lunedì 9 dicembre 2019


RICORDI: MIMMA E BRENDA. ALTRI AMORI
Marialuisa Righi

Mimma è arrivata dentro a un cesto di vimini, in una fredda serata di dicembre. Pochi chili di ossa ricoperte da pelo bianco dove spiccavano insolite macchie amaranto; un essere che non sembrava affatto predisposto alla vita del gregge e alla vita in generale…come l’ho vista ho pensato: “Non passerà la notte” e l’ho accomodata davanti al camino dopo averle forzatamente sparato in gola una siringa di latte caprino.  Dimenticavo: Mimma è un’agnella; nel mese di dicembre aveva pochi giorni di vita, allontanata dalla madre per mancanza di latte, finita da noi come ennesimo caso “animale” tra i tanti capitati in questa casa dove, la mia passione animalista, è supportata (e anche sopportata) dal pragmatismo contadino di un marito cresciuto tra campi da coltivare e pecore da pascolare. “Ce la può fare” affermava lui, a bassa voce, perché la situazione prevedeva la prognosi riservata e stare zitti era meglio, io mugugnavo cercando di prendere le distanze dalle ondate di tenerezza che quell’essere raggomitolato nel cesto mi scatenava ma la notte mi alzavo a controllare se respirava ancora. Respirava. Quel dato sembrava interessare soprattutto Brenda, il pastore tedesco di sette anni che divide questo spazio con altri cinque cani e una ventina di gatti, la lupa non si schiodava dal cesto e giorno dopo giorno allargava il suo campo di osservazione, delimitandolo agli altri suoi simili, perplessa notavo, chiedendomi se tanto interesse arrivasse dal perfetto fiuto canino che aveva riconosciuto nell’agnello il pasto preferito dai suoi avi, o fosse originato dall’istinto materno reso vano dalla sterilizzazione e altre domande ancora che la frequentazione con gli animali ti porta a formulare, cogliendo nelle risposte la presenza di quella coscienza animale che tanto ha fatto e fa discutere pensatori e filosofi di tutti i tempi. Passavano i giorni e l’agnello sembrava non intendere passare oltre, c’erano segnali di vita nel lento movimento della coda ogni qualvolta la lupa si avvicinava, c’era un sussulto leggero nel misero corpicino quando brenda le alitava addosso e c’erano biberon di latte sparsi per la cucina pronti a nutrirla nonostante la ritrosia verso quel capezzolo di plastica. Ma intanto non belava! 
“Non bela, dopo una settimana di cure ancora non bela, bisognava lasciare che la natura facesse il suo corso senza tante storie” consideravo astiosa, i gatti sembravano concordare con la mia analisi, collocati negli spazi alti della stanza, osservavano tutto l’andazzo intorno a quell’anomala creatura pensando a quanto tempo riescono a sprecare gli umani dietro a battaglie perse e a quanto sono stupidi i cani (questo lo pensano a prescindere). Il 17 dicembre brenda fece la cosa giusta: infilò la testa nel cesto, prese in bocca l’agnello, se lo pose tra le zampe, cominciò a leccarlo amorevolmente ed ecco arrivare il belato, un bee bee bee in crescendo, quasi un urlo di gioia accolto da due umani commossi e da un indignato fuggi fuggi felino. Da quel momento i due furono inseparabili, l’agnello si prese il nomignolo che avevo da piccola e diventò Mimma, ogni passo che faceva l’una trovava accanto all’altra, le loro corse verso la pineta, i tentativi di succhiare il latte dalle mammelle della lupa, (ma a quel punto il biberon era già diventato un ottimo surrogato) la condivisione di spazi dove gli altri restavano esclusi, e lo spettacolo impagabile di vederle addormentarsi vicine, l’agnello con il muso appoggiato sulla pancia della lupa, il respiro che si fa lieve e, sembra, arrivare solo per loro quella nevicata che tutto trasfigura collocandole al centro di un momento perfetto. Così, dopo avere smentito la favola di Esopo, i due hanno vanificato anche la frase storica di Woody  Allen: “Il lupo e l’agnello dormiranno insieme ma l’agnello dormirà ben poco” Mimma dormiva benissimo…Adesso si spera che la pecora entri nel suo di film, dove è prevista una lunga vita nei pascolo terreni, con i suoi simili che fanno bee, cani che fanno bau, gatti che miagolano e umani che sorridono ai monti.


Marialuisa Righi