OGNI COSA È ILLUMINATA
Jonathan Safran Foer
Recensione
P.b.
Romanzo di non facile lettura perché occorre capire la vicenda narrata attraverso diversi piani temporali e fra due voci narranti. Dei due piani temporali, il primo ha per oggetto la ricostruzione storica dell’origine dello shtetl ucraino di Trachimbrod e della sua distruzione totale per mano nazista, il secondo invece narra l’arrivo del protagonista Jonathan in Ucraina a cercare le tracce della donna che potrebbe aver salvato suo nonno dall’eccidio che rase al suolo quello sperduto villaggio di Trachimbrod.
La chiave di lettura di questo romanzo credo sia proprio tra le sue pagine: "il buffo è l'unico modo veritiero di raccontare una storia triste". Leggendolo ci si fa coinvolgere dall'umorismo e dalla stravaganza dei protagonisti, la cui convivenza 'forzata' durante i primi giorni del viaggio dà luogo a dialoghi molto divertenti.
Ma poi il viaggio nel presente s'intreccia col viaggio nel passato, per spiegare a tutti il motivo per cui quel villaggio ora non esiste più, completamente cancellato. È necessario che "ogni cosa sia illuminata" perché oscurando i ricordi, anche quelli più laceranti, della propria vita, non si riesce ad alleviare il dolore dell'anima. Più si cerca di non ricordare il passato, più il passato spinge per riaffiorare.
Non è indubbiamente un libro facile da portare a termine soprattutto, perché è facile perdersi, rimanere spaesati, proprio come accade ai protagonisti. Ma la lettura ti cattura se ti lasci emozionare dalla poesia di certe pagine, dal potere sconvolgente dei ricordi attraverso le parole con cui vengono raccontati, nella loro travolgente intensità.
OGNI COSA È ILLUMINATA
PROLOGO AL COMINCIAMENTO DI UN MOLTO RIGIDO VIAGGIO.
Il mio nome per la legge è Alexander Perchov. Ma tutti i miei amici mi chiamano Alex, perché è una versione del nome più flaccida da pronunciare. Mia madre mi chiama Alexi-basta-di-ammorbarmi perché sempre la ammorbo. Se volete sapere perché sempre la ammorbo, è perché sempre sono in altri posti con amici, e seminando tanta moneta e eseguendo così tante cose che possono ammorbare mia madre. Mio padre mi chiamava Shapka per il cappello di pelliccia che calzavo in testa anche nei mesi d'estate. Poi ha smesso di dirmi così perché gli ho ordinato di smettere di dire così. Mi sembrava un nome bambinoso, e io invece mi sono sempre pensato un uomo molto potente e inseminativo. Ho avuto una baldoria di ragazze, credetemi, e tutte per me hanno un nome differente. Una mi chiama Baby non perché sono bambino, ma perché mi fa le coccole.
Un'altra mi chiama Tutta-la-Notte. Volete sapere perché? Ho una ragazza che mi chiama Moneta perché attorno a lei spargo così tanta moneta. Che per questo bacia il terriccio dove metto i piedi. Ho anche un minuscolo fratellino, che mi chiama Alii. Io non sfagiolo troppo questo nome, ma sfagiolo molto lui, e allora okay, gli permetto di darmi il nomuncolo Alii. Ah, il suo nome è Piccolo Igor, ma il Babbo lo chiama Pasticciotto, perché sta sempre a pasticciare con le cose. Solo quattro giorni sono passati che si è fatto un occhio blu per un pasticcio con il muro di mattoni. Se siete curiosi per il nome della mia cagnetta, è Sammy Davis Junior Junior. Lei porta questo nome perché Sammy Davis Junior era il cantante preferito del Nonno e la cagnetta è sua, non mia perché non sono io quello che crede che il Nonno è cieco.
Io per me sono stato procreato nel 1977, l'anno uguale dell'eroe di questa storia. In verità, la mia vita è stata molto normale. Come ho detto già prima, faccio tante buone cose da solo e con gli altri, ma sono cose normali. Io sfagiolo i film americani. Sfagiolo i negri, soprattutto Michael Jackson. Sfagiolo di seminare molta moneta in famosi nightclub di Odessa. Le Lamborghini Countach sono bellissime cose, e anche il cappuccino. Molte ragazze vogliono essere carnali con me in tante bellissime maniere, in fattispecie il Canguro Ubriaco, la Stalattite di Gorky e il Guardiano Severo dello Zoo. Se volete sapere perché così tante ragazze vogliono stare con me, è perché io sono una molto pregiata persona. Sono alla buona, e anche simpatico: e queste sono carte vittoriose. Però io conosco molte persone che sfagiolano le automobili veloci e le famose discoteche. Ce n'è tanti che eseguono un amoreggiamento Sputnik-polmoni - che sempre termina in viscideria - che non potrei contarli tutti sulle mie mani. Ci sono anche tanti che si chiamano Alex. (Tre solo in casa mia!) Per questo ero così effervescente per andare a Lutsk e fare l'interprete per Jonathan Safran Foer. Una cosa diversa.
Nel mio secondo anno di università di inglese ho fatto paurosamente bene. Questa era una cosa molto imponente che ho fatto, dato che il mio istruttore aveva il cervello ripieno di merda. Mamma era talmente orgogliosa di me, che ha detto: «Alexi-basta-di-ammorbarmi! Sono talmente orgogliosa di te». Io le ho chiesto di comprarmi i calzoni di pelle, ma ha detto no. «Calzoncini?» «No.» Anche il Babbo era fiero. Lui ha detto: «Shapka» e io ho risposto: «Non chiamarmi così» e lui ha detto: «Alex, tua madre è orgogliosa di te».
Mia madre è una donna umile. Molto umile, umilissima. Lei affatica in un piccolo caffè a un'ora da casa nostra. Porta il mangiare e il bere ai clienti del caffè e a me dice: «Io monto sull'autobus un'ora per andare a lavorare tutto il giorno e fare cose che odio. Vuoi sapere perché? Per te, Alexi-basta-di-ammorbarmi. Un giorno farai per me cose che hai in odio. E' questo che vuol dire essere una famiglia». Quello che lei non acchiappa è che io faccio già per lei cose che odio. La ascolto quando parla con me. Mi trattengo di lamentarmi della mia paga pigmea. E ho già menzionato che la ammorbo molto meno di quello che avrei voglia? Però non faccio queste cose perché siamo una famiglia. Le faccio perché è comune pudore. Comune pudore è un modo di dire che mi ha insegnato l'eroe. Le faccio perché non sono uno stronzo malcagato. Questo è un altro modo di dire che mi ha insegnato l'eroe.
Il Babbo lavora per un'agenzia dei viaggi che si chiama Viaggi Tradizione. E' fatta per gli ebrei come l'eroe, che ambiscono a venire via da quel nobile territorio, l'America, e visitare umili cittadine in Polonia e Ucraina. L'agenzia del Babbo ha traduttore, guida e autista per ebrei che cercano di disseppellire i posti dove esistevano le loro famiglie. Okay, io prima del viaggio mai avevo conosciuto personaggi ebrei. Ma questa era colpa loro, non colpa mia, perché lo avrei sempre voluto: che anzi potrei quasi dire che mi sconfinferavo di conoscere uno di loro. Sarò ancora verace e dirò che prima del viaggio avevo idea che gli ebrei hanno il cervello ripieno di merda. Questo perché tutto quello che sapevo degli ebrei era che pagavano al Babbo tantissimi soldi per venire in vacanza dall'America in Ucraina. Ma dopo ho conosciuto Jonathan Safran Foer e, io vi dico, non è ripieno di merda. Lui è un ebreo geniale.
A proposito di Pasticciotto, che io mai chiamo Pasticciotto, ma sempre Piccolo Igor, è un ragazzetto di prima classe. Adesso vedo bene che diventerà un uomo potentissimo e inseminatore, e il suo cervello avrà un mucchio di muscoli. Noi non parliamo un'esagerazione perché lui è molto silente, ma sono certo che siamo amici e non penso di dire falsità quando scrivo che siamo amicosissimi. Io sono stato la guida del Piccolo Igor per diventare uomo in questo mondo. Per esempio, tre giorni fa gli ho manifestato una sudicia rivista dove poteva ammirare tante posizioni della mia carnalità. «Questo è il sessantanove» gli ho spiegato mentre aprivo la rivista davanti i suoi occhi. Ho messo le dita - due mie dita - sopra il traffico, così che non sbirciava. «Come mai lo intitolano sessantanove?» ha chiesto lui, perché è un ragazzo incendiato di curiosità. «Perché è stato inventato nel 1969. Il mio amico Gregory conosce un amico del nipote dell'inventore.» «E prima del 1969, prima cosa faceva la gente?» «Solo pompini e biascicamento, ma mai in coro.» Se posso mettere la mano su di lui, diventerà un vip.
E' a questo punto che comincia la storia.
Ma prima mi tocca il gravame di raccontare il mio bell'aspetto.
Indubitabilmente sono di alta statura. Non conosco nessuna donna più alta di me. Le donne che conosco che sono più alte sono lesbiche, per loro l'anno 1969 è stato fondamentale. Ho capelli stupendi che sono separati nel mezzo. Questo perché la Mamma usava farmi il rigo da una parte quando ero bambino, e io per ammorbarla mi faccio il rigo in mezzo. «Alexi-basta-di-ammorbarmi» mi ha detto lei, «con quel rigo così sembri uno squilibrato demente.» Ma non voleva mica offendere. Tante volte la Mamma emana cose che io so che lei non intende. Io ho un sorriso aristocratico, e sfagiolo di dare pugni alle persone. Il mio stomaco è fortissimo, anche se oggi come oggi manca una muscolatura. Il Babbo è un uomo grasso e anche la Mamma. Questo non mi inquieta, perché il mio stomaco è foltissimo anche se a vederlo è molto grasso.
Descriverò i miei occhi, e dopo comincio la storia. I miei occhi sono azzurri e luminosi. Ora comincio la storia.
Il Babbo ha avuto una chiamata telefonica dall'ufficio americano di Viaggi Tradizione. Gli domandavano un pacchetto autista-guida-interprete per un giovane uomo che arrivava a Lutsk all'alba del mese di luglio.
Qui c'era una richiesta di molto impegno, perché all'alba del mese di luglio l'Ucraina doveva celebrare il suo primo compleanno della costituzione ultramoderna che ci fa sentire molto nazionalisti e perciò tanti sarebbero stati in vacanza per paesi stranieri. Era una situazione impossibile, come per le Olimpiadi del 1984. Ma il Babbo è un uomo di soggezione che ha sempre quello che vuole. «Shapka» mi ha detto al telefono mentre ero in casa per guardare il più grande documentario mai fatto, The Making of «Thriller», «che lingua hai studiato quest'anno nella scuola?» «Non mi chiamare Shapka» gli ho risposto. «Alex... che lingua hai studiato quest'anno nella scuola?» mi ha chiesto. «La lingua inglese» gli ho risposto. «E tu sei pronto e capace in inglese?» «Sono fluido» gli ho detto, sperando che questo lo emozionasse abbastanza per comprarmi i coprisedili in pelo di zebra che sono il mio sogno. «Ottimo, Shapka» ha detto. «Non mi chiamare in questo modo» ho detto. «Ottimo, Alex. Ottimo. Tu devi maciullare qualunque progetto che hai per la prima settimana del mese di luglio.» «Io non ho dei progetti» ho risposto.
«Sì, tu ne hai.» Ora è il momento adatto per parlare del Nonno, che è anche lui grasso, ma ancora più grasso che i miei genitori. Okay, parlo di lui. Ha i denti d'oro e si fa crescere vasti capelli sulla faccia da pettinare ogni giorno all'imbrunire. Per cinquantanni ha lavorato e ha fatto tanti mestieri, in un primo tempo in agricoltura, e dopo anche nel manovramento macchine. Il suo ultimo mestiere è stato nei Viaggi Tradizione, dove ha iniziato a affaticare negli anni cinquanta e ha perseverato fino a tardi. Ma ora lui è in pensione e abita nella nostra via. La Nonna è morta due anni fa per il cancro al cervello, e il Nonno è diventato molto melanconico, e anche cieco, lui dice. Il Babbo non gli crede ma nondimeno gli ha comperato Sammy Davis Junior Junior perché una cagna vedente non è solo per le persone cieche ma anche per le persone che si addolorano per il negativo della solitudine. (Non avrei dovuto mettere «comperato» perché in vero il Babbo non ha comperato Sammy Davis Junior Junior, ma soltanto l'ha avuta dalla casa dei cani dimentichi. A causa di questo, lei non è una cagna veramente per ciechi, ed è anche debosciata mentale ) Il Nonno disperde grande parte della giornata in casa nostra adocchiando la televisione. Molto spesso mi sgrida. Grida: «Sasha! Sasha, non essere così pelandrone! Non essere così inutile! Fai qualcosa! Fai qualcosa che serve!» Io mai ribatto, mai lo ammorbo di sproposito, e mai capisco che cosa vuol dire che serve. Lui non aveva l'usanza mal-mostosa di gridare contro il Piccolo Igor e contro di me prima che la Nonna morisse. E' così che siamo sicuri che lui non fa apposta, ed è per questo che possiamo perdonarlo. Una volta l'ho scoperto a piangere davanti alla televisione. (Jonathan, questa parte sul Nonno deve restare in mezzo fra te e me, eh?) Emanavano le previsioni del tempo, per questo ero sicuro che non era qualcosa di melanconico nella televisione che lo faceva piangere. Io mai ho menzionato questo perché non menzionarlo è comune pudore.
Alexander è il nome anche del Nonno. Per supplemento è anche il nome del Babbo. Noi siamo tutti figli primogeniti delle nostre famiglie, questo ci dà un onore favoloso, a livello dello sport del baseball che è stato inventato in Ucraina. Io chiamerò il mio primogenito Alexander. Se volete sapere cosa succede se il mio primo è una bambina, ve lo dirò.
Lui non sarà una bambina. Il Nonno è nato in Odessa nel 1918. Lui non è mai dipartito dall'Ucraina. Il posto più lontano dove ha viaggiato è stato Kiev, ed è quando mio zio ha maritato La Vacca. Quando io ero bambino il Nonno insegnava che Odessa è la più bella città del mondo perché la vodka si compra a buon mercato e altrettanto le donne. Lui fabbricava panzane con la Nonna, prima che lei morisse, di essere innamorato di altre donne che non erano lei. Lei sapeva che erano solo panzane perché rideva a tutto gas. «Anna» diceva lui, «io sposerò quella con il cappellino rosa.» E lei rispondeva: «E a chi la sposerai?» «A me.» Io straridevo sul sedile di dietro e la Nonna diceva: «Ma tu non sei un prete». E lui: «Oggi lo sono». E lei: «Oggi credi in Dio?» E lui diceva: «Oggi credo nell'amore». Il Babbo mi ha ordinato di non nominare mai Nonna a Nonno. «Diventa melanconico, Shapka» diceva il Babbo. «Non mi chiamare così.» «Lo rende melanconico, Alex, e gli farà credere che è più cieco. Fai in modo che dimentichi.» Così non nomino mai la Nonna perché io faccio sempre quello che dice il Babbo, a meno che non lo voglia. E poi, lui tira pugni di prima classe.
Dopo avere parlato con me, il Babbo ha telefonato al Nonno per informarlo che sarebbe stato lui l'autista del nostro viaggio. Se volete sapere chi era la guida, la risposta è che la guida non c'era, Il Babbo dice che la guida non era necessaria, perché il Nonno sapeva un disastro di cose dopo tutti i suoi anni ai Viaggi Tradizione, Il Babbo lo intitolava un esperto. (Quando ha detto questo, sembrava una cosa molto ragionata da dire. Ma cosa ne pensi adesso, Jonathan, alla luminosità di quello che è successo?)
Quando noi tre - i tre con il nome di Alex - quella sera ci siamo adunati in casa del Babbo per conversare del viaggio, il Nonno ha detto: «Io non voglio andare. Sono a pensione, e non sono andato a pensione per dover fare queste troiate qui. Io, basta di queste cose». «Io mi fotto di quello che tu vuoi» gli ha detto il Babbo. Il Nonno ha dato un pugno nel tavolo molto violentemente e ha gridato: «Non dimenticarti con chi parli!» Ho creduto che qui fosse la fine della conversazione. Ma il Babbo ha detto una cosa molto strana: «Per piacere». E dopo ha detto una cosa ancora più strana: «Babbo». Io devo confessare che ci sono tante cose che non capisco. Il Nonno è ritornato alla sua sedia e ha detto: «Questa è l'ultima volta. Non lo farò mai più».
Così abbiamo complottato di pigliare l'eroe alla stazione di Lvov il 2 di luglio alle 15:00 di pomeriggio. Poi per due giorni rimanevamo nella zona di Lutsk. «Lutsk?» ha detto il Nonno. «Tu non hai detto che era Lutsk.» «Lutsk» ha ripetuto il Babbo. Il Nonno si è impensierito. «Sta cercando la città da dove veniva suo nonno» ha detto il Babbo «e una donna che lui chiama 'Augustine', che ha salvato suo nonno nella Guerra.
Lui vuol scrivere un libro sul villaggio di suo nonno.» «Oh» ho detto io, «allora è intelligente?» Il Babbo ha negato: «No, il suo cervello è di bassa qualità. L'ufficio americano informa che telefona tutti i giorni e fabbrica richieste da tontolone che devono trovargli il cibo adatto». «Di sicuro ci saranno salsicce» ho detto io. «Di sicuro» ha detto il Babbo. «Lui è solo un babbeo.» Invece qui ripeto che l'eroe è un ebreo molto geniale. «Dove si trova la città?» ho domandato. «Il nome della città è Trachimbrod.» «Trachimbrod?» ha chiesto il Nonno. «E' vicino a Lutsk, a cinquanta chilometri» ha detto il Babbo. «Lui ha la mappa, e ha padronanza delle coordinate. Dovrebbe essere facile.» Io e il Nonno abbiamo osservato la televisione per qualche ora dopo che il Babbo è andato a coricarsi. Siamo persone che restano alzate molto tardivamente. (Ero lì lì per scrivere che godiamo tutti e due di essere molto tardivi, ma questo non sarebbe fedele.) Abbiamo osservato un programma della televisione americana con parole in russo sottoscritte allo schermo. Parlava di un cinese musogiallo che era molto abile con il bazooka. Abbiamo anche osservato la previsione del tempo. L'uomo del tempo diceva che il tempo di domani era molto anormale ma il giorno dopo ritornava normale. Fra il Nonno e me c'era un silenzio che lo potevi tagliare con la scimitarra. L'unica volta che uno ha parlato è stato quando lui è ruotato verso di me durante una pubblicità di McDonald's McPorkburgers e ha detto: «Io non voglio guidare dieci ore verso una bruttissima città per fare il tirapiedi di un viziatissimo ebreo».
CAPITOLO 1. IL PRINCIPIO DEL MONDO GIUNGE SPESSO.
Era il 18 marzo 1791 allorché Trachim B fu bloccato, o non lo fu, dal suo carro contro il letto del fiume Brod. Le giovani gemelle W furono le prime a scorgere gli strani relitti che venivano a galla: serpi girovaghe di lacci bianchi, un guanto divelluto schiacciato a dita tese, rocchetti, petulanti pince-nez, more e lamponi, feci, merletti, i cocci di un vaporizzatore, un proposito scritto a inchiostro rosso in dissolvenza: m'impegno a... m'impegno a...
Hannah guaì. Chana entrò a guado nell'acqua fredda tirandosi sopra le ginocchia i nodi in fondo alle brache, spostando nel procedere quegli avanzi di vita. Cosa ci fate U? le apostrofò l'usuraio infamato Yankel D alzando fango della riva mentre claudicava verso le due bambine. Tese una mano verso Chana tenendo l'altra, come sempre, sulla pallina d'abaco che era costretto a portare a una corda legata attorno al collo per editto dello shtetl. Uscite dall'acqua! Vi farete male!
Il buon gefilte-pescivendolo Bitzl Bitzl R seguiva il trambusto dal suo barchino, assicurato con una fune a una delle sue trappole. Cosa succede lì? gridò verso riva. Sei tu, Yankel? C'è qualche guaio?
Sono le gemelle del Riverito Rabbino, gridò Yankel di rimando. Stanno giocando nell'acqua, e temo un incidente!
Stanno venendo a galla le cose più strane! rise Chana lanciando spruzzi in direzione della congerie che le cresceva attorno come un giardino.
Raccolse le mani di una bambola e le lancette di una pendola. Stecche d'ombrello. Una chiave universale. Gli oggetti si levarono sulle corone di bollicine che scoppiavano giungendo in superficie. La gemella di un pizzico più giovane e meno prudente pettinava l'acqua con le dita, ogni volta tirando su qualcosa di nuovo: una girandola gialla, uno specchio infangato da toeletta, i petali di qualche affondato nontiscordardimé, limo e pepe nero macinato, un involto di semi...
Ma la gemella di un pizzico più vecchia e più prudente, Hannah - punto per punto identica, salvo che nelle sopracciglia unite - guardava dalla spiaggia e piangeva. L'usuraio infamato Yankel D la prese tra le braccia e si premette la sua testa al petto. Qui... Qui..., poi rivolto a Bitzl Bitzl: Rema dal Riverito Rabbino, e torna portandolo qui. Porta anche Menasha il medico, e Isacco l'uomo di legge. Presto!
Da dietro un albero apparve il possidente folle Sofiowka N, da cui lo shtetl in seguito avrebbe preso nome sulle carte geografiche e nei censimenti mormonici. Ho visto tutto quello che è successo, disse con tono isterico. Sono stato testimone di tutto. Il carro stava andando troppo svelto per questa carrareccia - l'unica cosa peggiore che arrivare in ritardo alle tue nozze è arrivare in ritardo alle nozze della ragazza che avrebbe dovuto essere tua moglie - e d'un tratto si è ribaltato; e se questa non è precisamente la verità, ebbene il carro non si è ribaltato, bensì è stato ribaltato da un vento che soffiava da Kiev o Odessa o chissà dove, e se questo non pare proprio esatto, ebbene quello che è accaduto -eh giurerei sul mio immacolato nome - è che un angelo con ali dalle piume di tomba è calato dal cielo per riportare Trachim con sé, perché Trachim era troppo buono per questo mondo.
Sicuro, e chi non lo è? Tutti siamo troppo buoni l'un per l'altro.
Trachim? domandò Yankel lasciando che Hannah additasse la pallina infamante. Trachim non era il calzolaio di Lutsk morto di polmonite un anno fa?
Guarda questo! gridò Chana con una risatina, alzando sopra la testa, da un mazzo di carte oscene, il Fante di Cunnilingus.
No, ribatté Sofiowka. Quell'uomo si chiamava Trachum... con la u. Questo qua è con la i. E quel Trachum e morto nella Notte della Notte più Lunga. No, aspetta. No, aspetta. E' morto perché era un artista.
E questa! strillò di gioia Chana, levando alta una mappa sbiadita dell'universo.
Fuori dall'acqua! le urlò Yankel. Alzò la voce più di quanto avrebbe voluto alzarla parlando con la figlia del Riverito Rabbino, o qualsiasi bambina. Ti farai male!
Chana corse alla riva. L'acqua verde cupo eclissò i segni zodiacali quando la carta siderale cominciò a inabissarsi nel fiume deponendosi infine, come un velo, sul muso del cavallo.
Le imposte delle finestre dello shtetl stavano aprendosi al chiasso (essendo la curiosità l'unico bene comune a tutti i cittadini).
L'incidente aveva avuto luogo nei pressi delle cascatelle - quel tratto di riva che segnava l'attuale divisione dello shtetl in due parti: il «Quarto ebraico» e i «Tre-quarti umani». Tutte le cosiddette attività sacre - insegnamento religioso, macellazioni kosher, contrattazioni e così via - erano svolte entro i confini del Quarto ebraico. Invece le attività inerenti al trantran della vita quotidiana - insegnamento profano, giustizia ordinaria, compravendite eccetera - avevano luogo nei Tre-quarti umani. A cavallo fra le due zone sorgeva la Ritta Sinagoga.
(L'arca era costruita lungo la linea di demarcazione ebraico-umana, così che in ciascuna zona esistesse un rotolo della Torah.) Man mano che il rapporto fra sacro e profano mutava - solitamente di una frazione infinitesimale, eccetto che in quell'ora straordinaria del 1764, immediatamente successiva al Pogrom dei Petti Percossi, in cui lo shtetl fu totalmente laico - così faceva la linea di demarcazione, tracciata con il gesso dalla foresta di Radziwell fino al fiume. Allo stesso modo la sinagoga veniva sollevata e spostata. Fu nel 1783 che vennero aggiunte le ruote, rendendo meno laboriosa nello shtetl la perenne trattativa fra ebraismo e umanità.
So che c'è stato un incidente, ansimò Shloim W, l'umile mercante d'anticaglie che viveva di carità, incapace com'era di separarsi da uno qualsiasi dei suoi candelabri, statuette o clessidre dopo la morte prematura della moglie Come hai fatto a saperlo? chiese Yankel.
Me lo ha gridato Bitzl Bitzl dalla barca mentre andava a casa del Riverito Rabbino. Per la via ho bussato a tutte le porte che potevo.
Bene, disse Yankel. Ci occorrerà un editto dello shtetl.
Qualcuno domandò: Siamo proprio sicuri che sia morto?
Senza dubbio, assicurò Sofiowka. Morto come lo era prima che i suoi genitori si conoscessero. O forse ancor più morto, poiché allora se non altro era un proiettile nel cazzo di suo padre e un vuoto nella pancia di sua madre.
Avete tentato di salvarlo? chiese Yankel.
No.
Copri loro gli occhi, disse Shloim a Yankel, additando le bambine. Si spogliò al volo - rivelando un'epa superiore alla media e una schiena arruffata di peli neri - e si tuffò. Piume si riversarono su di lui sulle ali dell'onda. Perle senza filo e denti privi di gengive. Grumi di sangue, Merlot e schegge del cristallo di un candeliere. I rottami in emersione diventarono sempre più fitti, finché non fu più capace di vedere le proprie mani davanti a sé. Dove? Dove?
Lo hai trovato? chiese l'uomo di legge Isaac M quando finalmente Shloim riemerse. Si capisce da quanto sta lì sotto?
Era da solo o con una moglie? chiese Shanda T la dolente, vedova del defunto filosofo Pinchas T il quale, nell'unico suo scritto degno di menzione - Alla polvere: dall'uomo vieni e all'uomo tornerai, argomentava che, in teoria, fosse possibile la reversibilità fra vita e arte.
Un vento impetuoso spazzò lo shtetl facendolo fischiare. Gli studiosi di oscuri testi in stanze male illuminate alzarono gli occhi. Gli amanti presi a fare ammende e promesse, a emendarsi e scusarsi, caddero nel silenzio. Il candelaio solitario immerse le mani in una tinozza di cera azzurra calda.
Aveva una moglie, interloquì Sofiowka, la mano sinistra affondata nella tasca dei calzoni. Me la ricordo bene. Aveva un davanzale di tette così voluttuose. Dio, che paio di zucche. E chi potrebbe mai dimenticarle?
Erano, oddio, st, erano da favola. Darei tutte le parole che ho imparato da allora per ritornare giovane, oh sì sì, e fare un bel succhietto a quelle tette. Sì, lo farei! Eccome lo farei'.
Come fai a sapere queste cose? chiese qualcuno.
Una volta, da bambino, sono andato a Rovno, a fare una commissione per mio padre. Appunto a casa di questo Trachim. Il suo cognome mi sfugge, ma ricordo abbastanza chiaramente che era Trachim con la i, che aveva una moglie giovane con un favoloso davanzale, un appartamentino con tanti ninnoli e una cicatrice che gli andava dall'occhio alla bocca, o dalla bocca all'occhio, come preferite.
SIETE RIUSCITI A VEDERGLI LA FACCIA MENTRE PASSAVA SUL CARRO? domandò con un grido il Riverito Rabbino, mentre le sue figliole correvano a nascondersi sotto gli opposti lembi dello scialle di preghiera. LA
CICATRICE?
E dopo, sha nah nah, l'ho rivisto da ragazzo mentre sgobbavo a Lvov.
Trachim, se ben ricordo, consegnava le pesche, o forse prugne, a un convitto femminile dirimpetto. O faceva il postino? Sì, certo, erano lettere d'amore.
Naturalmente non può più essere vivo, sentenziò il medico Menasha aprendo la valigetta professionale. Tirò fuori alcune pagine di certificati di morte, che furono ghermite da un'altra brezza e proiettate fra gli alberi. Qualche certificato cadde in quel settembre insieme con le foglie. Altri caddero dopo generazioni, insieme agli alberi.
E se fosse vivo non potremmo liberarlo, osservò Shloim asciugandosi dietro una grande roccia. Non potremo arrivare al carro prima che si sollevi tutto il suo contenuto.
DOBBIAMO PROMULGARE UN EDITTO DELLO SHTETL, dichiarò il Riverito Rabbino, con uno strepito più autorevole.
Ma... come si chiamava esattamente? domandò Menasha toccando lingua con penna d'oca.
Possiamo dire con certezza che aveva una moglie? chiese Irlanda la dolente, toccando cuor con mano.
E le bambine hanno visto qualcosa? domandò Avrum R, il lapidario che personalmente non portava anelli (quantunque il Riverito Rabbino gli avesse assicurato che sapeva di una ragazza a Lodz capace di renderlo felice [per sempre]).
Le bambine non hanno visto niente, disse Sofiowka. Ho visto io, che non hanno visto niente.
E le gemelle, questa volta all'unisono, cominciarono a piangere.
Ma non possiamo lasciare l'intera questione solo alla sua parola, disse Shloim accennando a Sofiowka, che a sua volta ricambiò il favore con un gesto.
Non domandatelo alle bambine, disse Yankel. Lasciatele in pace. Ne hanno già passate fin troppe.
A questo punto, quasi tutti i trecento e passa cittadini dello shtetl si radunarono per dibattere quella faccenda di cui non sapevano nulla. E meno un cittadino ne sapeva, più era granitico nelle sue argomentazioni.
Niente di nuovo in questo. Un mese prima era stata discussa la questione se tappare finalmente il buco alle ciambelle sarebbe stato un messaggio positivo per i bimbi. Due mesi prima c'era stato il dibattito comico e crudele sulla composizione tipografica, e prima ancora quello sull'identità polacca, che molti aveva mosso alle lacrime e molti al riso, e aveva mosso tutti a sollevare altre questioni ancora. E presto vi sarebbero state altre questioni da dibattere, e dopo altre ancora.
Questioni che andavano dal principio dei tempi - in qualunque tempo fosse stato il principio - ai tempi in cui poteva collocarsi la fine.
Dalla cenere alla cenere.
FORSE, disse il Riverito Rabbino levando le mani ancora più in alto, e la voce ancora più forte, NON DOBBIAMO PER NIENTE DIRIMERE LA QUESTIONE.
E SE NON VERGASSIMO MAI NESSUN CERTIFICATO DI MORTE? E SE DESSIMO AL
CORPO ONORATA SEPOLTURA, BRUCIASSIMO QUALUNQUE COSA SALGA A RIVA, E
PERMETTESSIMO ALLA VITA DI CONTINUARE A SCORNO DI QUESTA MORTE?
Ma è necessario un editto, disse Froida il pasticcere.
No. se lo shtetl decreta il contrario, lo corresse Isaac. Forse dovremmo tentare di contattare sua moglie, disse Shanda la dolente.
Forse dovremmo cominciare a raccogliere i resti, disse Eliezar Z il dentista.
E nel folto della discussione passò quasi inosservata la voce della giovane Hannah quando fece capolino dietro il lembo sfrangiato dello scialle da preghiera di suo padre.
Vedo qualcosa.
COSA? chiese il padre zittendo tutti gli altri. COSA VEDI?
Laggiù, additando l'acqua schiumosa.
In mezzo alla corda e alle piume, attorniata da candele e fiammiferi fradici, gamberetti, pedine e nappe di seta che s'inchinavano come meduse, c'era una neonata, ancora spalmata di muco, ancora rosea come l'interno di una prugna.
Le gemelle nascosero il proprio corpo sotto lo scialle del padre, come fantasmi. Il cavallo sul letto del fiume, ammantato dal cielo inabissato della notte, chiuse gli occhi pesanti. La formica preistorica nell'anello di Yankel, immobile nell'ambra color miele da molto tempo prima che Noè battesse i chiodi nella prima asse, nascose la testa fra le molte zampe, per la vergogna.
CAPITOLO 2. LA LOTTERIA, 1791.
Bitzl Bitzl R riuscì a recuperare il carro pochi giorni dopo con l'aiuto di un manipolo di forzuti di Kolki, e le sue trappole furono più attive che mai. Ma rovistando fra i resti non trovò mai alcun cadavere. Nei centocinquant'anni successivi, lo shtetl avrebbe ospitato una gara annuale di «ritrovamento» di Trachim, anche se nel 1793 un editto dello shtetl revocò la ricompensa - su indicazione di Menasha che qualunque comune corpo umano dopo due anni avrebbe cominciato a sfasciarsi, sicché non solo la ricerca sarebbe stata inutile, ma avrebbe potuto risolversi in scoperte alquanto oltraggiose o, peggio, in ricompense multiple - e diventò qualcosa di più simile a una sagra, in occasione della quale la discendenza degli irascibili fornai P avrebbe creato particolari squisitezze dolciarie, e le ragazze dello shtetl si sarebbero abbigliate come in quel giorno fatale le due gemelle: brache di lana con nodi in fondo e camicette di tela con colletto a farfalla dalle frange azzurre.
Da molto lontano giungevano uomini per tuffarsi a recuperare i sacchi di cotone che la Regina del Carro lanciava nel Brod: tutti pieni di terra eccetto uno, il sacco d'oro.
V'era chi riteneva che Trachim non sarebbe mai stato ritrovato, che la corrente gli spostasse sopra abbastanza sedimento da seppellire il suo corpo per sempre. Quegli individui posavano pietre sulla riva durante i loro mensili giri cimiteriali, e dicevano cose di questo tenore: Povero Trachim, non lo conoscevo bene ma senz'altro avrei potuto.
Eppure Mi manchi, Trachim. Anche se non ti ho mai conosciuto. o anche Riposa, Trachim, riposa. E proteggi il nostro mulino industriale.
C'era chi sospettava che non fosse rimasto bloccato sotto il carro, ma trascinato lontano fin nel mare, i segreti della sua vita serbati in lui per sempre, come un messaggio d'amore dentro una bottiglia, fino a essere ritrovato un bel mattino da un'ignara coppia durante una passeggiata romantica sulla spiaggia. Era possibile che alla fine Trachim - o qualche parte di lui - si fosse arenato sulle sabbie del Mar Nero, o a Rio, o fosse arrivato fino a Ellis Island.
O una vedova forse lo aveva trovato e lo aveva accolto in casa; comprando una poltrona per lui; cambiandogli il maglione ogni mattina; radendolo fin quando i peli non avessero cessato di crescergli; portandolo fedelmente con sé a letto ogni notte; e sussurrando dolci sciocchezzuole a ciò che restava del suo orecchio; e ridendo insieme a lui davanti al caffè nero; e con lui piangendo sopra foto via via ingiallite; e parlando con trasporto di avere dei bambini suoi; e cominciando a sentirne nostalgia prima di ammalarsi; e nel suo testamento gli lasciò tutto; mentre moriva non pensava che a lui; aveva sempre saputo che era un'invenzione ma ci credeva lo stesso.
C'era chi giurava non ci fosse stato mai alcun cadavere. Trachim voleva esser morto senza esser morto, da artista dell'imbroglio. Aveva caricato tutti i suoi averi su un carro, lo aveva guidato nell'anonimo, scialbo shtetl - che di lì a poco sarebbe stato noto in tutta la Polonia orientale per la sua sagra annuale e come un orfanello avrebbe portato il suo nome, il Giorno di Trachim (salvo che nelle carte geografiche e nei censimenti mormonici in cui sarebbe apparso come Sofiowka) - aveva dato un'ultima manata al suo innominato cavallo e lo aveva spronato dentro la corrente. Stava fuggendo da un debito? O da infauste nozze combinate? Da menzogne venute al pettine? O forse la sua morte era tappa essenziale nella prosecuzione della vita?
Naturalmente non mancava chi accennasse alla follia di Sofiowka, narrando della volta che si sarebbe seduto come mamma l'aveva fatto nella fontana della sirena prostrata, carezzandone il tuchus squamoso come la fontanella di un neonato, carezzando la propria migliore metà come se non ci fosse nulla di male al mondo a trarsi il pisello rigido, ovunque e in qualsiasi momento O di come una volta l'avessero trovato nel giardino antistante la casa del Riverito Rabbino legato con una fune bianca, e lui avesse detto di essersene legata una attorno all'indice per ricordarsi una cosa terribilmente importante, e temendo di potersi dimenticare dell'indice se n'era legata un'altra attorno al mignolo, e poi un'altra dalla vita al collo, e temendo di scordarsi pure questa aveva teso una fune dall'orecchio ai denti e poi allo scroto e al tallone e aveva usato il proprio corpo per ricordarsi del proprio corpo, ma infine era riuscito a ricordarsi soltanto la fune. Sarà costui uomo di cui fidarsi per una storia?
E la bambina? La mia bis-bis-bis-bis-bisnonna? Questo è un problema più complesso, in quanto ragionare sul come possa andare persa una vita in un fiume è relativamente semplice, ma come una ne possa avere origine...
Enrico V, maestro di logica dello shtetl e depravato del luogo - che da tanti anni lavorava, e con tanto poco costrutto quanto ci si può immaginare, al proprio opus magnum: L'organo degli argani il quale, assicurava, conteneva la più rigorosa delle rigorosissime dimostrazioni logiche che Dio indiscriminatamente ama l'indiscriminato amante - espose una ponderosa argomentazione a favore della presenza di un altro individuo sul disgraziato carro: la moglie di Trachim. Forse, osservava Enrico, aveva rotto le acque mentre i due masticavano uova alla piccantissima in un prato tra due shtetli e Trachim forse aveva spinto il carro a perigliosa velocità per portarla da un medico prima che la bebé sgusciasse fuori come una guizzante passera nera dalla presa del pescatore. Mentre le onde montanti del travaglio cominciavano a frangerlesi sul capo, Trachim si era volto verso la moglie, forse le aveva posato una mano callosa sul viso morbido, forse aveva staccato gli occhi dalla strada piena di buche, e inavvertitamente aveva svoltato nel fiume. Forse il carro si era ribaltato, i corpi erano affondati sotto il suo peso e, forse, in un istante fra l'ultimo respiro di sua madre e il tentativo finale del padre di liberarsi, la bambina era nata. Forse. Ma neanche Enrico poteva spiegare la mancanza del cordone ombelicale.
I Fumaioli d'Ardisht - quel clan di artigiani del fumo di Rovno che fumavano tanto da fumare anche quando non stavano fumando, e furono condannati per editto dello shtetl a una vita sui tetti come posatori di scandole e spazzacamini, - credevano che la mia bis-bis-bis-bis-bisnonna fosse la reincarnazione di Trachim. Al momento del suo giudizio oltremondano, mentre il corpo sempre più ammollito veniva addotto al Custode di quei gloriosi e spinosi cancelli, qualcosa non aveva funzionato. Cose lasciate a metà. L'anima non era pronta alla trascendenza, ed era stata rimandata indietro offrendole l'occasione di drizzare un torto della generazione passata. D che naturalmente non aveva senso. Ma che cosa c'è che ne abbia?
Più premuroso del futuro che del passato della bambina, il Riverito Rabbino non diede alcuna interpretazione ufficiale delle sue origini, né a uso dello shtetl né a uso del Libro degli antecedenti, ma la prese a suo carico finché non ne fosse stabilita la definitiva dimora. La condusse alla Ritta Sinagoga - perché, giurava, neanche una bambina avrebbe dovuto porre piede nella Sinagoga Scompigliata (ovunque avesse a trovarsi in quel dato giorno) e pose dentro l'arca la sua culla improvvisata mentre gli uomini in lunghe vesti nere gridavano preghiere con quanto fiato avevano in gola.
SANTO, SANTO, SANTO E' IL DIO DEGLI ESERCITI! IL. MONDO INTERO E' PIENO
DELLA SUA GLORIA!
Coloro che si recavano alla Ritta Sinagoga gridavano da più di duecent'anni, cioè da quando il Riverito Rabbino aveva evidenziato che stiamo sempre annegando, e le nostre preghiere non sono altro che suppliche di essere tratti in salvo dalle profondità acquee dello spirito. E SE LA NOSTRA CONDIZIONE E' COSI' DISPERATA, disse (incominciando sempre le sue frasi con «e», quasi che quanto messo in parole fosse una logica conseguenza dei suoi più intimi pensieri), NOI
NON DOVREMMO COMPORTARCI DEL PARI? E LE NOSTRE PAROLE NON
DOVREBBERO
AVERE IL SUONO DELLA DISPERAZIONE? Così gridavano, e stavano gridando ormai da duecent'anni.
E gridavano, adesso, non concedendo mai alla bimba un momento di requie, e penzolavano - una mano sul libro delle preghiere e una sulla fune dalle carrucole assicurate alle loro cinture, e tenevano la cupola dei loro cappelli neri a strusciare contro il soffitto. E SE ASPIRIAMO A
ESSERE PIU' VICINI A DIO, aveva elucidato il Venerabile Rabbino, NON
DOVREMMO COMPORTARCI DEL PARI? E NON DOVREMMO PORCI PIU' VICINO? Il che in definitiva aveva senso. Fu la vigilia dello Yom Kippur, il più santo dei santi giorni, che una mosca volò sotto la porta della sinagoga e cominciò a molestare i congreganti penduli. Volava da un volto all'altro, ronzando, posandosi su nasi lunghi, facendo dentro e fuori da pelose orecchie. E SE QUESTA E' UNA PROVA, elucidò il Venerabile Rabbino tentando di mantenere riunita la sua congregazione, NON DOVREMMO LEVARCI
ALLA SUA SFIDA? E IO VI INTIMO: CROLLATE A TERRA PRIMA DI LASCIARE IL
GRANDE LIBRO!
Ma quanto era molesta quella mosca, faceva il solletico nei punti più solletichevoli. E COME DIO CHIESE AD ABRAMO DI MOSTRARE A ISACCO LA
PUNTA DEL COLTELLO, COSI' STA A NOI CHIEDENDO DI NON GRATTARCI IL CULO; E SE LO DOBBIAMO, DI FARLO ASSOLUTAMENTE CON LA MANO SINISTRA! La metà esatta si comportò come il Venerabile Rabbino aveva elucidato e prima del Grande Libro lasciò andare la corda. Erano gli antenati dei congreganti della Ritta Sinagoga, i quali per duecento anni continuarono a camminare simulando zoppìa. Per ricordare a se stessi - o più precisamente per ricordare agli altri - la loro risposta alla Prova: cioè che il Sacro Verbo aveva vinto. (SCUSATEMI, RABBINO, MA DI QUAL
VERBO SI TRATTEREBBE PRECISAMENTE? Il Venerabile Rabbino colpì il suo discepolo con la punta della bacchetta per la Torah: E SE DOVETE
CHIEDERLO...) Alcuni Rittisti giunsero al punto di rifiutarsi completamente di camminare, a suggerire una caduta ancora più drammatica. Questo naturalmente significava che non potevano giungere alla sinagoga. NON PREGANDO PREGHIAMO, dicevano. ADEMPIAMO LA LEGGE
TRASGREDENDOLA.
Coloro che, piuttosto che cadere, lasciarono cadere il libro di preghiere, erano gli antenati dei congreganti della Sinagoga Scompigliata - così chiamata, ovviamente, dai Rittisti. Giocherellavano con le frange che avevano cucito all'orlo delle maniche delle loro camicie per ricordare a se stessi - o più precisamente ricordare agli altri - la risposta alla Prova: che le funi sono portate in giro con te, che lo spirito del Sacro Verbo dovrebbe sempre trionfare. (Scusatemi, ma qualcuno sa che cosa significhi questa storia del sacro verbo? Gli altri facevano spallucce e tornavano a dibattere del miglior modo per dividere tredici knish tra quarantatré persone.) Fu il costume degli Scompigliati che mutò: le carrucole furono scambiate con cuscini, il libro di preghiere in ebraico con uno in più comprensibile yiddish, e il Rabbino con una funzione-più-dibattito a direzione collettiva, seguita, ma più sovente interrotta, da cibo, bevande e ciarle. I congregazionisti Ritti guardavano dall'alto in basso gli Scompigliati, i quali sembravano disposti a sacrificare ogni legge ebraica a quella che fiaccamente denominavano la grande e necessaria riconciliazione della religione con la vita. I Rittisti li sbeffeggiavano, annunciandogli un'eternità di agonia nel mondo a venire per la loro brama di comodità in quello presente. Ma come Shmul S, lo stitico lattaio, gli Scompigliati neanche li cacavano. A parte quelle rare occasioni in cui Rittisti e Scompigliati facevano ressa in direzione della sinagoga da luoghi opposti, tentando di sacralizzare maggiormente lo shtetl o di secolarizzarlo, appresero a ignorarsi a vicenda.
Per sei giorni i cittadini dello shtetl, Rittisti come Scompigliati, fecero la fila fuori della Ritta Sinagoga per avere l'occasione di vedere la mia più-volte-bis-nonna. Molti tornarono ripetutamente. Gli uomini ebbero agio di toccarla, parlarle, addirittura di tenerla in braccio. Naturalmente le donne non avevano la possibilità di entrare nella Ritta Sinagoga, poiché, come aveva da tempo elucidato il Venerabile Rabbino, E COME POSSIAMO ATTENDERCI DI TENERE LE NOSTRE MENTI
EI NOSTRI CUORI CON DIO QUANDO L'ALTRA PARTE CI INDIRIZZA VERSO IMPURI
PENSIERI DI VOI-SAPETE-COSA?
Fu raggiunto quello che sembrava un ragionevole compromesso nel 1763, allorché fu consentito alle donne di pregare in una stanza umida e affollata sotto un pavimento di vetro installato all'uopo. Ma non passò molto tempo che i penduli distolsero gli sguardi dal Grande Libro per partecipare del coro di scollature sottostanti. I calzoni neri diventarono attillati, si riscontrarono più urti e ondeggiamenti che mai in quanto le altre parti aggettavano in fantasie di voisapete-cosa e un'ambigua variante fu introdotta surrettiziamente nella più santa delle preghiere: SANTO, SANTO, SANTO E' IL DIO DEGLI ESERCITI, IL MONDO INTERO
E' PIENO DELLA SUA GLORIA.
Il Venerabile Rabbino fece allusione alla sconcertante materia in uno dei tanti sermoni di metà pomeriggio. E NOI TUTTI DOBBIAMO BEN CONOSCERE
LA PIU' PORTENTOSA FRA LE PARABOLE BIBUCHE, LA PERFEZIONE DEL CIELO E
DELL'INFERNO. E COME A TUTTI E' NOTO O DOVREBBE ESSERE NOTO, FU IL
SECONDO GIORNO CHE DIO NOSTRO SIGNORE CREO' LE OPPOSTE REGIONI DI
PARADISO E INFERNO ALLE QUALI NOI E GLI SCOMPIGLIATI POSSANO FATICARE
SENZA COSTRUTTO, SAREMO INVIATI, RISPETTIVAMENTE. E NOI NON DOBBIAMO
SCORDARE QUEL TERZO E SUCCESSIVO GIORNO QUANDO DIO VIDE CHE IL
PARADISO
NON SOMIGLIAVA TANTO AL PARADISO COME LUI AVEVA AUSPICATO e L'INFERNO
NON SOMIGLIAVA TANTO ALL'INFERNO E COSI' VIA. COME I TESTI MINORI E PIU' DIFFICILI. A RINVENIRSI CI DICONO, EGLI, PADRE DEL PADRE DEI PADRI, SOLLEVO' LA CORTINA FRA LE OPPOSTE REGIONI CONSENTENDO AI BEATI E AI
DANNATI DI VEDERSI L'UN L'ALTRO. E COME ERA SUA SPERANZA, I BEATI SI
RALLEGRARONO DELLA PENA DEI CONDANNATI E LA LORO GIOIA DIVENTO' TANTO
PIU' GRANDE A FRONTE DEL DOLORE. E I DANNATI VIDERO I BEATI, VIDERO LE
LORO CODE DI ARAGOSTA EI PROSCIUTTI, VIDERO QUELLO CHE METTEVANO NEI
TUCHUS DELLE SHIKSA MESTRUATE E SI SENTIRONO ANCORA PEGGIO. E DIO VIDE
CHE QUESTO ERA PIU' BUONO. MA IL RICHIAMO DI QUELLA FINESTRA DIVENNE
TROPPO FORTE. E INVECE DI GODERE DEL REGNO DEI CIELI, I BEATI FURONO
AFFASCINATI DALLE CRUDELTA' DELL'INFERNO. E INVECE DI SOFFRIRE DI QUELLE
ATROCITA', I DANNATI GODERONO DEI PIACERI VICARI DEL CIELO. E CON IL
TEMPO GLI UNI E GLI ALTRI RAGGIUNSERO UN EQUILIBRIO, OSSERVANDO GLI
ALTRI, OSSERVANDO SE STESSI. E LA FINESTRA DIVENTO' UNO SPECCHIO DAL
QUALE NÉ I BEATI NÉ I DANNATI POTEVANO O VOLEVANO STACCARSI. E COSI' IL
SIGNORE ABBASSO' LA CORTINA, SIGILLANDO PER SEMPRE LA DIVISIONE FRA I
REGNI E COSI' NOI DOBBIAMO, NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA FINESTRA CHE
TROPPO E' TENTATRICE, ABBASSARE LE CORTINE FRA I REGNI DELL'UOMO E
DELLA
DONNA.
La cantina era piena di acque filtrate del Brod, e nel muro posteriore della sinagoga fu praticato un foro a forma d'uovo attraverso il quale una donna per volta riusciva a vedere solo l'arca e i piedi dei penduli, alcuni dei quali, aggiungendo onta a onta, erano inzaccherati di merda.
Fu attraverso quel foro che le donne dello shtetl fecero a turno per osservare la mia bis-bis-bis-bis-bisnonna. Molte erano convinte, a causa forse delle fattezze perfettamente adulte della neonata, che fosse di natura maligna - un segno dato dal Demonio stesso. Ma più probabilmente, i loro sentimenti confusi erano ispirati dal foro medesimo. Da quella distanza - palmi premuti contro o divisorio, occhio nell'assenza di un uovo - non potevano soddisfare alcuno dei loro istinti materni. Il foro non era neanche largo abbastanza per mostrare la bimba intera, e dovettero comporre collage mentali unendo le vedute frammentarie - le dita collegate al palmo, che era attaccato al polso, che si trovava all'estremità del braccio, il quale entrava nell'incavo della spalla...
Impararono a odiare l'inconoscibilità, Pintoccabilità, il mosaico di lei.
Il settimo giorno il Riverito Rabbino pagò quattro quarti di pollo e una manciata di biglie azzurre affinché si stampasse il seguente annuncio nel bollettino settimanale di Shimon T: che senza una precisa cognizione del perché, allo shtetl era stata mandata una bimba; che era assai bella, garbata e per nulla maleodorante; e che il Rabbino, considerando il bene della piccola e suo proprio, aveva risolto di affidarla a qualsivoglia uomo dabbene disposto a chiamarla sua figlia.
L'indomani mattina trovò cinquantadue biglietti - a ventaglio come le penne del pavone - sotto la porta della Ritta Sinagoga.
Da Peshel S, costruttore di ninnoli in fil di rame, che aveva perduto una moglie sposata appena da due mesi nel Pogrom delle Vesti Lacerate: Se non per la bambina, per me almeno. Sono un uomo dabbene, e vi son cose che merito.
Dal candelaio Mordechai C, le cui mani erano calzate in guanti di cera che non si sarebbero mai potuti lavar via: Son così solo tutto il giorno nel mio laboratorio. Dopo di me non ci saranno candelai. Questo non ha un suo significato?
Dallo Scompigliato senza lavoro Lumpl W, che a Pasqua si coricava non per un'usanza religiosa, ma non vedendo perché mai quella notte avrebbe dovuto essere diversa da tutte le altre: Non sono il più grand'uomo che sia mai stato al mondo, ma sarei un buon padre, e lo sapete.
Dal defunto filosofo Pinchas T, colpito in testa dalla caduta di una trave al mulino industriale: Rimettetela in acqua e fate che resti con me.
Il Riverito Rabbino era oltremodo dotto sulle materie grandi, molto grandi e molto-molto-grandi di fede ebraica, ed era capace di trarre argomenti dai testi più oscuri ed ermetici per ragionare di questioni religiose all'apparenza impossibili, ma ben poco sapeva riguardo alla vita stessa: e per questo motivo, non avendo la nascita della bambina antecedenti testuali, e non potendo il Rabbino chiedere consiglio a nessuno - quale impressione avrebbe suscitato, se la vera fonte di tutti i consigli fosse andata in cerca di consigli? - poiché la bambina era cosa della vita, era la vita, si ritrovò non poco in imbarazzo. SONO
TUTTI BRAVI UOMINI, pensò. TUTTI QUANTI UN PO' AL DI SOTTO DELLA MEDIA, FORSE, MA FONDAMENTALMENTE TOLLERABILI. CHI E' IL MENO IMMERITEVOLE?
LA MIGLIOR DECISIONE E' NON DECIDERE, decise, e mise le lettere nella culla della mia bis-bis-bis-bis-bisnonna, facendo voto di darla - e dare me, in un certo senso - all'autore della prima che la piccola avesse afferrato. Ma lei non ne afferrò nessuna. Non ci badò per niente. Per due giorni non mosse un muscolo, non pianse mai né aprì bocca per ricevere il cibo. Gli uomini dai cappelli neri seguitarono a urlare preghiere dalle loro carrucole {SANTO, SANTO, SANTO...), seguitarono a ondeggiare sopra il trapiantato Brod, seguitarono a stringersi più al Grande Libro che alla corda, pregando che qualcuno ascoltasse le loro Preghiere finché, nel mezzo di una funzione di tarda sera, il buon gefilte-pescivendolo Bitzl Bitzl R gridò quello che ogni uomo della congregazione aveva pensato: IL LEZZO E INTOLLERABILE! COME POSSO
COMPORTARMI COME CHI E' PROSSIMO A DIO QUANDO MI SENTO COSI' PROSSIMO
AL
CESSO?
Il Riverito Rabbino, che non dissentiva, pose fine alle preghiere. Si abbassò fino al pavimento di vetro e aprì l'arca. Un tanfo dei più orrendi dilagò avvolgendo tutto, impossibile non darsene cura, disumano e inesorabile fetore di somma ripugnanza. Esalando dall'arca inondò la sinagoga, fluì come un torrente per ogni via, ogni vicolo dello shtetl, transitò sotto ogni cuscino in ogni camera da letto - entrando nelle narici dei dormienti per tempo sufficiente a volgere al male i loro sogni prima di uscirne alla russata seguente - e infine defluì nel Brod.
La bambina era ancora perfettamente silenziosa e immobile. Il Riverito Rabbino depose la culla sul pavimento, prese un solo foglietto di carta infradiciata e gridò: RISULTA CHE LA PICCINA HA SCELTO COME PADRE
YANKEL!
Saremmo stati in buone mani.
20 luglio 1997
Caro Jonathan, anelo che questa sia una bella lettera. Come sai, non sono di prima classe con l'inglese. Nel russo le mie idee sono spremute in maniera anormalmente bellissima, ma la mia lingua seconda non è altrettanto pregiata. Ho intrapreso a immettere le cose che tu mi hai consigliato, e ho affaticato il lessico che tu mi hai regalato, quando le mie parole sembravano troppo mignon, o troppo poco adatte. Se non sei contento con quello che ho eseguito, ti comando di rimandarmelo. Io ci do dentro a sgobbare finché sei tranquillo.
Ho imprigionato nella busta gli oggetti che richiedevi, non escludendo le cartoline di hutsk, i registri del censimento dei sei villaggi prima della Guerra e le fotografie che tu mi scongiuravi di tenere per cauti propositi. E stata una cosa molto, molto, molto buona, vero? Devo bussarmi il petto per quello che ti è successo sul treno, lo so quanto era determinante la scatola per te, per noi due, e che i suoi ingredienti non si potevano scambiare. Rubare è disdicevole, ma capita molto ripetutamente alle persone sul treno dall'Ucraina. Dato che tu non hai sulla punta del dito il nome della guardia che ha rubato la scatola, sarà impossibile ritrovarla, e allora devi confessare che è perduta per sempre. Ma per favore non fare che la tua esperienza in Ucraina offenda l'idea che hai dell'Ucraina, che dev'essere totalmente terribile, come repubblica ex sovietica.
Questa per me è l'occasione di emanarti un grazie per essere stato così stoico e sopportante con me nel viaggio insieme a noi. Forse facevi conto su un traduttore con più valetudine, ma sono sicuro di avere fatto un buon mediocre lavoro. Devo bussarmi il petto di non aver trovato Augustine, ma tu sai quanto era un lavoro difficile. Forse se avevamo più giorni la scoprivamo. Potevamo scrutinare i sei villaggi, e interrogare molta gente. Potevamo sollevare tutti i sassi. Ma abbiamo pronunciato queste cose già tante volte.
Grazie della riproduzione della fotografia di Augustine con la sua famiglia. Io ho pensato infinitamente a quello che dicevi, che eri innamorato di lei. In verità non ho mai scandagliato questo quando eri in Ucraina. Ma sono sicuro che adesso scandaglierò. Io la esamino una volta quando è mattino e una volta prima di fabbricare le Z, e ogni volta vedo qualcosa di nuovo, qualche modo in cui i suoi capelli fanno delle ombre o le labbra riassumono vari angoli.
Io sono tanto felice che tu sia tranquillo sulla prima sezione che ti ho spedito. Devi sapere che ho messo le correzioni che chiedevi. Domando scusa per l'ultima riga sul fatto che sei un ebreo molto viziato. Questa è stata cambiata e adesso c'è scritto: «io non voglio guidare dieci ore verso una bruttissima città per fare il tirapiedi di un ebreo viziato».
Ho fatto più lunga la prima parte su di me e rimosso la parola «negri» come tu mi avevi ordinato, anche se è vero che sono molto affezionato a loro. Sono anche felice che tu abbia goduto della frase «Un giorno farai per me cose che hai in odio. E' questo che vuol dire essere una famiglia». Però ti devo interrogare... che cos'è un truismo?
Ho ruminato quello che mi dicevi, di allungare la parte su mia nonna.
Dato che tu avevi dei sentimenti così gravi su questo, ho fatto di includere le parti che mi hai spedito. Non posso dire che mi sono soffermato su queste cose, ma posso dire che agogno di essere un tipo di persona che si sofferma su queste cose. Erano molto splendide, Jonathan, e sentivo che erano vere.
E grazie, mi sento in debito di dire, di non menzionare la non-verità su quanto sono alto. Credevo che essere alto poteva sembrare più pregiato.
Mi sono sforzato di eseguire la prossima sezione come hai ordinato tu, mettendo in testa ai miei pensieri tutto quello che mi hai insegnato. Ho anche tentato di non essere ovvio, o eccessivamente sottile, come hai elucidato tu. Quanto alla moneta che mi hai mandato, devi essere informato che questo lo avrei scritto anche senza moneta. E' un mastodontico onore per me scrivere per uno scrittore, soprattutto quando è uno scrittore americano, come Ernest Hemingway, o tu.
E al riguardo del tuo scritto Il principio del mondo giunge spesso, è stato un cominciamento molto esaltante. C'erano delle parti che non comprendevo, ma congetturo che fossero ebree, e solo una persona ebrea può capire qualcosa di così tanto ebreo. Questo succede perché pensate di essere eletti da Dio, perché soltanto voi potete capire le cose strane che dite di voi? io ho un piccolo dilemma su questa sezione, sai che molti dei nomi che usi non sono nomi veritieri d'Ucraina? Yankel è un nome che ho sentito, e anche Hannah, ma per il resto sono molto strani, li hai inventati? Ci sono molti grotteschi come questo, e te ne informerò. In ciò sei uno scrittore umoristico oppure non informato?
Non ho luminose osservazioni addizionali perché devo possedere una parte più grande del romanzo per poterlo illuminare. Oggi come oggi, devi sapere che sono estasiato. Ti consiglierei anche dopo che mi hai mandato di più, forse io non ho molte cose intelligenti da dire, tuttavia potrei anche essere un po' utile. Forse se penso che qualcosa è poco intelligente posso dirtelo e tu potresti farlo diventare completamente intelligente. Mi hai dato tanta informazione su questo e sono sicuro che adorerò tantissimo leggere il resto, e penserò più nobilmente di te, se questa è una possibilità. Ah, ecco... e che cos'è un cunnilingus?
Adesso per la piccola questione privata. (Tu puoi decidere di non leggere questa parte se ti annoia. Io lo capirei, anche se ti prego non informarmi.) Il Nonno non è stato in salute. Ha fatto spostamento in permanenza in casa nostra. Si depone sul tetto del Piccolo Igor con Sammy Davis Junior Junior e Piccolo Igor si depone sul sofà. Questo non rende melanconico il Piccolo Igor perché lui è un così bravo ragazzo, che capisce molte più cose che chiunque creda, Io penso che la melanconia e quello che rende il Nonno malsano, e in più è quello che lo rende cieco, anche se naturalmente non è cieco davvero. E' peggiorato in modo strepitoso da quando siamo tornati da Lutsk. Come sai è molto devastato per Augustine, più di quanto ci siamo devastati tu o io, sono sicuro. E impervio non parlare della melanconia del Nonno con il Babbo, perché ci siamo imbattuti tutti e due in lui che piangeva. Stanotte eravamo insediati al tavolo in cucina. Mangiavamo pane nero e conversavamo dell'atletica. Da sopra di noi è venuto un rumore. La camera del Piccolo Igor è sopra di noi. Ero sicuro che era il piangere del Nonno e anche il Babbo era sicuro. C'era anche un rap-rap silenzioso contro il soffitto. (Di solito il rap è eccellente, come i Dnipropetrovsk Crew, che sono completamente assordati, ma questo rap qui non mi faceva nessun erotismo.) Noi abbiamo affaticosamente cercato di trascurarlo. Il rumore ha rimosso il Piccolo Igor dal suo riposo e lui è venuto in cucina. «Ciao, Pasticiotto» ha detto il Babbo perché il Piccolo Igor era caduto ancora, e si era fatto ancora un occhio nero, questa volta l'occhio sinistro. «Anche a me piacerebbe mangiare del pane nero» ha detto senza guardare il Babbo. Anche se lui ha solo tredici anni quasi quattordici, è molto astuto. (Tu sei l'unica persona a cui ho fatto un'osservazione su questo. Ti prego di non fare un'osservazione a nessuna altra persona.)
Spero che tu sia contento e che la tua famiglia sia sana e prosperosa.
Noi quando stavi in Ucraina siamo diventati come degli amici, giusto? In un mondo diverso, potevamo essere veri amici. Sarò in angoscia della tua prossima lettera, e sarò in angoscia anche della parte in arrivo del tuo romanzo. Mi sento obbligato a bussarmi il petto per l'ennesima volta (ho il petto tutto livido) per la nuova sezione che voglio dedicarti, ma capisci che ho provato massimamente e ho fatto il massimo che potevo, che era il massimo che potevo potere. E' così difficile per me. Ti prego di essere veritiero ma anche di essere benefico per favore.
Sinceramente, Alexander
CAPITOLO 3. PROLOGO ALL'INCONTRO CON L'EROE, E QUINDI INCONTRO CON L'EROE
Come ho detto in anticipo, ha fatto molto tristi le mie ragazze che non avrei potuto essere con loro per la celebrazione del primo genetliaco della nuova costituzione. «Tuttala-notte» mi ha detto una delle ragazze, «come può essere che do piacere a me stessa senza di te?» Avevo un'idea.
«Baby» mi ha detto un'altra mia ragazza, «non è bene.» Io ho detto a tutte loro: «Se potessi io starei qui solamente con voi, per sempre. Ma sono un uomo che affatica, e devo andare dove è il mio dovere. Noi abbiamo bisogno di moneta per famosi nightclub, giusto? Io sto facendo per voi qualche cosa che ho in odio. E' questo che significa essere innamorati. Perciò non ammorbatemi». Ma per essere veritieri, andare a Lutsk per fare il traduttore di Jonathan Safran Foer non era triste, neanche in minima parte. Come ho menzionato prima, la mia vita è ordinaria. Però mai ero stato a Lutsk, né in altri moltitudinosi villaggi piccolini che stanno ancora in piedi dopo la Guerra. Anelavo di vedere cose nuove. Anelavo di sperimentare molto. Ed ero elettrico per incontrare un americano. «Avrai bisogno di portare con te il mangiare del viaggio, Shapka» mi ha detto il Babbo. «Non mi chiamare così» ho detto. «E anche beveraggio e cartine. Il viaggio è dieci ore fino a Lvov dove prenderai l'ebreo alla stazione del treno.» «Quanta moneta avrò per le mie affatiche?» ho interrogato, perché questo dilemma aveva su di me molta pesantezza. «Meno di quello che pensi di meritare» ha risposto lui. «e più di quello che meriti.» Questo mi ha molto, moltissimo infastidito, e ho detto al Babbo: «Allora può essere che non lo voglio fare». «Non mi interessa quello che tu vuoi fare» ha detto lui e si è disteso per mettere una mano sulla mia spalla. Nella mia famiglia, il Babbo è campione del mondo nel troncare il dialogo. Era fissato che io e il Nonno saremmo partiti a mezzanotte del 1° luglio. Questo ci regalava quindici ore. Era fissato da tutti, tranne il Nonno e me, che avremmo viaggiato fino alla stazione di Lvov appena entrati nella città di Lvov.
Era fissato dal Babbo che il Nonno doveva fare ozio in macchina con pazienza mentre io facevo ozio sui binari ad aspettare il treno dell'eroe. Io non sapevo quale sarebbe stata la sua apparenza, e lui non sapeva quanto io sarei stato alto e nobiliare. Questa è una cosa che avremmo molto sbeffeggiato in seguito. Ha detto che lui era molto nervoso. Ha detto che aveva cacato una mattonella. Io gli ho detto che anch'io avevo cacato una mattonella, ma se volete sapere perché, non è che non lo avrei saputo riconoscere. Un americano in Ucraina è tanto flaccido da riconoscere. Io ho cacato una mattonella perché lui era americano e io desideravo fargli vedere che anch'io potevo essere americano. Ho fatto anormalmente tanti pensieri di stornare la residenza in America, quando sarò più attempato. Hanno scuole superiori di commercialisti, questo lo so. Lo so perché un mio amico, Gregory, che è socievole con un amico del nipote di quello che ha inventato il sessantanove, mi ha detto che in America hanno molte scuole superiori di commercialisti e lui sa tutto. I miei amici sono accontentati di restare in Odessa per tutte le loro vite. Sono accontentati di invecchiare come i loro genitori, e di diventare genitori come loro. Non desiderano niente più di tutto quello che hanno conosciuto. Okay, ma questo non è per me, e non sarà neanche per il Piccolo Igor. Qualche giornata prima che arrivasse l'eroe, ho interrogato il Babbo se potevo andare in America quando mi laureavo dalla scuola. Lui ha risposto: «No». «Ma io lo voglio» l'ho informato. «Io non do importanza a che cosa vuoi» ha detto e questa per solito è la fine della conversazione, ma questa volta no. «Perché?» ho chiesto. «Perché quello che vuoi tu, Shapka, per me non è importante.» «No» ho detto io, «perché non posso andare in America dopo che mi sono laureato?» «Se vuoi sapere perché non puoi andare in America» ha detto lui schiudendo il frigorifero, investigando il cibo, «è perché il tuo bisnonno era di Odessa, e il Nonno era di Odessa e il Babbo, cioè io, era di Odessa, e i tuoi figli saranno di Odessa. E anche perché tu affaticherai nei Viaggi Tradizione quando sarai laureato, e questa è già una grande soddisfazione, come è stata una soddisfazione per il Nonno, e come è una soddisfazione per me.» «Ma se questo non è quello che desidero?» ho detto. «Se io non voglio affaticare nei Viaggi Tradizione, ma affaticare invece in qualche posto dove posso fare qualcosa di poco solito e guadagnare tanta moneta invece che una quantità mignon? E se non voglio che i miei figli crescano qui, ma invece crescano in un altro posto superiore, con cose superiori, e più cose? E se ho delle ragazze, invece?» Il Babbo ha preso dal frigorifero tre pezzi di ghiaccio, ha chiuso il frigorifero e mi ha mollato un pugno. «Mettiti questi sulla faccia» ha detto dandomi il ghiaccio, «così non avrai un aspetto terribile, e non fabbricherai disastri in Lvov.» Questa era la fine del dialogo. Facevo meglio a essere più furbo. E ancora non ho detto che il Nonno domandava di portare con noi Sammy Davis Junior Junior. Questa era un'altra cosa. «Tu stai facendo lo sciocco» lo ha informato il Babbo. «Lei mi serve per vedere la strada» ha detto il Nonno puntando il dito nei suoi occhi. «Io sono cieco.» «Tu non sei cieco, e tu non porti la cagna.» «Io sono cieco e la cagna viene con noi.» «No» ha detto il Babbo. «Non è un professionista chi ha la cagna al seguito.» Io avrei detto qualcosa a vantaggio del Nonno, ma non volevo essere ancora scimunito. «E' così: io vado con la cagna o io non ci vado.» Il Babbo era in posa, indurito come una roccia. Fra loro c'era il fuoco. Io questo l'avevo già visto, e niente al mondo mi faceva più paura. Alla fine mio padre ha concesso, anche se l'accordo era che Sammy Davis Junior Junior doveva avere indosso una camicia speciale che mio padre avrebbe fabbricato, con scritto: CAGNA UFFICIOSA DA CIECHI DEI
VIAGGI TRADIZIONE. Questo in modo da sembrare professionale. Oltre che avere in macchina una degenerata cagna che ha una propensione a lanciare il suo corpo contro il finestrino, era anche difficile la guida perché la macchina è talmente una merda che non viaggiava più veloce della velocità che io potevo fare di corsa, che è di sessanta chilometri all'ora. Molte macchine ci hanno sorpassato, e ciò mi ha fatto sentire di seconda classe, specialmente quando erano aggravate di famiglie o quando erano biciclette. Io e il Nonno durante il viaggio non abbiamo mai parlato, cosa che non è anormale, perché non abbiamo mai espresso moltitudini di parole. Io ho fatto sforzi per non ammorbarlo, ma era ammorbato comunque. Per esempio, ho dimenticato di esaminare la cartina e abbiamo sfuggito l'ingresso nella superstrada «Prego di non darmi pugni» ho detto, «ma ho commesso un minuscolo errore con la cartina.» Il Nonno ha dato un calcio al pedale di stop e la mia faccia ha dato un cinque al parabrezza. Per la maggioranza di un minuto lui non ha detto niente. «Ti ho chiesto di guidare la macchina?» mi ha domandato. «Io non ho la patente per guidare la macchina» ho risposto. (Questo tienilo per segreto, Jonathan.) «Ti ho domandato di preparare la colazione mentre stai insediato qui?» mi ha chiesto. «No» ho risposto. «Ti ho detto di inventare un nuovo tipo di ruota?» ha domandato. «No» ho risposto. «Non sarei stato molto bravo in questo.» «Quante cose ti ho chiesto di fare?» mi ha domandato. «Soltanto una» ho detto e sapevo che lui stava per incazzarsi, per incazzarsi di qui e di qua, e che mi avrebbe sgridato per un tempo durevole, e forse avrebbe fatto violenza con me, che io mi meritavo, niente di nuovo. Ma invece non lo ha fatto. (Così tu sai, Jonathan, che non ha mai fatto violenza con me o il Piccolo Igor.) Se vuoi sapere cosa ha fatto, ha roteato la macchina, e siamo tornati indietro dove avevo creato lo sbaglio. Venti minuti ci ha rapito questa cosa. Quando siamo arrivati sul luogo, l'ho informato che c'eravamo.
«Sei certissimo?» ha chiesto. Io gli ho detto che ero certissimo. Lui ha spostato la macchina sul ciglio della strada. «Ci fermeremo qui a mangiare la colazione» ha detto. «Qui?» gli ho chiesto, perché era un posto senza attrazione, solo pochi metri di sterrato fra la strada e un muro di cemento che separava la strada dai poderi agricoli. «Questo mi sembra un luogo pregiato» ha detto e sapevo che sarebbe stato comune pudore non discutere. Ci siamo insediati sull'erba e abbiamo mangiato, mentre Sammy Davis Junior Junior attentava di leccare via le righe gialle dalla superstrada. «Se fai un altro scombino» ha detto il Nonno mentre masticava una salsiccia, «fermo la macchina e tu scendi a piedi nel sedere. Saranno i miei piedi. Sarà il tuo sedere. Questa è una cosa che capisci?» Siamo arrivati a Lvov solo in undici ore, ma abbiamo fatto subito un altro viaggio alla stazione del treno come ha ordinato il Babbo. E stato difficile trovarla e molte volte siamo stati due uomini perduti. Questo ha incazzato il Nonno. Lui ha detto: «Odio Lvov!» Eravamo lì da dieci minuti. Lvov è grande e fa colpo all'occhio, ma non tanto come Odessa. Odessa è stupendissima, con molte spiagge famose dove le ragazze sono sdraiate sulla schiena e esibiscono petti di prima classe. Lvov è una città come New York nell'America. In verità New York è stata disegnata sul modello di Lvov. Ha case molto alte (perfino a sei livelli addirittura) e strade comprensive (con abbastanza spazio addirittura per tre macchine) e tanti telefoni cellulari. Ci sono molte statue a Lvov, e molti posti dove una volta erano situate le statue. Io non sono mai stato testimone di un posto creato con tanto cemento. Tutto era cemento e vi dirò che anche il cielo, che era grigio, sembrava fatto di cemento. Questo è qualcosa di cui io e l'eroe avremmo parlato dopo, in mancanza di parole. «Tu ti ricordi tutto il cemento di Lvov?» chiedeva lui. «Sì» dicevo. «Anch'io» lui diceva. Lvov è una città molto importante nella storia dell'Ucraina. Se volete sapere perché, io non lo so, ma sono sicuro che il mio amico Gregory lo sa. Lvov non è molto impressionante dentro alla stazione del tien. è lì che ho fatto ozio per più di quattro ore prima che arrivasse l'eroe. Il suo treno si era dilungato, così le ore sono state cinque. Io ero arrabbiato di dover fare ozio lì senza niente da fare, senza neanche un altafedeltà, ma ero molto di buon umore per non dover essere nella macchina con il Nonno, che probabilmente era lì per diventare degenerato, e Sammy Davis Junior Junior che degenerata era già. La stazione non era ordinaria perché c'erano carte azzurre e gialle pendenti dal soffitto. Erano lì per il primo genetliaco della nuova costituzione. Questo non mi ha fatto tanto orgoglioso, ma ero contento che l'eroe le avrebbe viste sbarcando dal treno di Praga. Avrebbe avuto un bellissimo quadro della nostra nazione.
Forse avrebbe pensato che le carte gialle e blu erano per lui, perché so che sono colori ebrei. Quando alla fine il suo treno è arrivato, tutte e due le mie gambe erano aghi e chiodi per essere rimasto verticale tanto a lungo. Io mi volevo sedere ma il pavimento era molto sporco, e per fare impressione sull'eroe portavo i miei pregiati blue-jeans. Sapevo da che vagone lui sbarcava perché il Babbo me lo aveva detto e ho tentato di andare fino a quello quando è arrivato il treno, ma era molto difficile con due gambe così, tutte aghi e chiodi. Io tenevo il cartello con il suo nome davanti a me e tante volte sono caduto sulle gambe e ho guardato negli occhi di tutte le persone che passavano davanti. Quando ci siamo trovati sono rimasto molto muto per l'apparenza sua. Questo qui è un americano? ho pensato. E anche: questo qui è un ebreo? Lui era veramente basso. Portava gli occhiali e aveva dei capelli minimi che non erano scriminati da nessuna parte ma appoggiati in testa come uno Shapka. (Se fossi stato il Babbo, forse lo avrei chiamato Shapka.) Non sembrava nemmeno come gli americani che io avevo veduto sui giornali con capelli gialli e muscoli o gli ebrei dei libri di storia senza capelli e con ossi sporgenti. Non portava né bluejeans né divisa. In verità, non sembrava proprio niente di speciale. A dire tanto, non faceva né caldo né freddo. Deve essersi accorto del cartello che tenevo perché mi ha dato un pugno sulle spalle e detto: «Alex?» Io ho detto di sì. «Sei il mio interprete, vero?» Io gli ho chiesto di andare lento perché non capivo. In verità stavo fabbricando tanta merda nelle mutande. Ho attentato di essere pacioso. «Prima lezione. Hello. Come ti senti oggi?» «Come?» «Seconda lezione: okay, non è il tempo tutto una meraviglia?» «Tu sei il mio interprete» ha ripetuto fabbricando gesti, «giusto?» «Esatto» ho detto io regalandogli la mano. «Io sono Alexander Perchov.
Sono il tuo umile traduttore.» «Non sarebbe carino picchiarti» ha detto.
«Come?» gli ho detto io. «Ho detto» ha detto «che picchiarti non sarebbe carino.» Ho riso. «Oh, sì. Non sarebbe carino neanche picchiarti te. Ti scongiuro perdona la mia parlata. Non sono pregiato in inglese.» «Jonathan Safran Foer» ha detto lui regalandomi la sua mano. «Come?» «Io sono Jonathan Safran Foer.» «Jon-fen?» «Safran Foer.» «Io ho il nome di Alex» ho detto. «Lo so» ha detto. «Qualcuno ti ha picchiato?» mi ha chiesto adocchiando il mio occhio destro. «E' stato carino per il Babbo picchiarmi» ho detto. Gli ho preso le valigie, e siamo andati fino alla macchina. «Il treno ti ha accontentato?» gli ho chiesto. «Oddio» lui ha risposto. «Ventisei ore. Incredibile, la puttana.» Questa ragazza di nome Incredibile, ho pensato, dev'essere molto laida. «Tu sei stato capace di Z Z Z Z Z?» ho chiesto. «Cosa?» «Sei riuscito a fabbricare le Z?» «Non capisco.» «Requiem.» «Che cosa?» «Hai fatto requiem?» «Oh. No» lui ha detto, «non ho fatto requiem neanche un po'.» «Cosa?» «Io non... ho... riposato... per niente.» «E le guardie del confine?» «Nessun problema» ha detto lui. «Ho sentito dire di loro tante cose, che mi avrebbero, sai, fatto vedere i sorci verdi. Invece sono entrate, hanno controllato il passaporto e non mi hanno dato noia.» «Come?» «Avevo sentito che poteva essere un problema ma non è stato nessun problema.» «Tu hai sentito parlare di loro?» «Sicuro. Avevo sentito dire che sono dei grossi stronzi malcagati.» Grossi stronzi malcagati. Mi sono scritto questo nel cervello. In verità ero rimasto muto perché l'eroe non aveva avuto nessuna tribolazione legale con le guardie di confine. Loro hanno l'abitudine poco gustosa di prendere le cose senza chiedere alle persone del treno. Una volta il Babbo è andato a Praga, come una parte della sua fatica per i Viaggi Tradizione, e mentre faceva requiem le guardie gli hanno rimosso dalla borsa delle cose pregiate che è una cosa terribile perché lui non possiede molte cose pregiate. (E' così assurdo pensare che qualcuno faccia una violenza al Babbo. Io più solitamente vedo i ruoli come qualcosa che non può cambiare.) Sono stato informato anche di storie di viaggiatori che devono regalare la moneta alle guardie per riavere i loro documenti. Con gli americani può essere il massimo o il peggio. E' il massimo se la guardia è innamorata dell'America e vuole fare botta sull'americano sembrando una guardia pregiata. Questo tipo di guardia pensa che incontrerà ancora l'americano un giorno in America, e che l'americano gli offrirà il biglietto di una partita dei Chicago Bulls e gli comprerà bluejeans e pane bianco e carta igienica delicata.
Questa guardia sogna di parlare l'inglese senza accento e avere una moglie con un seno non malleabile. Questa guardia confessa che non ama dove vive.
Anche l'altro tipo di guardia è innamorato dell'America, ma odierà l'americano perché è americano. Questo è il peggio. La guardia sa che non andrà mai in America e che non incontrerà mai più l'americano.
Allora ruberà all'americano e terrorizzerà l'americano solo per insegnargli che è il suo potere. Questa è l'unica occasione della vita di fare diventare l'Ucraina più dell'America, e diventare più di un americano. Questo mi ha detto il Babbo e io sono sicuro che lui è sicuro che è così.
Quando siamo arrivati vicino alla macchina, il Nonno stava facendo ozio con pazienza come il Babbo gli aveva ordinato. Lui era molto paziente.
Lui russava. Russava con un tale volume che io e l'eroe lo sentivamo anche se i finestrini erano elevati e dal rumore la macchina sembrava accesa. «Questo è il nostro guidatore» ho detto. «Lui è esperto nella guida.» Ho notato la tensione nel sorriso del nostro eroe. Per la seconda volta.
Erano passati quattro minuti. «Lui sta bene?» mi ha chiesto. «Che cosa?» ho detto. «Io non posso capire. Parla più lentamente per favore.» Avrei potuto sembrare non competente all'eroe. «Sta... be... ne... il... guida... tore?» «Senza dubbiosità» ho risposto. «Ma devo dirti anche che sono parecchio familiare con il guidatore. Lui è il Nonno.» In questo momento, Sammy Davis Junior Junior si è fatta visibile, perché è saltata su dal sedile posteriore e ha abbaiato al massimo. «Oh Gesù Cristo!» ha detto l'eroe con terrore e si è mosso distante dalla macchina. «Non essere perturbato» gli ho detto mentre Sammy Davis Junior Junior dava un pugno al finestrino con la testa. «Questa è solo la cagna da cieco del guidatore.» Ho indicato la camicia che lei portava, ma aveva masticato grossa parte di essa, così era scritto solo: CAGNA UFFICIOSA. Ho detto: «Lei è degenerata. Ma tanto giocherellina». «Nonno» ho detto muovendo il suo braccio per eccitarlo dal sonno. «Nonno, lui è qui.» Il Nonno ha roteato la testa di qui e di qua. «Lui è sempre tranquillo» ho detto all'eroe sperando che questo lo perturbasse meno. «Questo può tornar comodo» ha detto l'eroe. «Cosa?» ho chiesto. «Ho detto che può tornar comodo.» «E che cosa vuol dire tornar comodo?» «Essere utile. Sai, essere di aiuto. Ma quel cane, però?» Adesso uso questo modo di dire americano molto spesso. In un famoso nightclub ho detto a una ragazza: «I miei occhi mi tornano comodo quando osservo il tuo petto impareggiabile». Più tardi siamo stati molto carnali e lei ha annusato le sue ginocchia e anche le mie. Sono riuscito a smuovere il Nonno dal requiem. Se volete sapere come, ho stretto il suo naso con le dita così che non poteva respirare. Lui non sapeva dove si trovava. Ha chiesto «Anna?» Questo è il nome di mia nonna che è morta due anni fa. «No, Nonno» ho detto. «Sono io. Sasha.» Lui era molto vergognoso. Potevo accorgermi di questo perché ha roteato la faccia via da me. «Io ho acchiappato Jon-fen» gli ho detto. «Uhm... mi chiamo Jon-a-than» ha detto l'eroe che stava osservando Sammy Davis Junior Junior che leccava i finestrini. «L'ho acchiappato. E arrivato il suo treno.» «Oh» ha detto il Nonno, e ho percepito che stava ancora staccandosi dal sogno.
«Dovremmo andare avanti fino a Lutsk» ho proposto, «come ha detto il Babbo.» «Che cosa?» ha chiesto l'eroe. «Gli ho detto che dovremmo andare avanti fino a Lutsk.» «Sì, Lutsk. E' là che mi hanno detto che dovevo andare. E da là a Trachimbrod.» «Che cosa?» ho inquisito. «A Lutsk e poi a Trachimbrod.» «Esatto» ho detto. Il Nonno ha messo sul volante le mani. Ha guardato davanti a sé per un tempo prolungato. Stava respirando respiri molto larghi, e le mani tremavano. «Sì?» ho interrogato. «Stai zitto» mi ha informato. «E dove starà il cane?» ha chiesto l'eroe.
«Cosa?» «Dove... starà... il... cane?» «Io non capisco.» «Ho paura dei cani» lui ha detto. «Ho avuto qualche esperienza bruttina.» Ho detto questo al Nonno, che era ancora mezzo dentro il sogno. Lui ha detto: «Nessuno ha paura dei cani». L'eroe ha tirato su la camicia per manifestarmi i resti di una ferita. «Questo è il morso di un cane» ha detto. «Che cosa?? «Questo.» «Cosa?» «Questa cosa.» «Quale cosa?» «Qui.
Sembrano due linee che si incrociano.» «Io non le vedo.» «Qui» lui ha detto. «Dove?» «Proprio qui» ha detto lui e io ho detto: «Oh certo» anche se in verità io ancora non testimoniavo un bel niente. «Mia madre ha paura dei cani.» «E allora?» «Così ho paura dei cani anch'io. Non posso farci niente.» Adesso avevo arraffato la situazione. «Sammy Davis Junior Junior deve insediarsi davanti con noi» ho detto al Nonno. «Sali sulla cazzuta macchina» ha detto lui già mezzo scaricato della pazienza che aveva quando stava russando. «La cagna e l'ebreo staranno sul sedile di dietro. E' abbastanza vasto per tutti e due.» Io non ho menzionato che il sedile dietro non era abbastanza vasto neanche per uno di loro.
«Noi che cosa faremo?» ha chiesto l'eroe, pauroso di venire vicino alla macchina mentre sul sedile dietro Sammy Davis Junior Junior si era fatta la bocca insanguinata masticandosi la sua coda medesima.
CAPITOLO 4. IL LIBRO DEI SOTGNI RICORRENTI: 1791
La notizia della sua buonasorte raggiunse Yankel D mentre gli Scompigliati stavano terminando la loro funzione settimanale. E' della massima importanza che noi ricordiamo - disse il coltivatore di patate narcolettico Didl S alla congregazione accomodata sui cuscini sparsi nel suo soggiorno. (La congregazione degli Scompigliati era di quelle itineranti, aveva sede ogni shabbat nella dimora di un congregazionista diverso.) Ricordiamo che cosa? chiese il maestro di scuola Tzadik P spruzzando gessetto giallo a ogni sillaba. Non è importante che cosa, ma il fatto che dobbiamo ricordare. L'atto di ricordare, il procedimento del ricordo, il riconoscimento del nostro passato... i ricordi sono piccole preghiere a Dio, certo, se ci credessimo... Perché sta scritto nelle Scritture qualcosa che riguarda proprio questo, o qualcosa che è simile a questo... ci avevo sopra il dito pochi minuti fa... giuro, era proprio qui. Qualcuno ha visto in giro il Libro degli antecedenti? Avevo uno dei primi volumi un attimo fa... Merdaccia! Qualcuno mi sa dire dove stavo? Adesso sono tutto confuso, e imbarazzato anche, incasino sempre tutto quando si fa a casa mia... Memoria, lo assistette Sbanda la dolente, ma Didl si era irresistibilmente addormentato. Lei lo svegliò e gli sussurrò' Memoria. Eccoci qui, disse lui, senza perdere un colpo mentre scartabellava fra un mucchio di carte sul suo pulpito, che in realtà era una gabbia per polli. Memoria. Memoria e riproduzione. E naturalmente, sogni. Che cos'è essere svegli se non interpretare i nostri sogni, e che cos'è sognare se non interpretare la nostra veglia?
Il cerchio dei cerchi? Sogni, sì? No? Sì. Sì, è il primo shabbat. Il primo del mese. Ed essendo il primo shabbat del mese, dobbiamo apporre le nostre aggiunte al Libro dei sogni ricorrenti. Va bene? Qualcuno mi dica se sto incasinando tutto.
Ho fatto un sogno alquanto interessante in queste ultime due settimane, dichiarò Lilla F, discendente del primo Scompigliato che lasciò cadere il Grande Libro.
Ottimo, disse Didl, prendendo il Tomo IV del Libro dei sogni ricorrenti dall'arca improvvisata, che in realtà era il suo forno a legna.
Anch'io, aggiunse Shloim. Parecchi sogni.
Anch'io ho un sogno ricorrente, disse Yankel.
Ottimo, disse Didl. Eccellentissimo. Fra non molto avremo un nuovo volume!
Ma prima, mormorò Shanda, dobbiamo rivedere le voci del mese passato.
Ma prima, intervenne Didl, assumendo l'autorità di un rabbino, dobbiamo rivedere le voci del mese passato. Dobbiamo andare indietro per andare avanti.
Ma non metteteci troppo, osservò Shloim, perché altrimenti lo dimenticherò. E' già tanto che sia riuscito a ricordarmelo così a lungo.
Ci vorrà esattamente il tempo che ci vorrà, disse Lilla.
Mi occorrerà esattamente il tempo che ci vorrà, disse Didl, e si annerì la mano con la cenere che aveva raccolto dalla copertina del pesante libro rilegato in pelle. Lo aprì a una pagina verso la fine, prese la bacchetta d'argento che in realtà era un coltello di latta e cominciò a salmodiare, attraversando col taglio della lama il cuore della vita onirica Scompigliata 4:512 - Il sogno del sesso senza dolore. Ora son quattro notti che ho sognato lancette d'orologio cadere a pioggia dall'universo, la luna come un occhio verde, specchi e insetti, un mare che non si ritraeva mai. Non era il senso di completezza di cui abbisognavo tanto, ma la sensazione di non essere vuota. Questo sogno ebbe termine quando sentii che mio marito penetrava in me. 4:513 - Il sogno degli angeli che sognano gli uomini. Fu durante un sonnellino pomeridiano che sognai una scala. Angeli sonnambuli andavano avanti e indietro sui pioli, a occhi chiusi, il respiro greve e monotono, le ali che penzolavano molli lungo i fianchi. Mentre sorpassavo un vecchio angelo lo urtai destandolo e facendolo trasalire. Somigliava a mio nonno prima che morisse l'anno scorso, quando ogni sera pregava di morire nel sonno. Oh, mi disse l'angelo, stavo proprio sognando di te, 4:514 - Il sogno, per futile che possa sembrare, del volo. 4:515 - Il sogno del valzer della festa, carestia e festa. 4:516 - Il sogno degli uccelli disincarnati (46). Non so se vorrete considerare questo un sogno oppure un ricordo, perché in effetti è accaduto, ma quando mi addormento vedo la stanza in cui piangevo la morte di mio figlio. Quelli di voi che erano presenti ricorderanno come sedessimo muti, mangiando solo quello che ci era indispensabile. Ricorderete quando entrò un uccello sfondando la finestra e cadde sul pavimento. Ricorderanno, quelli di voi che erario presenti, come agitasse a scatti le ali prima di morire e lasciasse sul pavimento una macchia di sangue dopo essere stato portato via. Ma chi di voi fu il primo a notare l'uccello in negativo lasciato nella finestra? Chi scorse per primo l'ombra che cavava sangue da qualsiasi dito osasse tracciarla, l'ombra che era migliore prova dell'esistenza dell'uccello di quanto esso stesso non fosse stato mai?
Chi era con me mentre piangevo la morte di mio figlio, quando mi accomiatai per seppellire quell'uccello con le mie mani? 4:517 - Il sogno dell'innamoramento, matrimonio, morte, amore. Questo sogno sembra duri per ore, anche se occorre sempre nei cinque minuti che passano fra il mio ritorno dal campo e la sveglia per cena. Sogno di quando conobbi mia moglie, cinquant'anni fa, ed è precisamente come accadde. Sogno le nostre nozze, e posso addirittura rivedere le lacrime d'orgoglio di mio padre. C'è tutto esattamente come allora. Ma dopo sogno la mia morte, che ho sentito dire è cosa impossibile, e tuttavia dovete credermi.
Sogno mia moglie che sul mio letto di morte mi dice che mi ama, e anche se lei non crede che possa sentirla, la sento invece, e dice che non avrebbe cambiato alcunché. Sembra proprio un momento già vissuto mille volte, come se tutto fosse familiare, fino al momento della mia morte, che accadrà ancora un numero infinito di volte, e ci incontreremo, ci sposeremo, avremo i nostri figli, avremo le soddisfazioni avute, falliremo così come abbiamo fallito, identici, sempre incapaci di cambiare alcunché. Mi ritrovo di nuovo al fondo di una ruota che non si può fermare, e quando sento gli occhi chiudersi per la morte, come è accaduto e accadrà mille volte, mi sveglio. 4:518 - Il sogno del moto perpetuo. 4:519 - Il sogno delle finestre basse. 4:520 - Il sogno della sicurezza e della pace Ho sognato di essere venuto al mondo dal corpo di un'estranea. Ella mi partorì in un luogo segreto, lontano da ogni cosa che sarei giunto a conoscere. Immediatamente dopo la mia nascita mi consegnò a mia madre, per salvare le apparenze, e mia madre disse: Grazie. Tu mi hai recato un figlio, il dono della vita. E per questo motivo, poiché ero parte del corpo di una sconosciuta, non temevo il corpo di mia madre e avrei potuto abbracciarlo senza vergogna, soltanto con amore. Poiché io non ero del corpo di mia madre, il mio desiderio di tornare a casa non mi ricondusse mai a lei ed ero libero di dire madre significando unicamente madre. 4:521 - Il sogno degli uccelli disincarnati (47). E' l'imbrunire, in questo sogno che ripeto ogni notte, e sto facendo l'amore con mia moglie, la mia vera moglie, con cui sono sposato da trent'anni, e tutti voi sapete quanto l'ami, la amo tanto. Le massaggio le cosce con le mani, e muovo le mani su lungo i suoi fianchi e il suo ventre e le accarezzo i seni. Mia moglie è una donna di tale bellezza, voi tutti lo sapete, e nel sogno è precisamente identica, esattamente altrettanto bella. Guardo le mie mani sui suoi seni - due cose logorate, callose, le mani di un uomo, venate e tremule, tremanti - e mi ricordo, il per che non lo so, ma è così tutte le notti, mi ricordo due uccelli bianchi che mi portò mia madre da Varsavia quando ero ancora bambino. Li lasciammo volare per la casa e posarsi dovunque gli garbasse. Ricordo che vedevo la schiena di mia madre mentre mi preparava le uova e ricordo gli uccelli appollaiati sulle sue spalle con il becco vicino alle sue orecchie come se fossero lì per svelarle un segreto. Lei allungò la mano destra nella credenza, cercando senza guardare non so quale spezia su un ripiano alto, brancolando alla ricerca di una cosa sfuggente, svolazzante, mentre badava che il mio cibo non si bruciasse. 4:522 - Il sogno di incontrare se stesso più giovane. 4:523 - Il sogno degli animali, a due a due. 4:524 - Il sogno di non mi vergognerò. 4:525 - Il sogno che noi siamo i nostri padri.
Sono andato a piedi fino al Brod senza sapere perché, e ho osservato il riflesso dentro l'acqua. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Che cos'era l'immagine che mi attirava a fissarlo? Che cos'era che amavo? E poi lo riconobbi. Così semplice. Nell'acqua vedevo il volto di mio padre e così via, e così via, riflesso a ritroso verso l'inizio dei tempi, verso il volto di Dio a cui immagine siamo stati creati. Ardevamo d'amore per noi stessi, noi tutti, iniziatori del fuoco di cui abbiamo sofferto - il nostro amore era l'afflizione per la quale soltanto il nostro amore era la cura...
La salmodia fu interrotta da un bussare alla porta. Nessuno dei congregazionisti ebbe il tempo di alzarsi in piedi, che due uomini con il cappello nero entrarono zoppicando. SIAMO QUI A NOME DELLA
CONGREGAZIONE RITTA! urlò il più alto dei due. DELLA CONGREGAZIONE
RITTA! gli fece eco quello basso e tarchiato. Sst! disse Sbanda. E' QUI
PRESENTE YANKEL? gridò il più alto come rispondendo alla sua richiesta.
SI, E' QUI PRESENTE YANKEL? gli fece eco duello basso e tarchiato.
Eccomi. Sono qui, disse Yankel alzandosi dal cuscino. Credeva che il Riverito Rabbino stesse richiedendo il suo aiuto finanziario come era accaduto tante volte in passato, poiché la carità già a quei tempi era dispendiosa. Che cosa posso fare per voi? TU SARAI IL PADRE DELLA BIMBA
DEL FIUME! gridò quello più alto. TU SARAI IL PADRE! gli fece eco quello basso e tarchiato. Ottimo! disse Didl, chiudendo il Tomo IV del Libro dei sogni ricorrenti da cui, allo sbatter di pagine, fuoriuscì una nuvola di polvere. E cosa eccellentissima, questa! Yankel sarà suo padre! Mazel tov! cominciarono a cantare i congregazionisti. Mazel tov!
D'un tratto, Yankel fu colto dalla paura di morire, più forte di quella provata quando i suoi genitori erano mancati per cause naturali, più forte di quella provata quando il suo unico fratello era rimasto ucciso nel mulino industriale, o quando erano morti i suoi figli; più forte, addirittura, di quando da bambino gli era venuto in mente per la prima volta che doveva provare a capire cosa poteva significare non essere vivi: non trovarsi al buio, o senza sensi - ma essere non-essenti, non essere. Gli Scompigliati si congratularono con lui non accorgendosi però, mentre lo prendevano a pacche sulla schiena, che stava piangendo.
Yankel disse Vi ringrazio più e più volte, senza mai chiedersi nemmeno chi stesse ringraziando. Grazie tante. A Yankel era stata donata una bambina, e a me un bisbis-bis-bis-bis-bisnonno.
CAPITOLO 5. INNAMORARSI - 1791-1796
Quella sera l'usuraio infamato Yankel D portò a casa la bambina. Eccoci qui, le disse, saliamo il gradino. Siamo arrivati. Questa è la tua porta. Ed ecco, questo che sto girando è il pomolo della tua porta. Ed ecco, qui è dove mettiamo le scarpe quando entriamo. E qui è dove appendiamo le giacche. Parlava come se lei potesse capirlo, mai in toni striduli o a monosillabi infantili, e assolutamente mai con parole senza senso. Questo è il latte che ti do da mangiare. Arriva dal lattaio Mordechai, di cui un giorno farai la conoscenza. Lui tira il latte da una mucca, cosa che se ci pensi è molto strana e inquietante, quindi non ci pensare... Questa è la mia mano che ti accarezza la faccia. Certe persone sono mancine, e altre sono destrorse. Noi non sappiamo ancora cosa sei tu, perché te ne stai semplicemente lì seduta e lasci che sia io a usare la mano... Questo è un bacio. E' quello che succede quando si arricciano le labbra e si premono contro qualcosa, a volte altre labbra, a volte una guancia, a volte ancora qualche cos'altro. Dipende... Questo è il mio cuore. Lo stai toccando con la mano sinistra non perché sei mancina, anche se potresti esserlo, ma perché sono io che la tengo contro il mio cuore. Quello che senti è il battito del mio cuore. E quello che mi tiene vivo. Fece un lettino con giornali accartocciati in una pentola fonda per cuocere il pane e lo infilò delicatamente nel forno in modo che la bambina non fosse disturbata dal rumore delle cascatelle. Lasciò aperto lo sportello del forno e restò seduto a guardarla per ore come si potrebbe guardare una pagnotta che lievita.
Guardava il petto alzarsi e abbassarsi in rapida successione mentre le manine si stringevano a pugno e si rilasciavano, e i suoi occhi lo guardavano di traverso senza apparente motivo. Starà sognando? si chiedeva. E se sì, che cosa sogna un bambino? Deve sognare la vita prima della vita come io sogno quella dopo la morte. Quando la tirava fuori per darle da mangiare o anche solo tenerla in braccio, il suo corpo era tatuato dai caratteri della stampa. IL TEMPO DELLE MANI TINTE E' ALFINE
CONCLUSO! IL TOPO SULLA FORCA! Oppure: SOFIOWKA ACCUSATO DI STUPRO, CHIEDE PIETA'. ERO POSSEDUTO DA ESALTAZIONE FENICA, HO «PERDUTO IL
CONTROLLO» O ancora: AVRUM R MORTO IN INCIDENTE AL MULINO, LASCIA UN
GATTO SIAMESE DISPERSO DI QUARANTOTTO ANNI, FULVO, TONDETTO MA NON
GRASSO BELLA PRESENZA, FORSE UN PO' GRASSO, RISPONDE A «MATUSALEMME», D'ACCORDO, GRASSO COME UNA MERDA. SE LO TROVATE, LIBERI Di TENERLO. A volte la faceva addormentare cullandola fra le braccia, e la leggeva da sinistra a destra, e sapeva del mondo tutto quello che gli occorreva sapere. Se non era scritto su di lei per lui non aveva importanza.
Yankel aveva perso due bambini: uno di febbre e l'altre per colpa del mulino industriale, che dalla sua costruzione si era preso la vita di un abitante dello shtetl all'anno. Aveva anche perso la moglie, e non per colpa della morte, ma di un altro uomo. Rincasando dopo un pomeriggio in biblioteca aveva trovato un biglietto sopra lo SHALOM! sul tappetino della soglia: Ho dovuto farlo, per me. Lilla F tastava il terreno attorno a una delle sue margherite. Bitzl Bitzl era ritto dietro la finestra di cucina fingendo di pulire l'armadietto. Shloim W spiava attraverso il bulbo superiore di una delle clessidre dalle quali non riusciva più a separarsi. Nessuno disse niente mentre lui leggeva, e nessuno disse mai niente in seguito, come se non ci fosse nulla di insolito nella scomparsa di sua moglie, o come se non si fossero neppure accorti che era stato sposato. Perché non lo ha infilato sotto la porta? si chiedeva. Perché non l'ha almeno ripiegato? All'aspetto era come tutti gli altri biglietti che gli lasciava, del tipo: Puoi provare ad aggiustare il batacchio rotto? oppure: Torno subito, non stare in pensiero.
Era talmente strano per lui che un biglietto di così diverso carattere Ho dovuto farlo, per me - potesse avere esattamente la stessa fisionomia: ovvia, banale, nulla. Avrebbe potuto odiarla per averlo lasciato così in vista; e avrebbe potuto odiarla per la sua banalità, un messaggio senza coloriture, senza la minima ammissione che sì, questa è una cosa importante, che sì, questo è il biglietto più triste che abbia mai scritto, d'accordo, preferirei essere morta che scriverlo di nuovo.
Dov'erano le lacrime asciugate? Dov'era il tremito nella grafia? Ma sua moglie era il suo primo e unico amore, e i nati nel piccolo shtetl avevano la tendenza naturale a perdonare i loro primi e unici amori, quindi si fece forza di capire, o di fingere di capire. Non la incolpò mai di essere fuggita a Kiev con un burocrate itinerante e baffuto di cui era stata richiesta la collaborazione per rimediare al caotico andamento del vergognoso processo di Yankel; il burocrate le poteva promettere di garantirle il futuro, poteva portarla via da tutto, trasferirla in un luogo più tranquillo, senza patemi, senza confessioni o patteggiamenti processuali. No, non bastava questo. Senza Yankel. Lei voleva stare senza Yankel. Passò le settimane successive impedendosi di pensare al burocrate che scopava sua moglie. Sul pavimento con gli ingredienti per cucinare. In piedi, ancora con i calzini. Sull'erba del cortile della loro nuova, immensa casa. La immaginò mentre faceva versi che per lui non aveva mai fatto, e provava piaceri che lui non le aveva procurato perché il burocrate era un uomo: mentre lui non lo era. Gli succhia il pene? si domandò. Lo so che è un pensiero stupido, un pensiero che mi porterà solamente dolore, ma non posso sbarazzarmene. E quando lei gli succhia il pene - perché deve succhiarglielo per forza lui cosa fa? Le scosta i capelli per guardare? Le tocca il petto? O pensa ad altro? Se pensa a qualcos'altro, lo uccido. Ancora sotto gli occhi dello shtetl - Lilla che continuava a tastare, Bitzl Bitzl che continuava a pulire, Shloim che continuava a fingere di misurare il tempo con la sabbia - piegò il biglietto a formare una lacrima, lo infilò nel risvolto della giubba ed entrò in casa. Non so che cosa fare, pensava. Probabilmente dovrei suicidarmi. Come non poteva sopportare la sua vita, o il pensiero di lei che faceva l'amore con qualcuno che non era lui, non poteva sopportare nemmeno di conservare il biglietto, e nemmeno di distruggerlo. Quindi tentò di perderlo. Lo lasciò vicino ai candelieri lacrimanti di cera, a ogni Pasqua lo mise fra le matzot, lo lasciò cadere senza riguardo fra carte sgualcite sulla sua scrivania sempre ingombra, nella speranza che al suo ritorno non ci sarebbe stato più. E invece era sempre lì. Tentava di farselo cadere dalla tasca mentre era seduto sulla panchina davanti alla fontana della sirena prostrata, ma quando infilava la mano per cercare il fazzoletto era ancora lì. Lo celava come un segnalibro in un romanzo fra quelli da lui più odiati, ma il biglietto riappariva qualche giorno dopo fra le pagine di uno dei libri occidentali che era l'unico a leggere in tutto lo shtetl, uno dei libri che ora quel biglietto gli aveva rovinato per sempre. Ma come non poteva perdere la sua vita, in tutta la vita non poteva perdere quel biglietto. Continuava a tornare da lui. Rimaneva con lui, come una parte di lui, una voglia, un arto, era su di lui, dentro di lui, era lui, il suo motto: Ho dovuto farlo, per me. Nel tempo aveva perso tanti frammenti di carta, e chiavi, e penne, camicie, occhiali, orologi, argenteria. Aveva perso una scarpa, i suoi gemelli preferiti di opale (le frange Scompigliate delle sue maniche erano in pieno, incontrollato rigoglio), perso tre anni lontano da Trachimbrod, milioni di idee che avrebbe voluto trascrivere (alcune di assoluta originalità, alcune di profondo significato), i capelli, la postura, due genitori, due figli, una moglie, una fortuna in moneta, più occasioni di quante ne potesse contare. Aveva addirittura perso un nome: era Safran prima di fuggire dallo shtetl, Safran dalla nascita alla sua prima morte.
Sembrava non ci fosse niente che non poteva perdere. Ma quel pezzo di carta non sarebbe scomparso mai e poi mai, e nemmeno sarebbe scomparsa l'immagine di sua moglie a quattro zampe, e nemmeno il pensiero che, se ne fosse stato capace, avrebbe di molto migliorato la sua vita ponendovi fine. Prima del processo, Yankel-allora-Safran godeva di incondizionata ammirazione. Era il presidente (e tesoriere e segretario e unico membro) del comitato per le buone e belle arti, nonché fondatore, preside confermato e riconfermato e unico insegnante della Scuola per il Più Nobile Apprendimento, che aveva sede in casa sua e le cui lezioni erano frequentate dal medesimo Yankel. Non era raro per una famiglia tenere grandi cene a suo nome (se non in sua presenza), o per uno dei membri più ricchi della comunità commissionare a un artista girovago di dipingere un suo ritratto. E i ritratti erano sempre lusinghieri. Era un uomo che tutti ammiravano e apprezzavano, e nessuno conosceva. Come un libro di cui si può percepire il valore tenendolo in mano, di cui si può parlare senza averlo mai letto, un libro che si può raccomandare. Su consiglio del suo avvocato Isaac M, che a ogni sillaba di ogni parola che pronunciava tracciava punti interrogativi in aria, Yankel si dichiarò colpevole di tutte le accuse di incompetenza sperando che questo potesse mitigare la sua pena. Alla fine perse la licenza. E più della licenza. Perse il suo buon nome, il che, come dicono, è la sola cosa peggiore che perdere la buona salute. I passanti lo schernivano, o sibilavano sottovoce epiteti come brigante, imbroglione, bastardo, coglione. Non lo avrebbero odiato tanto se prima non fosse stato così sfacciatamente amato. Ma insieme con il Rabbino e Sofiowka, lui era uno dei vertici della comunità - il vertice invisibile - e alla vergogna si accompagnò un senso di squilibrio, di vuoto. Safran si spostò tra i villaggi vicini, sbarcando il lunario come insegnante di teoria e pratica di arpicordo, esperto di profumi (fingendosi sordo e cieco per garantirsi una sorta di pidigrì in mancanza di altre referenze) e addirittura, in un infausto periodo, come il peggior indovino del mondo - non mentirò dicendo che il futuro sia pieno di promesse... Ogni mattina si svegliava con il desiderio di far bene, di essere un uomo buono e avveduto: di essere - nella semplicità del suono e nell'impossibile realtà della parola - felice. E nel corso di ogni giornata il cuore gli calava dal petto nello stomaco. Al primo pomeriggio era oppresso dalla sensazione che niente fosse giusto o meglio niente fosse giusto per lui, e dal desiderio di essere solo. A sera era appagato: solo, nella illimitatezza del suo dolore; solo nella sua colpa senza scopo; solo, perfino nella sua solitudine. Non sono triste, io, si ripeteva tante volte. Non sono triste, come se un giorno potesse riuscire a convincersi. O a gabbare se stesso. O a convincere gli altri - peggio di essere triste è solo quando gli altri sanno che sei triste. Non sono triste. Non sono triste. Perché la sua vita serbava un potenziale illimitato di felicità, in quanto era una stanza bianca e vuota. Si addormentava con il cuore ai piedi del letto, come un animale domestico che non faceva parte di lui. E ogni mattina si svegliava con il cuore di nuovo nel forziere della sua gabbia toracica, divenuto un po' più greve, un po' più debole, ma ancora in grado di pompare sangue.
E a metà pomeriggio era di nuovo sopraffatto dal desiderio di essere altrove, di essere un altro, di essere un altro altrove. Non sono triste, io. Dopo tre anni ritornò allo shtetl - io sono la prova decisiva che tutti gli abitanti che se ne vanno alla fine tornano - e trascorse una vita tranquilla come la frangia di uno Scompigliato alla manica di Trachimbrod, costretto a portare al collo quell'orribile pallina come marchio d'infamia. Cambiò il suo nome in Yankel, il nome del burocrate fuggito con sua moglie; e richiese che più nessuno lo chiamasse mai Safran. (Anche se ogni tanto gli sembrava di sentire quel nome, bofonchiato in sordina.) Molti vecchi clienti tornarono da lui, pur non volendo pagargli le parcelle del suo periodo aureo, e lui riuscì a rimettere radici nello shtetl dove era nato - come alla fine tentano di fare tutti gli esiliati. Quando gli uomini dal cappello nero gli consegnarono la bambina, sentì di essere solo un bimbo anche lui, con l'occasione di vivere senza infamia, senza bisogno di consolazione per una vita sbagliata: un'occasione di essere, di nuovo, innocente, semplicemente e impossibilmente felice. Le diede il nome di Brod, dal fiume della sua strana nascita, e le diede uno spago da portare al collo, con una piccola pallina d'abaco, affinché non si sentisse mai fuori posto in quella che sarebbe stata la sua famiglia. Crescendo, la mia bis-bis-bis-bis-bisnonna naturalmente non ricordava niente: e niente le fu detto. Yankel inventò una storia sulla morte precoce di sua madre - di parto, ma senza soffrire - e alle tante domande che sorgevano rispondeva nel modo che, a intuito, le avrebbe dato il minimo dolore.
Era da sua madre che aveva preso quelle splendide, grandi orecchie.
Veniva da sua madre quel senso dell'umorismo che i ragazzi ammiravano tanto in lei. Le raccontò delle loro villeggiature, dei viaggi (a Venezia, quando le aveva tolto una scheggia da un piede; di fronte alle alte fontane di Parigi, quando l'aveva ritratta in uno schizzo a sanguigna), le mostrò le lettere d'amore che si erano scambiati (aveva scritto quelle della madre di Brod con la mano sinistra), e la metteva a dormire raccontandole la loro storia romantica. E stato amore a prima vista, Yankel? Ho amato ma madre ancora prima di vederla... era il suo profumo! Ripetimi ancora com'era Ti assomigliava. Era bella, con quegli occhi diversi, come i tuoi. Uno azzurro e uno marrone, come i tuoi.
Aveva i tuoi zigomi pronunciati, e anche la tua pelle morbida. Qual era il suo libro preferito? La Genesi, naturalmente. Credeva in Dio? Non me lo ha mai detto. Quanto erano lunghe le sue dita? Così. E le sue gambe?
Così. Ripetimi ancora quando ti soffiava in faccia prima di baciarti.
Be', non ho altro da dire... solo che prima di baciarmi mi soffiava sulle labbra come se fossi un cibo molto caldo e stesse per mangiarmi!
Era simpatica? Faceva ridere più di me?
Era la persona più spiritosa del mondo. Proprio come te.
Era bella?
Non poteva succedere altrimenti: Yankel si innamorò della sua mai-stata-moglie. Si svegliava con la nostalgia del peso che non aveva mai avvallato il letto accanto a sé, ricordando davvero il peso di gesti che lei non aveva mai compiuto, anelando al non-peso del non-braccio abbandonato sopra il suo petto troppo-reale, e rendendo i suoi ricordi di vedovo tanto più convincenti, e tanto più concreto il suo dolore.
Sentiva di averla persa. Lui l'aveva persa. Di notte rileggeva le lettere che lei non gli aveva mai scritto.
Mio diletto Yankel, presto tornerò a casa da te, quindi non è necessario continuare in questa nostalgia, per quanto dolce possa essere. Sei proprio uno sciocco. Lo sai? Sai quanto sei sciocco? Forse è per questo che ti amo tanto, perché sono sciocca anch'io.
Qui le cose vanno magnificamente. E' bellissimo, proprio come avevi promesso. Tutti sono stati gentili, e mangio bene... lo accenno solo perché so che stai sempre in ansia perché non mi riguardo abbastanza.
Be', mi riguardo, quindi non preoccuparti.
Mi manchi tanto. E insopportabile. Ogni momento di ogni giorno penso alla tua mancanza, e per poco non muoio. Ma suvvia, presto sarò di nuovo con te e non dovrò provare nostalgia, e non dovrò sapere che manca qualcosa, tutto, che quello che è qui è solo quello che non è qui. Prima di coricarmi bacio il cuscino e immagino che sia tu. Lo so, sembra una cosa di quelle che fai tu. Probabilmente lo faccio per questo.
Funzionò, quasi. Lui aveva ripetuto tante volte quei dettagli che era quasi impossibile distinguerli dai fatti. Ma il biglietto continuava a riapparire ed era questo, sicuramente questo, a vietargli la cosa più semplice e più impossibile: la felicità. Ho dovuto farlo, per me. Un giorno Brod, ancora bambina, si imbatté nel biglietto. Il biglietto era riuscito ad arrivare fin nella sua tasca destra come avesse avuto una mente propria come se quelle cinque parole scarabocchiate fossero state in grado di influire sulla realtà. Ho dovuto farlo, per me. Brod colse l'incommensurabile valore della cosa, oppure la ritenne irrilevante, perché non ne parlò mai con Yankel, ma posò il biglietto sul suo comodino dove lui lo trovò quella notte, dopo avere riletto un'altra lettera che non era di sua madre né di sua moglie. Ho dovuto farlo, per me. Non sono triste, io.
CAPITOLO 6. UN'ALTRA LOTTERIA: 1791
Il Riverito Rabbino pagò a metà prezzo tredici uova e una manciata di mirtilli affinché sul bollettino settimanale di Shimon T fosse stampato il seguente annuncio: un irascibile magistrato di Lvov aveva fatto richiesta d'un nome per uno shtetl anonimo, da usarsi per nuove carte geografiche e censimenti, tale da non offendere la raffinata suscettibilità della nobiltà ucraina né polacca, né essere di pronuncia troppo difficoltosa: e su ciò si sarebbe dovuto deliberare entro la fine della settimana. UN VOTO! dichiarò il Riverito Rabbino. LO METTERE MO AI
VOTI. Poiché, come una volta aveva elucidato il Venerabile Rabbino, E SE
CREDIAMO CHE OGNI EBREO MASCHIO SANO DI MENTE, RIGOROSAMENTE
MORALE, AL
DISOPRA DELLA MEDIA, POSSESSORE DI AVERI, ADULTO, OSSERVANTE SIA NATO
CON UNA VOCE CHE DEV'ESSERE SENTITA, ALLORA NOI LI SENTIREMO TUTTI?
L'indomani mattina un'urna fu collocata fuori della Ritta Sinagoga e gli aventi diritto si misero in coda lungo la linea di demarcazione ebreo/umana. Bitzl Bitzl R votò per Gefilteville; il defunto filosofo Pinchas T per Capsula Temporale di Polvere e Fune, il Riverito Rabbino per SHTETL DEI PIUù RITTISTIE INNOMINABILI SCOMPIGLIATI CON CUI NESSUN
EBREO DEGNO DI NOME DOVREBBE AVERE NULLA A CHE FARE A MENO CHE LA
SUA
IDEA DI VACANZA SIA L'INFERNO. il possidente folle Sofiowka N - avendo tanto tempo e così poco da lavorare - si incaricò di far la guardia alla scatola tutto il pomeriggio per consegnarla poi all'ufficio del magistrato quella sera a Lvov. La mattina era cosa ufficiale: a ventitré chilometri a sudest di Lvov e quattro a nord di Kolki, e a cavalcioni del confine polacco-ucraino come un rametto posatosi su un recinto, era situato lo shtetl di Sofiowka. Il nuovo nome, con gran smacco di coloro che dovevano sopportarlo, era ufficiale e irrevocabile. Sarebbe rimasto legato allo shtetl fino a morte. Inutile dire che nessun abitante di Sofiowka lo chiamò Sofiowka. Fino a quando non gli diedero un nome così spiacevole, nessuno aveva sentito il bisogno di chiamarlo in alcun modo.
Ma adesso che c'era di mezzo l'ingiuria - doveva essere omonimo di quell'emerito testa di cazzo - i cittadini avevano un nome da non usare.
Alcuni addirittura chiamarono lo shtetl non-Sofiowka e continuarono a chiamarlo così anche quando fu scelto un nuovo nome. Il Riverito Rabbino dichiarò che occorreva un altro voto. IL NOME UFFICIALE NON PUò ESSERE
CAMBIATO, disse, MA DOBBIAMO AVERE UN NOME RAGIONEVOLE PER I NOSTRI
PROPOSITI. Anche se nessuno sapeva esattamente che cosa intendesse con propositi - Avevamo dei propositi, prima? Qual è esattamente, fra i nostri propositi, il mio proposito? - la seconda votazione sembrò ineluttabilmente necessaria. L'urna fu posta davanti alla Ritta Sinagoga, e stavolta a sorvegliarla furono le gemelle del Riverito Rabbino. Il fabbro ferraio artritico Yitzhak W votò per Confine. L'uomo di legge Isaac M votò per Prudenza dello Shtetl. Lilla F, discendente del primo Scompigliato a lasciar cadere il libro, convinse le gemelle a lasciarle infilare alla chetichella un bussolotto con scritto Pinchas.
(Votarono anche le gemelle: Hannah per Ghana, e Ghana per Hannah.) Il Riverito Rabbino quella sera contò i bussolotti. Era un pareggio: ciascun nome aveva ricevuto esattamente un voto. Lutsk Minar. RITTONIA.
Nuova promessa. Demarcazione. Joshua. Toppa-e-chiave... Arguendo che il fiasco fosse durato abbastanza, egli decise - partendo dall'idea che in una simile situazione Dio avrebbe fatto così - di prendere dalla scatola un pezzo di carta a caso e chiamare lo shtetl con qualunque parola ci fosse stata scritta.
YANKEL HA VINTO ANCORA, pensò annuendo, mentre leggeva quella zampa di gallina che gli era diventata familiare. YANKEL CI HA CHIAMATI
TRACHIMBROD.
23 settembre 1997
Caro Jonathan, mi ha dato grande estasi ricevere la tua lettera e sapere che sei ristabilito all'università per il tuo ultimo anno. In quanto a me, mi restano due anni di studi in avanzo. Dopo di questo non so cosa eseguirò. Molte cose che mi avevi detto nel luglio sono ancora molto incisive per me, come quello che avevi proclamato sulla ricerca dei sogni, e che se fai un sogno bello e pieno di significato sei attirato ad andare a recuperarlo. Questo può essere più facile per te, devo dire.
Io non agognavo a menzionare questo, ma lo farò. Presto sarò padrone di abbastanza moneta per comprare il biglietto aereo per l'America. Il Babbo non lo sa. Lui è convinto che io dissemino tutto quello che possiedo nelle famose discoteche, ma sbaglia, io vado spesso in spiaggia e mi insedio per tante ore, così non devo seminare la moneta. Quando sono insediato in una spiaggia penso a quanto tu sei fortunato. Ieri era il quattordicesimo genetliaco del Piccolo Igor. Aveva eseguito la rottura del suo braccio un giorno orsono, perché è caduto un'altra volta, questa volta da uno stecconato su cui stava camminando, se ci puoi credere. Tutti abbiamo tentato molto graniticamente di renderlo felice e la Mamma ha preparato un pregiato dolcetto che aveva molti soffitti, e abbiamo fatto anche il nostro piccolo festivalino. Era presente il Nonno, naturalmente. Mi ha chiesto come stai e gli ho detto che saresti tornato in università a settembre, che è come dire adesso.
Io non l'ho informato che la guardia ha rubato la scatola di Augustine in quanto sapevo che lui sarebbe stato vergognoso, ed è stato felice di sentire di te, non è mai felice. Vuole che ti chieda se sarebbe possibile una cosa per te, cioè mandare per la posta un'altra riproduzione detta fotografia di Augustine. Ha detto che ti darebbe la moneta per ogni e qualsiasi spesa. Sono molto inquietato per lui, come ti informavo nell'ultima lettera. La sua salute sta perdendo la guerra.
Non possiede più energia per ammorbarsi spesso, e d'abitudine sta in silenzio. In verità, sarei soddisfatto se mi sgridasse e anche mi prendesse a pugni. Il Babbo ha comperato una bicicletta nuova al Piccolo Igor per il suo genetliaco, che è un regalo pregiato perché io so che il Babbo non possiede abbastanza moneta per regali come la bicicletta. «Il povero Pasticciotto» ha detto lui dilungandosi a mettere una mano sulla spalla del Piccolo Igor, «dovrebbe essere felice nel suo genetliaco.» Io ho imprigionato una foto della bicicletta in questa busta. Dimmi se è fortissima. Per favore, devi essere veritiero. Non mi arrabbio se dici che non è fortissima. Ieri sera ho deciso di non andare in nessuno dei posti famosi. Invece mi sono insediato nella spiaggia. Però non ero nella mia normale solitudine, avevo portato con me la foto di Augustine.
Devo confessarti che la ispeziono con molta ricorrenza e persisto a pensare a quello che avevi detto, circa l'innamorarsi di lei. Lei è bellissima. Hai proprio ragione. Basta parlare di cose così in miniatura. Ti sto rendendo noioso. Adesso parlerò della storia. Ho capito che non eri goduto della seconda parte. E anche per questo mi busso eccetera. In ogni modo le tue correzioni erano così facili. Grazie di informarmi che si dice «cacare un mattone» e «cacando mattoni» e anche «tornare comodo». E' molto utile per me sapere i modi di dire giusti. E necessario. Lo so che mi hai chiesto di non cambiare gli sbagli perché hanno un suono buffo, e il buffo è l'unico modo veritiero di raccontare una storia triste, ma credo che io li cambierò. Tu, per favore, non odiarmi. Ho goduto per tutte quelle altre correzioni che avevi ordinato. Ho messo quello che mi ordinavi nella parte sul primo incontro che abbiamo avuto. (Pensi in sincerità che ci possiamo paragonare?) Come hai ordinato, ho tagliuzzato la frase «era veramente basso» e ho inserito al suo posto: «come me, non era alto». 'E dopo la frase, «'Oh' ha detto il Nonno, e ho percepito che stava ancora staccandosi dal sogno» ho aggiunto come ordinavi «Di mia nonna?» Con questi cambiamenti, ho fiducia che la seconda parte della storia sia perfetta. Non sono stato capace di ignorare che ancora mi hai impostato della moneta. Per questo ti ringrazio nuovamente. Ma faccio il pappagallo di quello che ho pronunciato prima: se non sei soddisfatto per quello che ti spedisco, e vuoi che spedisca indietro la tua valuta, te la spedisco subito. Altrimenti non potrei mai sentirmi orgoglioso. Su questa parte seguente ho faticato con molta durezza. Era ancora più difficile. Ho attentato di fare qualche pensiero su cose che mi avresti fatto cambiare, e io stesso le ho cambiate. Per esempio, non ho usato la parola ammorbare con tanta abitualità perché capivo che ti avrebbe strizzato sui nervi dalla frase nella tua lettera, quando dicevi: «Basta usare la parola ammorbare. Mi dà ai nervi». Io ho inventato anche cose che pensavo ti piacessero, cose buffe e cose tristi. Sono sicuro che mi informerai se ho viaggiato troppo lontano. Con referenza al tuo lavoro, mi hai mandato molte pagine, ma devo dirti che ho letta ognuna di loro.
Il libro dei sogni ricorrenti era una cosa molto bella e devo dire che il sogno che noi siamo i nostri padri mi ha fatto molta melanconia. E questo che volevi, vero? Naturalmente io non sono il Babbo, perciò forse per il tuo romanzo sono un uccello raro. Quando guardo nel mio riflesso, quello che vedo non è il Babbo ma il negativo del Babbo. Yankel. Lui è un brav'uomo, vero? Perché credi che ha voluto truffare quell'altro uomo tanti anni fa? forse aveva un severo bisogno di moneta. Io so cosa vuol dire, quantunque non imbroderei mai nessuna persona, quindi niente paura. Ho trovato fascinoso che hai fatto un'altra lotteria, questa volta per intitolare lo shtetl. Ho pensato a come intitolerei Odessa se ne avessi il potere. Penso che la intitolerei Alex, perché così tutti saprebbero che io sono Alex, e che il nome della città è Alex, così devo essere una persona molto pregiata. Potrei anche chiamarla Piccolo Igor, gli altri penserebbero che mio fratello è una persona pregiata, come è davvero, ma sarebbe bello che la gente lo pensasse. (E' strano che desideri per mio fratello tutto quello che desidero per me, soltanto con più muscoli.) Forse la intitolerei Trachimbrod, perché così Trachimbrod potrebbe esistere e poi tutti quanti in quel posto comprerebbero il tuo libro e tu diventeresti famoso.
Sono rincresciuto di finire questa lettera. E la cosa più prossima che abbiamo per parlare fra noi. Spero che tu sia soddisfatto della terza parte e come sempre ti chiedo perdono. Ho attentato di essere veritiero e attraente come mi avevi detto tu.
Oh, sì. C'è un oggetto supplementare. Non ho amputato dalla storia Sammy Davis Junior Junior, anche se hai consigliato di farlo. Tu hai giudicato che la storia sarebbe stata più «rifinita» con la sua assenza e io so che rifinito è come coltivato, levigato e bene istruito, ma ti informo che Sammy Davis Junior Junior è un personaggio molto distinto, un personaggio con variegati appetiti e passioni. Guardiamo la sua evoluzione, e dopo decideremo.
Sinceramente, Alexander
CAPITOLO 7. AVANTI VERSO LUTSK
Sammy Davis Junior Junior ha spostato la sua attenzione da masticare la coda a tentare di lavare con la lingua gli occhiali dell'eroe, che mi credete avevano grande bisogno di pulizia. Io scrivo che tentava perché l'eroe era poco socievole. «Non potete levarmi di dosso questo cane?» diceva facendo un gomitolo con il corpo. «Per favore. Odio i cani.» «Ma lei soltanto vuole giocare con te» gli ho detto quando lei ha messo il corpo in cima a lui e gli ha dato calci con le gambe di dietro. «Vuol dire che prova simpatia.» «Per favore» ha ripetuto lui attentando di spostarla. Adesso lei stava saltando su e giù per la sua faccia. «Non mi piace, davvero. Non ho voglia di giocare. Mi romperà gli occhiali, così.» Ora menzionerò che Sammy Davis Junior Junior molto spesso è socievole con i suoi amici nuovi, ma io non avevo mai testimoniato una cosa del genere. Ho pensato che si era innamorata dell'eroe. «Stai indossando la colonia?» gli ho chiesto. «Come?» «Stai indossando qualche colonia?» Lui ha roteato il corpo in modo da mettere la faccia dentro il sedile, lontano da Sammy Davis Junior Junior. «Forse un goccio» ha detto difendendo il didietro della sua testa con le mani. «Perché lei ama la colonia. La fa stimolare sessualmente.» «Cristo.» «Lei sta tentando di procurare il sesso insieme a te. Questo è buon segno. Significa che non morderà.» «Aiuto!» ha detto l'eroe mentre Sammy Davis Junior Junior roteava per iniziare il sessantanove. Nel procedere di tutto questo, il Nonno stava ancora tornando dal suo sonnellino. «A lui non piace la cagnetta» gli ho detto. «Sì che gli piace» ha detto lui, e chiuso così.
«Sammy Davis Junior Junior!» ho chiamato. «Seduta!» E sapete una cosa?
Lei si è seduta. Sull'eroe. In posizione del sessantanove. «Sammy Davis Junior Junior! Siediti dalla tua parte di sedile! Lascia stare l'eroe!» Credo che lei abbia capito perché si è tolta dall'eroe ed è tornata a papagnare la sua faccia contro il finestrino dall'altra parte. O forse aveva leccato tutta la colonia dell'eroe e non era più interessata sessualmente a lui, ma solo come amica. «Senti un odore veramente tremendo?» ha richiesto l'eroe, rimuovendo la saliva da dietro il suo collo. «No» io ho risposto. Una opportuna non-verità. «C'è qualcosa che puzza da far schifo. Come se su quest'auto fosse morto qualcuno. Cos'è?» Ho risposto: «Io non so» anche se avevo un'idea.
Io non meditavo che c'era una persona sulla macchina che è restata sorpresa quando ci siamo sperduti nel bel mezzo tra la stazione di Lvov e la superstrada di Lutsk. «Io odio Lvov» il Nonno ha roteato per dire all'eroe. «Che sta dicendo?» mi ha chiesto l'eroe. «Dice che non ci vuole tanto tempo» gli ho risposto, con altra opportuna non-verità. «Non tanto fino a quando?» ha chiesto l'eroe. Io ho detto al Nonno: «Tu non devi essere gentile con me, però non svaccare con gli ebrei». Lui ha detto: «Posso dirgli quello che voglio. Tanto non capirà». Io ho roteato la testa a beneficio dell'eroe. «Lui dice che non ci vuole tanto che arriviamo alla superstrada di Lutsk.» «E da lì?» mi ha chiesto. «Da lì a Lutsk, quanto ci vuole?» Lui ha ficcato la sua attenzione in Sammy Davis Junior Junior, che ancora stava dando i pugni di testa contro il finestrino. (Ma io menzionerò che stava comportandosi da brava cagnolina, perché dava i pugni di testa solo al suo finestrino, e quando sei in macchina, cagna o non cagna, puoi fare tutto quello che desideri, basta che resti dalla tua parte. E poi non stava scoreggiando troppo.)
«Digli di chiudere la bocca» ha detto il Nonno. «Io non posso guidare se lui parla.» «Il nostro autista dice che a Lutsk ci sono molte case» ho detto all'eroe. «Ci pagano in un modo strepitoso per ascoltarlo quando parla» ho detto al Nonno. «Per me questo non è vero» ha detto lui.
«Neanche per me» ho detto io, «ma qualcuno è pagato.» «Che cosa?» «Dice che dalla superstrada restano più di due ore per Lutsk dove troveremo un terribile albergo per la notte.» «Che cosa intendi con terribile?» «Come?» «Ho detto: cosa... intendi... quando... dici... che... l'hotel... sarà... terribile?» «Digli di chiudere il becco.» «Il Nonno dice che dovresti guardare dal finestrino se vuoi vedere qualche cosa.» «Come?» «Dal finestrino.» «Cosa dicevi che l'hotel è terribile?» «Oh, ti scongiuro di dimenticare questo.» «Io odio Lvov. Odio Lutsk. Odio l'ebreo sul sedile di dietro di questa macchina che odio.» «Tu non rendi la cosa più facilina.» «Sono cieco. Quindi dovrei essere a pensione.» «Che cosa state dicendo, lì davanti? E che diavolo di puzza è questa?» «Come?» «Digli di chiudere la bocca o guido la macchina fuori di strada.» «Che... cosa... state... dicendo... lì?» «L'ebreo deve essere zitto. Se no uccido tutti noi.» «Dicevamo che forse il viaggio dura più di quello che desideravamo.» Il viaggio ha imprigionato cinque lunghe ore. Se volete sapere perché, è perché il Nonno prima è il Nonno e dopo è un guidatore. Lui ci ha fatto perdere spesse volte ed è andato sui nervi. Io dovevo tradurre la sua rabbia in informazioni utili all'eroe.
«Fanculo» ha detto il Nonno. «Dice che se guardi le statue, puoi vedere che certe non le vedi più. Quelle cioè dove c'erano statue comuniste.» «Fanculo in culo affanculo!» gridava il Nonno. «Oh» ho detto io, «vuole che tu sappia che quella casa e quella casa e quella casa là sono case importanti.» «E perché?» ha chiesto l'eroe. «Fanculo!» ha detto il Nonno. Ho fatto la traduzione: «Lui non ricorda». «Non potete accendere il condizionatore?» ha interrogato l'eroe. Io ero umiliato al massimo.
«Questa macchina non ha condizionatore» ho detto. «Devo bussarmi il petto.» «Allora perché non abbassiamo i finestrini? Qua dentro fa un caldo boia e c'è puzza di cadavere.» «Sammy Davis Junior Junior salterà fuori.» «Chi?» «La cagna. Il suo nome è Sammy Davis Junior Junior.» «Cos'è, uno scherzo?» «No, lei veramente scappa via dalla macchina.» «Volevo dire il nome del cane.» Io l'ho rettificato: «Cagna». Perché come vocabolario sono di prima classe. «Digli di mettersi un velcro sulle labbra» ha detto il Nonno. «Lui dice che la cagna ha preso nome dal suo cantante preferito, che era Sammy Davis Junior.» «Ah... era ebreo» ha detto l'eroe. «Come?» «Sammy Davis Junior era ebreo.» Ho detto: «Questo non è possibile». «Convertito. Ha trovato il Dio degli ebrei. Strana storia.» Io ho detto questo al Nonno. Lui ha gridato: «Sammy Davis Junior non era ebreo! Lui era il Negro del Rat Pack!» «Ma l'ebreo ne è sicuro.» «Il Music Man? Ebreo? Questa non è possibile!» «Ma è quello che lui mi informa.» «Dean Martin Junior!» lui ha gridato al sedile di dietro. «Alzati, su! Forza, piccolina!» «Non possiamo abbassare il finestrino, per favore?» ha chiesto l'eroe. «Muoio con questa puzza.» Al che mi sono bussato il petto fino a farmi male. «E' solo Sammy Davis Junior Junior... Lei emana terribili scorregge in macchina, perché non ha ammortizzanti né montanti, però se abbassiamo il finestrino lei salterà fuori e noi abbiamo necessità di lei perché è il cane guida del nostro guidatore cieco, che è anche mio Nonno. Che cosa non capisci?» E' stato nel tragitto di queste cinque ore di macchina dalla stazione di Lvov a Lutsk che l'eroe mi ha spiegato perché veniva in Ucraina. Ha escavato degli oggetti dalla sua borsa di fianco. Prima ha mostrato una fotografia. Era gialla e piegata e aveva molti pezzetti di fissativo che la fissavano insieme. Ha detto: «Vedi questo? Questo è mio nonno Safran». E ha fatto vedere un giovanotto che direi che appariva molto come l'eroe e poteva anche essere l'eroe. «Questa è stata scattata durante la Guerra.» «Chi ha fatto degli scatti?» «No, la corsa non c'entra. La fotografia è stata fatta durante la Guerra.» «Io capisco.» «Queste persone insieme a lui sono la famiglia che lo ha salvato dai nazisti.» «Come?» «Loro... lo... hanno... salvato... dai... nazisti.» «A Trachimbrod?» «No, in un posto non lontano da Trachimbrod.
Tutti gli altri sono stati uccisi. Ha perso moglie e figlia.» «Lui non li ha più trovati?» «Nel senso che sono stati uccisi dai nazisti.» «Ma se non era Trachimbrod, perché noi andiamo a Trachimbrod? E come troveremo la famiglia?» Lui mi ha spiegato che non eravamo in cerca di una famiglia, ma di questa ragazza.. Era l'unica che poteva ancora essere viva. Ha mosso il dito lungo la faccia della ragazza nella fotografia mentre la menzionava. Stava in piedi proprio vicino a suo nonno, nella fotografia. Un uomo che sono sicuro era suo padre era vicino a lei, e una donna che sono sicuro era sua madre stava dietro di lei. I suoi genitori avevano una altezza molto russa, ma lei no. Lei appariva come un'americana. Era una ragazza giovanile, di forse quindici anni. Ma è possibile che avesse anche più età. Poteva essere così vecchia come l'eroe e me, come anche poteva esserlo il nonno dell'eroe.
Per molti minuti io ho guardato Augustine. Era così bella. I suoi capelli erano marroni e si riposavano su una delle spalle. I suoi occhi sembravano tristi e pieni di intelligenza. «Voglio vedere Trachimbrod» ha detto l'eroe «per vedere com'è, dov'è cresciuto mio nonno, dove vivrei adesso se non fosse stato per la Guerra.» «Tu saresti ucraino.» «Esatto.» «Come me.» «Credo.» «Solo non come me perché saresti agricoltore in una città poco notabile mentre io abito a Odessa che è molto molto uguale a Miami.» «E voglio vedere com'è adesso. Non credo che ci siano ancora ebrei, ma può darsi di sì. E gli shtetl non erano solo di ebrei, quindi dovrebbero esserci altre persone con cui parlare.» «Gli shcosa?» «Gli shtetl. Uno shtetl sarebbe un villaggio.» «Allora perché non lo intitoli semplicemente villaggio?» «E' una parola ebrea.» «Una parola ebrea?» «In yiddish. Come schmuck.» «Cosa vuol dire schmuck?» «Qualcuno che fa qualcosa su cui non sei d'accordo è uno schmuck.» «Insegnamene un'altra.» «Putz.» «Che cosa vuol dire?» «Come schmuck.» «Insegnamene un'altra.» «Schmendrik.» «Che cosa vuol dire?» «Sempre come schmuck.» «Conosci parole che non sono come schmuck?» Lui ha riflesso un attimo, poi ha risposto: «Shalom... che in realtà sono tre parole... ma è ebraico, non yiddish. In sostanza, tutto quello a cui riesco a pensare è schmuck. Gli eschimesi hanno quattrocento parole per dire neve, e gli ebrei quattrocento parole per dire schmuck». Mi sono chiesto, che cos'è un eschimese? «Allora andremo a visitare lo shtetl?» ho chiesto all'eroe. «Pensavo che potesse andare bene per cominciare la nostra ricerca.» «Ricerca?» «Di Augustine.» «Chi è Augustine?» «La ragazza della fotografia. E l'unica che potrebbe essere ancora viva.» «Ah. Andremo in ricerca di Augustine, che tu credi che ha salvato tuo nonno dai nazisti.» «Esatto.» C'è stato molto requiem per un attimo. «Mi piacerebbe trovarla» ho detto. Io capivo che questa era una soddisfazione per l'eroe, ma non l'ho detto per dargli soddisfazione. Io l'ho detto perché era vero. «E dopo» ho detto «se la tsoviamo?» L'eroe ha ragionato. «Non so cosa Succederebbe. Credo che la ringrazierei.» «Perché ha salvato tuo nonno.» «Sì.» «Questo sarebbe molto bizzarro, vero?» «Che cosa?» «Quando la troviamo.» «Se la troveremo.» «La troveremo.» «Probabilmente no» ha detto lui. «E allora perché la cerchiamo?» ho chiesto, ma prima che lui rispondesse l'ho interrotto con un'altra interrogazione. «E come fai a sapere che il suo nome è Augustine?» «In effetti non credo di saperlo. Dietro... qui, vedi? ci sono delle parole nella calligrafia... nella scrittura di mio nonno.
Credo. O forse no. E' yiddish. Dice: 'questo sono io con Augustine, 21 febbraio 1943'.» «E' molto difficile leggere.» «Sì.» «Perché pensi che parli solo di Augustine e non delle altre due persone in fotografia?» «Non so.» «E' bizzarro, giusto? E' bizzarro che parli solo di lei. Tu pensi che lui l'amava?» «Come?» «Perché nota solo lei.» «E allora?» «Allora forse l'amava.» «Strano che ti sia venuto in mente. Mi sa che pensiamo le stesse cose.» (Grazie, Jonathan.) «In realtà ci ho pensato parecchio, ma senza una ragione reale. Lui aveva diciotto anni e lei quanti, sui quindici? Lui aveva appena perso moglie e figlia quando i nazisti sono entrati nello shtetl.» «Trachimbrod?» «Sì. Per quel che ne so, le parole non hanno niente a che fare con la foto. Potrebbe semplicemente aver usato la foto come foglio volante.» «Volava?» «Cioè, un foglio preso a caso. Giusto qualcosa per scriverci su.» «Oh?» «Quindi in realtà non ne ho la minima idea. Sembra molto improbabile che possa averla amata. Ma non c'è un che di strano nella foto, la vicinanza fra loro due, anche se non si stanno guardando? Il modo in cui non si stanno guardando. La distanza. Fa un grande effetto, non credi? E le parole sul retro.» «Sì.» «E anche il fatto che abbiamo pensato tutti e due alla possibilità che lui l'amasse, è strano.» «Sì» ho detto. «Una parte di me vorrebbe che l'avesse amata, e una parte di me respinge questa idea.» «Qual è la parte di te che respinge che lui l'ha amata?» «Be', è bello pensare che certe cose siano insostituibili.» «Io non capisco. Lui ha sposato tua nonna di adesso, quindi qualcosa deve essere stato sostituito.» «Però questo è diverso.» «Perché?» «Perché lei è mia nonna.» «Augustine poteva essere tua nonna.» «No, lei avrebbe potuto essere la nonna di un altro. Per quanto ne so, lo è. Forse lui aveva avuto un figlio da lei.» «Non dire questo di tuo nonno.» «Be', io so che aveva già prima altri figli, quindi perché sarebbe così diverso?» «E se scopriamo un tuo fratello?» «Non succederà.» «E come hai avuto questa fotografia?» gli ho chiesto, sollevandola contro il finestrino. «Mia nonna l'ha data due anni fa alla mamma, dice che questa è la famiglia che ha salvato il nonno dai nazisti.» «Perché solo due anni?» «Cosa vuoi dire?» «Perché ha dato la fotografia a tua madre solo così da poco?» «Oh, capisco cosa mi stai chiedendo. Ha i suoi motivi.» «E quali sono i suoi motivi?» «Non so.» «L'hai interrogata sullo scritto di dietro?» «No. Non potevamo chiederle nulla riguardo alla foto.» «E perché?» «L'ha tenuta per sé qualcosa come cinquanta anni. Se avesse voluto parlarci della foto, l'avrebbe fatto.» «Adesso io capisco che cosa vuoi dire.» «Non ho potuto dirle nemmeno che venivo in Ucraina. E' convinta che sia ancora a Praga.» «E perché questo?» «I suoi ricordi dell'Ucraina non sono piacevoli. Il suo shtetl, Kolki, è solo a pochi chilometri da Trachimbrod. Penso che andremo anche là. Ma tutti i suoi familiari sono stati uccisi, dal primo all'ultimo: madre, padre, sorelle, nonni.» «Lei è stata salvata da un ucraino?» «No, era scappata prima della Guerra.
Era giovane, e si è lasciata la famiglia alle spalle.» Si è lasciata la famiglia alle spalle. L'ho scritto dentro il mio cervello. «E' strano che nessuno ha salvato la sua famiglia» ho detto. «Non dovrebbe sorprenderti. All'epoca gli ucraini erano terribili con gli ebrei.
Cattivi quasi come i nazisti. Era un altro mondo. All'inizio della Guerra molti ebrei volevano andare con i nazisti per essere protetti dagli ucraini.» «Questo non è vero.» «E' vero.» «Io non posso credere a quello che tu dici.» «Allora leggi i libri di storia.» «Non si dice questo nei libri di storia.» «Be', ma è andata così. Gli ucraini erano famosi per essere terribili contro gli ebrei. E altrettanto i polacchi.
Senti, io non voglio offenderti. Tu non c'entri niente. Stiamo parlando di cinquantanni fa.» «Io credo che ti sbagli» ho detto all'eroe. «Non so che cosa dire.» «Allora di' che ti sbagli.» «Non posso.» «Tu devi.» «Ecco le mie cartine» ha detto escavando qualche pezzo di carta dalla sua borsa. Ne ha indicato una che era bagnata con la lingua di Sammy Davis Junior Junior. Speravo che fosse la lingua. «Questo è Trachimbrod» ha detto. «Su alcune cartine lo chiamano anche Sofiowka. Questo è Lutsk.
Questo è Kolki. E' una vecchia cartina. La maggioranza dei posti che cerchiamo, sulle cartine nuove non esistono. Ecco» ha detto e me l'ha presentata. «Così vedi dove dobbiamo andare. Questo è tutto quello che ho: le cartine e la foto. Non è granché.» «Posso promettere che troverai questa Augustine» ho detto. Io capivo che questo faceva soddisfatto l'eroe. E anche me faceva soddisfatto. «Nonno» ho detto roteando di nuovo in avanti. Ho spiegato tutto quello che l'eroe aveva appena raccontato a me. L'ho informato di Augustine e di cartine e nonna dell'eroe. «Kolki?» lui ha domandato. «Kolki» ho detto. Mi sono assicurato di includere tutti i particolari e ho anche inventato altri nuovi dettagli in modo che il Nonno capisse meglio la storia. Potevo vedere che questa storia rendeva il Nonno molto melanconico. «Augustine» ha detto, e ha spinto Sammy Davis Junior Junior addosso a me. Poi ha ispezionato la fotografia mentre io agguantavo il volante. Lui ha messo la foto vicino alla sua faccia, come se volesse annusare o toccare con gli occhi. «Augustine.» «Lei è quella che noi stiamo cercando» ho detto.
Ha mosso la sua testa di qui e di qua. «La troveremo» ha detto. Ho detto: «Lo so». Però io non lo sapevo, e neanche il Nonno lo sapeva.
Quando siamo arrivati all'hotel stava già cominciando l'oscurità. «Tu devi rimanere in automobile» ho detto all'eroe, perché il padrone dell'hotel avrebbe capito che l'eroe è americano e il Babbo mi ha detto che agli americani fanno pagare il supplemento. «Perché?» lui ha chiesto. Gli ho spiegato perché. «E come fanno a capire che sono americano?» «Digli di rimanere sulla macchina» ha detto il Nonno «altrimenti fanno pagare doppio.» «Sto attentando» gli ho detto. «Mi piacerebbe entrare con voi per dare un'occhiata al posto.» «Perché?» «Soltanto per vedere com'è.» «Puoi vedere com'è dopo che ho preso le stanze.» «Preferirei farlo subito» ha detto, e io devo confessare che stava cominciando ad andarmi sui nervi. «Che cazzaccio sta dicendo ancora?» ha chiesto il Nonno. «Vuole entrare con me.» «Perché?» «Perché lui è americano.» «E' okay se vengo anch'io?» ha chiesto ancora. Il Nonno si è voltato verso di lui e mi ha detto: «E' lui che paga. Se ha voglia di pagare il supplemento, tu lasciagli pagare il supplemento».
Allora io l'ho portato con me, quando sono entrato nell'hotel a pagare per due camere. Se volete sapere perché due camere, una era per il Nonno e me, e una era per l'eroe. Il Babbo aveva detto che questo doveva essere il modo. Quando siamo entrati nell'hotel, ho detto all'eroe di non parlare. «Non parlare» gli ho detto. «Perché?» mi ha chiesto. «Non parlare» gli ho detto senza troppo volume. «Perché?» mi ha chiesto.
«Dopo ti do le spiegazioni. Ssst...» Ma lui continuava a interrogare perché non doveva parlare, e come scommettevo è stato sentito dal padrone dell'hotel. «Devo vedere i documenti» ha detto il padrone. «Deve vedere i tuoi documenti.» «E perché?» lui ha chiesto. «Dammeli.» «Perché?» «Se vogliamo avere la stanza lui ha bisogno di vedere i tuoi documenti.» «Non capisco.» «Come?» «Io... non...» «Ci sono dei problemi?» mi ha interrogato il padrone. «Perché questo è l'unico albergo di Lutsk che ancora possiede camere libere a quest'ora della notte. Voi preferite tentare la fortuna per strada?» Alla fine sono stato capace di convincere l'eroe a darmi i documenti. Lui li immagazzinava in una cosa sulla sua cintura. Più tardi mi ha spiegato che si chiama marsupiale, credo, e i marsupiali non sono fighi in America e lui indossava un marsupiale solamente perché una guida diceva che doveva indossarne uno per tenere i suoi documenti vicino alla sezione meridiana. Come ero sicuro, il padrone dell'hotel ha fatto per l'eroe la speciale tariffa per stranieri. Io questo non gliel'ho elucidato allora perché sapevo che lui avrebbe emanato interrogazioni finché non gli facevano pagare il quadruplo, non solo il doppio, o fino a quando non gli davano nessuna stanza per la notte, e doveva avere requiem in macchina come aveva preso un'abitudine di fare il Nonno.
Quando siamo ritornati alla macchina Sammy Davis Junior Junior stava masticandosi la coda sul sedile di dietro e il Nonno stava ancora fabbricando le Z. «Nonno» gli ho detto tastando il suo braccio. «Abbiamo pigliato una camera.» Io ho dovuto agitarlo con molta violenza per svegliarlo. Quando ha aperto gli occhi non sapeva dov'era. «Anna?» ha chiesto. «No, nonno» ho detto. «Sono io, Sasha.» Lui era molto vergognoso e ha nascosto la faccia. «Abbiamo pigliato una stanza» ho detto. «Sta bene?» mi ha chiesto l'eroe. «Sì, è affaticato.» «Domani si sarà ripreso?» «Certo.» Ma in verità il Nonno non era nella sua solita condizione. O forse era normale. Io non sapevo com'era quando era normale. Ricordavo una cosa che mi aveva detto il Babbo. Quando ero bambino, il Nonno diceva che assomigliavo a una mistura di Babbo, Mamma, Breznev e me stesso. Io ho sempre pensato che quella storia era molto strana fino a quel momento in macchina davanti all'hotel di Lutsk. Ho detto all'eroe di non lasciare valigie nella macchina. E' una brutta e popolare usanza in Ucraina prendere le cose senza domandare. Io ho letto che la città di New York è molto pericolosa, ma devo dire che l'Ucraina è più pericolosa. Se volete sapere chi vi protegge dalle persone che prendono senza chiedere, è la polizia. Se volete sapere chi vi protegge dalla polizia, sono le persone che prendono senza chiedere. E molto spesso sono le stesse persone. «Mangiamo» ha detto il Nonno, e ha cominciato a guidare. «Hai fame?» ho chiesto all'eroe, che era ancora un desiderio sessuale di Sammy Davis Junior Junior. «Levamelo di dosso» ha detto lui. «Hai fame?» ho ripetuto. «Per favore!» ha implorato. Io ho gridato alla cagna e quando lei non ha fatto reazione le ho dato un pugno in faccia. Lei si è stornata dalla sua parte del sedile, perché adesso capiva cosa vuole dire essere stupidi con la persona sbagliata e ha dato inizio al piangere. Mi sono sentito orribile. «Muoio di fame» ha detto l'eroe sollevando la testa dalle ginocchia. «Come?» «Sì, ho fame.» «Allora hai fame.» «Sì.» «Bene. Il nostro guidatore...» «Puoi chiamarlo tuo nonno. Non mi dà noia.» «Non è un boia!» «Noia, ho detto. Noia.» «Cosa vuol dire non mi dà noia?» «Che non mi dà fastidio.» «Cosa vuol dire dare fastidio?» «Stressare.» «Stressare lo capisco.» «Stavo dicendo che puoi chiamarlo nonno.» Ci siamo molto indaffarati a parlare. Quando ho roteato di nuovo verso il Nonno, ho visto che lui stava ancora ispezionando Augustine. C'era una tristezza tra lui e la foto, e niente al mondo mi spaventava di più. «Mangeremo» gli ho detto. Lui ha detto: «Bene» tenendo la fotografia molto vicino alla faccia. Sammy Davis Junior Junior insisteva a piangere. «Una cosa, però» ha detto l'eroe.
«Che cosa?» «E' bene che tu sappia...» «Sì?» «Che io sono... come posso dirlo...» «Che cosa?» «Sono un...» «Tu sei molto affamato, giusto?» «Sono vegetariano.» «Non capisco.» «Non mangio carne.» «Perché no?» «Non la mangio e basta.» «Lui non mangia carne» ho detto al Nonno. «Sì che mangia» mi ha informato lui. «Sì che tu la mangi» ho informato a mia volta l'eroe. «No. Non la mangio.» «Perché no?» gli ho chiesto un'altra volta. «No e basta. Niente carne.» «Maiale?» «No.» «Mucca?» «Niente mucca.» «Bistecca?» «Oh, no.» «Pollame?» «No.» «Ma vitello, lo mangi!» «Oddio. No. Assolutamente.» «E la salsiccia ti piace?» «Neanche le salsicce.» L'ho detto al Nonno e lui mi ha presentato uno sguardo veramente fastidiato. «Lui cos'ha che non va?» mi ha chiesto. «Che cosa hai che non va?» ho chiesto all'eroe. «Sono fatto così, e stop» ha detto. «Hamburger?» «No.» «Lingua?» Il Nonno ha chiesto: «Che cosa ha detto che non va in lui?» «E solo fatto così.» «Lui mangia la salsiccia?» «No.» «Niente salsiccia!» «No. Lui dice che non mangia la salsiccia.» «Davvero?» «Questo è quello che dice.» «Ma la salsiccia...» «Lo so.» «In verità tu non mangi salsiccia?» «Niente salsiccia.» «Niente salsiccia» ho detto al Nonno. Lui ha chiuso gli occhi e ha provato a mettere le braccia attorno al suo stomaco, ma non c'era spazio per colpa del volante. Sembrava che stesse per vomitare perché l'eroe non mangiava salsiccia. «Be', allora facciamogli dedurre che cosa mangerà. Andiamo al ristorante più vicino.» «Tu sei schmuck» ho informato l'eroe. «Non usi correttamente la parola» ha detto lui. Io ho detto: «Sì che la uso».
«Che cosa vuol dire che lui non mangia carne?» ha chiesto la cameriera, e il Nonno si è preso la testa fra le mani. «Che cos'ha che non va dentro di lui?» ha chiesto la cameriera. «Chi? Quello che non mangia carne, quello con la testa fra le mani o la cagna che sta masticando la sua coda?» «Quello che non mangia carne.» «E' solo la sua maniera di essere.» L'eroe ha chiesto di che cosa stavamo parlando. Gli ho spiegato: «Qui non hanno niente senza carne». «Non vuole nessun tipo di carne?» mi ha interrogato lei di nuovo. «E' solo che è fatto così» le ho detto. «Salsicce?» «Niente salsicce» ha risposto il Nonno alla cameriera, roteando la testa da qui a lì. «Ma forse un po' di carne la potresti mangiare» ho suggerito all'eroe «perché non hanno niente che non è carne.» «Non hanno patate o roba del genere?» ha chiesto lui.
«Avete patate?» ho chiesto alla cameriera. «O robe tali?» «Voi avrete una patata solo insieme con la carne» ha detto lei. Io l'ho ridetto all'eroe. «Non posso avere semplicemente un piatto di patate?» «Come?» «Non potete darmi due o tre patate senza carne?» Ho chiesto alla cameriera e lei ha detto che andava dal cuoco e glielo domandava.
«Chiedi se mangia il fegato» ha detto il Nonno. La cameriera è ritornata e ha detto: «Ecco che cosa ho da dire. Possiamo fare la concessione di dargli due patate, ma servite con un pezzo di carne nel piatto. Il cuoco dice che questo non si può più negoziare. Dovrà mangiarlo». «Due patate vanno bene?» ho chiesto all'eroe. «Oh, alla grande.» Il Nonno e io abbiamo ordinato bistecca di maiale e io ne ho anche ordinato una per Sammy Davis Junior Junior, che stava diventando associata con la gamba dell'eroe. Quando è arrivato il cibo, l'eroe ha chiesto se gli toglievo la carne dal piatto. Ha detto: «Preferirei non toccarla». Questo mi è andato sui nervi al massimo. Se volete sapere perché, è perché capivo che l'eroe capiva che lui era troppo di gamba per il nostro cibo. Ho rimosso la carne dal suo piatto perché sapevo che questo è quello che il Babbo desiderava da me e non ho pronunciato neanche una cosa. «Digli che domattina noi principiamo molto presto» ha detto il Nonno. «Presto?» «Così che avremo il possibile della giornata per cercare più che si può.
Alla notte sarà difficile.» «Cominceremo molto presto indomani mattina» ho detto all'eroe. «Ottimo» ha detto lui dando un calcio con la gamba.
Io ero molto trasecolato che il Nonno desiderasse partire alla mattina presto. Lui odiava non dormire tardi. Odiava non riposare sempre. E poi odiava Lutsk, l'automobile e l'eroe, e per ultimo me. Partire al mattino presto gli avrebbe procurato una giornata più arrabbiata con noi tutti.
«Fammi indagare nella sua mappa» ha detto. Ho chiesto la carta all'eroe.
Mentre allungava la mano verso il marsupiale ha scalciato ancora la gamba, facendo diventare Sammy Davis Junior Junior associata con il tavolo, e facendo anche sballare i piatti. Una patata eroica è discesa sul pavimento. Quando ha colpito il pavimento ha fatto rumore. PLOMP. Si è rovesciata e dopo è stata immobile. Io e il Nonno abbiamo guardato l'un l'altro. Io non sapevo che cosa fare. «Una terribile cosa è successa» ha detto il Nonno. L'eroe continuava a adocchiare la patata sul pavimento. Era un pavimento sporco. Era una delle sue due patate.
«Questo è orribile» ha detto il Nonno silenziosamente, e ha spostato il suo piatto. «Orribile.» Aveva ragione. La cameriera è tornata al nostro tavolo con le cose che avevamo ordinato. «Ecco qui...» ha cominciato ma dopo ha visto la patata sul pavimento ed è scappata via stortamente.
L'eroe stava ancora adocchiando la patata sul pavimento. Io non so di sicuro, ma immagino che lui immaginasse di poterla raccogliere, metterla ancora sul piatto e mangiarla o invece lasciarla sul pavimento, fare finzione che l'equivoco mai era successo, mangiare questa sola sua patata e falsificare di essere contento, oppure la poteva spingere con i piedi verso Sammy Davis Junior Junior che era abbastanza nobiliare da non mangiarla perché era sdraiata su quello sporco pavimento, o poteva chiederne alla cameriera un'altra che voleva dire che avrebbe dovuto prendere un altro pezzo di carne per me o levarlo via dal piatto perché per lui la carne è repellente, oppure poteva solo mangiare il pezzo di carne che io prima avevo levato via dal suo piatto, come speravo che avrebbe fatto. Ma quello che lui ha fatto non è stata nessuna di queste cose. Se volete sapere cosa ha fatto, non ha fatto niente. Siamo rimasti in silenzio a adocchiare la patata. Il Nonno ha conficcato la forchetta nella patata; l'ha tirata su dal pavimento e l'ha messa sul suo piatto.
L'ha fatta in quattro pezzi e uno l'ha dato a Sammy Davis Junior Junior sotto il tavolo, uno a me, e uno all'eroe. Ha tagliato un pezzo del suo pezzo e l'ha mangiato. Poi mi ha guardato. Io non volevo, ma sapevo cosa dovevo fare. Dire che non era delizioso sarebbe un grande complimento.
Dopo abbiamo guardato l'eroe. Lui ha guardato il pavimento, e poi il suo piatto. Ha tagliato un pezzo del suo pezzo e l'ha guardato. «Benvenuto in Ucraina» gli ha detto il Nonno, e mi ha dato un pugno nella schiena che è una cosa che io ho molto goduto. Poi il Nonno ha cominciato a ridere. «Benvenuto in Ucraina» ho tradotto. Poi io ho cominciato a ridere. Poi l'eroe ha cominciato a ridere. Abbiamo riso con molta violenza per molto tempo. Abbiamo acciuffato l'attenzione di ogni persona nel ristorante. Abbiamo riso con violenza e poi con più violenza. Ho visto che tutti stavamo fabbricando delle lacrime nei nostri occhi. Solo dopo ho capito che tutti stavamo ridendo per una ragione differente, per una nostra ragione, e che nessuna di quelle ragioni aveva da fare con la patata. C'è qualche cosa che prima io non ho menzionato, e adesso è convenienza menzionare. (Jonathan per favore ti scongiuro di non manifestare mai questo a anima viva. Io non so perché lo sto scrivendo qua.) Una notte ero tornato a casa da un famoso nightclub e desideravo assistere alla televisione. Io mi sono sorpreso quando ho sentito che la televisione era già accesa perché era molto tardi. Ho pensato che era il Nonno. Come ho elucidato prima, molto spesso veniva a casa nostra quando non riusciva a addormentarsi. Questo è stato prima che venisse a vivere da noi. Quello che succedeva era che lui cominciava a riposare mentre assisteva alla televisione, ma dopo qualche ora si alzava e tornava a casa sua. A meno che io non potessi addormentarmi, e se non potevo addormentarmi sentivo il Nonno che guardava la televisione, non avrei saputo l'indomani se era rimasto in casa di notte. Poteva essere stato lì tutta notte. Perché io non lo sapevo mai, lo credevo un fantasma. Io non avrei mai salutato il Nonno quando stava guardando la televisione perché non volevo mettermi nei disastri con lui. Così quella notte ho camminato piano e senza rumore.
Ero già al quarto scalino quando ho sentito una cosa bizzarra. Non era proprio piangere, esattamente. Era un pochino meno che piangere. Ho disceso i quattro scalini con lentitudine. Sulle mie dita ho camminato attraverso la cucina e ho adocchiato da dietro l'angolo tra la cucina e la stanza della televisione. Prima ho adocchiato la televisione. Stavano facendo l'esibizione di una partita di calcio. (Io non ricordo chi erano i concorrenti, ma ho fiducia che vincevamo noi.) Ho adocchiato una mano sulla sedia dove il Nonno gradisce di osservare la televisione. Ma non era una mano del Nonno. Ho cercato di adocchiare di più e per poco non cado. Sapevo che dovevo riconoscere quel rumore che era un pochino meno che piangere. Era il Piccolo Igor. (Che stupido scimunito che io sono.)
Questo mi ha fatto soffrire. Vi dirò il perché. Io sapevo perché lui era a un pochino meno che piangere. Lo sapevo molto bene, e avrei voluto andare da lui e dirgli che anch'io avevo un pochino meno che pianto proprio come lui e fa niente se poteva sembrare che lui non sarebbe mai diventato una persona pregiata come me con tante ragazze e così tanti posti famosi dove andare, perché sì, invece lo sarebbe diventato.
Sarebbe stato esattamente come me. E guardami, Piccolo Igor, i lividi se ne vanno via, e così anche l'odio, e così anche l'idea che tutto quello che ricevi nella vita te lo sei guadagnato. Ma non potevo dirgli niente di queste cose. Mi sono insediato sul pavimento della cucina, soltanto a pochi metri da lui, e ho iniziato a ridere. Io non so perché ridevo, ma non potevo fermarmi. Ho schiacciato la mano contro la mia bocca in modo che non fabbricavo rumore. Il mio ridere è durato sempre più fin che lo stomaco mi ha fatto male. Io ho tentato di sollevarmi in piedi, così che potevo andare in camera mia, ma avevo paura che sarebbe stato così difficile controllare il mio ridere. Sono rimasto lì per tanti, tanti minuti. Mio fratello perseverava a un pochino meno che piangere, e questo mi ha fatto ancora più ridere in silenzio. Io ora posso capire che era esattamente la stessa risata che avevo avuto nel ristorante a Lutsk, una risata che aveva la stessa oscurità di risata del Nonno e anche dell'eroe. (Mi busso il petto a scrivere questo. Forse prima di spedirtelo rimuoverò questa parte. Scusa tanto.) In quanto a Sammy Davis Junior Junior, lei non ha mangiato il suo pezzo di patata. Io e l'eroe a cena abbiamo parlato molto, specialmente dell'America. «Dimmi le cose che avete voi in America» ho detto. «Cosa vuoi sapere?» «Il mio amico Gregory informa che in America ci sono tante buone scuole per i commercialisti. E' vero?» «Forse. Non so. Quando ritorno, potrei informarmi.» «Grazie» ho detto perché adesso avevo un contatto in America e non ero solo e basta. «Cosa vuoi fare?» «Cosa voglio fare?» «Sì. Cosa vuoi diventare?» «Non lo so.» «Certo che lo sai.» «Varie cose.» «E che cosa vuol dire varie cose?» «Non sono ancora sicuro.» «Il Babbo mi informa che stai scrivendo un libro su questo viaggio.» «Mi piace scrivere.» Ho dato un pugno nella sua schiena. «Tu sei uno scrittore!» «Ssst!» «Ma è una buona carriera, giusto?» «Che cosa?» «Lo scrittore è molto nobiliare.» «Nobile? Non so.» «Hai già pubblicato dei libri?» «No, ma sono ancora molto giovane.» «E racconti li hai pubblicati?» «No. Be', sì... un paio.» «Come sono intitolati?» «Lascia perdere.» «Questo è un titolo di prima classe.» «No. Volevo dire proprio lascia perdere.» «Io avrei molta felicità di leggere i tuoi racconti.» «Probabilmente non ti piacerebbero.» «Perché lo dici?» «Non piacciono neanche a me.» «Oh.» «Sono esperimenti.» «Cosa vuol dire esperimenti?» «Che non sono veri racconti. Stavo soltanto imparando a scrivere.» «Ma tu un giorno avrai imparato di scrivere.» «Lo spero.» «E' come diventare commercialista.» «Forse.» «Perché vuoi scrivere?» «Non so. Una volta pensavo che fosse la mia vocazione. No, non l'ho mai pensato invece. E' solo una frase fatta.» «No, non è vero. Io sento veramente che sono nato per fare il commercialista.» «Beato te.» «Forse tu hai la vocazione di scrivere?» «Non so. Magari. E' un modo di dire orribile. Volgare.» «Non sembra orribile, e nemmeno volgare.» «E' così difficile esprimersi.» «Capisco questo.» «Io mi voglio esprimere.» «Lo stesso è vero anche per me.» «Sto cercando la mia voce.» «E' dentro la tua bocca.» «Voglio fare qualcosa di cui non avere vergogna.» «Qualcosa di cui essere orgoglioso, giusto?» «Neanche. E' solo che non voglio vergognarmene.» «Ci sono tanti scrittori russi pregiati, giusto?» «Oh, certo. In quantità.» «Tolstoj, giusto? Lui ha scritto Guerra e anche Pace che sono libri pregiati e ha anche vinto il Premio Nobel della Pace per la Letteratura, se non mi sbaglio.» «Tolstoj, Belyj, Turgenev.» «Una domanda.» «Sì?» «Tu scrivi perché hai qualcosa da dire?» «No.» «E se posso traslocare a un altro argomento: quanta moneta guadagna un commercialista in America?» «Non so. Credo guadagnino un sacco di soldi, se sono bravi. O brave.» «Brave!» «O bravi.» «Ci sono anche commercialisti negri?» «Ci sono commercialisti afroamericani. Senti, Alex... è meglio che non usi quella parola lì.» «E commercialisti omosessuali?» «Ci sono omosessuali in tutti i mestieri. Ci sono netturbini omosessuali.» «Quanta moneta può guadagnare un commercialista negro omosessuale?» «E' meglio che non usi quella parola.» «Quale parola?» «Quella prima di omosessuale.» «Quale?» «La parola che inizia per n. Cioè, non è perché inizia per n, ma...» «Negro?» «Ssst...» «Io i negri li sfagiolo.» «No, non dovresti usarla... veramente.» «Però li sfagiolo al massimo. Sono gente pregiata.» «Sì, ma è quella parola. Non è bella.» «Negro?» «Ti prego.» «Che cos'hanno i negri che non vanno?» «Ssst...» «Quanto costa una tazza di caffè in America?» «Oh, dipende. Più o meno un dollaro.» «Un dollaro! Ma è gratis! In Ucraina una tazza di caffè è cinque dollari!» «Oh, ma non intendevo il cappuccino. I cappuccini possono costare anche cinque, sei dollari.» «I cappuccini...» io ho detto elevando mani sopra di testa «... non c'è limite!» «Avete il latte macchiato in Ucraina?» «Che cos'è il latte macchiato?» «Oh, perché in America è molto figo. Davvero, te lo danno dappertutto.» «E in America avete i mocha?» «Certo, ma solo i bambini li bevono. Non sono fighi in America.» «Sì, è proprio uguale anche qui da noi. E abbiamo anche mochaccinos.» «Oh, già. Li abbiamo anche in America. Possono venire fino a sette dollari.» «E sono cosa grata?» «I mochaccinos?» «Sì.» «Be', piacciono a quelli che amano il gusto del caffè, ma anche la cioccolata calda.» «Capisco. E come sono le ragazze in America?» «Come sono?» «Sono molto informali con la loro scatolina, giusto?» «Questo lo dicono, ma nessuno che conosco ne ha mai incontrata una così.» «Tu sei carnale molto spesso?» «E tu?» «Io l'ho chiesto a te. Lo sei?» «E tu?» «L'ho chiesto primariamente io. Tu?» «Non granché.» «Che cosa intendi non granché?» «Non sono un prete, ma non sono nemmeno John Holmes.» «Io lo conosco questo John Holmes.» Ho alzato le mani ai fianchi. «Con pene pregiatissimo.» «Sì, proprio lui» ha detto l'eroe e ha riso. Io l'ho fatto ridere con la mia satira. «In Ucraina tutti hanno il pene come lui.» Lui ha ancora riso. Poi ha chiesto: «Anche le donne?» «Tu stai facendo il comico?» ho chiesto. «Sì.» Allora ho riso. «Hai mai avuto una ragazza?» ho chiesto all'eroe. «E tu?» «Sono io che ti chiedo.» «Più o meno, sì» ha detto. «Che cosa significa più o meno?» «Niente di formale, in realtà. Non una ragazza-ragazza, insomma.
Diciamo che ci sono uscito un paio di volte. Non voglio farmi accalappiare.» «Per me è lo stesso stato di situazione» ho detto.
«Anch'io non voglio farmi accalappiare. Non voglio avere le manette con una sola ragazza.» «Esattamente» ha detto. «Voglio dire, ho fatto un po' lo stupido con le ragazze.» «Naturalmente.» «Pompini.» «Certo.» «Ma una volta che hai la ragazza-ragazza, sai com'è.» «Lo so fin troppo bene.» «Una domanda» ho detto. «Tu credi che in Ucraina le ragazze sono pregiate?» «Non ne ho viste molte finora.» «Avete donne come queste in America?» «In America ce n'è davvero di tutti i tipi.» «L'avevo sentito dire. Avete molte motociclette in America?» «Certo.» «E macchine del fax?» «Dappertutto.» «E tu, hai la macchina del fax?» «No, ormai sono obsolete.» «Cosa vuol dire obsolete?» «Non vanno più. La carta è una palla...» «Una palla?» «Una noia.» «Capisco cosa stai dicendo e sono accordo. Io mai userei la carta. Fa venire la noia.» «E' un tale casino...» «Sì, è vero, è un casino e fa venire la noia.» «I giovani di solito in America hanno auto impressionanti? Lotus Esprit V8 Twin Turbos?» «Oh, no. Io, per esempio, no. Ho una Toyota che è un autentico cesso.» «Ha brutto odore?» «No, è un modo di dire.» «Come può un'automobile essere un modo di dire?» «Ho una macchina che sembra un cesso. Insomma, puzza come un cesso e sembra piena di merda come un cesso.» «E se sei un bravo commercialista puoi comprare una macchina super?» «Altro che. Probabilmente puoi comprarti quasi tutto quello che vuoi.» «Che moglie può avere un buon commercialista?» «E chi lo sa...» «Avrebbe le tette rigide?» «Questo non posso assicurartelo.» «Però probabilmente?» «Credo di sì.» «Questo lo sfagiolo molto. Sfagiolo le tette rigide.» «Ma ci sono anche dei commercialisti, magari molto bravi, con brutte mogli. Dipende.» «Se John Holmes fosse un bravo commercialista potrebbe avere per moglie qualunque donna vuole, giusto?» «Probabilmente.» «Il mio pene è molto grosso.» «Okay, okay.» Dopo la cena al ristorante, siamo tornati in hotel con l'automobile. Come sapevo, era un hotel non super. Non c'era la vasca del nuoto né una famosa discoteca. Quando abbiamo aperto la porta della stanza dell'eroe, potevo capire che lui era stressato. «E carino» ha detto perché capiva che io capivo che lui era stressato. «Be', è solo per dormire.» «Non avete in America un hotel come questo!» ho detto per fare il comico.
«No» ha detto lui, e stava ridendo. Eravamo come amici. Per la prima volta da che mi ricordavo mi sono sentito proprio proprio bene.
«Assicurati che hai chiuso la porta a chiave dopo che siamo andati in camera» gli ho detto. «Non voglio farti diventare di pietra, ma ci sono molte pericolose persone che vogliono prendere le cose agli americani senza chiedere, e anche rapirli. Buona notte.» L'eroe ha riso ancora, ma rideva perché non sapeva che io non stavo facendo il comico. «Avanti, Sammy Davis Junior Junior» il Nonno ha chiamato la cagna, ma lei non voleva lasciare la porta. «Su!» Niente. «Avanti!» ha urlato, ma lei non si sloggiava. Ho tentato di cantare per lei, il che lei sfagiola, specialmente quando le canto «Billie Jean is not my lover» di Michael Jackson. «She's just a girl who claims that I am the one.» Ma niente.
Lei non faceva altro che spingere la testa contro la porta di camera dell'eroe. Il Nonno ha attentato di rimuoverla con forza ma lei ha cominciato a piangere. Io ho bussato alla porta e l'eroe aveva il suo spazzolino in bocca. «Sammy Davis Junior Junior fabbricherà le Z con te stanotte» gli ho detto, anche se sapevo che non funzionava. «No» ha detto lui, ed è stato tutto. «Lei non si partirà dalla tua porta» gli ho detto. «E allora, falla dormire sul pianerottolo.» «Ma sarebbe benevolo da parte tua...» «Non mi interessa.» «Solo una notte.» «Una è anche troppo. Mi farà morire.» «E improbabile.» «E' matta.» «Sì, non posso discutere che è matta. Ma è per compassione.» Sapevo che non avrei avuto la vittoria. «Senti» ha detto l'eroe. «Se lei vuole dormire nella stanza, io sarò ben contento di dormire sul pianerottolo. Ma se sono nella stanza, sono nella stanza da solo.» «Forse potete dormire tutti e due sul pianerottolo» ho proposto. Dopo che abbiamo lasciato l'eroe e la cagna a riposare - l'eroe in camera, la cagna sul pianerottolo - io e il Nonno siamo scesi sotto al bar dell'hotel per un drink di vodka. Era un'idea del Nonno. In vero io ero un pochino terrorizzato di essere solo con lui. «Lui è un bravo ragazzo» ha detto Nonno. Io non potevo capire se mi interrogava, o se mi istruiva. «Sì, sembra bravo» ho detto. Il Nonno ha mosso la mano sulla faccia che durante la giornata era diventata piena di peli. Solo allora ho notato che le sue mani ancora stavano tremando, era tutta la giornata che stavano tremando. «Dovremmo fare uno sforzo molto granitico per aiutarlo.» «Dovremmo» ho detto. E lui ha detto: «Mi piacerebbe molto trovare Augustine». «Anche a me.» Questo è stato tutto il parlare della serata. Abbiamo bevuto tre vodke ciascuno e guardato le previsioni del tempo che erano al televisore dietro al bancone. Dicevano che il tempo l'indomani era normale. Ero compiaciuto che il tempo sarebbe stato normale. Facilitava la nostra ricerca. Dopo la vodka siamo saliti in camera nostra, che rasentava la camera dell'eroe. Il Nonno ha detto: «Io riposerò sul letto e tu riposerai sul pavimento». «Naturalmente» ho detto. «Suonerò la mia sveglia per le sei di mattina.» «Le sei?» l'ho interrogato. Se volete sapere perché l'ho interrogato, è perché le sei per me non è mattino molto presto, è notte tardi. «Le sei» ha detto lui, e io sapevo che questa era la fine della conversazione.
Mentre il Nonno si lavava i denti, sono andato a assicurarmi che tutto era accettabile in camera dell'eroe. Ho auscultato alla porta per capire se lui era capace di fabbricare le Z e non ho sentito niente di anormale, solo il vento che entrava nelle finestre e il suono degli insetti. Bene, ho detto nel cervello, lui è coricato bene. Al mattino non sarà affaticato. Ho tentato di aprire la porta per essere sicuro che non correva rischi. Ho aperto solo una percentuale e Sammy Davis Junior Junior, che era ancora cosciente, è entrata dentro. L'ho guardata sdraiarsi vicino al letto dove l'eroe si coricava in requiem. Ho pensato che questo era accettabile, e ho chiuso la porta in silenzio. Sono tornato indietro, nella mia stanza e stanza del Nonno. Le luci erano già spente ma potevo percepire che lui non era ancora assonnato. Il suo corpo roteava e roteava ancora. Le lenzuola si muovevano, il cuscino rumoreggiava, e lui roteava e roteava. Sentivo il suo respiro vasto.
Sentivo muoversi il suo corpo. Così è stato per tutta la notte. Io sapevo perché non riusciva a riposare. Era per lo stesso motivo che non riuscivo a riposare io. Tutti e due stavamo pensando alla stessa domanda: cosa aveva fatto lui, durante la Guerra?
CAPITOLO 8. INNAMORARSI: 1791-1803
Trachimbrod era abbastanza diverso dallo shtetl senza nome che sorgeva prima nello stesso luogo. Le faccende andavano avanti come sempre. I
Rittisti continuavano a gridare, a penzolare e ad andare zoppi, e anche a guardare dall'alto in basso gli Scompigliati, i quali armeggiavano ancora con le frange alle maniche delle loro camicie, e mangiavano ancora biscottini e knish dopo - ma più spesso durante - le funzioni.
Shanda la dolente era ancora in lutto per il marito, il defunto filosofo Pinchas, che ancora svolgeva un ruolo attivo nella politica dello shtetl. Yankel tentava ancora di comportarsi bene, si ripeteva ancora, più volte, che non era triste, e tuttavia finiva sempre nella tristezza.
La sinagoga ancora si spostava, sempre nel tentativo di fermarsi sulla linea di demarcazione fra lo shtetl ebreo errante e quello umano.
Sofiowka era folle come non mai, continuava a masturbarsi a quattro palmenti, e a legarsi con la fune, usando il suo corpo per ricordare il suo corpo e non ricordando altro che la fune. Ma con il nome arrivò una nuova autoconsapevolezza, che spesso si palesava in modi vergognosi. Le donne dello shtetl alzavano i cospicui nasi alla vista della mia bis-bis-bis-bis-bisnonna. Segretamente la chiamavano sporca ragazza del fiume e bimba acquatica. Pur essendo troppo superstiziose anche solo per svelarle la sua vera storia, si premuravano che non avesse amici o amiche della sua età (spiegando ai figli che lei era meno divertente del divertimento che riservava a se stessa e meno buona delle sue buone azioni) e che avesse soltanto la compagnia di Yankel o degli uomini dello shtetl abbastanza coraggiosi per rischiare di esser visti dalle loro mogli. Che erano ben pochi. Anche l'uomo maturo più sicuro di sé in sua presenza si impappinava. Dopo appena dieci anni di vita era già la creatura più desiderata dello shtetl, e la sua reputazione si era diffusa, come a rigagnoli, nei villaggi vicini. Me la sono immaginata tante volte. Un po' piccola di statura anche per la sua età - non piccola in una maniera tenera, infantile, ma come lo può essere una bambina denutrita. Idem per la magrezza. Ogni sera, prima di metterla a letto, Yankel le conta le costole, come se nel corso della giornata una fosse potuta sparire diventando seme e terreno da cui un nuovo compagno crescendo gliel'avrebbe sottratta. Mangia a sufficienza ed è sana, almeno nel senso che non si ammala mai, ma il corpo sembra quello di una bimba malata cronica, una bimba pelle e ossa, una bimba che non è del tutto libera. Ha i capelli folti e neri, le labbra sottili e lucenti e bianche. Come potrebbe essere altrimenti? Con gran scorno di Yankel, Brod si ostinava a tagliarsi da sé quelle fluenti chiome scure. Non è da signora, diceva lui. Quando li hai così corti sembri un maschietto. Non dire stupidaggini, ribatteva lei. Ma non ti danno fastidio? Certo che mi danno fastidio le tue sciocchezze. Intendevo i capelli. Secondo me stanno benissimo. Come fanno a stare benissimo se non piacciono a nessuno? Secondo me stan bene. Se sei la sola a dirlo? Stanno abbastanza bene. E i ragazzi, allora? Non vuoi che ti trovino carina? Non voglio che un ragazzo mi trovi carina se non è il tipo di ragazzo che lo pensava anche prima che lo fossi. Stanno bene, diceva allora lui.
Secondo me sono stupendi. Ripetilo un'altra volta e me li faccio crescere lunghi lunghi. Lo so, rideva lui baciandola in fronte mentre le prendeva le orecchie fra le dita. Il suo ammaestramento nel cucito (grazie a un libro che Yankel le portò da Lvov) coincise con il rifiuto di indossare qualsiasi indumento che non si fosse confezionata da sé; e quando Yankel le regalò un libro sulla fisiologia degli animali, Brod gli avvicinava illustrazioni alla faccia e diceva: Non trovi che è strano, Yankel, il fatto che le mangiamo? Non ho mai mangiato un'illustrazione. No, le bestie. Non ti sembra strano? Non posso crederci, di non averlo mai trovato strano prima. E come il tuo nome: una cosa che per un sacco di tempo non noti, ma quando finalmente lo noti non puoi tenerti dal ripeterlo un sacco di volte chiedendoti perché non hai trovato strano avere proprio quel nome, e che tutti ti abbiano chiamato così per tutta la tua vita. Yankel. Yankel. Yankel. Non ci trovo niente di strano. Non le mangerò più, almeno finché lo troverò strano. Lei resisteva sempre, non cedeva in nessun caso, non cedeva, provocata o non provocata. Io non credo che tu sia una testarda, le disse Yankel un pomeriggio, quando lei rifiutò di cenare prima del dolce. E invece sì! E per questo era amata. Amata da tutti, anche da quelli che la odiavano. Le strane circostanze della sua nascita intrigavano gli uomini, ma erano le sue scaltrezze, le movenze civettuole e le frasi tortuose, il rifiuto di ammettere o ignorare le loro esistenze che li spingevano a seguirla per le strade, a spiarla dalle finestre, a sognarla la notte, sognare lei, non le loro mogli e neanche se stessi. Sì, Yoske. Gli uomini del mulino sono così forti e coraggiosi. Sì, Feivel. Sì, sono una brava bambina. Sì, Saul. Sì, sì, adoro i dolci. Sì, oh, sì Itzik. Oh, sì. Yankel non aveva il coraggio di dirle che non era suo padre, che lei era la Regina del Carro il Giorno di Trachim non solo in quanto era di gran lunga la bimba più amata dello shtetl, ma perché il suo vero padre era in fondo al fiume che portava il suo nome, ed era lui che gli uomini forti si tuffavano a cercare. E allora Yankel s'inventava altre storie - storie incredibili, con una indomita fantasia e personaggi fiammeggianti. Inventava storie talmente fantastiche che lei doveva crederci. Naturalmente era solo una bambina, ancora intenta a spolverare la sua prima morte. Che altro poteva fare? Mentre Yankel stava già accumulando la polvere della seconda. Che altro avrebbe potuto fare lui? Con l'aiuto degli uomini bramosi e delle donne ostili dello shtetl, la mia ultra-bisnonna crebbe diventando se stessa e coltivando interessi personali: la tessitura, il giardinaggio, la lettura di qualunque cosa su cui mettesse mano - cioè tutto, praticamente, nella portentosa biblioteca di Yankel, una stanza ricolma di libri dal pavimento al soffitto, che un giorno si sarebbe trasformata nella prima biblioteca pubblica di Trachimbrod. Non era solo la cittadina di Trachimbrod più dotata di intelligenza, esperta da consultare per qualunque arduo problema di matematica o di logica - IL
SACRO VERBO, un giorno le domandò in privato il Riverito Rabbino, QUAL
E', BROD? - ma anche la più solitaria e triste. Era un genio della tristezza, e in essa si tuffava disgiungendone i molti fili, apprezzandone le sfumature più sottili. Era un prisma attraverso cui la tristezza poteva suddividersi nel suo infinito spettro. Sei triste, Yankel? gli chiese una mattina a colazione. Certo, rispose lui imboccandola a fette di melone, con un tremulo cucchiaio. Perché? Perché parli, invece di mangiare. E prima ancora, eri triste? Certo. Perché?
Perché allora stavi mangiando invece di parlare, e quando non sento la tua voce mi intristisco. Quando guardi la gente ballare, questo ti intristisce? Certo. Intristisce anche me. Perché pensi che accada? Lui le baciò la fronte e le mise una mano sotto il mento. Dovresti veramente mangiare. Si sta facendo tardi. Tu pensi che Bitzl Bitzl sia un uomo particolarmente triste? Non so. E Shanda la dolente? Oh, sì... lei è particolarmente triste. E evidente, no? E Shloim, è triste? Chi lo sa?
Le gemelle? Forse. Non è affar nostro. Dio è triste? Per essere triste dovrebbe esistere, no? Lo so, disse lei, dandogli un leggero buffetto sulla spalla. E' per quello che lo chiedevo, per sapere finalmente se ci credi! Allora ti dirò solo questo: se Dio esiste, ha molte ragioni per essere triste. E se non esiste, secondo me anche questo Lo rattrista non poco. Insomma, per rispondere alla tua domanda, Dio deve essere triste.
Yankel! Lei gli buttò le braccia intorno al collo come nel tentativo di migrare in lui, o di attrarlo dentro di sé. Brod scoprì seicentotredici tristezze, ciascuna assolutamente unica, ciascuna una singola emozione, non più simile a qualunque altra tristezza di quanto fosse simile all'ira, all'estasi, ai sensi di colpa e alla frustrazione. Tristezza dello Specchio. Tristezza degli Uccelli Addomesticati. Tristezza di Esser Triste di fronte a un Genitore. Tristezza dell'Umorismo. Tristezza dell'Amore senza Scioglimento. Era come chi sta per annegare, e si dibatte, si protende verso qualunque cosa possa salvarlo. La sua vita era una lotta pressante e disperata per giustificare la sua vita. Imparò sul violino canzoni di impossibile difficoltà, canzoni che credeva al di fuori della sua portata, e ogni volta tornava da Yankel piangente: Ho imparato a suonare anche questa! E' così terribile! Devo scrivere qualcosa che non possa suonare neanch'io! Trascorreva le sere sui libri d'arte che Yankel le comprava a Lutsk, e ogni mattina se ne stava imbronciata davanti alla colazione: Erano buoni e scritti bene, ma non belli. No, se devo essere sincera con me stessa. Sono soltanto il meglio di quello che c'è. Trascorse un pomeriggio con gli occhi fissi alla porta di casa. Stai aspettando qualcuno? le chiese Yankel. Che colore è questo, papà? Lui si accostò alla porta toccando lo spioncino con la punta del naso. Leccò il legno e scherzò: Di certo sa di rosso. Sì, è rosso, vero? Così sembra. Lei si prese la testa fra le mani. Ma non potrebbe essere un pochino più rosso? La vita di Brod fu una lenta assimilazione del fatto che il mondo non era per lei; che, quale ne fosse la ragione, non sarebbe mai stata nel contempo felice e sincera.
Aveva la sensazione di tracimare, di produrre e accumulare sempre più amore dentro di sé. Ma senza mai scioglimento. Tavolo, incanto dell'elefante di avorio, arcobaleno, cipolla, acconciatura, mollusco, Settimo Giorno, violenza, pellicina, melodramma, fossato, miele, sottocoppa... niente di tutto questo valeva a smuoverla. Si rivolgeva al suo mondo in onestà, alla ricerca di qualcosa che meritasse le quantità di amore che sapeva di avere dentro, ma a ogni cosa diceva: Non ti amo.
Paletto di recinto marron-corteccia: Non ti amo. Poesia troppo lunga: Non ti amo. Cena nella scodella: Non ti amo. La fisica, l'idea di te, le tue leggi- Non ti amo. Nulla sembrava qualcosa in più di quello che era davvero. Tutto era semplicemente una cosa, impastoiata, da cima a fondo, nella propria cosalità. Se avessimo aperto una pagina a caso del suo diario - che deve avere serbato e serbato in ogni momento, con la paura non che venisse perduto o scoperto o letto, ma di imbattersi un giorno nella cosa che finalmente valesse la pena di scrivere e ricordare e scoprire che non aveva qualcosa su cui scrivere - avremmo trovato una qualche enunciazione del seguente sentimento: non sono innamorata. E dunque si doveva accontentare dell'idea dell'amore - di amare il fatto di amare cose della cui esistenza non le importava affatto. L'amore in sé divenne oggetto del suo amore. Lei amava se stessa innamorata, amava amare l'amore come l'amore ama amare: ed era in grado, quindi, di riconciliarsi con un mondo tanto diverso da quello che avrebbe auspicato. Non era il mondo la grande menzogna salutare: lo era la sua volontà di renderlo bello e giusto, di vivere una vita già-avulsa in un mondo già-avulso da quello dove tutù gli altri sembravano esistere.
Ragazzi, uomini giovani e maturi, e vecchi dello shtetl vegliavano seduti sotto la sua finestra a ogni ora del giorno e della notte chiedendo di poterla assistere negli studi (per i quali ovviamente non le occorreva aiuto, e nei quali non avrebbero potuto esserle di aiuto nemmeno se gli avesse permesso di provarci) o nel giardino (che cresceva come fosse incantato, e fioriva di rossi tulipani e di rose, di balsamina arancio), e forse a Brod non sarebbe dispiaciuto fare una passeggiata al fiume (dove poteva benissimo andar da sola, tante grazie). Lei non diceva mai di no e non diceva mai di sì, ma tirava, mollava, tirava le sue funi di marionettista. Tirava: // mio più grande desiderio, diceva, sarebbe un bicchierone di tè ghiacciato. E quel che accadeva dopo era che gli uomini facevano a gara per procurargliene uno.
Il primo a ritornare poteva ricevere un rapido bacetto sulla fronte (molla) oppure (tira) la promessa di una passeggiata (da adempiersi sine die), oppure (molla) un semplice grazie, di nuovo. Dietro la sua finestra Brod manteneva un accurato equilibrio, mai permettendo agli uomini di avvicinarsi troppo, mai permettendo loro di andare troppo alla deriva. Aveva un bisogno disperato di loro, non solo per i favori, non solo per quello che avrebbe potuto ottenere a vantaggio di Yankel e di se stessa e che Yankel non poteva permettersi, ma perché fornivano dita per tappare i fori nella diga che tratteneva la verità a lei nota: cioè che non amava la vita. Che non c'era una ragione convincente per vivere.
Quando il carro sprofondò, Yankel aveva già settantadue anni, e la sua casa era più pronta a un funerale che a una nascita. Brod leggeva alla tenue luce canarino delle lucerne a olio, coperta di scialli di pizzo, e faceva il bagno in una vasca foderata di carta smeriglio per non scivolare. Lui le fu precettore di letteratura e di matematica elementare fino a che Brod non lo ebbe superato di gran lunga in sapere, e rideva con lei anche quando non c'era niente da ridere, le leggeva qualcosa prima di guardarla addormentarsi, ed era l'unica persona al mondo che lei potesse considerare amica. Lei ne imitò l'andatura ineguale, cominciò a parlare con le inflessioni del suo vecchio, giungendo a strofinarsi sul mento una peluria pomeridiana che non ci fu mai, a nessuna ora di nessun giorno della sua vita. A Lutsk ti ho comperato dei libri, le disse Yankel chiudendo la porta a prima sera, chiudendo fuori il resto del mondo. Non possiamo permetterceli, ribatté lei afferrando la borsa pesante. Domani dovrò restituirli. Non possiamo permetterci neanche di non averli. Qual è la cosa che possiamo permetterci di meno: averli o non averli? A mio parere, perdiamo in ogni caso. Meglio perdere con i libri. Sei ridicolo, Yankel. Lo so, disse, perché ti ho comprato anche un compasso e un po' di libri di poesia francese. Ma io non so il francese. Quale migliore occasione per impararlo? Avere una grammatica francese. Ah, ecco... sapevo di aver fatto bene a comprarla! disse lui pescando un massiccio volume marrone dal fondo della borsa. Sei impossibile, Yankel. E possibile che io sia possibile. Grazie, gli disse baciandolo in fronte, che era l'unico punto dove lei avesse mai dato baci o si fosse lasciata baciare, e doveva essere, salvo che nei romanzi, l'unico punto dove credeva che la gente si baciasse. Brod doveva restituire in segreto gran parte delle cose che Yankel le regalava. Lui non se ne accorse mai; perché non ricordava neanche di averle mai comprate. Fu un'idea di Brod trasformare la loro biblioteca da privata in pubblica fissando una piccola tariffa per il prestito dei libri. Era con questi soldi, insieme a quelli che poteva estorcere agli uomini innamorati di lei, che riuscivano a sopravvivere.
Yankel faceva ogni sforzo per evitare che Brod si sentisse un'estranea, che fosse consapevole della loro differenza di età e di sesso. Lasciava la porta aperta quando orinava (sempre seduto, e sempre asciugandosi alla fine) e a volte si spruzzava acqua sulle mutande e diceva: Guarda, succede anche a me, senza sapere che era Brod a spruzzarsi acqua sulle mutande per consolarlo. Quando Brod cadde dall'altalena nel parco, Yankel si sbucciò le ginocchia sul fondo smerigliato della vasca da bagno e disse: Sono caduto anch'io. Quando cominciarono a crescerle i seni, tirò su la camicia mostrandole il suo vecchio petto cascante, e disse: Non succede solo a te. Questo era il mondo in cui lei diventava grande e lui invecchiava. Di Trachimbrod fecero un santuario per loro stessi, un habitat totalmente distinto dal resto del mondo. Non venivano mai proferite parole d'odio, né si alzavano mani. Ancor di più: non venivano mai proferite parole di rabbia, e nulla era negato. Ma ancor di più, non venivano mai proferite parole che non fossero d'amore, e tutto era portato come un ulteriore, piccolo elemento probatorio del fatto che così può essere, e non dev'essere altrimenti; se nel mondo non c'è amore faremo un altro mondo, e lo circonderemo di mura massicce e lo arrederemo con interni rossi e soffici, e gli forniremo un battaglio che suoni come un diamante caduto nel feltro di un gioielliere in modo che non lo sentiamo mai. Amami perché l'amore non esiste e io ho provato tutto ciò che esiste. Ma la mia ultrabis-ultratriste-nonna non amava Yankel, almeno nel senso semplice e impossibile della parola. In effetti, sapeva ben poco di lui. E lui poco sapeva di lei. Ciascuno conosceva intimamente nell'altro aspetti di se stesso, ma l'altro no.
Avrebbe mai potuto immaginare, Yankel, cosa sognasse Brod? E Brod, avrebbe potuto indovinare, se gliene fosse importato, dove andava Yankel di notte? Erano estranei come mia nonna e me. Ma... Ma ognuno era la cosa più prossima a un degno oggetto d'amore che potesse trovare l'altro. Così se lo profondevano a vicenda, per intero. Lui si sbucciava un ginocchio e diceva: Sono caduto anch'io. Brod si versava l'acqua sulle mutande perché Yankel non si sentisse solo. Lui le diede quella pallina. Lei la portò. E quando Yankel disse che sarebbe morto per Brod, di certo era sincero: ma ciò per cui sarebbe morto non era esattamente Brod, bensì il suo amore per lei. E quando lei diceva: Papà, sei il mio amore, non era né ingenua né ipocrita, ma al contrario: era abbastanza saggia e sincera da mentire. Si scambiavano a vicenda la grande bugia salvatrice - che il nostro amore per le cose sia più grande del nostro amore per il nostro amore per le cose - recitando di buon grado le parti che scrivevano per sé, creando di buon grado le finzioni necessarie alla vita, e credendoci.
Lei aveva dodici anni e lui almeno ottantaquattro. Anche se fosse vissuto fino a novanta, ragionava Yankel, lei ne avrebbe avuti appena diciotto. E lui sapeva che non sarebbe vissuto fino a novanta. Era segretamente debole, e segretamente addolorato. Chi si sarebbe preso cura di lei alla sua morte? Chi le avrebbe cantato le canzoni, e avrebbe continuato a farle il solletico sulla schiena in quel modo speciale che le piaceva tanto, quando dormiva già da un pezzo? Come avrebbe saputo del suo vero padre? Come poteva, Yankel, star tranquillo che sarebbe stata protetta dalla violenza quotidiana, da quella involontaria e da quella volontaria? Come poteva star tranquillo che lei non sarebbe mai cambiata?
Fece tutto quello che poteva per rallentare il proprio rapido deteriorarsi. Tentava di consumare un buon pasto anche quando non aveva fame, e tra un pasto e l'altro beveva un goccio di vodka anche quando sentiva che gli avrebbe fatto un nodo allo stomaco. Ogni pomeriggio si dava a lunghe passeggiate, sapendo che il dolore che gli lasciavano nelle gambe era un dolore benefico, e ogni mattina tagliava un ceppo da ardere, sapendo che non era per malattia che dolevano le braccia, ma per salute.
Intimorito dai frequenti vuoti di memoria, cominciò a scrivere frammenti di storia della sua vita sul soffitto della camera da letto con uno dei rossetti di Brod, che trovò in un calzino nel cassetto della scrivania di Brod. In questo modo la sua vita sarebbe stata la prima cosa che avrebbe visto ogni mattina al risveglio, e l'ultima ogni sera prima di addormentarsi. Eri sposato, ma lei ti ha lasciato, sopra il suo cassettone. Tu odi le verdure, all'altro capo del soffitto. Tu sei uno Scompigliato, dove il soffitto incontrava la porta. Tu non credi nell'aldilà, scritto in circolo attorno alla lampada appesa al soffitto.
Non volle mai che Brod sapesse che la sua mente era diventata come una lastra di vetro, e fumigava dalla confusione, e i pensieri ne sdrucciolavano via, e non riusciva a capire tante cose che lei gli diceva, e tanto spesso si scordava anche il nome di lei e - come una piccola parte di Yankel che moriva - si scordava di lei.
Il sogno di vivere per sempre con Brod. Faccio questo sogno tutte le notti. Anche quando l'indomani mattina non me lo ricordo. So che c'è stato, come l'avvallamento lasciato dalla testa dell'amante sul cuscino accanto dopo che se n'è andata. Non sogno di invecchiare insieme a lei, ma di non invecchiare, né lei né io. E' vero, ho paura di morire. Ho paura che il mondo continui senza di me, che la mia assenza passi inosservata, o peggio ancora, di essere una qualche forza naturale che spinge avanti il mondo. E' egoismo, questo? Sono forse un uomo malvagio perché sogno un mondo che termina con la mia fine? Non pretendo che il mondo abbia fine rispettandomi, ma che ogni coppia d'occhi vada a chiudersi con i miei. Talora il mio sogno di vivere per sempre con Brod è il sogno che moriamo assieme. So che non c'è vita dopo la morte. Non sono un imbecille. E so che Dio non esiste. Non è della sua compagnia che ho bisogno, ma di sapere che non le occorrerà la mia, o sapere che non potrà farne a meno. Penso a scene di lei senza di me e divento gelosissimo. Si sposerà, avrà figli e toccherà quello a cui io non potrei mai avvicinarmi - tutte cose che mi dovrebbero rendere felice.
Non posso rivelarle questo sogno, è chiaro, ma lo vorrei tanto. Lei è l'unica cosa che ha importanza.
Le leggeva una storia a letto e ascoltava le sue interpretazioni senza mai interromperla, neanche per dirle quanto era orgoglioso, e quanto lei era bella e intelligente. Dopo averle dato il bacio della buonanotte e la benedizione, andava in cucina, beveva i pochi sorsi di vodka che il suo stomaco poteva reggere e con un soffio spegneva la lucerna. Vagava per il corridoio buio seguendo il caldo bagliore proveniente da sotto la porta della sua stanza da letto. Una volta inciampò in una catasta di libri di Brod sul pavimento fuori dalla porta e poi nella borsa di Brod.
Entrando nella propria stanza, immaginò che quella notte sarebbe morto nel sonno. Immaginò come lo avrebbe trovato Brod la mattina. Immaginò la propria postura, l'espressione del volto. Immaginò cosa avrebbe sentito, o non sentito. E' tardi, pensò, e domattina devo alzarmi presto per far da mangiare a Brod prima delle sue lezioni. Si sdraiò sul pavimento, fece tre flessioni e si rialzò. Pensò: E tardi, e devo render grazie di tutto quello che possiedo, e riconciliarmi con tutto quello che ho perso e non ho perso. Oggi ce l'ho messa tutta per essere un brav'uomo, per fare le cose che Dio avrebbe voluto se esistesse. Ti ringrazio dei doni della vita e di Brod, pensò, e grazie a te, Brod, di avermi dato una ragione per vivere, io non sono triste. Si infilò sotto le lenzuola di lana rossa e guardò dritto sopra la propria testa: Tu sei Yankel. Tu ami Brod.
CAPITOLO 9. SEGRETI RICORRENTI: 1791-1943.
Era un segreto quando Yankel avvolse l'orologio in un panno nero. Era un segreto quando, una mattina, il Riverito Rabbino si svegliò con queste parole sulla lingua: MA PERCHÉ NON?... e quando Rachel F, la più schietta fra tutti gli Scompigliati, si svegliò domandandosi: Ma perché non?.,, Non fu un segreto quando Brod pensò di tacere a Yankel che aveva trovato nelle mutande delle macchie rosse, e che era sicura di morire, e com'era poetico che dovesse morire così. Ma fu un segreto quando lei pensò di dirglielo e non lo fece. Restarono segrete almeno alcune delle volte in cui Sofiowka indulse all'onanismo, cosa che lo rese il più gran serbatore di segreti di Trachimbrod e forse di ogni luogo in ogni tempo.
Fu un segreto quando Shanda la dolente non si dolse. E fu un segreto quando le gemelle del Rabbino insinuarono di non aver visto nulla e non sapere nulla di quello che era successo quel giorno, il 18 marzo 1791 allorché Trachim B fu bloccato, o non lo fu, dal suo carro contro il letto del fiume Brod. Yankel gira per la casa con lenzuoli neri, inchiodandone uno su ciascuna delle pendole. Drappeggia le pendole di nero e avvolge il suo orologio da tasca d'argento in uno scampolo di lino nero. Smette di osservare lo Shabbat, non volendo sottolineare la fine di un'altra settimana, e fugge il sole perché anche le ombre sono orologi. A volte mi viene la tentazione di picchiare Brod, pensa fra sé, non perché lei si comporti male, ma perché la amo tanto. Ed è un segreto anche questo. Ricopre la finestra della sua stanza da letto con un panno nero. Avvolge il calendario in carta nera, come se fosse un dono. Legge il diario di Brod mentre lei fa il bagno, che è un segreto, ed è una cosa terribile, lo sa, ma ci sono alcune cose terribili cui un padre ha diritto, anche un padre fasullo.
Addì 18 di marzo 1803
... sul momento sono indaffaratissima. Prima di domani devo leggere il primo volume della biografia di Galileo Galilei, in quanto va restituito all'uomo da cui Yankel l'ha acquistata. Poi vi sono gli eroi della Grecia e di Roma e le storie della Bibbia dove cercare dei significati, e dopo - quasi nel giorno vi fossero ore bastanti - la matematica. Mi propongo di...
Addì 20 di giugno 1803
... «In profondo i giovani si sentono più soli dei vecchi». L'ho letto in qualche libro e mi è rimasto impresso. Forse è vero. O forse non lo è. E più verisimile che i giovani e i vecchi si sentano soli in maniere differenti, a loro modo...
Addì 23 di settembre 1803
... Nel pomeriggio d'oggi mi è venuto di pensare che non v'è nulla al mondo che mi piaccia più dello scrivere il mio diario. Non mi fraintende mai, e mai che io lo fraintenda. Siamo come amanti perfetti, come una persona sola. Talvolta lo porto con me a letto, e me lo stringo finché m'addormento. Talvolta ne bacio le pagine, una dopo l'altra: per ora, almeno, tanto dovrà bastare.
Che è un segreto anche questo, naturalmente, perché Brod serba la propria vita segreta a se stessa. Come Yankel, ripete le cose fino a quando sono vere, o fino a quando non distingue più tra vero e falso. E' diventata esperta nel confondere ciò che è con ciò che è stato con ciò che dovrebbe essere con ciò che potrebbe essere. Fugge gli specchi e alza un potente telescopio per trovare se stessa. Lo punta verso il cielo e può vedere, o così crede, al di là del blu, al di là del nero, perfino oltre le stelle e a ritroso verso un nero diverso e un differente blu - un arco che comincia dal suo occhio e termina con una casa angusta. Ne esamina la facciata, osserva dove il legno dello stipite della porta si è sformato e sbiadito, dove il dilavamento dei pluviali ha lasciato tracce bianche e dopo guarda dalle finestre, una per una. Attraverso quella a sinistra in basso vede una donna che pulisce un piatto con un panno. Sembra che quella donna stia cantando fra sé, e Brod immagina che la canzone sia proprio la stessa con cui sua madre l'avrebbe fatta addormentare se non fosse morta di parto senza dolore come Yankel le ha garantito. La donna cerca il proprio riflesso nel piatto e poi lo posa in cima a una catasta. Si scosta dal viso i capelli affinché Brod possa vederla, o così pensa Brod. La donna ha troppa pelle per le sue ossa e troppe rughe per la sua età, come se il volto fosse un animale che a poco a poco discende dal cranio finché un giorno non resterà attaccato alla mandibola e un altro cadrà sulle mani della donna, in modo che lei possa vederlo e dire: Questo è il volto che ho indossato per tutta la vita. Non c'è niente nella finestra in basso a destra salvo un largo comò affollato di libri, fogli e foto - i ritratti di un uomo e una donna, dei loro figli e dei figli dei figli. Lei pensa: Che magnifici ritratti, così piccini e così precisi! Si concentra su una fotografia in particolare. C'è una bambina che tiene per mano la madre.
Stanno in una spiaggia, o così sembra da tanto lontano. La bambina, la bimba perfetta, volge lo sguardo altrove, come se qualcuno facesse smorfie per strapparle il sorriso, e la madre - ammesso che sia sua madre - sta guardando la bambina. Brod si concentra ancora di più, stavolta sugli occhi della madre. Sono verdi, immagina, e profondi, come il fiume che porta nel suo nome. Sta piangendo? si chiede Brod, appoggiando il mento al davanzale. O l'artista stava solo cercando di farla apparire più bella? Perché secondo Brod era bellissima. Aveva esattamente l'aspetto che lei immaginava per sua madre. Su... Su...
Guarda dentro la stanza e vede un letto vuoto. Il cuscino è un rettangolo perfetto. Le lenzuola sono lisce come acqua. Può essere, pensa Brod, che nessuno abbia mai dormito in questo letto. O forse è stato teatro di una scena disdicevole, e nella fretta di liberarsi della prova si è creata un'altra prova. Anche se Lady Macbeth fosse riuscita a lavare quella dannata macchia, forse le mani non le si sarebbero arrossate dal troppo strofinare? Sul comodino c'è una tazza piena d'acqua e Brod pensa di vedere un'increspatura. A sinistra... a sinistra... Guarda in un'altra stanza. Uno studio? Una stanza di giochi per i bimbi? Impossibile dirlo. Brod distoglie lo sguardo e poi si volta, come se in quel momento avesse acquisito una nuova prospettiva: ma la stanza rimane, a sconcertarla. Tenta di riordinare i vari pezzi; una sigaretta fumata a metà in bilico sull'orlo di un portacenere. Uno strofinaccio umido sul davanzale. Un biglietto sulla scrivania. La scrittura assomiglia alla sua: Questo sono io con Augustine, 21 febbraio 1943. Su... Su... Ma nessuna finestra porta in soffitta. Così guarda attraverso il muro, il che non è neanche troppo difficile perché le pareti sono sottili e il suo telescopio è potente. Un bambino e una bambina sono stesi sul pavimento sotto lo spiovente del tetto. Lei punta lo sguardo sul bambino che, anche così da lontano, dimostra la sua età.
E anche cosi da lontano vede che c'è una copia del Libro degli antecedenti che il bambino le sta leggendo. Oh, pensa Brod, è Trachimbrod che vedo\ La bocca del bambino, le orecchie della bambina.
Occhi e bocca di lui, orecchie di lei. La mano dello scriba, gli occhi del bambino, la sua bocca, le orecchie della bambina. Risale la catena delle cause, fino al volto dell'ispirazione dello scriba e alle labbra dell'amante e ai palmi delle mani dei genitori dell'ispirazione dello scriba e alle labbra dei loro amanti e ai palmi dei genitori e alle ginocchia dei vicini e ai nemici, e agli amanti dei loro amanti, ai genitori dei loro genitori, ai vicini dei loro vicini, ai nemici dei loro nemici, finché non si convince che non è solo il bambino che sta leggendo alla bambina in quella soffitta, ma tutti quanti, chiunque sia mai vissuto. Legge con loro mentre loro leggono: IL PRIMO STUPRO DI BROD D
Il primo stupro di Brod D fu perpetrato durante i festeggiamenti seguiti alla tredicesima sagra del Giorno di Trachim, il 18 marzo 1804. Brod stava tornando a casa dopo essere stata sul carro allegorico con i fiori azzurri - per ore e ore era rimasta ritta in tanta austera bellezza, agitando la coda di sirena al momento opportuno, gettando in fondo al fiume suo omonimo quei sacchetti pesanti solo al cenno del Rabbino allorché fu avvicinata dal possidente folle Sofiowka N, il cui nome ora reca il nostro shtetl nelle carte geografiche e nei censimenti Il bambino si addormentò, e la bambina gli posò la testa sul petto. Brod desidera sentire altro - vorrebbe gridare: LEGGI! VOGLIO SAPERE! - ma da dove lei si trova loro non possono sentire; e da dove si trova, lei non può voltar pagina. Da dove si trova, la pagina - il suo futuro sottile come carta - è infinitamente pesante.
CAPITOLO 10. UNA SFILATA, UNA MORTE, UNA PROPOSTA: 1804-1969.
Al suo dodicesimo compleanno, la mia bis-bis-bis-bis-bisnonna aveva ricevuto almeno una proposta di matrimonio da ogni cittadino di Trachimbrod: da uomini già ammogliati, da vecchi decrepiti che disputavano in veranda su cose che potevano essere o non essere accadute decenni prima, da ragazzi dalle ascelle implumi, da donne dalle ascelle piumate; e anche dal defunto filosofo Pinchas T il quale, nell'unico suo scritto degno di menzione, Alla polvere: dall'uomo vieni e all'uomo tornerai, argomentava che, in teoria, fosse possibile la reversibilità fra arte e vita. Lei si sforzava di arrossire, sfarfallava le lunghe ciglia e rispondeva a tutti: Forse no. Yankel dice che sono ancora troppo giovane. Ma l'offerta mi tenta assai. Poi, rivolgendosi a Yankel: Quanto sono sciocchi. E lui, chiudendo il libro: Aspetta che io muoia.
Dopo potrai scegliere uno di loro. Ma finché sono vivo, no. Non me ne piace nemmeno uno. E lo baciava in fronte. Non fanno per me. E inoltre, ridendo, ho già l'uomo più bello di tutta Trachimbrod. E chi sarebbe? attirandola sul grembo. Lo uccido. Lei, stuzzicandogli il naso con il mignolo: Sei tu, tontolone. Oh no, mi stai dicendo che devo suicidarmi?
Credo proprio di sì. Non potrei essere un po' meno bello? Se questo può salvarmi dal suicidio... Non potrei essere un po' bruttino? Lei, ridendo: D'accordo, diciamo che hai un po' il naso a becco. E a ben guardare, questo tuo sorriso proprio bello non è. Ora sei tu che mi uccidi, e rideva anche lui. Meglio che suicidarsi. Mi sa che hai ragione. Così poi non dovrò sentirmi in colpa. Ti sto facendo un grande favore. Allora grazie, cara. Come potrò mai ripagarti? Sei morto. Non puoi fare proprio niente. Per questo unico favore resuscito. Ti basta chiedere. Be', allora penso che dovrei chiederti di uccidermi. Per non sentirmi in colpa. Consideralo già fatto. E non siamo tremendamente fortunati di avere l'un l'altra? Fu dopo la proposta del figlio di Bitzl Bitzl - Sono mortificata, ma Yankel pensa che sia meglio che aspetti che lei si mise il costume da Regina del Carro per la tredicesima sagra annuale del Giorno di Trachim. Yankel aveva sentito le donne parlare di sua figlia (non era sordo) e aveva visto gli uomini tendere le mani brancolando per afferrarla (non era cieco), ma aiutarla a vestire il costume da sirena, doverle allacciare le spalline sulle spalle ossute faceva apparire tutto il resto una passeggiata (era soltanto un uomo).
Non devi metterti in costume se non lo desideri, le disse infilandole le braccia esili nelle lunghe maniche del costume da sirena da lei ridisegnato per ciascuno degli ultimi otto anni. Non sei obbligata a fare la Regina del Carro, lo sai? Certo che sono obbligata, ribatté lei.
Sono la ragazza più bella di Trachimbrod. Credevo non volessi essere bella. Non lo voglio, disse lei spostando la collana sopra la scollatura del costume. E' un tale peso... Ma cosa posso farci? Sono condannata. Ma non sei obbligata, ripeté lui rimettendo di sotto la pallina d'abaco.
Quest'anno potrebbero scegliere un'altra ragazza. Potresti dare l'occasione a un'altra. Non è da me. Però potresti farlo comunque.
Nonno. Ma siamo d'accordo che la cerimonia e il rito sono una sciocchezza. Siamo d'accordo anche che sono una sciocchezza solo per quelli al difuori. Io sono al centro di questo villaggio. Ti ordino di non andare, disse lui sapendo che non avrebbe mai ubbidito. Ti ordino di non darmi ordini. Il mio ordine ha la precedenza. Perché? Perché sono il più vecchio. Questo è un parlare da sciocchi. Allora perché ho dato l'ordine per primo. Questo è un parlar da gente come sopra. Ma non ti piace neanche, disse lui. Poi ti lamenti sempre. Lo so, ammise lei aggiustandosi la coda, che era squamosa di lustrini azzurri. E allora perché? A te piace pensare alla mamma? No. Dopo soffri? Sì. E allora perché continui a pensarci? E perché, si domandò lei ricordando la descrizione del proprio stupro, perseguiamo la sofferenza? Yankel si smarrì nei suoi pensieri tentando più volte di cominciare una frase.
Quando escogiterai una risposta accettabile, mi arrenderò. Lo baciò in fronte e uscì dirigendosi al fiume che portava il suo nome. Lui rimase in attesa presso la finestra. Volte di sottile fune bianca erano tese lungo le viuzze sterrate di Trachimbrod quel pomeriggio d'estate del 1804, come accadeva da tredici anni ogni Giorno di Trachim. Era un'idea di Bitzl Bitzl, a ricordo della prima cosa che riemerse fra i resti del carro. Un capo di fune bianca era legato alla bottiglia semivuota di vermouth sul pavimento della baracca dell'ubriacone Omeler S, l'altro intorno a un candeliere d'argento ossidato sul tavolo da pranzo della casa in muratura con quattro camere da letto del Tollerabile 113 Rabbino dall'altra parte della fangosa via Shelister; una fune bianca e sottile come la corda del bucato andava dal montante posteriore sinistro del letto di una sgualdrina al terzo piano fino al fresco pomolo di rame di una ghiacciaia nella bella bottega di tassidermista sita nello scantinato di Kerman K il gentile; funi bianche collegavano il macellaio al mezzano sopra la tranquilla (e a fiato mozzo per l'emozione) palma del fiume Brod; una fune bianca correva dal falegname al modellatore di cera alla levatrice, in un triangolo scaleno sopra la fontana con la sirena prostrata al centro della piazza dello shtetl.
Gli uomini di bell'aspetto convennero lungo la riva mentre la sfilata dei carri allegorici procedeva dalle cascatelle alle bancarelle di balocchi e dolciumi montate presso la targa che indicava ove il carro si rovesciò e affondò o non fece nulla di tutto ciò: QUESTA TARGA INDICA IL PUNTO
(O UN PUNTO PRESSO IL PUNTO)
DOVE IL CARRO DI UN TAL TRACHIM (SECONDO NOI)
CADDE NEL FIUME.
Editto dello Shtetl, 1791.
Il primo a passare vicino alla finestra del Tollerabile Rabbino, dalla quale egli dava l'opportuno cenno di approvazione, fu un carro allegorico di Kolki. Era adorno di migliaia di farfalle arancioni e rosse che sciamavano appunto verso il carro grazie alla congerie di carcasse animali assicurate al suo lato inferiore. Un bambino dai capelli rossi, in calzoni arancioni e camicia della festa stava diritto come una statua sulla predella di legno. Sopra di lui c'era un cartello con la scritta GLI ABITANTI DI KOLKI FANNO FESTA INSIEME AI LORO VICINI
DI TRACHIMBROD! Un giorno sarebbe stato il soggetto di molti dipinti, quando i bambini che allora guardavano fossero cresciuti e si fossero seduti con gli acquerelli nelle loro verande fatiscenti. Ma questo allora lui non lo sapeva e non lo sapevano neanche loro, proprio come nessuno di loro sapeva che un giorno io avrei scritto queste cose. Seguì il carro allegorico di Rovno, che era coperto da un estremo all'altro di farfalle verdi. Quindi i carri di Lutsk, Sarny, Kivertsy, Sokeretchy e Kovel. Ciascuno era coperto di colori, migliaia di farfalle posate su carcasse sanguinanti: farfalle marroni, farfalle viola, farfalle gialle, farfalle rosa e bianche. La folla lungo il tragitto del corteo gridava con tanto impeto e con tanto poca umanità che si alzò un muro impenetrabile di rumore, un gemito corale così diffuso e costante che si sarebbe potuto scambiare per corale silenzio. Il carro di Trachimbrod era coperto di farfalle azzurre. Brod stava assisa al centro, su una predella sopraelevata, attorniata dalle giovani principesse del carro dello shtetl vestite in pizzi azzurri, che agitavano le braccia tutto intorno come onde. Un quartetto di violinisti suonava canzoni nazionali polacche da un palco davanti al corteo, mentre dietro un altro quartetto eseguiva motivi tradizionali ucraini e l'interferenza fra i due sfociava in una terza, dissonante canzone udibile soltanto dalle principesse e da Brod. Yankel osservava dalla sua finestra, giocherellando con la pallina che sembrava aver ripreso tutto il peso perduto negli ultimi sessant'anni. Quando il carro allegorico di Trachimbrod raggiunse le bancarelle dei balocchi e dei dolciumi, il Tollerabile Rabbino fece a Brod il segnale di lanciare in acqua i sacchetti. Su, su... L'arco dello sguardo collettivo - dalla palma di Brod a quella del fiume - era l'unica cosa che esistesse in quel momento nell'universo: un arcobaleno unico, indelebile. Giù giù... Solo quando il Tollerabile Rabbino fu relativamente sicuro che i sacchetti avessero raggiunto il letto del fiume agli uomini fu dato il permesso - da un altro dei suoi drammatici cenni del capo - di tuffarsi al recupero. Vedere cosa stesse succedendo in acqua era impossibile, 115 con tutti quegli spruzzi. Donne e bambini incitavano con furia, mentre furiosamente gli uomini si sbracciavano nell'acqua acciuffandosi e strattonandosi a vicenda per acquistare un vantaggio. Riemergevano fra le onde, a volte coi sacchetti in bocca o fra le mani, e poi si inabissavano di nuovo con tutto il vigore di cui erano capaci. L'acqua si increspava, gli alberi stormivano di emozione, il cielo lentamente si fasciava di un abito blu rivelando la notte. E poi: L'ho preso! gridò un uomo dall'altra riva. L'ho preso! Gli altri nuotatori sospirarono di sconforto e tornarono a riva a dorso o restarono a galleggiare lì dov'erano imprecando contro la fortuna del vincitore. Il mio bis-bis-bis-bis-bisnonno ritornò a riva a nuoto alzando ritmicamente il sacchetto dorato sopra la testa. Una gran folla lo stava aspettando quando cadde in ginocchio e rovesciò nel fango il contenuto. Diciotto monete d'oro. Sei mesi di salario. COME TI CHIAMI? domandò il Tollerabile Rabbino. Il mio nome è Shalorx, disse. Sono di Kolki. L'UOMO DI KOLKI HA VINTO! proclamò il Rabbino perdendo lo yarmulke nel trambusto. Mentre il frinire dei grilli evocava l'oscurità, Brod rimase sul carro a guardare l'inizio della festa, senza esser tormentata dai maschi. I partecipanti alla sfilata e gli abitanti dello shtetl erano già ubriachi - si abbracciavano, sovrapponevano le mani, dita in esplorazione, cosce che si assestavano, tutti a pensare solamente a lei. Le funi cominciavano ad allentarsi (uccelli si posavano avvallandone il centro; venti soffiavano rivolgendole come onde da un lato all'altro) e le principesse erano corse alla sponda per vedere l'oro e strusciarsi contro i visitatori. Prima la foschia. Poi la pioggia, così lenta che si poteva veder cadere ogni goccia. Uomini e donne continuarono la loro goffa danza mentre le bande Klezmer rovesciavano la loro musica per le strade. Le bambine catturavano lucciole con reti di mussola. Dischiudevano i bulbi e si dipingevano le palpebre con la materia fosforescente. I bambini schiacciavano formiche fra le dita senza sapere il perché. La pioggia rinforzò e si bevve ancora - i partecipanti al corteo bevvero fino a diventare ciechi di vodka e birra fatte in casa. Si davano a un amore selvaggio, incontenibile, negli angoli bui dove le case si toccavano, e sotto le chiome pendule dei salici piangenti. Le coppiette si tagliuzzavano la schiena sulle conchiglie, i ramoscelli e i ciottoli delle secche del Brod. Si cercavano furiosamente nell'erba: giovanotti smargiassi travolti dalla lussuria, donne consunte e meno umide del respiro sul vetro, verginelle annaspanti come cieche, vedove che sollevavano i loro veli allargando le gambe, implorando... chi? Dallo spazio gli astronauti vedono quelli che fanno l'amore come puntolini di luce. Non proprio luce, ma un luccichio che potrebbe essere confuso con la luce... una radianza coitale che impiega generazioni per riversarsi come miele nell'oscurità fino agli occhi dell'astronauta. Fra un secolo e mezzo circa - quando gli amanti che diedero vita a quel luccichio saranno distesi supini in via permanente - dallo spazio si vedranno le metropoli. Luccicheranno. Si vedranno anche le città più piccole, ma con grande fatica. Vedere gli shtetl sarà praticamente impossibile. Le coppiette saranno invisibili. Il luccichio è prodotto dalla somma di migliaia di amori: sposi novelli e adolescenti che brillano come accendini al butano, coppie di uomini che bruciano rapidi e brillanti, coppie di donne che fanno luce per ore con balenii leggeri e molteplici, orge luminose come quegli acciarini giocattolo venduti alle fiere, coppie che nel vano tentativo di avere figli bruciano la loro immagine frustrata come l'infiorescenza lasciata sull'occhio da una luce forte quando distogli lo sguardo. Certe notti, alcuni posti sono un po' più luminosi. E' difficile fissare New York il giorno di San Valentino, o Dublino a San Patrizio. L'antica città murata di Gerusalemme si accende come una candela ciascuna delle otto notti di Chanukah. Il Giorno di Trachim è l'unico momento dell'anno in cui il piccolo villaggio di Trachimbrod risulta visibile dallo spazio, allorché viene generato un voltaggio copulativo sufficiente a elettrificare i cieli polacco-ucraini. Siamo qui, dirà la luminescenza del 1804 fra un secolo e mezzo. Siamo qui e siamo vivi, Ma Brod non era un puntino di questo genere speciale di luce, non aggiungeva la propria carica al voltaggio collettivo. Scese dal carro, pozze d'acqua piovana si raccoglievano nelle scanalature fra le sue costole, e rivarcò la linea di demarcazione ebreo/umana per ritornare a casa, dove il chiasso e le gozzoviglie potevano essere guardati da lontano. Le donne le ghignavano in faccia e gli uomini approfittavano della loro ubriachezza per urtarla senza ragione, per strusciarsi contro di lei e accostarsi tanto alla sua faccia da sentire il suo profumo o baciarla sulla guancia.
Brod, sei una sporca fiumarola! Brod, perché non ci teniamo per mano?
Tuo padre è un infame, Brod. Su, che puoi farcela. Soltanto un gridolino di piacere.
Lei ignorava tutti. Li ignorava quando le sputavano sui piedi o le davano pizzicotti sul sedere. Li ignorava quando la maledivano e la baciavano, e quando la maledivano coi loro baci. Li ignorava anche quando facevano di lei una donna, li ignorava perché aveva imparato a ignorare qualsiasi cosa al mondo che non fosse già-avulsa. Yankel! disse aprendo la porta. Yankel, sono tornata. Guardiamo le danze dal tetto, e mangiamo l'ananasso con le mani! Attraversò il bugigattolo con la zoppia di un uomo sei volte più vecchio di lei, e attraversò la cucina, spogliandosi del costume da sirena, e attraversò la camera da letto in cerca di suo padre. La casa era impregnata di un fetore di umido e putredine, come se la finestra fosse stata lasciata aperta come invito ai fantasmi dell'Europa Orientale. Era invece l'acqua filtrata negli interstizi fra le scandole, come alito fra i denti di una bocca serrata.
E il fetore di morte. Yankel! gridò liberando le gambe sottili dalla coda di sirena, svelando la peluria folta del pube, che era ancora abbastanza nuova da disegnare un triangolo netto. Fuori: labbra chiuse su labbra sulla paglia dei granai e dita che toccavano cosce che toccavano labbra che toccavano orecchie che toccavano incavi di ginocchio su coperte su prati di estranei, tutti pensando a Brod, tutti pensando solamente a Brod. Babbo? Sei in casa? chiamò lei passando nuda di stanza in stanza, i capezzoli duri e viola per il freddo, la carnagione pallida e la pelle d'oca, le ciglia che sulle punte portavano perle d'acqua piovana. Fuori: seni palpati da mani callose. Molti bottoni slacciati. Le frasi diventavano parole diventavano sospiri diventavano gemiti diventavano bramiti diventavano luce. Yankel? Dicevi che avremmo guardato dal tetto. Lo trovò in biblioteca. Ma lui non dormiva sulla sua sedia favorita (come lei sospettava di trovarlo), con le ali di un libro letto a metà spiegate sul petto. Era sul pavimento, in posizione fetale, e stringeva un pezzo di carta appallottolata. A parte questo, la stanza era in perfetto ordine. Aveva tentato di non far confusione quando aveva sentito il primo lampo di calore trafiggergli la testa. Si era sentito in imbarazzo quando le gambe avevano ceduto sotto il suo peso, e vergogna rendendosi conto che sarebbe morto lì sul pavimento, ed era stato solo nell'immensità del suo dolore quando aveva capito che se ne sarebbe andato prima di poter dire a Brod com'era bella quel giorno, e che aveva buon cuore (il che vale più di un buon cervello) e che non era lui il suo vero padre, ma avrebbe voluto esserlo con tutte le benedizioni, ogni giorno e ogni notte della sua vita; prima di poter raccontarle il suo sogno di vita in eterno con lei, di morte insieme a lei, o di non morire mai. Morì con il pezzo di carta appallottolata stretto in una mano e la pallina d'abaco nell'altra.
L'acqua colava fra le scandole come se la casa fosse una caverna.
L'autobiografia in rossetto di Yankel si sfaldò e cadde dal soffitto della camera da letto, posandosi sul letto e pian piano sul pavimento, come neve insanguinata. Tu sei Yankel... Tu ami Brod... Tu sei uno Scompigliato... Eri sposato, ma lei ti ha lasciato... Tu non credi nell'aldilà... Brod temeva che qualcuna delle sue lacrime facesse crollare le mura della vecchia casa, quindi le sigillò dietro le palpebre, esiliandole in un luogo più profondo, più sicuro. Tolse di mano a Yankel la carta che era umida di pioggia, e di paura di morire, e di morte. Vergata in una grafia infantile: Ogni cosa per Brod. Un ammiccar di fulmine illuminò l'uomo di Kolki alla finestra. Era forte, con folte sopracciglia a proteggere gli occhi color corteccia d'acero.
Brod lo aveva visto riemergere con le monete e rovesciarle sulla riva come un vomito d'oro dal sacchetto, ma aveva fatto poco caso a lui. Va' via! gridò coprendosi con le braccia il petto nudo, voltandosi indietro verso Yankel per proteggere i loro corpi dallo sguardo dell'uomo di Kolki. Ma lui non se ne andò. Va' via! Non me ne andrò senza di te, le gridò da dietro la finestra. Va' via! Va' via! La pioggia gli gocciolava dal labbro superiore. Non senza di te. Mi ucciderò! gridò lei. Allora porterò con me il tuo corpo, disse lui con i palmi contro il vetro. Va' via! No.' Yankel scattò nel rigor mortis facendo cadere la lucerna a olio, che si abbatté sul pavimento, si spense e lasciò la stanza completamente al buio. Le guance gli si irrigidirono in un sorriso teso, rivelando la sua soddisfazione alle ombre scacciate. Abbassando le braccia, Brod si sfiorò la pelle lungo i fianchi e si girò per guardare il mio bis-bis-bis-bis-bisnonno.
Allora devi fare una cosa per me, gli disse. Il ventre di lui si accese come il bulbo di una lucciola più luminoso di centomila vergini la prima volta che fanno l'amore.
Stai di sentire! grida mia nonna a mia madre. Svelta! Mia madre ha ventun anni. La mia età mentre scrivo queste righe. Vive in casa, alla sera va a scuola, ha il triplo lavoro, vuole trovare mio padre e sposarlo e procrearmi e amarmi e cantarmi le canzoni e morire tante volte ogni giorno per me. Tu gfarda kfesto, dice mia nonna al baluginio della televisione. Gfarda. Mette la mano sulla mano di mia madre e sente scorrere nelle vene il proprio sangue e il sangue di mio nonno (morto appena cinque settimane dopo essere arrivato negli Stati Uniti, la miseria di sei mesi dopo la nascita di mia madre), e il sangue di mia madre, e il mio sangue, e il sangue dei miei figli e nipoti. Una voce gracchiante: Un piccolo passo per un uomo... Guardano una pallina azzurra fluttuante nel vuoto - un ritorno a casa da tanto lontano. Mia nonna, sforzandosi di controllare la voce, dice: Chissà tuo patre com'era contiento di vedere kfesta cosa. Al posto della pallina azzurra, ora c'è un presentatore che si è tolto gli occhiali e si stropiccia gli occhi. Signore e signori, questa notte l'America ha mandato un uomo sulla Luna. Mia nonna si alza faticosamente in piedi - vecchia, già allora - e dice con molte varietà di lacrime agli occhi: Merafillioso!
Bacia mia madre, nasconde le mani fra i capelli di mia madre e dice: Merafillioso! Anche mia madre piange, una sola varietà di lacrime.
Piangono insieme, guancia contro guancia. E né l'una né l'altra sente l'astronauta che mormora: Vedo qualcosa... mentre al di sopra dell'orizzonte lunare fissa il minuscolo villaggio di Trachimbrod.
Laggiù e'è qualcosa, di sicuro.
CAPITOLO 11