra grande specialità della politica contemporanea: il ribaltamento. Chiunque si permetta di sottolineare questa gigantesca uscita di strada verrà accusato di fare polemica sterile, di essere fazioso, di non capire il grande disegno strategico di Tajani. Qualcuno dirà che i veri colpevoli sono i giornalisti o i commentatori che “esasperano i toni.”
Nel frattempo, lo sforzo creativo del governo sarà concentrato nel trovare una formula verbale che giustifichi l’inciampo: “Non voleva dire Hezbollah-Hezbollah, capite? Si riferiva a una sicurezza generale che, in un certo senso, indirettamente… ecco…” (Inserire qui un lungo silenzio imbarazzato).
La verità è che ormai ci siamo abituati a questo eterno gioco delle parti. Si dice qualcosa di surreale, si nega di averlo detto, si accusa chi lo fa notare, e si passa oltre.
Intanto, però, forse è il caso di fare un piccolo promemoria: le parole hanno un peso, soprattutto quando si parla di missioni militari in aree tanto delicate. E no, ministro, non basta dire “sono stato frainteso”. Lei ha proprio detto che le truppe italiane stanno difendendo anche Hezbollah