Loredana Canderle
Io avevo cinque anni, mia sorella Elisabetta due e mezzo.
La mamma non poteva accompagnarci, era sempre in negozio, lei è papà avevano una panetteria con annesso il negozio di generi alimentari che non aveva orari, era aperto dal mattino alle cinque e mezza fino alle undici di sera.
Noi bambine avevamo sempre la baby sitter.
Quell'estate pensarono di mandarci al mare con una nostra cugina che, per noi, fu sempre la zia Liliana, aveva vent'anni, era brava, severa e bellissima.
Per l'occasione ci tagliarono le trecce e ci caricarono sulla corriera con la zia.
Posina-Iesolo... Un viaggio interminabile, durante il quale la mia sorellina non si sentí bene e sulla sua pelle incominciarono a sbocciare delle vescichette pruriginose: VARICELLA.
La zia non si perse d'animo, continuò il viaggio senza fare una piega.
Arrivammo a Iesolo in una casa presa in affitto: una cucina e una camera con due lettini, in uno dormiva la zia e nell'altro io e mia sorella, una da testa e una da piedi... Così si faceva.
Niente da dire, solo che la mia amata sorellina faceva la pipí a letto ed io mi trovavo sempre con i piedi in ammollo.
Ricordo in modo chiaro quando mi svegliavo di notte con questa sorpresa e, in silenzio, mi mettevo a piangere senza dire altro, non avevo il coraggio di svegliare la zia che di giorno aveva l'impegno di pensare a noi.
Per alcuni giorni rimanemmo in casa, aspettando che la varicella facesse il suo sfogo, poi, incominciammo la vita di spiaggia.
Fiocco in testa e costumini rigorosamente di lana che, per asciugare, impiegavano due giorni.
Alla sera andavamo alle giostre, cosa stratosferica per due bimbe abituate a stare in mezzo ai boschi.
Una sera la zia ci portò al cinema, fu un'esperienza irripetibile.
Non so, ricordo solo che ero stranita, troppe emozioni per me, abituata a vivere in un ambiente protetto e sicuro.
Quelle vacanze non sono un ricordo spensierato, anche perché ero tutta presa dallo sforzo di comportarmi bene per rendere facile la vita della zia.
Avevo sempre bisogno di approvazione, per cui vissi quei lunghi venti giorni con uno stress indicibile. Piangevo di nascosto, ero preoccupata per mia sorella che faceva le bizze per tutto, non voleva entrare in acqua, rifiutava di farsi fotografare, pensava solo a dormire annaffiando i miei piedi con la sua pipí.
Se ripenso a quella vacanza ricordo solo la bellezza della zia, con i suoi lunghi capelli, a come la guardava il figlio dei padroni di casa, ai panini che ci preparava per merenda, al cortile della casa dove, la sera, dopo averci messe a letto, la zia scambiava quattro chiacchiere con i padroni.
Non ricordo l'emozione che mi diede il mare, forse ero ancora troppo piccola.
Mi viene da fare il parallelo con una vacanza a Roma con i miei figli, alla fine della quale chiesi ad Alice, che allora aveva cinque anni, che cosa le fosse piaciuto di più, mi rispose :" La stanza dell'albergo".
Sic!