mercoledì 4 novembre 2020


CREDO CHE NON TI AMEREI TANTO
Boris Pasternak, Doctor Zhivago
"Credo che non ti amerei tanto se in te non ci fosse nulla da lamentare, nulla da rimpiangere. Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.
«E io, è proprio questa bellezza che intendo dire. Mi sembra che per vederla occorra un’immaginazione intatta, una sensibilità come primordiale. E questo mi è stato tolto. Forse avrei potuto avere una mia concezione della vita, se fin dai primi passi non l’avessi vista sotto l’influsso di uno che la rendeva volgare. Ma non basta: l’intromissione nella mia vita, allora appena agli inizi, di quella mediocrità, di quell’immorale, di quel gaudente è stata anche causa del fallimento del mio matrimonio con un uomo di grande valore, che mi amava profondamente e che corrispondevo allo stesso modo.»
«Aspetta. Di tuo marito mi parlerai poi. Ti ho già detto che io non sono geloso di una persona che sento eguale, ma soltanto di chi è inferiore a me. Non sono geloso di tuo marito. Ma quell’altro?»
«Quale altro’?»
«Quel viveur che ti ha rovinata. Chi era?»
«Un avvocato di Mosca, piuttosto noto. Era amico di mio padre e dopo la sua morte ha aiutato la mamma quando eravamo in miseria. Scapolo, ricco. Certo gli attribuisco un interesse eccessivo, ne esagero l’importanza, a denigrarlo tanto. E’, del resto, un fenomeno comune. Se vuoi ti dico come si chiama.»
«Non importa. Lo so. Una volta l’ho visto.»
«Davvero?»
«Una volta, in un albergo, tua madre ave va tentato di avvelenarsi. Una sera tardi. Noi eravamo ancora ragazzi, al ginnasio.» «Ah, sì, mi ricordo. Voi stavate nel corridoio dell’albergo, al buio. Forse mi sarei dimenticata di questa scena, ma tu me l’hai fatta ricordare già un’altra volta; mi pare a Meljuzeev.»
«C’era Komarovskij allora.»
«Davvero? E’ possibilissimo. Era facile trovarmi con lui. Eravamo spesso insieme.»
«Perché sei arrossita?»
«Sentendo il suono della parola Komarov skij sulle tue labbra. Perché non ci sono abituata: è stato così inaspettato.»
«Insieme a me c’era un mio compagno, un ragazzo della mia classe. All’albergo mi disse che lui aveva riconosciuto in Komarovskij l’uomo che già una volta aveva visto per caso, in circostanze eccezionali. Una volta, durante un viaggio, lui, Michaìl Gordon, era stato testimone oculare del suicidio di mio padre, un industriale ricchissimo. Misha viaggiava nello stesso treno. Mio padre si gettò dal treno per uccidersi e infatti morì. Viaggiava in compagnia di Komarovskij che era suo legale. Komarovskij lo faceva bere, im brogliava i suoi affari e lo portò alla bancarotta, spingendolo sulla via del suicidio. E’ lui il responsabile della sua morte, ed è per lui che sono rimasto orfano.» «Incredibile. Che coincidenza sorprendente! Possibile che sia vero? E così è stato anche il tuo cattivo genio? Questo ci unisce ancora dì più! Sembra una predestinazione!»
«Ecco di chi sono geloso in modo folle, irrimediabile.»
«Che dici? Non solo non lo amo, ma lo detesto.»
«Credi di conoscerti così bene? La natura umana e specialmente quella femminile è così ambigua e contraddittoria! Forse tu sei succube di lui più di qualunque altro che pure ami di tua spontanea volontà, liberamente.»
«E’ terribile quello che hai detto. E come al solito hai colto nel segno, tanto che quest’assurdità contro natura mi sembra vera. Ma è spaventoso allora!»
«Stai tranquilla. Non mi dare retta. Volevo dire che nei tuoi confronti io sono geloso di ciò che è oscuro, inconscio, che non si può spiegare, né capire. Sono geloso degli oggetti della tua toeletta, delle gocce di sudore sulla tua pelle, delle malattie che sono nell’aria e che possono attaccarsi a te e avvelenare il tuo sangue. E, come di un’infezione di questo genere, sono geloso di Komarovskij, che un giorno ti strapperà a me, così come un giorno la mia o la tua morte ci dividerà. Lo so, tutto questo ti deve sembrare un oscuro groviglio. Ma non so dirlo in maniera più comprensibile e chiara. Ti amo follemente, da perdere la ragione, senza limiti.»
«Dimmi qualcosa più di tuo marito. ‘Nel libro del destino noi siamo nella stessa riga,’ come dice Shakespeare.»
«Dove?»
«In «Romeo e Giulietta».»
«Ti ho parlato molto di lui a Meljuzeev, quando lo cercavo. E poi qui, a Jurjatin, durante i nostri primi incontri, quando mi raccontasti che voleva arrestarti nel suo treno speciale. Mi sembra di averti raccontato, o forse no ed è solo una mia impressione, di averlo visto una volta da lontano, mentre saliva in macchina. Non puoi immaginare com’era scortato! Non mi è parso affatto cambiato. Sempre lo stesso bel viso onesto, deciso, il più onesto di tutti i visi che io abbia visto. Non un’ombra d’affettazione, un carattere virile, senza la minima posa. Così era sempre stato e così è rimasto. Tuttavia ho notato un cambiamento che mi ha allarmata. Come se qualcosa di astratto fosse entrato in quella fisionomia e l’avesse fatta sfiorire. Il suo volto umano, vivo, era diventato una personificazione, un principio, la raffigurazione di un’idea. E osservandolo ho sentito stringermi il cuore. Ho compreso che tutto ciò era la conseguenza di quelle forze cui s’era votato, forse grandiose, ma fatali e spietate, che un giorno non avranno pietà nemmeno di lui. Mi è sembrato che fosse come segnato, che portasse il marchio di una condanna. Ma forse ingarbuglio un po’ tutto, forse sono le tue stesse parole che mi si sono impresse, quando mi hai descritto il vostro incontro. Oltre alla comunanza dei nostri sentimenti, io prendo da te tante altre cose!»
«Ma via. Parlami di voi prima della rivoluzione.»
«Da bambina, prestissimo, io ho cominciato a sognare la purezza. Lui ne era la personificazione. Sai, abitavamo quasi nello stesso cortile, io, lui e Galiullin. Io ero la sua passione infantile. Quando mi vedeva si sentiva venir meno, gli si gelava il sangue. Forse non sta bene che racconti questo, lo so. Ma sarebbe peggio se fingessi di non saperlo. Ero la sua passione di ragazzo, quella passione che rende schiavi e di solito si tiene celata, perché l’orgoglio infantile non permette di confessarla, e tuttavia è dipinta sul viso, è palese a tutti. Diventammo amici. Ma lui e io siamo tanto diversi quanto io sono uguale a te. Fin da quel tempo lo scelsi col cuore. Decisi di unire la mia vita con quel meraviglioso ragazzo non appena ci fossimo fatti strada e fin d’allora mi fidanzai mentalmente con lui. Pensa alle sue doti, quante ne ha! Straordinarie! Figlio di un semplice scambista o cantoniere, con la sua sola intelligenza e con un tenace lavoro, ha raggiunto - stavo per dire il livello, ma è più giusto le vette - della scienza universitaria in due campi, la matematica e la filologia. Non è una cosa da niente!»
«E allora che cosa ha guastato la vostra armonia, sevi amavate tanto?»
«Ah, com’è difficile rispondere! Cercherò di spiegarmi. Ma è strano che debba esser io, una donna qualunque, a spiegare a te, cosi intelligente, che cosa succede nella vita in genere, nella vita russa, e perché crollano le famiglie, la mia come la tua! Ah, non si tratta delle persone, dell’affinità o meno dei caratteri, di amore o di disamore; ma tutto ciò che è costruito e organizzato, tutto ciò che richiama alla vita domestica, al nido familiare, al suo ordine, tutto è andato in malora col rivolgimento dell’intera società e col suo riassetto. Tutto quello che apparteneva alla vita quotidiana è stato travolto e distrutto. E’ rimasta soltanto la forza, senza radici, non legata alla vita d’ogni giorno, di un nudo, completamente spoglio richiamo del cuore per il quale nulla è mutato, perché in tutti i tempi ha sentito freddo, ha tremato e si è proteso verso il suo immediato vicino, altrettanto spoglio e solo. Tu e io siamo come i due primi uomini, Adamo ed Eva, i quali non avevano nulla per coprirsi al principio del mondo: ora alla sua fine, siamo egualmente spogli e senza tetto. Noi due siamo l’ultimo ricordo di ciò che è stato creato al mondo di incommensurabilmente grande nelle molte migliaia di anni intercorse fra loro e noi, ed è in memoria di tali prodigi scomparsi che noi respiriamo e amiamo, e piangiamo, e ci attacchiamo l’uno all’altra, stringendoci.» 
Dopo una lunga pausa, continuò in tono più pacato:
«Ti dirò: se Strèl’nikov diventasse nuovamente Pàshenka Antipov, se smettesse di commettere follie e di ribellarsi, se il tempo tornasse indietro, se in qualche posto lontano, al confine del mondo, per un miracolo, si accendesse la finestra della nostra casa con la lampada e i libri sulla scrivania di Pasha, credo che ci andrei strisciando sulle ginocchia. Tutto in me fremerebbe. Non potrei resistere al richiamo dei passato, al richiamo della fedeltà. Gli sacrificherei tutto. Anche ciò che ho di più caro, te. E la mia intimità con te, così viva, spontanea, naturale. Oh, scusa! Non volevo dir questo. Non è vero.»
Gli si buttò al collo e scoppiò in singhiozzi. Si riprese presto e asciugandosi le lacrime esclamò:
«E’ la stessa voce del dovere che spinge te verso Tonja. Signore, come siamo miseri! 
Che sarà di noi? Che dobbiamo fare?» Quando si fu calmata, continuò:
«Ma ancora non ti ho detto come sia finita la nostra felicità. Eppure in seguito l’ho capito così bene. Ti racconterò e non si tratterà soltanto di noi. E’ stato il destino di molti.»
«Parla, piccola sapiente.»
«Ci sposammo poco prima della guerra, due anni prima. Avevamo appena cominciato a vivere a modo nostro, nella nostra casa, quando venne la guerra. Ora sono convinta che è stata la guerra la colpa di tutto, di tutte le sventure che ancora oggi colpiscono la nostra generazione. Ricordo bene la mia infanzia. In quell’epoca erano ancora in vigore le concezioni del pacifico secolo precedente. Si usava affidarsi alla voce della ragione. Si riteneva naturale e necessario ciò che suggeriva la coscienza. La morte di un uomo per mano di un altro era un caso raro, straordinario, un fenomeno che usciva dai binari del consueto. Si credeva che gli omicidi esistessero solamente nelle tragedie, nei romanzi gialli e nella cronaca dei giornali, non nella vita normale.
«E, a un tratto, questo salto da una regolarità placida e innocente nel sangue e nei gemiti, nella follia generale e nella barbarie dell’omicidio di ogni giorno e di ogni ora, legalizzato ed esaltato. Sono cose che non succedono impunemente. Tu forse ricordi meglio di me come tutto, in un momento, abbia cominciato ad andare in disfacimento: il funzionamento dei treni, il rifornimento delle città, le basi dell’armonia familiare, i fondamenti morali della coscienza.»
«Continua. So quel che dirai ora. Come hai capito tutto! E’ un piacere ascoltarti!» «Allora sulla terra russa venne la menzogna. Il male peggiore, la radice del male futuro fu la perdita della fiducia nel valore della propria opinione. Si credette che il tempo in cui si seguivano le suggestioni del senso morale fosse passato, che bisognasse cantare in coro e vivere di concetti altrui, imposti a tutti. Cominciò a estendersi il dominio della frase, prima in veste monarchica, poi rivoluzionaria. Questo traviamento della società coinvolse tutto, contagiò tutto. Ogni cosa ne subì l’influenza. Nemmeno la nostra casa rimase immune. Qualcosa si frantumò. Invece della viva spontaneità che aveva sempre regnato da noi, anche nei nostri discorsi penetrò un po’ di quella sciocca mania declamatoria, l’artificioso bisogno di impegnarsi a discettare sui grandi temi mondiali, ritenuti d’obbligo per tutti. Poteva un uomo d’animo così fine ed esigente con se stesso come Pasha, il quale sapeva con esattezza distinguere la sostanza dall’apparenza, passare accanto a questa falsità che s’era insinuata fra noi e non accorgersene? E proprio a questo punto commise un errore fatale, che decise di tutto. Prese il segno dei tempi, il male sociale, per un fenomeno familiare. Attribuì l’innaturalezza del tono, l’ufficiale artificiosità dei nostri ragionamenti a se stesso, e si giudicò arido, mediocre, un ‘uomo nell’astuccio’ . A te probabilmente sembrerà inverosimile che tali sciocchezze potessero avere un peso nella nostra vita. Non puoi immaginare invece quanto fossero importanti, e quante follie abbia commesso Pasha per questo. Partì per la guerra, cosa. che nessuno gli chiedeva di fare. E lo fece per liberare noi della sua presenza, della sua immaginaria oppressione. Qui ebbe inizio la sua follia. Con un orgoglio giovanile male indirizzato, si era sentito offeso da qualcosa della vita, per cui di solito non ci si offende. Cominciò a prendersela col corso degli avvenimenti, con la storia. Cominciarono i suoi dissapori con essa. Ancora oggi sta facendo i conti con la storia. Di qui le sue provocatorie follie. Per questa sciocca ambizione va verso una sicura rovina. Oh, se potessi salvarlo!»
«In che modo incredibilmente puro e forte lo ami! Amalo, amalo pure. Non sono geloso di lui, non voglio frappormi tra voi.»