martedì 3 dicembre 2019


SE NON CI FOSSE BENNY CIMOLI
If There Where Not Benny Cemoli
di Philip K. Dick
Galaxy Science Fiction, dicembre
Estratto da: ISAAC ASIMOV
LE GRANDI STORIE DELLA FANTASCIENZA 25
(1963)
Galaxy Science Fiction
Vol. 22, No. 2, December 1963. Cover art by Ed Emshwiller illustrating "The Star King" (serial, part 1 of 2) by Jack Vance. ALSO: "If There Were No Benny Cemoli" by Philip K. Dick;

Una delle cose migliori che potessero accadere alla fantascienza negli ultimi anni è l'incredibile attenzione e la glorificazione toccate a Philip K. Dick. I suoi migliori lavori sono ripresentati da numerosi editori; film come Atto di forza (basato sul suo racconto: "Chi se lo ricorda?") è stato un successo di botteghino, mentre sempre più soven¬te si leggono ottimi saggi critici sulla sua opera.
Qualcuno, come Richard Bernstein della "The New York Times Book Review" ha scritto che il "nuovo" con¬cetto di "realtà virtuale" è qualcosa su cui Dick ha co¬struito tutta la sua carriera, e un racconto come questo è un perfetto esempio di realtà, irrealtà, possibile realtà mai prodotta in una storia così breve. E io l'amo molto perché amo credere che Benny Cemoli è il cugino del fuoricampista dei Brooklyn Dodgers, la mia squadra del cuore, Gino Cemoli.

Sgambettando attraverso i campi non arati i tre ragazzi gridarono quando videro la nave; era atterrata con manovra perfetta proprio dove si aspettavano ed essi erano i primi a raggiungerla.
— Ehi, è la più grande che abbia mai visto! — Ansimando, il primo ragazzo si fermò. — Questa non viene da Marte; viene da più lontano. Da molto distante, lo so. — Poi tacque, timoroso, nel vederne le dimensioni. E guardando verso il cielo, si rese conto che era giunta una flotta proprio come tutti si aspettavano. — Faremo meglio ad andarlo a riferire — disse ai suoi compagni.
Più indietro, sulla collina, John LeConte stava in piedi presso la sua limousine a vapore guidata da un autista, attendendo con impazienza che la caldaia si riscaldasse. I ragazzi sono arrivati per primi, si disse con rabbia. Dove avrei dovuto esserci io. E quei ragazzi erano degli straccioni; semplici garzoni di fattoria.
— Funziona il telefono oggi? — chiese LeConte al suo segretario.
Guardando il centralino il signor Fall rispose: — Sì, signore. Devo mandare un messaggio a Oklahoma City? — Era l'impiegato più magro mai assegnato all'ufficio di LeConte; evidentemente non prendeva nulla per sé, e non era minimamente interessato al cibo. E inoltre, era efficiente.
LeConte mormorò: — Quelli dell'immigrazione dovrebbero essere informati di un simile scandalo. — Emise un sospiro. Era andato tutto male; dopo dieci anni era arrivata la flotta da Proxima Centauri, e nessuno degli strumenti di allarme l'aveva rilevata prima del suo atterraggio. Adesso Oklahoma City avrebbe dovuto trattare con gli estranei qui, sul proprio terreno... uno svantaggio psicologico che LeConte avvertiva acutamente.
Guarda che equipaggiamento che hanno, pensò mentre osservava le navi commerciali della flottiglia che iniziavano le operazioni di scarico. Accidenti a loro, ci fanno fare la figura dei provinciali. Desiderò che la sua macchina ufficiale non avesse bisogno di venti minuti per riscaldarsi; desiderò...
Desiderò che l'Uruc non esistesse. L'Ufficio Rinnovamento Urbano del Centauro, un ente benefico sfortunatamente investito di un'enorme autorità inter-sistema... era stato informato della Catastrofe nel 2170 e si era diretto verso lo spazio come un organismo foto-tropico, sensibile alla luce puramente fisica creata dalle esplosioni delle bombe all'idrogeno. Ma LeConte sapeva ancora di più; in realtà le organizzazioni governative del sistema centauriano conoscevano molti particolari della tragedia perché erano state in contatto radio con altri pianeti del Sistema Solare. Poche delle forme native della Terra erano sopravvissute. Lui stesso veniva da Marte; aveva capeggiato sette anni prima una missione di soccorso, poi aveva deciso di rimanere perché lì sulla Terra c'erano così tante occasioni anche se le condizioni erano quelle che erano...
Tutto questo è molto difficile, si disse mentre continuava ad aspettare che la sua macchina si scaldasse. Noi siamo arrivati qui per primi, ma l'Uruc ci esautora; dobbiamo fronteggiare questa situazione imbarazzante. Per me abbiamo fatto un buon lavoro di ricostruzione. Naturalmente, non è come era prima... ma dieci anni non sono poi tanti. Datecene altri venti e rifaremo funzionare i treni. E il nostro ultimo prestito per la costruzione di strade sta andando molto bene, anzi è stato sottoscritto oltre le previsioni.
— Una chiamata per lei, signore, da Oklahoma Citty — disse il signor Fall, porgendo il ricevitore del telefono da campo portatile.
— Qui è l'Ultimo Rappresentante sul Campo, John LeConte — disse ad alta voce. — Parlate. Ripeto, parlate.
— Qui è il Quartier Generale del Partito. — La voce secca e ufficiale giungeva debolmente al suo orecchio dall'altro capo del filo, disturbata dalle scariche elettriche. — Abbiamo ricevuto rapporti da dozzine di solerti cittadini nell'Oklahoma occidentale e nel Texas di un'immensa...
— È qui — disse LeConte. — Posso vederla; ero proprio sul punto di scendere a conferire con i capi, e farò un rapporto completo alla solita ora. Non era necessario che voi mi controllaste. — Si sentiva irritato.
— La flotta ha armi pesanti?
— No — rispose LeConte. — Sembra che sia composta da burocrati, agenti commerciali e funzionari. In altre parole, avvoltoi.
Il funzionario del Partito replicò: — Bene, vada a fargli capire che la loro presenza qui non è gradita dalla popolazione locale, e nemmeno dal Consiglio Amministrativo di Assistenza alle Zone Disastrate dalla Guerra. Dica loro che la legislatura sarà chiamata a votare una mozione speciale per esprimere indignazione per questa intrusione nelle nostre questioni interne da parte di un organismo inter-sistema.
— Lo so, lo so — disse LeConte — è già stato deciso tutto, lo so.
L'autista lo chiamò: — Signore, la macchina è pronta.
Il funzionario concluse: — Gli faccia capire che lei non può trattare con loro. Lei non ha l'autorità per accettarli sulla Terra. Solo il Consiglio può farlo, e naturalmente è del tutto contrario.
LeConte riattaccò il telefono e corse alla macchina.

Malgrado l'opposizione delle autorità locali, Peter Hood dell'Uruc decise di sistemare il suo quartier generale tra le rovine della vecchia capitale terrestre, New York City. Questo avrebbe conferito prestigio agli uomini dell'Uruc, man mano che fossero riusciti ad allargare la sfera d'influenza dell'organizzazione. Alla fine, naturalmente, la sfera d'influenza avrebbe abbracciato l'intero pianeta. Ma ci sarebbero voluti decenni.
Mentre camminava attraverso le rovine di quella che una volta era stata una grande stazione ferroviaria, Peter Hood si disse che, quando l'impresa fosse stata portata a termine, lui sarebbe stato in pensione già da molto tempo. Lì non rimaneva molto della cultura e della civiltà pre-catastrofe, e le autorità locali - le nullità politiche che erano piovute da Marte e da Venere, come erano chiamati i pianeti vicini - avevano fatto ben poco. Eppure ammirava i loro sforzi.
Ai membri del suo stato maggiore, che camminavano proprio dietro di lui, disse: — Sapete, hanno compiuto il lavoro più difficile al posto nostro; dovremmo essere grati. Non è facile operare in una zona totalmente di-strutta, come hanno fatto loro.
Fletcher, uno dei suoi uomini, osservò: — Hanno avuto un buon tornaconto.
— Non ha importanza il motivo — disse Hood. — Hanno ottenuto dei risultati. — Stava pensando al funzionario che era andato a prenderli con la sua macchina a vapore; era stato solenne e formale quell'incontro, e pieno di trappole sottili. Quando i locali erano arrivati per primi sulla scena, molti anni addietro, non erano sta¬ti accolti da nessuno, se non forse da alcuni sopravvissuti bruciati e anneriti dalle radiazioni, che erano incespicati fuori dalle cantine alla cieca, con la bocca splancata. Rabbrividì.
Avvicinandosi a lui, un uomo dell'Uruc di rango infe¬riore lo salutò e gli disse: — Penso che siamo riusciti a trovare un fabbricato non troppo danneggiato in cui il suo stato maggiore potrebbe sistemarsi fin d'ora. È sotto terra. — Sembrò imbarazzato. — Non è quello che ave¬vamo sperato... dovremo sgombrare i locali per renderli un po' attraenti.
— Sì — assentì Hood — hanno avuto un bel po' di tempo per esplorarli. Non ho obiezioni; anche un sotter¬raneo, se fa al nostro scopo, andrà bene.
— L'edificio — disse l'uomo — fu un tempo la sede di un grande giornale omeostatico, il New York Times; si stampava proprio sotto di noi. Almeno, così risulta dalle mappe. Ancora non siamo riusciti a localizzare il giorna¬le; gli omeogiornali venivano abitualmente sepolti a ol¬tre un chilometro di profondità. Ancora non sappiamo quanto sia rimasto di questo.
— Ma sarebbe prezioso — convenne Hood.
— Sì — rispose l'uomo dell'Uruc. — I suoi sistemi di distribuzione sono sparpagliati su tutta la superficie del pianeta; deve aver avuto un migliaio di edizioni differen¬ti che stampava quotidianamente. Come facessero a fun¬zionare tutti quei sistemi... — s'interruppe. — È difficile credere che i politicanti locali non abbiano fatto il mini¬mo tentativo per rimettere in funzione uno dei dieci o undici omeogiornali a diffusione mondiale, ma sembra che sia stato proprio così.
— Strano — disse Hood. Certamente avrebbe facili¬tato il loro compito; l'impegno post-catastrofe di riunire la popolazione in una civiltà comune dipendeva dai gior¬nali, poiché le particelle nell'atmosfera rendevano diffi-cile se non impossibile la ricezione radiotelevisiva. — Questo mi fa sospettare — disse rivolto al suo stato mag¬giore. — Forse non ci provano affato? E il loro lavoro è soltanto un pretesto?
Fu sua moglie Joan a parlare. — Forse sono semplice¬mente incapaci di ristrutturare gli omeogiornali su base operativa.
Diamo loro il beneficio del dubbio, pensò Hood. Hai ragione.
— E così l'ultima edizione del Times — disse Fletcher — fu pubblicata il giorno in cui avvenne la catastrofe. E da allora l'intera rete di comunicazione e di creazione delle notizie si è spezzata. Non posso portar rispetto a questi politicanti; tutto ciò dimostra la loro ignoranza sui fondamenti di una civiltà. Ricostruendo gli omeogiorna¬li noi possiamo fare più per ristabilire la civiltà pre-cata¬strofe di quanto abbiano fatto loro con diecimila pietosi progetti. — Il tono era sprezzante.
Hood disse: — Può darsi che lei abbia capito male, ma lasciamo perdere. Speriamo che il cephalon del giornale sia intatto; non saremmo in grado di sostituirlo. — Da¬vanti a sé vide l'ingresso spalancato che era stato sgom-brato dalle squadre dell'Uruc. Questo doveva essere il suo primo passo, lì sul pianeta in rovina, riportare quel¬l'immensa entità autosufficiente alla sua antica autorità. Una volta che avesse ripreso la sua attività lui sarebbe stato libero per altri impegni; l'omeogiornale si sarebbe caricato una parte del suo fardello.
Un operaio, che stava ancora togliendo i detriti, bor¬bottò: — Accidenti, non ho mai visto tanti strati di spaz¬zatura. Si potrebbe pensare che l'abbiano imbottigliata volutamente, là sotto. — Nelle sue mani la fornace aspi¬rante che stava manovrando brillava e pulsava nell'assorbire materiale e nel convertirlo in ehergia, lasciando un'apertura assai più larga.
— Voglio un rapporto sulle sue condizioni, il più pre¬sto possibile — disse Hood all'équipe d'ingegneri che era in attesa di scendere nell'apertura. — Quanto ci vorrà per rimetterlo in funzione, quanto... — s'interruppe.
Erano arrivati due uomini in uniforme nera. Agenti dalla nave della Sicurezza. Vide che uno era Otto Die¬trich, il poliziotto di grado più alto che accompagnava la flotta venuta dal Centauro, e automaticamente s'irrigidì; fu un riflesso spontaneo in tutti... vide gli ingegneri e gli operai cessare momentaneamente il lavoro, per poi ri¬prenderlo con più lentezza.
— Sì — disse a Dietrich. — Lieto di vederla. Andia¬mo in questa stanza e parliamo. — Sapeva, oltre ogni dubbio, ciò che il poliziotto voleva; aveva atteso la sua visita.
Dietrich disse: — Non le ruberò troppo tempo, Hood. So che lei è piuttosto occupato. Cosa c'è, qui? — Girò all'intorno con curiosità la sua faccia lucida, rotonda e attenta, non riuscendo a nascondere la propria impa¬zienza.

In una stanzetta laterale, momentaneamente adattata a ufficio, Hood affrontò i due poliziotti. — Sono contra¬rio a un procedimento penale — disse tranquillo. — È passato troppo tempo; lasciatemi andare.
Pizzicandosi l'orecchio con aria penosa, Dietrich ri¬spose: — Ma i crimini di guerra sono crimini di guerra, anche dopo tre, o quattro decenni, o più. Comunque, c'è poco da discutere. La legge c'impone di procedere. Qualcuno ha dato inizio alla guerra. Potrebbero anche occupare posti di responsabilità, ora, ma non ha molta importanza.
— Quanti agenti ha fatto sbarcare? — domandò Hood.
— Duecento.
— Quindi siete pronti a mettervi al lavoro.
— Siamo pronti a svolgere le indagini. A sequestrare i relativi documenti e a dare inizio ai processi nelle corti locali. Siamo preparati a imporre la cooperazione, se è questo che intende. Parecchi uomini d'esperienza sono stati distribuiti nei punti chiave. — Dietrich lo fissò. — Tutto questo è necessario; non vedo il suo problema. Forse lei intendeva proteggere i colpevoli... e servirsi delle loro cosiddette abilità a suo vantaggio?
— No — disse Hood con voce piatta.
— Quasi ottanta milioni di persone sono morte nella Catastrofe — disse Dietrich. — Può dimenticarlo? O forse perché era gente del luogo, non conosciuta da noi personalmente...
— Non è questo — disse Hood. Sapeva di non avere speranze; non riusciva a intendersi con la mentalità poli¬ziesca. — Ho già formulato le mie obiezioni; io penso che non serva a nulla, a questo punto, intentare processi ed esecuzioni. Non mi chieda di servirsi del mio perso¬nale per uno scopo simile; rifiuterò sostenendo che non posso privarmi di nessuno, neppure di un custode. Mi sono spiegato bene?
— Idealisti — sospirò Dietrich. — È un compito mol¬to nobile, in confronto al nostro... ricostruire, esatto? Ciò che lei non vede, o non vuole vedere, è che questa gente ricomincerà tutto da capo, un giorno, se non pren¬diamo dei provvedimenti adesso. Ne siamo debitori alle generazioni future; in prospettiva, essere duri adesso si¬gnifica adottare il metodo più umano. Mi dica, Hood. Che cos'è questo luogo? Che cosa sta facendo risorgere, qui, con tanto impegno?
— Il New York Times — rispose Hood.
— Avrà, presumo, un archivio. Possiamo consultare le informazioni che vi sono custodite? Ci sarebbe molto utile per istruire i nostri processi.
Hood rispose: — Non posso negarle l'accesso al mate¬riale che scopriremo.
Sorridendo, Dietrich disse: — Un resoconto giorna¬liero degli eventi politici che hanno portato alla guerra sarebbe assai interessante. Per esempio, chi deteneva il potere supremo negli Stati Uniti al tempo della Cata¬strofe? Nessuno di coloro ai quali l'abbiamo chiesto fino a ora sembra ricordasene. — Il suo sorriso si allargò.

Il giorno dopo, di buon mattino, il rapporto degli in¬gegneri raggiunse Hood nel suo ufficio provvisorio. Il generatore di energia del giornale era andato completa¬mente distrutto. Ma il cephalon, la struttura-cervello principale che guidava e orientava il sistema omeostatico, sembrava essere intatto. Se si fosse portata una nave lì vicino, forse il suo generatore di energia avrebbe potu¬to essere integrato con le linee del giornale. Quindi si sa¬rebbe potuto apprendere molto di più.
— In altre parole — disse Fletcher a Hood, mentre sedevano insieme a Joan per la colazione — potrebbe andare e potrebbe non andare. Molto pragmatico. Lei collega il tutto, e se funziona, il suo compito è finito. E se non funziona? Gli ingegneri lasceranno perdere?
Fissando la sua tazza Hood disse: — Questo ha il sa¬pore del caffè vero. — Rifletté un attimo. — Dica loro di portar qui una nave e di rimettere in funzione l'omeogiornale. E se comincia a stampare, portatemi subito l'edizione. — Sorseggiò il suo caffè.
Un'ora più tardi una nave di linea era atterrata nelle vicinanze e il suo generatore di energia era stato collega¬to all'omeogiornale. Furono sistemati i cavi, e furono cautamente chiusi i circuiti.
Seduto nel suo ufficio, Peter Hood sentì, proveniente da molto lontano, sottoterra, un rumore sordo, un'agita¬zione incerta ed esitante. Il giornale stava ritornando al¬la vita.
L'edizione, deposta sulla sua scrivania da un eccitato uomo dell'Uruc, lo sorprese per la sua accuratezza. Per¬fino nel suo periodo nero, il giornale era riuscito in qual¬che modo a non rimanere indietro rispetto agli avveni-menti. I suoi ricevitori avevano continuato a funzionare.

L'URUC GIUNGE DA ALPHA CENTAURI DOPO UN VIAG-GIO DI DIECI ANNI, E PROGETTA DI RICOSTRUIRE L'AMMINISTRAZIONE CENTRALE

Dieci anni dopo la catastrofe nucleare, l'agenzia di riabi¬litazione inter-sistema, l'Uruc, ha fatto la sua storica ap¬parizione sulla faccia della Terra, con una vera e propria flotta di astronavi... uno spettacolo che i testimoni hanno descritto "schiacciante sia come prospettiva che come si¬gnificato". Il funzionario dell'Uruc, Peter Hood, nomi¬nato dalle autorità centauriane coordinatore capo, ha im¬mediatamente stabilito il suo quartier generale tra le rovi¬ne di New York e si è accordato per i sussidi, dichiarando di essere venuto "non per punire i colpevoli, ma per rista¬bilire la civiltà sull'intero pianeta con ogni mezzo dispo¬nibile, e per restaurare...".

Veramente strano, pensò Hood leggendo l'editoriale. I vari servizi di raccolta delle notizie dell'omeogiornale avevano frugato nella sua vita, avevano riassunto e inse¬rito nell'articolo di fondo perfino la sua discussione con Otto Dietrich. Il giornale faceva, o aveva fatto, il suo la-voro; nessuna notizia interessante gli sfuggiva, neppure una conversazione privata svoltasi senza testimoni. Avrebbe dovuto essere più cauto.
Un altro articolo, dal tono sinistro, parlava dell'arrivo delle giubbe nere, i poliziotti.

LA SICUREZZA PUNTA SUI "CRIMINALI DI GUERRA"

Il capitano Otto Dietrich, il più alto funzionario di poli¬zia giunto da Proxima Centauri con la flotta dell'Uruc, ha dichiarato oggi che i responsabili della Catastrofe di un decennio fa "dovranno pagare per i loro crimini da¬vanti a un tribunale centauriano". Duecento agenti in uni¬forme nera, per quanto ha saputo il Times, hanno già ini¬ziato indagini volte a...

Il giornale ammoniva la Terra a guardarsi da Dietrich, e Hood non poté fare a meno di provare una cupa soddi¬sfazione. Il Times non era stato rimesso in funzione per servire soltanto la gerarchia d'occupazione; serviva a tutti, compresi coloro che Dietrich intendeva processa¬re, e ogni passo dell'attività dei poliziotti sarebbe stata certamente riferito nei minimi dettagli. Dietrich, al quale piaceva lavorare nell'anonimato, non avrebbe visto la cosa di buon occhio. Ma l'autorità di far funzionare il giornale era nelle mani di Hood.
E lui non aveva alcuna intenzione di chiuderlo.
Un articolo in prima pagina attrasse la sua attenzione; lo lesse, accigliato, e un po' a disagio.

I SOSTENITORI DI CEMOLI PROVOCANO TUMULTI NEL-LO STATO DI NEW YORK

Sostenitori di Benny Cemoli, convenuti nelle abituali ten¬dopoli associate alla sua pittoresca figura politica, si sono scontrati con gente del luogo armata di martelli, pale e ta¬vole; entrambe le parti sostengono di aver avuto la meglio nella mischia, durata due ore, che ha causato venti feriti e ha imposto il ricovero di una dozzina di persone in posti di pronto soccorso organizzati in tutta fretta. Cemoli, ab¬bigliato come al solito con il suo vestito rosso simile a un toga, ha visitato i feriti, evidentemente di ottimo umore, scherzando e dicendo ai suoi sostenitori che "ormai non durerà a lungo", evidente riferimento alla vanteria del-l'organizzazione, secondo cui essa dovrebbe marciare su New York City in un prossimo futuro per stabilire ciò che Cemoli definisce "giustizia sociale e vera uguaglianza per la prima volta nella storia del mondo". Bisogna ricordare che, prima di essere impigionato a San Quintino...

Hood girò un interruttore nel suo sistema intercom e disse: — Fletcher, faccia controllare le attività nel Nord della contea; guardi se riesce a sapere qualcosa riguardo a un'organizzazione politica che si riunisce là.
La voce di Fletcher replicò: — Ho anche io una copia del Times, signore. Ho letto l'articolo su quell'agitatore, Cemoli. C'è una nave diretta là, proprio ora; dovrei ave¬re un rapporto entro dieci minuti. — Fletcher s'interrup¬pe. — Pensa che... sarà necessario immischiarci qualcu¬no degli uomini di Dietrich?
— Speriamo di no — disse Hood seccamente.
Mezz'ora più tardi la nave dell'Uruc, attraverso Flet¬cher, fece il suo rapporto. Perplesso, Hood chiese che fosse ripetuto. Ma non c'era nessun errore. La squadra dell'Uruc aveva indagato con cura. Non avevano trovato alcuna traccia di tendopoli o di persone riunite in gruppo. E i cittadini di quella zona che erano stati interrogati non avevano mai sentito nominare quel Cemoli. Né c'e¬ra alcun segno di scontri, di posti di soccorso, o di feriti, soltanto la pacifica campagna semi-contadina.
Confuso, Hood rilesse l'articolo del Times. Era lì, ne¬ro su bianco, in prima pagina, a fianco delle notizie sul¬l'atterraggio della flotta dell'Uruc. Cosa voleva dire?
La cosa non gli piaceva neanche un po'.
Era stato un errore far rivivere il grande, vecchio, malridotto giornale omeostatico?

Quella notte Hood fu svegliato da un sonno profondo a causa di un fragore proveniente dal sottosuolo, un ru¬more insistente che cresceva in continuazione, mentre lui si metteva a sedere sul letto sbattendo le palpebre e in preda a una grande confusione. I macchinari ruggiva¬no; udì il forte movimento rombante dei circuiti automa¬tici che s'inserivano al loro posto, in risposta alle istru¬zioni trasmesse dall'interno dello stesso sistema chiuso.
— Signore — stava dicendo Fletcher, dal buio; poi si accese una luce quando Fletcher riuscì a premere l'inter¬ruttore provvisorio. — Ho pensato che era meglio sve¬gliarla. Mi spiace, Signor Hood.
— Sono già sveglio — brontolò Hood, alzandosi dal letto e indossando vestaglia e pantofole. — Che succe¬de?
— Sta stampando un'edizione straordinaria — rispose Fletcher.
Levandosi a sedere e carezzandosi all'indietro i biondi capelli scompigliati, Joan disse: — Buon Dio. Che signi¬fica? — Con gli occhi spalancati fissò il marito e poi Flet¬cher.
— Dovremo far venire le autorità locali — disse Hood. — E conferire con loro. — Aveva un'idea sulla natura dell'edizione straordinaria che ruggiva in quel momento tra le rotative. — Rintracci quel LeConte, quel politicante che ci accolse al nostro arrivo. Lo svegli e lo faccia venire qui in volo; abbiamo bisogno di lui.
Ci volle quasi un'ora per avere la presenza dell'arro¬gante e cerimonioso signorotto locale insieme al suo se¬gretario; finalmente i due fecero la loro comparsa, nelle loro elaborate uniformi, nell'ufficio di Hood, entrambi indignati. Stavano di fronte a Hood in silenzio, aspettan¬do di udire da lui ciò che desiderava.
Hood, sempre in vestaglia e pantofole, sedeva al suo scrittoio, con una copia dell'edizione straordinaria del Times davanti a lui; stava rileggendola per l'ennesima volta quando LeConte e il suo assistente entrarono.

LA POLIZIA DI NEW YORK RIFERISCE CHE LE LEGIONI DI CEMOLI SONO IN MARCIA VERSO LA CITTÀ; ERETTE BARRICATE, IN ALLARME LA GUARDIA NAZIONALE

Voltò il giornale, mostrando i titoli ai due terrestri. — Chi è quest'uomo? — chiese loro.
Dopo un attimo LeConte disse: — Io... non lo so.
— Andiamo, signor LeConte — replicò Hood.
— Mi faccia leggere l'articolo — disse nervosamente LeConte. Lo scorse in fretta; le mani gli tremavano mentre reggeva il giornale. — Interessante — disse alla fine. — Ma non le posso dire nulla; per me è una novi¬tà... lei deve capire che le nostre comunicazioni sono scarse, da quando avvenne la Catastrofe, ed è assoluta¬mente possibile che un movimento politico possa sorge¬re senza la nostra...
— Per favore — disse Hood. — Non sia assurdo.
Arrossendo, LeConte balbettò: — Sto facendo del mio meglio, dopo che mi hanno buttato giù dal letto nel cuore della notte.
Ci fu un po' di agitazione, e dalla porta fece il suo in¬gresso l'agile figura di Otto Dietrich, piuttosto scuro in volto. — Hood — disse senza preamboli — c'è un'edico¬la del Times, vicino al mio quartier generale, e ha appe¬na sfornato questo. — E mostrò una copia dell'edizione straordinaria. — Quell'aggeggio dannato lo sta stam¬pando e distribuendo in tutto il mondo, non è vero? Ep¬pure noi abbiamo delle squadre scelte in quella zona e non hanno riferito assolutamente nulla, né blocchi stra¬dali, né truppe tipo milizia in movimento, né alcuna atti¬vità di sorta.
— Lo so — disse Hood. Si sentiva stanco. E sotto di loro, il rumore sordo continuava, il giornale stampava la sua edizione straordinaria e informava il mondo sulla marcia dei sostenitori di Benny Cemoli su New York Ci¬ty... una marcia di fantasia, evidentemente, un prodotto fabbricato interamente nel cephalon stesso del giornale.
— Lo fermi — disse Dietrich.
Hood scosse la testa. — No. Io... voglio saperne di più.
— Non c'è motivo — disse Dietrich. — Evidentemen¬te è difettoso. Danneggiato in maniera molto seria, e non funziona correttamente. Dovrà cercare da qualche altra parte per la sua rete di propaganda mondiale. — E gettò il giornale sulla scrivania di Hood.
Rivolto a LeConte, Hood disse: — Questo Benny Cemoli era in attività prima della guerra?
Ci fu un silenzio. Sia LeConte che il suo assistente erano tesi e pallidi; gli stavano davanti a labbra strette, scambiandosi delle occhiate.
— Non ho molta simpatia per i poliziotti — disse Hood a Dietrich — ma penso che lei potrebbe interveni¬re.
Dietrich, comprendendo, rispose: — Sono d'accordo. Voi due siete in arresto. A meno che non vi decidiate a dirci qualcosa di più su questo agitatore, su questo fanta¬sma in toga rossa. — Fece un cenno a due agenti che sta¬vano presso la porta dell'ufficio: si fecero avanti.
Mentre i due poliziotti gli si avvicinavano, LeConte disse: — Ora che ci penso, c'era un tipo simile... ma non era molto noto.
— Prima della guerra? — chiese Hood.
— Sì — annuì lentamente LeConte. — Era un buffo¬ne, un pagliaccio. Per quanto ricordo, ed è difficile... un buffone grosso e ignorante che veniva da qualche zona arretrata. Aveva una piccola stazione radio, o qualcosa con cui trasmetteva. Vendeva una specie di scatola anti¬radiazioni che si installava in casa e proteggeva dal fall¬out delle esplosioni atomiche.
Il suo assistente, il signor Fall, disse: — Mi ricordo. Si presentò addirittura come candidato alle Nazioni Unite. Ma naturalmente fu sconfitto.
— E poi non se ne seppe più nulla? — domandò Hood.
— Oh, sì — disse LeConte. — Morì poco dopo d'in¬fluenza asiatica. Sono quindici anni che è morto.

A bordo di un elicottero, Hood volò lentamente sopra il territorio di cui si parlava negli articoli del Times, ren¬dendosi conto da solo che non c'era alcun segno di attivi¬tà politica; non si sentì del tutto sicuro finché non vide con i propri occhi che il giornale aveva perso il contatto con gli eventi del momento. La situazione reale non coincideva affatto con gli articoli del Times; quello era ovvio. Eppure... il sistema omeostatico continuava a funzionare.
Joan, seduta vicino a lui, disse: — Ho qui il terzo arti¬colo, se vuoi leggerlo. — Aveva appena finito di esami¬nare l'ultima edizione.
— No — disse Hood.
— Dice che sono alla periferia della città — disse lei. — Hanno superato le barricate della Polizia e il governa¬tore ha richiesto l'intervento delle Nazioni Unite.
Pensieroso, Fletcher disse: — Ecco un'idea. Uno di noi, meglio lei stesso, Hood, dovrebbe scrivere una let¬tera al Times.
Hood lo guardò.
— Credo di poterle dire esattamente come dovrebbe essere scritta — disse Fletcher. — Basta fare una do¬manda molto semplice. Lei ha seguito sul giornale i re¬soconti sui movimenti di Cemoli. Dica al direttore... — Fletcher s'interruppe. — Che lei è un simpatizzante e che le piacerebbe aderire al movimento. Chieda al gior¬nale come si fa.
Hood pensò tra sé e sé: In altre parole, dovrei chiedere al giornale di mettermi in contatto con Cemoli. Non poté fare a meno di ammirare l'idea di Fletcher; era ingegno¬sa, seppur pazzesca. Era come se Fletcher fosse stato ca¬pace di controbilanciare lo sconvolgimento del giornale con una deliberata deviazione del senso comune, Avreb¬be partecipato alla illusione del giornale. Presumendo che ci fossero un Cemoli e una marcia su New York, sa¬rebbe stata una domanda ragionevole.
Joan disse: — Non vorrei sembrare stupida, ma come si fa a spedire una lettera a un omeogiornale?
— Mi sono informato — rispose Fletcher. — Presso ogni edicola del giornale c'è una cassetta per le lettere, proprio a fianco della fessura, dove s'infilano le monete per pagare. Questa era la legge, quando, decenni fa, vennero fondati gli omeogiornali. Tutto quello che ci serve è la firma di suo marito. — Si frugò nella giacca e ne trasse fuori una busta. — La lettera è già scritta.
Hood prese la lettera e l'esaminò. E così desideriamo far parte della folla che segue questo grasso, mistico buffone, si disse. — E non verrà fuori un titolo sul tipo II CAPO DELL'URUC ADERISCE ALLA MARCIA SULLA CA¬PITALE TERRESTRE? — chiese a Fletcher, avvertendo una sfumatura di sadico divertimento. — Un omeogiornale intraprendente non tirerebbe fuori un bel titolo in prima pagina da una lettera come questa?
Evidentemente Fletcher non aveva previsto un'even¬tualità del genere; sembrò contrariato. — Forse sarebbe meglio farla firmare a qualcun altro — ammise. — Qual¬che membro meno importante del suo stato maggiore. — E aggiunse: — Potrei firmarla io.
Restituendogli la lettera, Hood disse: — Faccia così. Sarà interessante vedere che risposta ci sarà, se pure ci sarà. — Lettere al direttore, pensò. O meglio, lettere a un vasto e complesso organismo elettronico sepolto pro-fondamente nel terreno, responsabile verso nessuno, guidato unicamente dai suoi circuiti di controllo. Come avrebbe reagito a questa conferma esterna della sua illu¬sione? Sarebbe stato riportato alla realtà?
Era, pensò, come se il giornale, durante quegli anni di forzato silenzio, avesse sognato e adesso, risvegliato, avesse consentito a frammenti dei suoi antichi sogni di materializzarsi nelle sue pagine insieme ai resoconti ac¬curati e concreti della situazione attuale. Un miscuglio d'invenzione e di fredda, semplice cronaca. Chi avrebbe prevalso, alla fine? Presto, evidentemente, l'evolversi stesso della vicenda di Benny Cemoli avrebbe portato l'affascinante oratore in toga fino a New York; sembra¬va che la marcia avrebbe avuto successo. E poi? Come poteva tutto questo quadrare con l'arrivo dell'Uruc, con tutto il suo enorme potere e autorità inter-sistema? L'omeogiornale avrebbe dovuto per forza affrontare ben presto l'incongruenza della cosa.
Uno dei due resoconti avrebbe dovuto cessare... ma Hood provava la spiacevole impressione che un omeogiornale che aveva sognato per dieci anni non avrebbe rinunciato tanto facilmente alle proprie fantasie. Forse, pensò, le notizie su di noi, sull'Uruc e sul suo compito di ricostruire la Terra spariranno dalle pagine del Times, avranno ogni giorno dei titoli sempre più piccoli, poi fini¬ranno in ultima pagina, e alla fine rimarranno solo le im¬prese di Benny Cemoli.
Non era un'anticipazione piacevole; lo turbava profondamente. Come se, pensò, noi fossimo reali solo fin¬ché il Times scrive su di noi; come se noi dipendessimo, per esistere, da quel giornale.

Ventiquattro ore più tardi, nella sua edizione norma¬le, il Times pubblicò la lettera di Fletcher. Stampata, fa¬ceva uno strano effetto; a Hood sembrò inconsistente e macchinosa... di certo non bastava a ingannare l'omeogiornale, eppura era lì. Era riuscita a superare tutte le fasi della creazione del quotidiano.

Caro direttore,
le sue notizie sull'eroica marcia sulla decadente rocca¬forte della plutocrazia, New York City, hanno acceso il mio entusiasmo. Come può fare un semplice cittadino per partecipare a questa vicenda nel suo svolgersi? La prego di informarmi subito, poiché sono ansioso di unirmi a Cemoli e di dividere con gli altri gli onori e gli oneri della fac¬cenda.
Cordialmente
RUDOLF FLETCHER

Sotto la lettera, l'omeogiornale aveva dato una rispo¬sta; Hood la lesse in fretta.

I sostenitori di Cemoli, hanno un ufficio di reclutamen¬to nel centro di New York; l'indirizzo è 460 Bleekman Street, New York 32. Lei può rivolgersi là, se la Polizia non avrà ancora stroncato queste attività semi-illegali, in considerazione dell'attuale crisi.

Toccando un pulsante sulla scrivania, Hood attivò la linea diretta con il comando di Polizia. Quando fu in contatto con l'investigatore capo, disse: — Dietrich, avrei bisogno di una squadra dei suoi uomini; dobbiamo fare una spedizione e potrebbero esserci delle difficoltà.
Dopo una pausa, Dietrich disse seccamente: — Allora non ci sono soltanto le nobili declamazioni, dopo tutto. Comunque ho già mandato un uomo di sorveglianza al¬l'indirizzo di Bleekman Street... Ammiro l'idea della lettera: potrebbe servire a qualcosa. — E ridacchiò.
Poco dopo, Hood e quattro poliziotti centauriani in uniforme nera volavano in elicottero sulle rovine di New York City, alla ricerca di quella che una volta era stata Bleekman Street. Servendosi di una mappa dopo una mezz'ora riuscirono a orientarsi.
— Là — disse il capitano di Polizia a capo della squa¬dra, indicando col dito. — Sarebbe quello, quell'edificio usato come magazzino di generi alimentari. — L'elicot¬tero cominciò ad abbassarsi.
Era proprio un magazzino di generi alimentari; Hood non vide tracce di attività politica, né persone in movi¬mento, né bandiere o vessilli. Eppure... qualcosa di sini¬stro sembrava aleggiare dietro l'apparente normalità della scena: le ceste di verdura sistemate sui marciapie¬di, le donne cenciose con i loro vestiti lunghi che sceglie¬vano le patate invernali, l'anziano proprietario con il suo grembiule bianco che ramazzava con la scopa... era troppo naturale, troppo facile. Era troppo ordinario.
— Dobbiamo atterrare? — gli chiese il capitano.
— Sì — disse Hood. — E state all'erta.
Il proprietario, vedendoli atterrare nella strada, da¬vanti al suo negozio, appoggiò con cura la scopa in un angolo e s'incamminò verso di loro. Era un greco, notò Hood; aveva i baffi folti e i capelli grigi appena ondulati, e li guardava con istintiva prudenza, avendo già capito che non promettevano nulla di buono. Eppure aveva de¬ciso di accoglierli civilmente; non aveva paura di loro.
— Signori — disse il negoziante greco, inchinandosi leggermente. — Cosa posso fare per voi? — Gli occhi si posarono con aria indagatrice sulle nere uniformi della Polizia centauriana, ma l'uomo non mostrò alcuna rea-zione.
Hood disse: — Siamo venuti per arrestare un agitato¬re politico. Lei non ha nulla di cui allarmarsi. — E si di¬resse verso il magazzino, seguito dall'intera squadra, con le armi in pugno.
— Un agitatore politico, qui? — disse il greco. — Suvvia, è impossibile. — Allarmato, si affrettò dietro di loro, ansimando. — Che cosa ho fatto? Assolutamente niente; potete guardare tutto. Fate pure. — E spalancò la porta del negozio, facendoli entrare. — Guardate pu¬re voi stessi.
— È ciò che intendiamo fare — disse Hood. Si mosse con agilità, senza perdere tempo nella parte principale del magazzino; lo attraversò direttamente.
Nel retrobottega c'era il deposito, con le sue scatole di barattoli, contenitori di cartone ammucchiati un po' dappertutto. Un ragazzo era occupato a fare un inventario della merce; alzò gli occhi, stupito, quando essi en¬trarono: Qui non c'è niente, pensò Hood. Il figlio del proprietario al lavoro, ecco tutto. Sollevando il lembo di una scatola Hood esaminò l'interno. Barattoli di pesche. E vicino una cesta di lattuga; ne strappò una foglia, sen¬tendosi ridicolo e... deluso.
Il capitano di Polizia gli disse a bassa voce: — Niente, signore.
— Lo vedo — disse irritato Hood.
Una porta sulla destra immetteva in un ripostiglio; la aprì e vide delle scope e uno strofinaccio, un secchio zin¬cato, scatole di detergenti. E...
C'erano delle gocce di vernice, sul pavimento. Il ripo¬stiglio era stato dipinto piuttosto di recente; quando si chinò e grattò con l'unghia vide che la vernice era ancora appiccicosa.
— Guardi qua — disse, facendo un cenno di richiamo al capitano.
Il greco disse nervosamente: — Che c'è, signori? Ave¬te trovato qualcosa di sporco e lo riferirete all'Ufficio d'Igiene, vero? I clienti si sono lamentati... ditemi la ve¬rità, per favore. Sì, è vernice fresca; teniamo tutto molto pulito. Non è nel pubblico interesse?
Facendo scorrere le mani lungo la parete del riposti¬glio, il capitano disse con calma: — Signor Hood, qui c'era una porta. Ed è stata murata, da poco. — Guardò Hood in attesa di istruzioni.
Hood rispose: — Entriamo. Subito.
Rivolto ai suoi subordinati, il capitano diede una serie di ordini. Dal velivolo fu portato dell'equipaggiamento, attraverso il negozio, sino al ripostiglio; un ronzio soffo¬cato si levò mentre i poliziotti iniziavano a segare il le¬gno e l'intonaco.
Impallidendo, il greco disse: — È uno scandalo. Vi fa¬rò causa.
— Va bene — assentì Hood. — Ci porti pure in tribu¬nale. — Già una parte del muro aveva ceduto; cadde al¬l'interno con gran fragore e le macerie si sparsero sul pa¬vimento. Si alzò una nuvola di polvere bianca, che poi ricadde.
Alla luce delle lampadine tascabili degli agenti Hood vide una stanza non molto larga, polverosa, senza fine¬stre, che puzzava di vecchio e di stantio... non era stata abitata da molto tempo, si rese conto mentre entrava cautamente. Era vuota. Una specie di magazzino abban¬donato con le pareti di legno sporche e scrostate. Forse prima della Catastrofe il negozio disponeva di una mag¬gior quantità di merce; allora ce ne era molta di più a di¬sposizione, ma adesso questa stanza era del tutto inutile. Hood si mosse puntando il raggio della sua torcia verso il soffitto e poi verso il pavimento. Mosche morte, sepol¬te lì... e poi ne vide alcune vive che strisciavano faticosa¬mente nella polvere.
— Si ricordi — disse il capitano — che è stata murata da poco, da non più di tre giorni. O almeno la vernicia¬tura è stata fatta da poco, per essere proprio precisi.
— Queste mosche — disse Hood. — Non sono ancora morte. — Così non erano passati ancora tre giorni. For¬se la muratura era stata fatta il giorno prima.
Per che cosa era servita quella stanza? Si rivolse al gre¬co, il quale li aveva seguiti, ancora teso e pallido, con gli occhi neri che brillavano d'inquietudine. Quest'uomo è furbo, pensò Hood. Da lui otterremo ben poco.
In fondo alla stanzetta le torce dei poliziotti illumina¬rono un armadio, scaffali vuoti di legno grezzo. Hood ci si avvicinò.
— Okay — disse il greco con voce roca, deglutando. — Lo ammetto; qui dentro ci abbiamo tenuto del gin di contrabbando. Ci siamo spaventati. Voi centauriani... — Si guardò intorno, impaurito. — Voi non siete come i nostri dirigenti locali; noi li conosciamo, ed essi ci capi¬scono. Voi, voi siete fuori della nostra portata. E noi dobbiamo pur vivere. — Allargò le mani, in segno di supplica.
Qualcosa spuntava dietro l'orlo dell'armadio. Appena visibile, poteva anche sfuggire del tutto all'occhio. Un foglio di carta che era andato a finire là dietro, quasi na¬scosto, e che era scivolato giù. Hood l'afferrò e lo tirò fuori con cautela, facendolo risalire da dietro l'armadio.
Il greco rabbrividì.
Hood vide che si trattava di un ritratto. Un uomo grosso, di mezza età, con le mascelle ampie macchiate di nero da un inizio di barba, con l'aria accigliata e le lab¬bra atteggiate in una smorfia di sfida.
Indossava una specie di uniforme. Un tempo il ritratto era stato appeso alla parete e la gente veniva a vederlo, con aria di rispetto. Sapeva chi era. Era Benny Cemoli, all'apice della sua carriera politica, un condottiero che guardava amaramente i seguaci lì riuniti. Dunque era quello, l'uomo.
Non c'era da meravigliarsi se il Times si mostrava così allarmato.
Rivolto al negoziante greco, Hood disse, sollevandolo il ritratto: — Mi dica. Le ricorda qualcosa?
— No, no — disse il greco. Si asciugava il sudore dalla faccia con un largo fazzoletto rosso. — No di certo. — Ma evidentemente gli ricordava qualcosa.
Hood disse: — Lei è un sostenitore di Cemoli, non è vero?
Silenzio.
— Lo porti via — disse Hood al capitano. — E andia¬mocene. — Uscì dalla stanza portandosi via il ritratto.
Con il ritratto stesso sulla sua scrivania, Hood rifletté. Non è solo un'invenzione del Times. Ora sappiamo la ve¬rità; l'uomo esiste realmente e ventiquattro ore fa questo ritratto era appeso a una parete, in piena vista. Sarebbe ancora lì, ora, se l'Uruc non avesse fatto la sua apparizio-ne. Li abbiamo spaventati. La gente della Terra ha molto da nasconderci, e lo sa; stanno facendo dei passi, con ra¬pidità ed efficienza, e noi saremo fortunati se potremo...
Joan interruppe le sue riflessioni, dicendo: — Quindi l'indirizzo di Bleekman Street era realmente un luogo d'incontro per loro. Il giornale aveva ragione.
— Sì — rispose Hood.
— Dov'è ora?
Vorrei saperlo, pensò Hood.
— Dietrich ha già visto il ritratto?
— Non ancora — rispose Hood.
Joan disse: — È stato lui il responsabile della guerra, e Dietrich lo scoprirà.
— Nessun uomo da solo — replicò Hood — si può ri¬tenere responsabile.
— Ma lui ha avuto un ruolo di rilievo — disse Joan. — Ecco perché si sono sforzati tanto di cancellare ogni traccia della sua esistenza.
Hood assentì.
— Senza il Times — disse lei — saremmo mai riusciti a scoprire l'esistenza di una figura politica come Cemo¬li? Dobbiamo molto al giornale. Essi l'hanno sottovalutato, oppure non sono stati capaci di comprendere. Pro¬babilmente lavoravano in fretta; non avrebbero potuto pensare a tutto, nemmeno in dieci anni. Deve essere dif¬ficile cancellare ogni traccia rimasta di un movimento politico esteso su tutto il pianeta, specialmente quando il suo capo è riuscito a impossessarsi del potere assoluto, alla fine.
— È impossibile cancellarle — disse Hood. Il magaz¬zino murato nel retro di un negozio greco... era sufficien¬te per dirci ciò che avevamo bisogno di sapere. Ora gli uomini di Dietrich possono fare il resto. Se Cemoli è vi¬vo, alla fine lo troveranno e se è morto... sarà difficile convincerli, conoscendo Dietrich. Non smetteranno mai di cercare, ormai.
— Una cosa buona c'è, in tutto questo — disse Joan, — ed è che ora molti innocenti avranno un po' di respi¬ro. Dietrich non se ne andrà in giro ad accusarli; sarà troppo impegnato a seguire le tracce di Cemoli.
Vero, pensò Hood. Ed era importante, questo. La Po¬lizia centauriana sarebbe stata completamente occupata per molto tempo, e questo era un bene per tutti, com¬preso l'Uruc e il suo ambizioso programma di ricostru-zione.
Se non ci fosse mai stato un Benny Cemoli, pensò, sa¬rebbe stato quasi necessario inventarlo. Uno strano pen¬siero... si chiese come gli fosse venuto. Esaminò di nuo¬vo il ritratto, tentando di ricavare sull'uomo quanto più possibile da quella piatta immagine: che tipo era stato Cemoli? Aveva raggiunto il potere attraverso le parole, come tanti demagoghi prima di lui? E i suoi scritti... for¬se qualcuno sarebbe saltato fuori. O magari delle regi-strazioni su nastro dei discorsi che aveva tenuto, il vero suono della sua voce. E forse anche dei video-nastri. E allora saremo in grado di sperimentare da soli come si vi¬veva all'ombra di un tale uomo, pensò.
La linea diretta con l'ufficio di Dietrich ronzò. Alzò il ricevitore.
— Abbiamo qui il greco — disse Dietrich. — L'abbia¬mo drogato e ha confessato molte cose; le possono inte¬ressare.
— Sì — rispose Hood.
Dietrich continuò. — Ha detto di essere stato un so¬stenitore per diciassette anni, un vero veterano del movimento. Si incontravano due volte alla settimana nel re¬trobottega del suo negozio, nei primi tempi, quando il movimento era piccolo e scarsamente potente. Quel ri¬tratto che ha lei - io non l'ho visto, naturalmente, ma Stavros, il nostro greco, me ne ha parlato - è effettiva¬mente antiquato, giacché molti altri più recenti sono sta¬ti in voga tra i sostenitori, in questi ultimi tempi. Stavros l'aveva conservato per ragioni sentimentali. Gli ricorda¬va i vecchi tempi. Più tardi, quando il movimento diven¬ne più forte, Cemoli smise di farsi vedere al negozio e il greco perse ogni contatto personale con lui... continuò a essere un fedele iscritto, ma la cosa divenne piuttosto astratta, per lui.
— E la guerra? — chiese Hood.
— Appena prima della guerra, Cemoli s'impadronì del potere con un colpo di Stato, qui in Nord America, nel corso di una marcia su New York City, durante una grave depressione economica... c'erano milioni di disoc-cupati, e Cemoli ottenne proprio da loro un grosso ap¬poggio. Tentò di risolvere i problemi economici attra¬verso un'aggressiva politica estera, attaccando parecchie repubbliche latino-americane che erano nell'orbita di in¬fluenza dei cinesi. Sembra che sia così, ma Stavros è po¬co chiaro per quel che riguarda la situazione nel suo in¬sieme... dovremo ricavare altri particolari dai seguaci che scopriremo. Soprattutto dai più giovani; in fondo, lui ha più di settant'anni.
— Spero che lei non intenda processarlo — disse Hood.
— Oh, no. È soltanto una fonte d'informazioni; quan¬do ci avrà detto tutto quello che sa, lo lasceremo ritorna¬re alle sue cipolle e alla sua salsa di mele in scatola. È in¬nocuo.
— Cemoli sopravvisse alla guerra?
— Sì — disse Dietrich. — Ma questo è stato dieci anni fa; Stavros non sa se adesso è ancora vivo. Personalmen¬te penso che lo sia, e andremo avanti sulla base di questa ipotesi finché non si dimostrerà sbagliata. Dobbiamo farlo.
Hood lo ringraziò e riattaccò.
Mentre si voltava udì, sotto di lui, il rumore sordo e monotono. L'omeogiornale si era di nuovo rimesso in movimento.
— Non è un'edizione ordinaria — disse Joan, consul¬tando frettolosamente l'orologio da polso. — Perciò de¬ve essere un'altra straordinaria. È eccitante quando fa così; non vedo l'ora di leggere la prima pagina.
Che cosa ha fatto ora Benny Cemoli? si domandò Hood. Secondo il Times, nella sua cronaca sfasata del¬l'epopea di quell'uomo... quale stadio, che si è in realtà verificato anni prima, è stato raggiunto adesso? Qualcosa di eccezionale, per meritare un'edizione straordinaria. Sarà interessante, non c'è dubbio; il Times sa che cosa fa notizia.
Anche lui non vedeva l'ora di leggere.

Nel centro di Oklahoma City, John LeConte infilò una moneta nella fessura dell'edicola che il Times aveva lì da molto tempo. La copia del giornale, l'ultima edizio¬ne straordinaria, scivolò giù e lui la prese, leggendo di corsa i titoli principali, giusto il tempo di verificare le no¬tizie essenziali. Poi attraversò il marciapiede e riprese posto di nuovo sul sedile posteriore della sua automobile a vapore con autista.
Il signor Fall disse con circospezione: — Signore, ecco il materiale originale, se lei vuol fare un confronto paro¬la per parola. — Il segretario gli porse l'incartamento, e LeConte lo prese.
La macchina si avviò: senza che gli fosse stato detto nulla, l'autista si diresse verso il Quartier Generale del Partito. LeConte si appoggiò all'indietro, si accese un si¬garo e si mise comodo.
Sulle sue ginocchia il giornale mostrava i suoi enormi titoli di testa.

CEMOLI ENTRA IN COALIZIONE CON IL GOVERNO DELLE NAZIONI UNITE; TEMPORANEA CESSAZIONE DELLE OSTILITÀ

Rivolto al segretario, LeConte disse: — Il mio telefo¬no, per favore.
— Sì, signore. — Il signor Fall gli porse il telefono portatile da campo. — Ma siamo quasi arrivati. Ed è sempre possibile, se mi consente un'osservazione, che intercettino la conversazione.
— Sono troppo occupati a New York — disse LeConte. — Tra le rovine. — In una zona che non ha mai avuto importanza, per quel che ricordo, si disse. Comunque, il consiglio del signor Fall poteva essere giusto; decise di lasciar perdere la telefonata. — Cosa pensa dell'ultimo articolo? — chiese al segretario, sollevando il giornale.
— Merita un grosso successo — disse il signor Fall, annuendo.
LeConte aprì la borsa e ne tirò fuori un libro di testo, rovinato e senza copertina. Confezionato soltanto un'o¬ra prima, si trattava del prossimo indizio che doveva es¬sere seminato perché gli invasori di Proxima Centauri lo scoprissero. Questo era il suo contributo, e personal¬mente ne era molto fiero. Il libro sottolineava, fin nei minimi particolari, il programma di cambiamento socia¬le di Cemoli, la rivoluzione descritta con un linguaggio comprensibile agli allievi delle elementari.
— Posso chiedere — disse il signor Fall — se la gerar¬chia del Partito intende far scoprire loro un cadavere?
— Alla fine — rispose LeConte. — Ma questo sarà fra parecchi mesi. — Prese una penna dalla tasca della giacca e scrisse sul libro sciupato, rozzamente, come avrebbe fatto uno scolaro:

ABBASSO CEMOLI

Forse stava andando troppo in là? Decise di no. Do¬veva esserci una certa resistenza. Del tipo spontaneo e scolastico dei ragazzi. Aggiunse:

DOVE SONO LE ARANCE?

Sbirciando oltre la sua spalla, il signor Fall disse: — Che cosa significa?
— Cemoli aveva promesso delle arance ai giovani — spiegò LeConte. — Un'altra sparata inutile che la rivo¬luzione non realizzerà mai. È stata un'idea di Stavros... lui ha un negozio di frutta. Un tocco intelligente. — Ser¬ve a dare, pensò, appena una sfumatura di verità. Sono queste le sfumature che occorrono.
— Ieri — disse il signor Fall — mentre mi trovavo al Quartier Generale del Partito, ho sentito un nastro ap¬pena registrato. Cemoli che si rivolge alle Nazioni Uni¬te. Era strano; se non avessi saputo...
— A chi l'hanno fatto preparare? — chiese LeConte, domandandosi perché non ci avesse pensato lui.
— A un tizio di Oklahoma City, che lavora in un night club. Piuttosto ignoto, naturalmente. Credo che sia spe¬cializzato in ogni genere d'imitazioni. Quel tipo ha dato al discorso un tono magniloquente, terribile, che per me era forse un po' eccessivo, ma d'indubbio effetto. C'era un gran rumore di folla... devo dire che mi è piaciuto.
E intanto, pensò LeConte, non ci saranno processi contro i criminali di guerra. Noi che eravamo i capi du¬rante il conflitto, sulla Terra e su Marte, noi che avevamo posti di responsabilità... noi siamo salvi, almeno per un po'. E forse per sempre. Se la nostra strategia continua a funzionare. E se la galleria che porta al cephalon del¬l'omeogiornale, costruita in cinque anni di lavoro, non viene scoperta. O non crolla.
La macchina a vapore parcheggiò nello spazio riserva¬to davanti al Quartier Generale del Partito; l'autista venne ad aprire la portiera, e LeConte discese con cal¬ma, avanzando nella luce del giorno senza provare alcu¬na ansietà. Gettò il sigaro nel tombino e, attraversato il marciapiede, entrò nell'edificio che gli era familiare.

FINE