sabato 7 dicembre 2019





LE PAROLE CHE NON MI HAI MAI DETTO
Laura Messina

PROLOGO
 Lei
Nella mia vita ho lottato quotidianamente con il mio essere imperfetta, con le paure che hanno sempre fatto capolino dal passato, a ricordarmi che i piedi li dovevo sempre tenere ben piantati per terra, ché oggi sono stata felice e domani non si sa. Ho lottato quotidianamente con l’ansia e i cambiamenti d’umore e lo so, lo so che starmi dietro è stata dura e avere pazienza pure, ma ho sempre confidato nel fatto che ci fosse più amore intorno a me di quello che meritassi. Ho lottato quotidianamente con le aspettative e gli sguardi altrui, mi sono retta su me sola e ho provato ad essere all’altezza di tutto quello che mi capitava, ho cercato di cambiare tutto di me, pensando di poter essere migliore, ma alla fine sono rimasta sempre io. Sono caduta tantissime volte. Ho parato tanti colpi, mi sono ferita, mi sono rialzata. Dolorante, ammaccata, scoraggiata ma mi sono rimessa in piedi e non ho idea di come abbia fatto. Ho lottato contro tutti e contro tutto ma soprattutto con me stessa, non mi sono mai data tregua, perché la pace non l’ho ancora conosciuta. E mi sono stancata, tanto. Sono sempre stata così, fatta di linee confuse e di pensieri ingarbugliati, di desideri incastrati dappertutto e con un cuore sproporzionato che mi sono trascinata dietro un po’ ovunque, di luce e di ombre che disorientano, incredibilmente recidiva nel cercare le cose non facili, preda dell’ansia in maniera ormai irrecuperabile, innamorata delle parole e del silenzio, con le speranze tutte disordinate e con piccole idee sovversive che qualche volta stanno nascoste ma sono pronte a venire fuori, convinta e imperterrita sognatrice, razionale fuori, romantica dentro, motivata, sempre e comunque, da una sola forza: l’amore. L’amore, sì. È vero, mi sono illusa di poterlo controllare, di poterlo evitare, di poterlo superare, di poterlo dimenticare, di poterlo contrastare, di potergli resistere. Ma ho dovuto arrendermi all’evidenza della mia debolezza e della sua grandezza. Ogni volta. Ho sempre accolto la felicità con timidezza, con la paura di affezionarmi troppo all’idea. Tantissime volte mi sono fatta bloccare dalla paura, ho rischiato di perdermi davvero e per sempre. Ho impiegato tanto tempo per trovare il coraggio, forse troppo, ma alla fine ho scelto. Ho scelto di rischiare sempre, di non precludermi sogni difficili solo per timore di non riuscire, ho scelto di guardare lontano, con occhi sinceri, pronta a camminare a lungo, solo con la voglia di non fermarmi. Ho scelto di ricaricare il mio cuore e di ripartire. Di continuare. E sarà sempre questa la mia direzione. Alla fine si tratta solo di questo: bisogna rischiare di essere felici.

Lui
Ciò che mi è successo non era prevedibile, non lo volevo neanche. Non ero che una versione ridotta di me, una versione pessima a dire il vero, quando la vita mi ha messo davanti una persona, proprio nel momento in cui non cercavo nessuno, non volevo nessuno, mentre i miei pensieri erano altrove, mentre ero proiettato verso nuove esperienze, nuovi luoghi. La vita mi ha voluto far capire inequivocabilmente, senza il più piccolo margine di dubbio, che era arrivato il momento di incontrare l’amore. Succede così. L’ho intuito subito ma non potevo comprenderlo davvero, in realtà, razionalmente, non potevo neanche accettarlo, non in quel momento. Ho pure fatto di tutto per contrastarlo, per non cedere, per allontanarmi, per non farmi coinvolgere perché cambiare è sempre un problema, è inutile negarlo. Cambiare significa spesso fare delle scelte forti, rinunciare a qualcosa, attraversare delle prove. Cambiare significa lasciare andare una parte di te a cui, tutto sommato, eri affezionato anche se non ti piaceva più di tanto. Cambiare significa crescere, significa andare avanti facendosi guidare soprattutto dal cuore, nonostante ciò all’inizio possa sembrare una follia. Ma il cuore sa un sacco di cose, il cuore lo sa bene che quella persona non è come le altre che hai incontrato e come quelle che incontrerai e ti renderai conto, ben presto e tuo malgrado, che senza di lei nella tua vita la felicità non sarà mai completa e vera. Starai forse bene, forse potresti imparare a vivere una meravigliosa pacata serenità con qualcun altro, scoprire altre forme di gioia, ma non sarà mai come era con lei. Il fatto è che quel tipo di amore si prova una sola volta e non ti lascia mai, non puoi evitare che succeda. Si nasconderà, saprà fare spazio ad altro, si addormenterà, troverà il suo angolino discreto dentro di te dove vivere respirando piano, per non disturbare, per non distruggerti, per lasciarti fare la tua vita. Per farti attraversare altro amore, forse. Ma non andrà via. Con questa consapevolezza, mi sono reso conto che il mio cuore non ha dei limiti e la cosa mi ha sconvolto davvero. Ho scoperto di avere delle risorse sconosciute, di essere disposto a fare cose che mai e poi avrei pensato di fare, ho scoperto che vale la pena, sempre, di chiedere perdono, di mettere da parte l’orgoglio, di non arrendersi nonostante gli ostacoli, di attraversare la solitudine e il dolore, di provare a parlare anche se significa ricevere una porta in faccia, ho scoperto che rincorrere non è un segno di debolezza ma un segno di forza. Avevo sempre avuto una vita facile e non pensavo che l’amore potesse complicarla così tanto. Avevo scambiato molte cose per amore prima di incontrare lei ma poi sono riuscito a fare chiarezza, semplicemente non credevo che mi sarebbe costato tanto. Ma, anche se ho molti rimorsi, di sicuro di una cosa non mi pento: di aver messo davanti sempre il mio cuore, maldestro, malandato, incapace ma sicuramente follemente coraggioso.

CAPITOLO 1
27 aprile 2013
 Lei
Alcune certezze si raggiungono in fretta e generalmente riguardano cose senza troppa importanza. Eccone una: io non sono un tipo da festa in discoteca. Mi sento a disagio, non so come vestirmi, mi sento ridicola, non so ballare, non mi so truccare, mi gira pure la testa quando c’è troppa gente, troppa musica, troppe luci. Forse non sono una ragazza, magari sono solo una vecchia che vive nel corpo di una ragazza. Ah, dimenticavo. Bevo con estrema moderazione e questo già mi fa sentire diversa. Le volte in cui ho esagerato si contano sulla punta delle dita e sistematicamente me ne sono amaramente pentita poiché mi hanno portato a perdere il controllo e io detesto perdere il controllo; per cui, dopo aver realizzato che no, assolutamente non mi abituo all’alcol, ho deciso che sia più prudente moderare le quantità. Insomma, meglio evitare. Non ci ho messo molto a preparami per stasera, sono parecchio sbrigativa e pigra. Non sono sempre stata così, a dire la verità, ma preferisco decisamente questa versione più pragmatica di me. Quando ero al liceo e abitavo ancora nella mia città insieme ai miei genitori, prima di ogni occasione importante vivevo sempre un momento di faticosa scelta dell’abito con annessa sfilata nel corridoio. Mi provavo qualcosa, percorrevo la mia piccola passerella e poi mi guardavo allo specchio, sempre iper critica, mentre mia madre, esasperata, mi diceva che tutto mi stava bene, presumo solo per dare un taglio a quella farsa. E poi ricominciavo. E poi ancora. E ancora. All’epoca non mi sentivo molto sicura di me e avevo sempre bisogno di essere tranquillizzata, non che ora lo sia maggiormente ma ho imparato in qualche modo a gestire la cosa. L’insicurezza, comunque, non mi ha mai davvero abbandonata e le esperienze che ho recentemente vissuto nella mia vita non hanno fatto altro che alimentarla e così è una lotta continua, quotidiana, sfiancante. Una lotta contro di me. Fortunatamente ora ho meno tempo e altre preoccupazioni così non mi sogno neanche di mettermi a provare più di un abito, il mio occhio cade su un vestito bianco sufficientemente elegante per questa serata e che indosso immediatamente in modo da non ripensarci, tanto so che qualunque cosa io indossi, il senso di inadeguatezza, più o meno accentuato, non mi lascerà. Mi guardo distrattamente allo specchio e mi passo una mano fra i capelli. Sono ricci e pensare di pettinarli è follia, tanto andranno comunque dove vogliono. Sono una piccola parte indipendente della mia persona. Ci sono feste, come quella di stasera, a cui non si può non andare, perché chi te lo chiede insiste parecchio e dice di contare sulla tua presenza, ritiene che tu non possa mancare o così, almeno, afferma e quindi faccio finta di credere anche stavolta che sia davvero importante esserci; sono senza entusiasmo ma speranzosa in una evoluzione positiva della serata, da tempo ormai sono concentrata verso un atteggiamento propositivo e cerco di non tirarmi indietro se si presenta l’occasione di incontrare gli amici o anche di conoscere qualcuno di nuovo. E così, in effetti, mi ritrovo al locale con tutti i miei dubbi del caso e le stupide incertezze dell’ultimo momento, sono appena arrivata e già mi domando se ho fatto bene a venire da sola, mi guardo intorno cercando disperatamente qualche faccia nota in mezzo a gente anonima, comincio a imprecare dentro di me ritenendo di essere arrivata troppo presto e rimproverandomi per non aver accettato il passaggio che mi era stato offerto; eppure qualcuno dovrei trovarlo – mi dico – se solo riuscissi a guardare oltre la barriera umana che ho davanti. I secondi che seguono il mio ingresso da qualunque parte li odio sempre, vorrei essere trasparente, se ci fosse un modo per comparire in un luogo non entrando dalla porta io certamente lo utilizzerei, detesto essere al centro dell’attenzione anche se solo per qualche attimo e non reggo la concentrazione di sguardi di sconosciuti su di me. Resto ferma in mezzo alla sala in cui le luci sono soffuse e la musica assordante, mi trovo dentro una bolla immaginaria, mi guardo a destra e a sinistra senza spostarmi, in equilibrio precario su tacchi troppo alti per me, altra malsana idea per la serata. Non c’è nessuno che conosca, nessuno che mi venga incontro. Mentre già sto per sprofondare in un attimo di sconforto e sto per scegliere l’angolo del locale in cui andare a nascondermi, incrocio uno sguardo. Aria vagamente familiare, come di persona che riemerge da chissà quale remoto passato, leggermente malinconico, intenso, occhi magnetici rivolti proprio a me. Io e il perfetto sconosciuto ci guardiamo diversi secondi, un tempo che tuttavia mi sembra lunghissimo e in cui non riesco ad abbassare lo sguardo, sono come catturata da una forza che non mi permette di fare diversamente, non siamo poi tanto lontani e ci squadriamo per bene, senza grande ritegno. Sento una sensazione molto strana, che non riconosco come nulla di già provato in passato, assimilabile al vuoto nello stomaco che potrebbe avvertirsi durante le discese sulle montagne russe ma più violenta e che dura solo lo spazio di un sussulto. Questo groviglio interiore che mi destabilizza è accompagnato da una immotivata, assurda, irrefrenabile voglia di attraversare tutto lo spazio che mi separa da lui e di sospirare profondamente: “Eccomi, sono qui”, come se lui mi stesse aspettando, come se stessi aspettando io a mia volta. Che cosa sto farneticando? Mi riprendo dai miei pensieri assurdi e scuoto la testa come se mi avessero appena gettato addosso un secchio d’acqua ghiacciata, lui evidentemente nota la scossa perché sorride, mi sembra un sorrisetto ironico, come di uno che ha appena centrato un bersaglio e si vanta, tronfio, con il resto del mondo. In un istante mi ritrovo inspiegabilmente agitata e confusa, torno a guardarmi intorno alla disperata ricerca di qualcuno che conosca, ritenendo che sia cosa più saggia che rimanere impalata a fissare uno sconosciuto. Dopo pochi attimi in cui non ho il coraggio di guardare ancora nella sua direzione, sento un tocco leggero sulla spalla, mi giro e vedo Gianni. è un mio collega di università, l’ho conosciuto meno di un anno fa ovvero quando mi sono trasferita in città, abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto ed è forse la persona a cui mi sento più vicina fra gli “amici” che colorano la mia nuova vita, mi urla che è arrivato anche lui da poco e frasi tipo: “è davvero bello!” ma non capisco a cosa si riferisca perché abbiamo la cassa a pochi metri dalle nostre orecchie e non sento praticamente nulla, vedo solo che sorride tanto, ha una bella faccia allegra che un po’ mi contagia il buonumore, dietro di lui scorgo altri colleghi di facoltà, saluto con la mano e mi sforzo di sorridere a mia volta. Posso riprendere a respirare, quindi? Posso rilassare il mio corpo contratto, posso provare a divertirmi? Non sono più da sola. Però, stranamente, una parte di me lo si sente ancora, forse anche più di prima. Le persone che sono arrivate insieme a Gianni mi salutano stampandomi un bacio sulla guancia, Zoe mi sta già rimproverando perché negli ultimi giorni sono sfuggente e perché non l’ho chiamata (non è vero, preciso subito), Monica mi abbraccia e mi chiede subito dopo dell’esame che ho appena sostenuto e che lei dovrà affrontare a breve. Fare conversazione non è agevole perché il volume della musica è altissimo, quindi per parlare bisogna urlare avvicinandosi molto all’interlocutore, cosa che non mi piace per nulla, sono una molto parca quando si tratta del contatto fisico, so che è un mio limite ma tendo a non farmi toccare dagli altri e, in verità, la cosa mi infastidisce molto anche quando avviene inavvertitamente, soprattutto se si tratta di persone con cui non mi sento in confidenza. Gianni mi trascina da una parte mentre continua a parlarmi anche se io annuisco senza capire nulla, sento una parola sì e dieci no e faccio una fatica enorme per ricostruire una frase di senso compiuto ma non mi importa più, praticamente lui quasi mi porta di peso, non so dove stiamo andando ma mi lascio trasportare. Qualche secondo dopo mi trovo a distanza super ravvicinata due occhi blu e un sorrisetto che già ho memorizzato perfettamente. Sento improvvisamente caldo, qualcosa dentro di me si agita, provo vergogna a scoppio ritardato per la sfrontatezza con cui l’ho fissato solo pochi attimi prima. – E., questo è mio fratello L., appena tornato da Barcellona, credo di averti parlato qualche volta di lui. Gianni accompagna le sue parole di presentazione con un gesto del braccio indicandomi il fratello dal basso in alto, neanche fosse una guida che mi sta mostrando una scultura. Ecco, comincio a capire. Fratello di Gianni, sguardo pericolosissimo, sorriso studiato davanti allo specchio, una persona di cui in effetti ho sentito parlare spesso in tutti questi mesi ma che non ho mai avuto occasione di conoscere e che avrò, forse, visto per caso in qualche foto su Facebook. Per questo, magari, mi ha dato l’impressione di avere un’aria familiare quando prima l’ho fissato impudentemente. Gli stringo la mano forte (lo faccio sempre e detesto le strette deboli) mentre lui non smette di fissarmi gli occhi, lo fa in una maniera che sul momento mi risulta spudorata perché neanche per un attimo distoglie lo sguardo mentre io provo a reggerlo qualche secondo per poi crollare definitivamente e spostarlo verso Gianni, cercando un argomento di conversazione con lui. Mi sento in imbarazzo, mi sto già chiedendo come comportarmi. – È stato in Erasmus per nove mesi – mi viene precisato, mentre L. si trova ancora accanto a noi. Gianni mi presenta come una sua amica e poi aggiunge anche collega di facoltà, entrambe le dedefinizioni sono veritiere ma mi fa piacere notare che ha istintivamente anteposto l’amicizia ad altre etichette, considerato anche che lui e Zoe sono le persone che mi conoscono meglio nel raggio di svariate centinaia di chilometri da qui. Io sorrido ma non riesco a dire nulla, L. starà pensando che sono muta o eccessivamente timida, fortunatamente mi viene a salvare Monica con le sue domande sull’esame di procedura penale. Ci sono persone che, ovunque vadano, non riescono a parlare che di università e lavoro o di diritto, nel caso specifico: ho sempre pensato che dovrebbero esistere delle fasce orarie protette in cui dovrebbe essere proibito parlare di tesi giuridiche ma stavolta, visto che mi fa comodo, ben venga una dissertazione con Monica sul processo penale. Parlo con lei facendo finta di seguire il filo del discorso ma in realtà sono concentrata su L., faccio l’indifferente ma lo cerco ovunque con lo sguardo mentre rimane nei paraggi e parla con parecchie persone. Tutte le volte che mi giro con discrezione nella sua direzione anche lui mi sta guardando e io mi sento sprofondare. Forse starà pensando di me che sono ugualmente spudorata, eppure non riesco proprio a farne a meno. L. è parecchio più alto di me che certamente non sono una cima, dal basso del mio metro e sessantacinque più tacchi (almeno stasera), ha una camicia azzurra un pizzico aderente, leggermente sbottonata, quel poco che basta per lasciare spazio all’immaginazione. Fisicamente, nulla da dire. O forse – sarebbe più corretto – troppo da dire. Mi piacciono i suoi capelli lisci e ordinati, gesticola mentre discute e il suo sguardo sembra una calamita per le persone che si interfacciano con lui. È molto curato, certamente più di me che ho scelto il vestito in quindici secondi e mi sono truccata in trenta, lui dà, al contrario, immediatamente l’impressione di una persona sicura di sé, ricercata, sofisticata, anche troppo per i miei gusti. Mi sento leggermente stordita, vorrei parlare con lui, sapere qualcosa di più, qualsiasi cosa, ma non ho il coraggio per tentare un approccio diretto; so solo che la serata, improvvisamente, ha un senso e sono felice che sia solo all’inizio, di solito mi piace conoscere persone nuove ma stavolta so che non è solo questo. Lo so perfettamente cos’è, sebbene sia irrazionale e, quindi, per me, difficile da accettare. Ricostruisco mentalmente le cose che di lui ho sentito dire a Gianni e ai nostri amici. C’è qualcosa che mi incuriosisce o forse sono ancora incantata da quello sguardo fuori luogo che ci siamo scambiati reciprocamente, quando ancora non sapevamo di avere delle conoscenze in comune. Vorrei capire cos’era quello sguardo e cos’era quella sensazione di vertigine di cui ancora sento gli strascichi. Lo vorrei vedere di nuovo, vorrei provarla ancora. Così L., il fratello di Gianni di ritorno da Barcellona, è entrato nella mia vita.
Lui
Io non capisco cosa ci faccio a questa festa. Ho come l’impressione che si sia creata una sorta di squarcio fra me e il mondo di prima, probabilmente risulterò antipatico (e infatti mi guardo bene dal dire quello che penso), ma la verità è che io non sono più lo stesso L. di quando sono partito, alcune esperienze ti cambiano e l’Erasmus ha cambiato me. Mi sembra di non avere più nulla a che fare con questa città, mi ha già dato quello che doveva dare, voglio solo laurearmi in fretta e scappare via da qui, per la precisione voglio tornare a Barcellona, da dove sono venuto. Neanche le persone mi suscitano grande interesse, chissà se mi passerà questa sorta di apatia, questa voglia di non riagganciare i contatti con la realtà che mi ha preso da quando ho rimesso piede in Italia. Dieci giorni sono pochi, lo so, mi devo ancora reintegrare nel posto in cui sono nato e cresciuto, assurdo come pensiero, ne sono consapevole, ma il fatto è che in meno di un anno trascorso all’estero mi sono reso conto di quanto io mi adatti facilmente a un nuovo ambiente, a nuove abitudini, a nuove persone che poi – quando mi allontano – finiscono per mancarmi. Solo chi ha fatto l’Erasmus, poi, può capire cosa significhi tornare. Per me era la prima volta lontano da casa per così tanto tempo, ho vissuto un periodo fantastico, indimenticabile e ora mi sento veramente diverso, mi manca tutto, i miei ritmi, le persone che ho conosciuto, il mio appartamento incasinato condiviso con dei coinquilini pazzi che sono diventati quasi una famiglia, i luoghi di Barcellona che mi sono entrati per sempre nel cuore. La sensazione di libertà e di meraviglia che non mi ha mai abbandonato. A volte, se chiudo gli occhi, posso immaginarmi ancora lì, in un punto preciso della città, rivedere i colori, sentire gli odori. E quando li riapro, avverto una fitta di delusione, sento che mi trovo nel posto sbagliato. Mi sono per l’ennesima volta in questi giorni fatto trascinare da Gianni che mi ha convinto a uscire; a mio avviso, da buon fratello, ha capito cosa sto vivendo e mi vuole riportare sulla terra, vuole che sia di nuovo il suo compagno di feste, incontri e studio, come era prima, nonostante i nostri permanenti conflitti. Ma per me il “prima” è definitivamente superato. Grazie al Cielo non sono passato dall’abitare con i miei coinquilini all’abitare con i miei genitori, non penso che avrei retto psicologicamente a un così drammatico passo indietro. Io e Gianni viviamo insieme, da soli, già dal primo anno di università. Quando sono uscito di casa, ho lanciato uno sguardo alla foto di Roberta che è appoggiata sulla scrivania, chissà cosa sta facendo lei a Barcellona adesso, mi è sembrato che mi rimproverasse da quella foto, quasi a voler dire: “Non andare in giro con cattive intenzioni, sei ancora mio”; ma siamo stati chiari, non ci sarebbe stato un seguito, era una storia a tempo determinato, sarebbe finita con la mia partenza, ne abbiamo combinate tante in questi mesi e lasciarsi dieci giorni fa è stato comunque faticoso. Lei ha pianto a dirotto, io ovviamente no, io non piango da anni e anni, neanche me la ricordo più l’ultima volta che ho pianto e certamente, sia chiaro, non ho intenzione di farlo per una donna, anche se oggettivamente lei mi manca, per quanto mi infastidisca ammetterlo non posso negarlo almeno a me stesso. In questi dieci giorni Roberta mi ha chiamato con costanza e mandato decine e decine di messaggi, non credo sia facile per lei, io d’altro canto non so bene come comportarmi, sento che sta soffrendo e non voglio essere distante, mi sembrerebbe crudele. Quasi come un riflesso, guardo il cellulare e vedo che mi ha inviato una foto, è a casa di amici in comune e posano tutti sorridenti, guardando verso l’obiettivo. La foto è accompagnata da una sola parola: “Manchi”, lo ha scritto in italiano, ormai lo ha quasi imparato stando con me. Sorrido ma la verità è che sono assalito da una malinconia terribile, che mi attanaglia. Voglio solo qualcosa per schiacciarla. Sono appoggiato al bancone del bar e ho perso di vista mio fratello e gli altri amici che conosco. È spregevole, lo so, ma sono il tipo di uomo che a una festa come questa di solito non ha grandi problemi a conoscere qualcuno. Anzi, qualcuna. Diciamo che sono venuto principalmente per questo motivo, senza grandi scopi, anche questo sia chiaro, normalmente vedo come va il primo impatto e poi le cose prendono la piega che devono prendere, un ballo stretto, un numero di telefono o un dopo festa o chissà. Sotto questo profilo, non ci sono grandi differenze rispetto a quello che ho fatto nei miei primi mesi di Erasmus, fino a quando non ho conosciuto RoRoberta. Sono stati dei mesi assurdi, a volte pensavo che non sarei sopravvissuto alle mie notti spericolate. Un paio di giorni fa ho fatto la mia prima (ri)apparizione in facoltà e ho visto gli sguardi delle colleghe al mio passaggio, alcune già note, altre meno, magari ad alcune di loro sono pure mancato mentre io in questo momento, anche sforzandomi, non riesco a farmi venire in mente i loro nomi, non ho praticamente mai risposto a nessuna delle mail che mi sono arrivate nell’ultimo anno, ho solo inviato qualche mail “collettiva” ai miei contatti mentre ero a Barcellona, per fare sapere come andava e mostrare qualche foto. Per il resto, c’era Facebook. Sono cattivo? Forse sì, lo so, prima o poi la pagherò, me lo sento. Prima o poi avrò un pentimento improvviso ma ora no, non è certamente il momento per i rimorsi. Il punto è che io stasera non ho capito cosa voglio fare e mi sto già annoiando, ho voglia di andarmene, eppure sono appena arrivato. Ho in mano un bicchiere di prosecco, interiormente mando qualche maledizione a mio fratello per avermi convinto e poi alzo lo sguardo verso il centro della sala. Lei, chiunque essa sia, è appena entrata, accompagnata da una strana luce, come se avesse un contorno brillante, come se fosse lì proprio per spiccare in mezzo a un milione di persone. Ha un vestito chiaro e capelli lunghi e ricci, si vede che sono morbidi anche se è a qualche metro da me, quasi mi sembra di poterne sentire il profumo. È bellissima, non ci sono altre parole per poterla descrivere, è solo di una bellezza disarmante, la peggiore forma di bellezza, quella inconsapevole. Si vede da come si guarda intorno, come se fosse sola, come se fosse nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ha l’espressione di chi quasi vorrebbe nascondersi, vorrebbe una bacchetta magica che la facesse sparire all’istante da lì perché si sente fuori contesto, non sa neanche lei cosa ci sta a fare a questa festa. Proprio come me. Io non so perché ma mi manca improvvisamente il respiro e sento il cuore che, per un secondo, si ferma. Forse sto per avere un infarto. Morire così giovane a una festa, mio Dio, no. è come se per un secondo non avvertissi più nulla, non una sola nota della musica, non un solo raggio delle luci, nulla, nulla, nulla. Tutti i miei sensi sono stati rapiti da lei. La sto fissando, non vorrei essere insistente ma non posso farne a meno, non riesco a controllare dove gli occhi devono guardare, c’è soltanto lei, ora, qui, è come se mi avesse catturato. Anche lei mi sta fissando. Quanto è durato questo incontro di sguardi? Un secondo, un minuto, un’ora? Anche lei sembrava ipnotizzata ma poi si è svegliata, come se avesse sentito un rumore forte in un silenzio assordante, quasi si è scossa e la cosa mi ha fatto sorridere, sembrava una bambina beccata a fare una marachella. Ed ecco che arriva un segno divino, inaspettato. Mio fratello! Le tocca la spalla, lei si gira, sorride, parlano. Si conoscono e io improvvisamente comincio a respirare di nuovo. Al loro seguito c’è il gruppetto di amici di Gianni, vengono verso di me e lei mi guarda ancora, come se le fossi comparso innanzi all’improvviso, dal nulla. È arrossita leggermente. Le stringo la mano mentre Gianni me la presenta, è fredda ma la stretta è molto forte, come la mia del resto, detesto quelle ragazze che stringono la mano debolmente, ogni volta ho paura di poter spezzare le loro dita fragili. Cerco di non stringere troppo forte però perché l’istinto, al contrario, è quello di accarezzarla, so bene che è assurdo perché è una perfetta sconosciuta ma io vorrei tenerle la mano giusto un attimo di più, per sentire che effetto mi fa. Non riesco a distogliere lo sguardo, so che starà pensando che sono spudorato ma non può immaginare che proprio non posso fare diversamente, ho perso il controllo ed evidentemente anche la decenza. È così che E. è entrata nella mia vita. 25 marzo 2014 Cara E., quanti errori in meno potremmo fare se solo ci sforzassimo un po’ di più di capire gli altri, se solo dedicassimo loro qualche minuto in più per ascoltare, per immaginare, per cambiare veste, per abbandonare il nostro punto di vista, per cercare di comprendere la sofferenza altrui. Quante incomprensioni eviteremmo se solo non ci fermassimo all’apparenza, se solo ci interrogassimo davvero sui silenzi, sulle frasi lasciate a metà, sugli sguardi distolti per evitare di piangere. Se mi guardo indietro, penso a tutte le volte in cui non ti ho compresa fino in fondo, in cui non ho ascoltato le tue parole, a quelle volte in cui non ho voluto approfondire, in cui ho solo lasciato stare. A tutti i tuoi “niente” in risposta a domande vaghe su cui non ho insistito, a tutte le volte in cui mi ha fatto comodo fare finta di non capire, perché affrontare i problemi era molto più complicato che ignorarli, mi avrebbe messo innanzi a scelte che non volevo compiere e a responsabilità che non volevo prendermi. Così si perdono le persone, per non avere ripetuto, per non aver insistito, per non avere aspettato, per non aver avuto pazienza, per non aver voluto fare uno sforzo in più, per non aver parlato e ascoltato a sufficienza. E poi non basta il rimorso, il dolore per cancellare gli sbagli, non bastano i “mi dispiace”, nulla cancella il senso di vuoto creato dalla consapevolezza di non aver fatto abbastanza.

CAPITOLO 2
28 aprile 2013
Lei La domenica mattina ho quasi sempre mal di testa. Stamattina ho anche mal d’anima. Mi sento come se non avessi un grammo di energia in corpo, mi sono svegliata presto anche se la festa ieri sera è finita molto tardi. E io non volevo che finisse, in realtà. Mi sono svegliata presto, sì, ma non riesco ad alzarmi, sono intrappolata fra le lenzuola e i miei pensieri, mi sento un po’ confusa, un po’ inebriata, tendenzialmente malinconica, mi sento sotto incantesimo. Non so se sono lucida ma sono le 11:30 del mattino e da quando ho aperto gli occhi, ovvero dalle 9:30 ho un solo preoccupante pensiero in testa, ovvero lo sguardo di L., i suoi maledettissimi occhi blu che non si sono schiodati da me per quasi tutto il tempo. Ieri sera sono stata quasi sempre insieme a lui, non da sola ovviamente, con suo fratello e con gli altri, ho fatto quello che avevo deciso di fare e cioè cercare di parlargli quanto più possibile per carpire qualche informazione che potesse essermi utile. In astratto è il tipo di uomo che detesto: bello e pienamente consapevole di esserlo, ovvero la peggiore categoria che esista sulla faccia della terra. Sorrideva a tutte le ragazze che gli rivolgevano lo sguardo, non ne ha mancata una, un sorriso che contiene un messaggio che è immediatamente percettibile, un sorriso che, ora, riconoscerei ovunque e che mi piacerebbe fosse solo per me. Per una buona parte della festa siamo stati fuori dalla sala, nella parte meno chiassosa della discotecadove avevano sistemato dei divani e dei pouf per chi non aveva voglia di ballare, così ho potuto prendere parte attivamente a delle conversazioni senza urla alla fine delle quali mi sono dovuta arrendere al fatto che L. sembra anche intelligente e brillante, quando racconta qualcosa è coinvolgente, affascina o almeno così mi è sembrato a un primo impatto. Sta per laurearsi e, mentre lo diceva, ha aggiunto che scapperà subito via da qui, ha intenzione di tornare a Barcellona, si è soffermato qualche minuto sulle grandi possibilità lavorative che la città offre a dispetto del nulla più totale della nostra realtà. Non so perché ma stamattina a tratti mi sembrava l’unica cosa che ricordo di ieri: ho conosciuto L. e fra poco se ne andrà via da qui. Devo dire che parla molto di sé lasciando poco spazio agli altri, circostanza che rivela il suo essere certamente narcisista ed egocentrico, ha passato una parte della serata a raccontare aneddoti del suo periodo di Erasmus, della sua convivenza con ragazzi di altre nazionalità, del primo periodo in cui si sentiva leggermente spaesato e non conosceva la lingua, ha parlato a lungo della città che sembra davvero adorare. A volte, forse senza neanche farci caso, introduceva nella conversazione delle piccole frasi in spagnolo, per esempio riportando un dialogo che aveva avuto con uno dei suoi amici conosciuti lì e il sentirlo parlare in un’altra lingua provocava in me un effetto stranissimo, mi sentivo molto affascinata dal suo passare senza problemi da un idioma all’altro e notavo come la sua voce proprio cambiasse di tono mentre parlava spagnolo. Forse a Barcellona si sentiva una persona diversa. Quando ride, il suo viso si trasforma e mi sembra che la sua risata sia in grado di provocare un mutamento nell’ambiente circostante, a volte mi è capitato di osservare le facce degli altri mentre parlava con più persone contemporaneamente e notavo che tutti, proprio tutti, sembravano pendere dalle sue labbra, come se avesse un’innata capacità di attirare le attenzioni del prossimo. Io, dal canto mio, ho trascorso la serata principalmente ad ascoltare, lui mi ha solo chiesto qualcosa dell’università ma senza approfondire più di tanto. Mentre eravamo da soli, abbiamo accennato brevemente all’argomento della sua tesi, alle ricerche che aveva fatto anche durante l’Erasmus, al diverso modo di approcciarsi allo studio che secondo lui hanno gli spagnoli. Un paio di volte si è allontanato per rispondere al telefono e io, con aria finta indifferente, gli sono passata accanto e l’ho sentito parlare in spagnolo. I suoi occhi, però, sono stati spesso su di me, perfino durante quelle telefonate. Ho passato le ultime ore a pensare a lui e a pensare a me in maniera intensa, so che non abbiamo niente in comune o almeno mi sono convinta che sia così, voglio disperatamente convincermi che sia così, non so neanche perché ci sto pensando, non è una cosa razionale, io ci penso perché non riesco a farne a meno ma non vorrei affatto farlo e so che sarebbe davvero meglio per me non soffermarmi oltre su questa persona e anzi, rimuoverla immediatamente dal cervello. Non c’è assolutamente nessun motivo per pensare a lui. Nessuno può immaginare come mi sento, nessuno sa cosa provo io. Io mi sento come una persona che qualcuno ha tenuto con la testa sotto l’acqua per tanto tempo, troppo tempo, quasi fino a farla morire, e che è appena riuscita a liberarsi da quel peso enorme che la teneva giù e ha preso una boccata d’aria, tutta l’aria che si può, perché non si sa cosa può succedere dopo. Io mi sento così. Io per dieci mesi non ho respirato, ho solo cercato di smaltire un dolore enorme, quella sofferenza insopportabile che solo chi ha avuto il cuore calpestato in malo modo può comprendere. Io per dieci mesi non ho neanche immaginato che potesse esistere sulla faccia della terra qualcuno in grado di suscitare in me una qualche forma d’interesse, dopo quello che mi è successo. Perché quando qualcuno che ami ti fa del male, dopo pensi inevitabilmente che l’amore non esista, in nessuna forma, perché quando qualcuno che per te era la persona più importante del mondo ti tradisce, te lo scordi cosa significa fidarsi, non ti fidi più neanche di te stessa, perdi tutti i punti di riferimento. E soprattutto, quando qualcuno spezza il tuo cuore in maniera irrimediabile, quando hai raccolto tutti ma proprio tutti i cocci, beh… in quel momento lì hai davvero paura. Una paura incredibile che il tuo faticosissimo lavoro di ricostruzione del cuore distrutto sia stato vano, hai paura che anche un soffio di vento possa bastare a spargere in terra, di nuovo, tutti i pezzi. E non ricominceresti. Sai che non ricominceresti mai più. E io mi sento così ora. Mi sento come una che ha appena messo insieme i pezzi, che stanno ancora lì ad asciugare e che nessuno deve neanche guardare, figuriamoci toccare. Mi sento come una che non è pronta anche solo a sentirsi attratta da qualcuno. E ciononostante, accade, dannazione, contro ogni volontà, mi sento travolta ma non lo permetterò, tanto meno lo permetterò a uno che sorride a tutte le ragazze che incontra, tanto meno a uno che aspetta di laurearsi per andarsene via da qui. Il cuore traballante e aggiustato, ieri sera ha battuto forte, non posso negarlo. Il mio cuore funziona e forse dovrei pure esserne contenta. Ma ancora è in convalescenza, questo è certo. Se ci sarà una prossima volta, dovrà essere con qualcuno che mi faccia sentire sicura, che mi capisca fino in fondo, che mi rispetti sopra ogni altra cosa, che mi ami incondizionatamente, che veda solo, davvero, solo me. E, soprattutto, che mi dica sempre la verità, qualcuno che possa avere per me tutto il tempo e tutte le attenzioni possibili, perché io ho assolutamente bisogno di questo, di tanto tempo, di un percorso lento di conoscenza e di fiducia. Non di certo di sguardi fulminanti e attrazioni improvvise. Mi sono guardata bene dentro in queste due ore: io non posso permettermi scossoni. Non ho nessuna intenzione di innamorarmi.
Lui
 Io sono abituato a fare tardi, anzi tardissimo, mai avuto problemi di sonno al rientro dalle mie lunghe nottate, anzi generalmente crollo in un arco temporale di dieci secondi appena poggio la testa sul cuscino. Ma stanotte no. Mi sono messo a letto senza sonno, un sonno che poi non è mai arrivato e più cercavo di non pensare e di dormire e più avevo gli occhi sbarrati, sguardo fisso o quasi, dritto dentro di me. Inquieto. Mi rendo conto del fatto che non sono bravo a gestire gli imprevisti sentimentali, stanotte sono arrivato addirittura a pensare di non aver mai vissuto un imprevisto sentimentale vero nella mia vita prima d’ora. Ma adesso è accaduto, posso fare finta di ignorarlo ed è, in effetti, quello che vorrei. Devo fare qualcosa, reagire. Apparentemente ho controllato tutto ieri, ogni singola parola o espressione era indirettamente per lei, sono stato il solito L. ma non so se ci sono riuscito, il dubbio mi tormenta. Avrà capito qualcosa? Chissà se ha anche solo immaginato che cosa è riuscita a provocare in me con un semplice movimento, una risata, un gesto spontaneo e banale come spostarsi i capelli dal viso, passarsi la mano lungo la linea del vestito. Non è certamente la prima volta che una donna mi colpisce, direi che sono abbastanza affascinato dal genere femminile ma stavolta era qualcosa di diverso, ne sono certo anche se non so cosa fosse, mi sentivo agitato, scombussolato. Mi sentivo in imbarazzo come un ragazzino senza la benché minima esperienza in fatto di donne. L’immagine di E. mi torna in mente in continuazione, diciamo che non è mai andata via dal mio primo incrocio di sguardi con lei. E mi è successa una cosa incredibile, quasi mi fa paura dirlo, mi appare come qualcosa di devastante e preoccupante ai massimi livelli: ho sentito la sua mancanza nell’attimo stesso in cui è sparita dalla mia vista, mi sono sentito triste perché la serata si era conclusa e dovevo separarmi da lei. Anche il solo ricordare la sensazione di immediato smarrimento che ho provato mi genera ansia. Come posso sentire l’assenza, oggi, di qualcosa che neanche conosco? Non so quasi nulla di lei se non le notizie sparse che ho appreso durante la serata, cercando di parlarle il più possibile. Solo dopo mi sono reso conto di aver parlato troppo di me e di aver lasciato poco spazio a lei, avrà pensato che sono un egocentrico mentre la annichilivo di informazioni sulla mia persona. Frequenta la mia stessa facoltà, da soli ci siamo intrattenuti in conversazione solo sull’università, abbiamo parlato della mia tesi, qualche scambio di battute sui professori. Non faccio altro che chiedermi come sia possibile che non l’abbia mai notata prima, anche se è più piccola – di poco – di me, io sono il tipo di studente che frequenta l’università quasi quotidianamente e non mi spiego sia possibile che non l’abbia mai incrociata. E lei? Non mi spiego come sia possibile che non mi abbia mai visto? Tutte le ragazze della facoltà mi conoscono. Ecco, sono ancora egocentrico. Chiederò a Gianni come sia possibile, sembra che mio fratello la conosca da un po’, magari deve averla incontrata quando io ero già in Spagna. E. non è come nessuna delle donne che ho conosciuto fino a ora, forse questo concetto non è corretto perché è presto per pensare una cosa del genere, non la conosco neanche in effetti. Ma quello che voglio dire è che mi ha provocato delle emozioni che nessuna donna mi aveva mai suscitato così violentemente e in fretta, almeno fino a oggi. Non si tratta di attrazione fisica, non solo almeno. Devo confessare che il primo mese in cui ero a Barcellona, in un locale ho avuto uno scambio inteso di sguardi con una donna certamente più grande di me, dal quale traspariva chiaramente per entrambi come volevamo finisse quel gioco creato con gli occhi. Lo abbiamo fatto nel bagno, senza neanche dirci i rispettivi nomi. Poi, basta. È solo un esempio per spiegare a me stesso la differenza rispetto agli sguardi che ho scambiato con E. ieri notte. Non c’è nulla di più distante da quello che è successo a Barcellona. Anche se lei ci avesse provato con me, credo che non l’avrei neanche sfiorata, la sua vicinanza mi ha provocato dei brividi interiori, qualcosa nel cuore che non ha niente da spartire con il sesso. Il suo sguardo è così profondo, non lo capisco, a volte sembrava come se fosse presente con il corpo e lontanissima con la mente. L’ho osservata mentre parlava con gli altri, è intensa, è come se avessi scorto in lei qualcosa di incredibilmente bello e misterioso, distante da quello che già conosco e che mi attira in maniera terribile. Mi ha dato l’impressione, davvero, di essere in qualche modo separata, distaccata sia dal mondo che la circonda che dalle persone con cui si rapporta. Abbiamo ballato tutti insieme, a fine serata, avrei voluto starle più vicino ma non riuscivo ad accorciare le distanze, mi piaceva guardarla da lontano. Quando l’ho salutata, le ho dato un bacio sulla guancia, un banalissimo bacio come le decine che ho dato a tutte le persone che stavano andando via dalla festa ma quel tocco mi ha spaccato in due il cuore, significava allontanarmi da lei, non sapere quando l’avrei rivista. Mentre faccio queste considerazioni mi sento un idiota, un bambino stupido che ha preso una cotta per una ragazza vista su un giornale, né più né meno. E una parte di me mi dice di rientrare immediatamente e senza ripensamenti nei ranghi, più si avvicina la luce del giorno e più questa parte si fa sentire, non è il momento certamente di perdere la testa, sono appena rientrato in Italia e il mio scopo è laurearmi subito, ultimo esame, tesi e via da questa città. Barcellona mi aspetta e non voglio ostacoli. Ma stanotte sono in confusione. Non lo avrei mai detto ma è così. Ho appena concluso una storia, per carità, senza grandi pretese, è finita solo da pochi giorni e, comunque, sento ancora Roberta, ho trovato un suo nuovo messaggio sul cellulare durante la festa e ho nascosto il telefono in tasca, come se fossi un ladro, diceva che le manco da morire e che non avrebbe mai immaginato che il distacco l’avrebbe fatta stare così male. Non ho risposto. Al mio silenzio, ha reagito con una chiamata, ho dovuto dirle che ero fuori, in un posto con tanta gente in cui non era facile farsi sentire, non potevo dirle la verità e cioè che mi sentivo completamente travolto da una ragazza che non avevo mai visto prima e che, neanche a farlo apposta, mi passavaaccanto proprio mentre ero al telefono con lei, mandando in tilt i miei neuroni. Oltre che gli ormoni. Sono un vigliacco, trincerato dietro centinaia di chilometri di distanza, sto cercando di concentrarmi su qualunque cosa pur di non pensare a E., sto cercando di distrarmi pensando a Roberta e mi sento un vile. Mi voglio strappare dalla testa E., il suo vestito bianco, il suo profumo, la luce nei suoi occhi, la sua ironia pungente, il suo modo di camminare come se fosse staccata dal suolo, il suono della sua voce. Perché, nel mio caos interiore, ho rinvenuto una certezza, di cui però non saprei spiegare le origini: E. non è una ragazza da storiella senza importanza. Non da sesso nel bagno, questo è sicuro. E. è pericolosissima, io lo so, mi è bastata una manciata di ore accanto a lei per capirlo. Quindi, niente scherzi, non devo rivederla. O forse posso vederla per caso in facoltà e farle appena un cenno di saluto con la mano. O forse posso rivederla ma non starle troppo vicino. O forse potrei vederla solo ogni tanto, insieme agli altri. O forse potrei prendere con lei giusto un caffè, se dovessi incontrarla. O forse… Mentre passo in rassegna queste ipotesi, mi prende una sorta di panico, il respiro diventa corto (ed è già la seconda volta che accade per colpa sua, dannazione!), sento una sorta di frastuono interiore: non posso crederci. Il mio cuore non ci sta, la vuole rivedere. Subito. Ma come si permette questo cuore di dirmi cosa devo o non devo fare? Non l’ho mai degnato di grande considerazione e non intendo farlo ora, e lui che fa? Mi fa venire il respiro corto! Sono le 9 del mattino e spero che tutti i miei pensieri delle ultime ore siano solo uno sfortunato frutto di una sbornia, sebbene non ricordi di aver bevuto poi così tanto. Io ho dei progetti, ho lottato e sto lottando per realizzarli, non posso permettermi scossoni. Non ho nessuna intenzione di innamorarmi. 1 aprile 2014 Cara E., la mia vita scorre, i giorni passano e tu non ci sei. Non ci sei più come prima. Ti desidero da lontano, ti immagino crescere, sempre più donna, sempre più bella, sicura di te e di quello che susciti negli altri. Ti osservo come se fossi dietro un vetro, come se guardassi fuori da una finestra, ti vedo nitida ma irraggiungibile, non posso toccarti. A volte sogno di affiancarmi a te, per caso, mentre sei impegnata ma tu non mi noti; mentre cammini per la strada, ti vengo incredibilmente vicino ma sei immensamente distante, distratta da mille voci, da mille sorrisi, da mille sguardi, troppo concentrata su di te per pensare a me. Vorrei solo dirti che, nonostante tutto, tu riempi le mie giornate. Il pensiero di te mi invade. Da quando non ci sei, mi sento come su una strada di cui non conosco la destinazione, cammino incerto e mi perdo sempre un po’. Vorrei sempre sapere cosa combini, dove vai, cosa hai scoperto oggi, a chi sono rivolti i tuoi pensieri. Mi chiedo dov’è finito il tempo in cui erano rivolti a me, solo a me. Mi chiedo se tornerà mai. Mi chiedo se tornerai mai. CAPITOLO 3
 4 maggio 2013
Lui
Sono andato in facoltà ogni giorno per tutta la settimana sperando di incontrarla ma non l’ho mai vista. Sì, lo so, avevo detto che me la sarei tolta dalla testa, che lei non doveva entrare nella mia vita, mi sono fatto mille discorsi razionali a cadenza oraria per fissarmi in mente le mie riflessioni della sera in cui l’ho conosciuta ma non riesco a non desiderare di rivederla, è più forte di me. Con il passare dei giorni il desiderio si è amplificato ed è diventato doloroso, tanto più che mi aspettavo esattamente il contrario, ovvero di dimenticare in fretta questo incontro che mi ha destabilizzato. Il giorno dopo la festa ho chiesto a mio fratello, semplicemente: “Che mi dici di E.?” con una faccia sorridente e distratta, come se gli stessi chiedendo cosa davano al cinema. Lui mi ha guardato con odio. Non sto scherzando, non mi guardava con quella faccia da quando eravamo piccoli e distruggevo i suoi giocattoli, dandogli sempre la colpa. Mi ha risposto, secco: “Ti dico che non ti deve neanche passare per la testa. Solo questo”. Per cinque secondi sono rimasto impietrito, cosa che non mi capita spesso, non sapevo cosa dire e infatti non ho detto nulla. Poi, per tutta la mattina non ho fatto altro che pensare alla sua risposta e l’unica conclusione logica a cui sono pervenuto è che forse lui è interessato a E., magari c’è qualcosa fra loro e non lo so ancora. O forse c’è stata in passato. Ma mio fratello di solito mi racconta sempre tutto, in particolare quando si tratta di donne, quindi qualcosa non torna. La cosa più sconcertante, comunque, è che – nonostante il dubbio – non ho smesso di pensare a lei, non ho mai smesso mai, pur sentendomi in qualche modo in colpa nei confronti di mio fratello. Nonostante la risposta di Gianni, nonostante pensavo fosse sparita dalla terra, nonostante avessi pure pensato di aver immaginato tutto… non ho smesso. La risposta di mio fratello, che non lasciava spazio a nessun dialogo, mi ha indotto a non chiedere di lei a nessuno dei miei amici; ciò non mi ha impedito, comunque, di cercare notizie su E. in qualche modo, perché trovavo insopportabile non poterne sapere nulla di più. Per fortuna, esiste Facebook e abbiamo diversi amici in comune. Mi chiedo come sia possibile che non mi sia mai apparsa lei fra le “persone che potresti conoscere”, invece di tutte quelle facce di cui non mi interessa assolutamente nulla e che mai avrei voluto conoscere neanche nella realtà, che generalmente invadono la mia home. Devo dire che utilizzo i social in maniera discreta, più che altro leggo gli altri, scrivo poco e credo quindi di essere partevive, ovvero la mia, ha frequentato un’università diversa dalla nostra e ora è qui. Quindi ha cambiato città, ecco perché non l’ho mai vista prima in facoltà. Deve essersi trasferita in città da poco, certamente mentre io ero ancora a Barcellona. Sono rimasto per parecchio tempo come un ebete a guardare le poche foto visibili, una l’ho persino salvata sul cellulare, è quella utilizzata attualmente come foto del profilo, è in bianco e nero e io credo che ci si potrebbe innamorare di lei anche solo osservando questa foto. Guarda fuori dal finestrino di un treno, lo sguardo è assorto, lontanissimo, l’unico occhio che si vede è ben truccato, con una linea nera precisa sulla palpebra, la mano è poggiata sulla parte bassa del finestrino ma regge parzialmente anche il mento, la bocca sembra disegnata, i suoi ricci scostati dal viso riempiono una parte dell’inquadratura, lasciando vedere bene la guancia, lo zigomo. Credo che in questa immagine ci sia tantissimo di lei e non posso non conservarla. Mi chiedo chi ha scattato quella foto. Me la voglio proprio togliere dalla testa, eh? Già. Non sono molto coerente con le mie riflessioni notturne, non ho il coraggio di inviare alcuna richiesta di amicizia, mi sembrerebbe un messaggio fin troppo chiaro. è già sabato e non so nulla di lei, solo la vedo ovunque, dentro i miei libri, dentro le canzoni che ascolto, dentro i miei pensieri, mi sto convincendo che il mio non sia un vero interesse ma una sorta di fissazione irrazionale per cui devo solo rassegnarmi e aspettare che mi passi. Ci vorrà, evidentemente, un poco di tempo. Guardo gli occhi delle tante ragazze che ho sempre intorno e faccio il paragone con i suoi, sto perdendo la ragione per una quasi sconosciuta. Proprio mentre, tanto per cambiare, il mio pensiero è concentrato su di lei, mio fratello mi annuncia, come se fosse la cosa più normale del mondo, che ci sarà una cena da noi stasera, con altre cinque persone. Pronuncia, fra gli altri, il suo nome. Dentro di me sento una specie di fitta, come se mi fosse stato annunciato un imminente attacco nucleare, non ho ben capito se mio fratello mi sta invitando a partecipare a questa cena che si terrà a casa (anche) mia, ma poi guadandomi di sfuggita mentre esce dalla mia stanza mi dice: “Compri il vino?” e non ho bisogno di sapere altro. Sono le 12:11 ed E. sarà qui fra quanto? Otto ore? Sì, otto ore. Mi rendo conto che sto contando le ore, tutto questo non è da me, non sono io, faccio veramente fatica a riconoscermi, evidentemente ho dentro di me un ignoto ragazzino in fibrillazione per una cena, vorrei che questo essere scalpitante uscisse fuori da me, subito, cerco di controllarmi ma di nuovo mi assalgono pensieri angoscianti, come per esempio l’idea che fra lei e mio fratello possa esserci qualcosa. Arrivo persino a pensare che Gianni mi abbia invitato alla cena per mettermi davanti agli occhi questa realtà e vorrei disperatamente parlare con lui e chiederglielo, del resto è passata una settimana, magari ha smaltito l’astio furioso che ha scagliato contro di me come una pietra l’unica volta in cui mi sono azzardato a chiedergli qualcosa su E.; ma alla fine non ho il coraggio, mi dico che se è così lo scoprirò stasera stessa mentre una parte di me mi dà dell’idiota perché, in effetti, durante la festa non li ho mai visti da soli o appartati, ho solo notato che parlavano molto fra di loro. La sola idea che i miei sospetti da paranoico possano avere un fondamento, al momento, mi distrugge. Non con mio fratello, E., ti prego, non con lui. Io e Gianni ci mettiamo d’accordo per iniziare a pulire e mettere un po’ d’ordine in casa. Solitamente fa tutto lui, diciamo che si è ormai arreso e che, dopo il mio periodo in Erasmus, non mi chiede neanche più di aiutarlo ma lo faccio di mia iniziativa, stavolta. Lui mi guarda con una faccia a forma di punto interrogativo, evidentemente stupito. Io sorrido, dentro di me è spuntato un sole caldo e luminoso. Finalmente la rivedrò. Gianni è bravo a cucinare e mi dice cosa preparerà, io propongo di pensare all’aperitivo e dico che è necessario un tocco di Spagna, così preparerò sangria e tapas.
Lei
Non vado all’università da una settimana per non incontrarlo, ho saltato pure un paio di lezioni, mi vergogno da morire di quello che sto facendo ma va bene, non riesco a fare diversamente, pensavo di essere una persona adulta, ragionevole, pensavo soprattutto di essere guarita dal mio dolore ma la verità è che non è così. Non sono guarita o forse ho solo avuto una pesante ricaduta. Ho paura. Non so niente di L., eppure mi ha aperta in due, questo ragazzo mi ha squarciata, non saprei dire cosa è accaduto, l’unica cosa lucida che ho in testa è che quando l’ho guardato per la prima volta il tempo si è fermato, ne sono sicura, non ho più sentito nulla, nemmeno il battito del mio cuore. Nulla. E non ho mai smesso di pensare a lui in questi giorni, in maniera convulsa, frenetica, irrazionale, sentendomi una bambina, la più idiota bambina dell’intero globo terrestre. Ma la paura è stata più forte della voglia di rivederlo, credo che il mio terrore di stare male di nuovo sia più forte di qualsiasi altra cosa al mondo, è un istinto di autoconservazione, quella forma di istinto di sopravvivenza che è innato in tutti gli esseri viventi e non può essere contrastato davvero efficacemente da nulla. E così per una settimana sono rimasta a casa a studiare o a tentare di farlo per evitare alla radice la possibilità di incontrarlo con il rischio – per di più – che potesse essere da solo, mi sono nascosta come una vigliacca; certamente non posso pensare di restare chiusa in casa a tempo indeterminato, fino a quando il mio cuore non si sarà tranquillizzato, credo anche di dovermi rassegnare, in generale, alla sua presenza, considerato il fatto che è il fratello di uno dei miei più cari amici, che entrambi vivono nella stessa casa, che frequenta la mia stessa facoltà e che conosce il gruppo di persone che abitualmente frequento. Mi pare chiaro che devo trovare una soluzione più efficace dell’autosegregazione. Gianni mi ha cercata mercoledì non vedendomi in facoltà ma questo è il suo atteggiamento abituale, si preoccupa di come sto, mi chiede spesso se ho bisogno di qualcosa perché è una persona molto presente per me. Ovviamente non ho proferito parola su suo fratello e non credo neanche che L. gli abbia chiesto di me, in ogni caso Gianni non me lo direbbe. È uno dei pochi che conosce quasi tutto di me, conosce dove ero prima, chi ero prima, perché sono qui adesso, conosce il mio passato e io mi fido di lui ma non ho la forza di chiedergli nulla su L. perché ho paura della risposta. di una odiatissima tipologia di utenti, ovvero quelli che osservano ma non si espongono. L’ho trovata subito fra gli amici di Gianni, mi è bastato digitare solo il nome e così ho scoperto anche il cognome. La sua privacy è blindatissima perché vedo solo le foto del profilo e le immagini di copertina, oltre che pochissime informazioni che però mi aprono una piccola finestra sul suo mondo. La città natale è diversa da quella in cuivive, ovvero la mia, ha frequentato un’università diversa dalla nostra e ora è qui. Quindi ha cambiato città, ecco perché non l’ho mai vista prima in facoltà. Deve essersi trasferita in città da poco, certamente mentre io ero ancora a Barcellona. Sono rimasto per parecchio tempo come un ebete a guardare le poche foto visibili, una l’ho persino salvata sul cellulare, è quella utilizzata attualmente come foto del profilo, è in bianco e nero e io credo che ci si potrebbe innamorare di lei anche solo osservando questa foto. Guarda fuori dal finestrino di un treno, lo sguardo è assorto, lontanissimo, l’unico occhio che si vede è ben truccato, con una linea nera precisa sulla palpebra, la mano è poggiata sulla parte bassa del finestrino ma regge parzialmente anche il mento, la bocca sembra disegnata, i suoi ricci scostati dal viso riempiono una parte dell’inquadratura, lasciando vedere bene la guancia, lo zigomo. Credo che in questa immagine ci sia tantissimo di lei e non posso non conservarla. Mi chiedo chi ha scattato quella foto. Me la voglio proprio togliere dalla testa, eh? Già. Non sono molto coerente con le mie riflessioni notturne, non ho il coraggio di inviare alcuna richiesta di amicizia, mi sembrerebbe un messaggio fin troppo chiaro. è già sabato e non so nulla di lei, solo la vedo ovunque, dentro i miei libri, dentro le canzoni che ascolto, dentro i miei pensieri, mi sto convincendo che il mio non sia un vero interesse ma una sorta di fissazione irrazionale per cui devo solo rassegnarmi e aspettare che mi passi. Ci vorrà, evidentemente, un poco di tempo. Guardo gli occhi delle tante ragazze che ho sempre intorno e faccio il paragone con i suoi, sto perdendo la ragione per una quasi sconosciuta. Proprio mentre, tanto per cambiare, il mio pensiero è concentrato su di lei, mio fratello mi annuncia, come se fosse la cosa più normale del mondo, che ci sarà una cena da noi stasera, con altre cinque persone. Pronuncia, fra gli altri, il suo nome. Dentro di me sento una specie di fitta, come se mi fosse stato annunciato un imminente attacco nucleare, non ho ben capito se mio fratello mi sta invitando a partecipare a questa cena che si terrà a casa (anche) mia, ma poi guadandomi di sfuggita mentre esce dalla mia stanza mi dice: “Compri il vino?” e non ho bisogno di sapere altro. Sono le 12:11 ed E. sarà qui fra quanto? Otto ore? Sì, otto ore. Mi rendo conto che sto contando le ore, tutto questo non è da me, non sono io, faccio veramente fatica a riconoscermi, evidentemente ho dentro di me un ignoto ragazzino in fibrillazione per una cena, vorrei che questo essere scalpitante uscisse fuori da me, subito, cerco di controllarmi ma di nuovo mi assalgono pensieri angoscianti, come per esempio l’idea che fra lei e mio fratello possa esserci qualcosa. Arrivo persino a pensare che Gianni mi abbia invitato alla cena per mettermi davanti agli occhi questa realtà e vorrei disperatamente parlare con lui e chiederglielo, del resto è passata una settimana, magari ha smaltito l’astio furioso che ha scagliato contro di me come una pietra l’unica volta in cui mi sono azzardato a chiedergli qualcosa su E.; ma alla fine non ho il coraggio, mi dico che se è così lo scoprirò stasera stessa mentre una parte di me mi dà dell’idiota perché, in effetti, durante la festa non li ho mai visti da soli o appartati, ho solo notato che parlavano molto fra di loro. La sola idea che i miei sospetti da paranoico possano avere un fondamento, al momento, mi distrugge. Non con mio fratello, E., ti prego, non con lui. Io e Gianni ci mettiamo d’accordo per iniziare a pulire e mettere un po’ d’ordine in casa. Solitamente fa tutto lui, diciamo che si è ormai arreso e che, dopo il mio periodo in Erasmus, non mi chiede neanche più di aiutarlo ma lo faccio di mia iniziativa, stavolta. Lui mi guarda con una faccia a forma di punto interrogativo, evidentemente stupito. Io sorrido, dentro di me è spuntato un sole caldo e luminoso. Finalmente la rivedrò. Gianni è bravo a cucinare e mi dice cosa preparerà, io propongo di pensare all’aperitivo e dico che è necessario un tocco di Spagna, così preparerò sangria e tapas.