Il vero significato di ''Halleluja'' di Leonard Cohen: uno sprezzante atto di infinita superbia nei confronti di Dio
Ha pubblicato “Yehoshua ben Yosef detto Gesù – La sua vera storia – la forza delle sue idee”, “Il Vangelo Segreto di Gesù”, “Gesù di Betlemme” e “Il Ritorno alla Casa di Israele (il Noachismo)”
In questi giorni natalizi mi è più volte capitato di sentire alla radio, o in concerti in Tv, la bellissima canzone “Hallelujah” di Leonard Cohen. Brano che molto spesso viene cantato in Chiesa e anche in Vaticano, al quale si tende, d’istinto, ad attribuire un valore quasi “liturgico”, abbinando la parola “Halleluja” alla nascita di Gesù a Betlemme nella Notte Santa.
“Halleluja” è infatti una parola che richiama sentimentalmente l'immagine dei pastori all’aperto con gli angeli in cielo che la cantano, illuminati dalla stella cometa, davanti alla capanna, con Giuseppe, Maria, il bambinello, l’asino e il bue, nella mangiatoia e con i Re Magi in arrivo. Indubbiamente una delle più belle immagini della tradizione cristiana. La sacralità quindi dell’invocazione “Hallelujah”, inserita in questa splendida ed oramai “universale” ballata, ha fatto sfuggire ai più il contenuto del testo (quindi il suo significato) scritto nel 1989 dall’ebreo-canadese Cohen e inserito, quasi per caso, nell’Lp intitolato “Various Position”, che all’epoca passò del tutto inosservato.
Tanto inosservato che se non fosse stata reinterpretata nel 1991
“Yah” è infatti la forma abbreviata di “Yhwh”, il Tetragramma Ebraico. Tetragramma deriva dal greco “tetragràmmaton”: τέτρα (che vuol dire “quattro”) e “γράμματα” (che significa “lettere”). E’ dunque la sequenza delle quattro lettere ebraiche che compongono il nome proprio di Dio, che per gli ebrei è troppo sacro per essere nominato o scritto per intero.
E passiamo subito al testo, che è un dialogo fra Cohen (nei panni del Re David) e Dio. Testo particolarmente complesso, in quanto riporta citazioni della Torah (la Bibbia Ebraica), ai più del tutto sconosciute.
Prima strofa:
Significato
Cohen parte con un brano che si trova nella Bibbia in “Samuele”. Il giovane David suona la cetra per far guarire Saul, che era il Re di Israele. Si legge infatti: “Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito sovrumano si ritirava da lui” (Davide a sua volta diventò Re di Israele alla morte di Saul). Rembrandt rappresenta stupendamente questo momento nel suo “Saul e Davide”, che dipinse tra il 1651 e il 1658. Cohen rivolgendosi a Dio, lo apostrofa dicendogli: “Ma a Te non interessa molto della musica, non è vero?”, sottintendendo che a Dio non interessano molto le “questioni terrene”.
Prosegue così la canzone:
Il Re adesso è David (salito al trono, come abbiamo detto, dopo Saul), meravigliato perché si trova a comporre, senza rendersene conto, proprio l’Alleluja, ovvero un’invocazione a Dio. Ma il “David” che Cohen cita adesso, vuol essere anche se stesso. Anche lui infatti è meravigliato per lo stesso motivo, per aver composto l’Halleluja con un Dio disinteressato alla musica.
Qui Cohen, ricorrendo sempre ad un brano biblico di Samuele ci dice che Davide, nonostante sia il più importante Re di tutta la storia di Israele e nonostante la sua fede sia incrollabile, sale sulla terrazza della reggia e di lì vede Bath-Sheba (Betsabea), moglie di Uria l’Ittita (un guerriero al suo servizio proveniente da Hatti in Asia Minore), fare il bagno. Scrive infatti così il Testo Sacro: “Al tempo in cui i re sogliono andare in guerra Davide rimasto a Gerusalemme, un tardo pomeriggio, alzatosi dal letto si mise a passeggiare sulla terrazza e vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò ad informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: è Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Urìa l’Hittita”.
David, preso da un infinito ardore “carnale” di fronte a quella vista, dimenticando il suo ruolo e la sua
A seguito di ciò la Bibbia ci dice che Dio decise di perdonare David per il suo peccato, ma decretò la morte di quel figlio nato illegalmente.
Va avanti così la canzone:
In queste parole Cohen, identificandosi ancora con Davide, si rivolge di nuovo a Dio. Questa volta in modo ancor più superbo e direi del tutto oltraggioso, dicendogli “apertis verbis” che pensa che a Lui poco gli importi se gli uomini sanno o non sanno che Lui esiste. Cosa cambierebbe infatti per Dio nell’una o nell’altra ipotesi, tenuto conto che per Cohen è così poco interessato alle vicende umane? Ecco allora che Cohen ci dice che quello che invece conta per lui non è se Dio esiste o non esiste, quello che conta davvero per lui sono le parole, la poesia, le emozioni: vere “onde di luce”. Ed è proprio la forza delle parole e delle emozioni che sono in grado di trasformarsi in un autentico Halleluja. E non importa se è un’invocazione “disperata”, quindi umana e corrotta, oppure “sacra”.
Dopo quel tremendo atto di superbia di fronte a Yahveh (Dio), Cohen rimette i piedi per terra e dichiara - sempre a Dio, i suoi limiti affermando: “Ti ho detto quello che io penso sia la verità. E non l’ho detto per prenderti in giro”. E torna così ad immedesimarsi di nuovo con Davide, che spossessatosi sia del suo alto rango che dei suoi sentimenti religiosi , ha dato retta alla “carne”, commettendo un adulterio. Ma nonostante tutto sia finito male, con la morte del figlio (per volontà di Yahveh), che è nato da quel rapporto “impuro”, Cohen dice ugualmente e rabbiosamente che comunque, se anche a lui andrà male, gli rimarrà sempre il “Dio della Musica”, nella sua voce che canta Halleluja.
Ecco quindi che la tanto ieratica e “cristiano-liturgica” canzone “Halleluja”, altro non è che uno sprezzante atto di infinita superbia nei confronti di Dio. E’ quindi indubbiamente una canzone brutalmente “blasfema”, sia per gli ebrei che per i cristiani ''osservanti'' ma suona bene.