venerdì 28 febbraio 2020


CECITÀ 
José Saramago
Parte 3
Cap. 12- 14

12.

Il quarto giorno, i malvagi si ripresentarono. Venivano a sollecitare al pagamento dell’imposta di servizio le donne della seconda camerata, ma si trattennero un momento alla porta della prima domandando se quelle di qui si erano riprese dagli assalti erotici dell’altra notte, Una notte ben trascorsa, non c’è che dire, esclamò uno di essi leccandosi i baffi, e un altro confermò, Queste sette valevano per quattordici, una non era granché, è vero, ma in mezzo a quella confusione quasi non si notava, hanno fortuna questi tizi qui, se sono abbastanza uomini, Meglio di no, così ne avranno più voglia. Dal fondo della camerata, la moglie del medico disse, Non siamo più sette, Ne è scappata una, domandò ridendo uno del gruppo, Non è scappata, è morta, Oh diavolo, allora dovrete lavorare di più la prossima volta, Non si è perso molto, non era granché, disse la moglie del medico. Sconcertati, i messaggeri non seppero come rispondere, quanto avevano appena udito gli sembrava indecente, qualcuno di loro avrà addirittura pensato che in fin dei conti le donne sono tutte delle vacche, che mancanza di rispetto, parlare di lei in questi termini, solo perché non aveva le mammelle al posto giusto ed era scarsa di sedere. La moglie del medico li guardava, fermi lì davanti alla porta, indecisi, muovendo il corpo come pupazzi meccanici. Li riconosceva, era stata violata da tutti e tre. Alla fine uno picchiò con il bastone per terra, Andiamocene, disse. I colpi e gli avvertimenti, Allontanatevi, allontanatevi, andarono scemando nel corridoio, poi si fece silenzio, brusii confusi, le donne della seconda camerata stavano ricevendo l’ordine di presentarsi dopo cena. Risuonarono nuovamente i colpi per terra, Allontanatevi, allontanatevi, le figure dei tre ciechi passarono nel riquadro della porta, scomparvero.
La moglie del medico, che stava raccontando una storia al ragazzino strabico, alzò il braccio e, senza rumore, prese le forbici dal chiodo. Disse al ragazzo, Poi ti racconto il resto. Nessuno della camerata le aveva domandato perché avesse parlato della cieca delle insonnie con quel disprezzo. Trascorso un po’ di tempo, si tolse le scarpe e andò a dire al marito, Faccio presto, torno subito. Si incamminò verso la porta. Lì si fermò e attese. Dieci minuti dopo comparvero nel corridoio le donne della seconda camerata. Erano quindici. Alcune piangevano. Non arrivavano in fila, ma a gruppi, legati fra loro con strisce di tessuto, in apparenza strappate dai copriletti. Quando furono passate, la moglie del medico le seguì. Nessuna si accorse di avere compagnia. Sapevano cosa le aspettava, la notizia delle vessazioni non era un segreto per nessuno, e per la verità non c’era niente di nuovo, il mondo sarà sicuramente cominciato così. Quello che le terrorizzava non era tanto la violazione, ma l’orgia, l’inverecondia, la previsione della terribile notte, quindici donne sparpagliate qua e là sui letti e per terra, gli uomini che andavano dall’una all’altra, ansimando come maiali, Il peggio è se proverò piacere, era quanto pensava una di loro. Quando entrarono nel corridoio per cui si arrivava alla camerata di destinazione, il cieco di sentinella diede l’allarme, Le sento, stanno arrivando. Il letto che fungeva da cancello fu scostato rapidamente, a una a una le donne entrarono, Caspita quante, esclamò il cieco della contabilità, e andava contando con entusiasmo, Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sono quindici. Si mi se appresso all’ultima, le infilava le mani avide sotto le gonne, Questa già canta, è mia, diceva. Avevano smesso di passarle in rivista, di fare la valutazione previa delle doti fisiche delle femmine. In realtà, se erano tutte condannate a passare per la stessa cosa, non valeva la pena sprecare il tempo e raffreddare la concupiscenza con scelte di altezze e misurazioni di petto e fianchi. Le portavano direttamente ai letti, le spogliavano immediatamente strattonandole, e ben presto si udirono i soliti pianti, le suppliche, le implorazioni, ma le risposte, quando c’erano, non variavano, Se vuoi mangiare, apri le gambe. E loro aprivano le gambe, ad alcune si ordinava di usare la bocca, come quella accoccolata lì, fra le ginocchia del capo di questi malvagi, lei non diceva niente. La moglie del medico entrò nella camerata, scivolò lentamente fra i letti, ma non c’era neanche bisogno di tutta quella cautela, nessuno l’avrebbe sentita anche se fos se venuta in zoccoli, e se, in mezzo alla baldoria, un cieco l’avesse toccata e si fosse accorto che si trattava di una donna, alla peggio le poteva succedere che avrebbe dovuto unirsi alle altre, neanche ci avrebbero badato, in una situazione del genere non è facile notare la differenza fra quindi ci e sedici.
Il letto del capo dei malvagi era sempre quello in fondo alla camerata, dov’erano ammucchiate le casse di cibo. Le brande accanto al suo erano state tolte, a lui piaceva muoversi li beramente, non dover inciampare nei vicini. Sarebbe stato semplice ammazzarlo. Mentre lentamente avanzava per la stretta corsia, la moglie del medico osservava i movimenti dell’uomo che ben presto avrebbe ammazzato, come il godimento gli facesse inclinare il capo all’indietro, come sembrasse già lì a offrirle il collo. Pian piano, la moglie del medico si avvicinò, aggirò il letto e andò a mettersi dietro di lui. La cieca continuava il suo lavoro. La mano sollevò lentamente le forbici, le lame appena discoste per penetrare come due pugnali. In quel momento, l’ultimo, il cieco parve avvertire una presenza, ma l’orgasmo lo aveva sottratto al mondo delle comuni sensazioni, lo aveva privato di riflessi, Non arriverai a godere, pensò la moglie del medico, e calò violentemente il braccio. Le forbici si conficcarono con tutta la forza nella gola del cieco, girando su se stesse lottarono contro le cartilagini e i tessuti membranosi, poi continuarono furiosamente fino a bloccarsi contro le vertebre cervicali. Il grido si udì a stento, poteva essere il grugnito animale di qualcuno che stesse eiaculando, come stava già succedendo ad altri, e forse lo era, in realtà, mentre un getto di sangue le innaffiava in pieno la faccia, la cieca riceveva in bocca la scarica convulsa dello sperma. Fu il grido di lei ad allarmare i ciechi, di grida ne avevano fin troppa esperienza, ma questo non era come gli altri. La cieca gridava, non capiva cosa fosse accaduto, ma gridava, da dove veniva questo sangue, probabilmente, senza sapere come, aveva fatto infine quello che aveva pensato, strappargli il pene a morsi. I ciechi lasciavano le donne, si avvicinavano a tentoni, Cosa c’è, perché stai gridando in questa maniera, domandavano, ma adesso la cieca si ritrovava una mano sulla bocca, qualcuno le mormorava all’orecchio, Zitta, e poi si sentì tirare dolcemente indietro, Non dire niente, era una voce di donna, e questo la calmò, se così si può dire in simili tormenti. Il cieco dei conti procedeva in testa, fu il primo a toccare il corpo che era caduto di trave so sul letto, passandogli le mani sopra, È morto, esclamò dopo un momento. Il capo pendeva al di là della branda, il sangue usciva ancora a fiotti, Lo hanno ammazzato, disse. I ciechi si fermarono interdetti, non riuscivano a credere a ciò che sentivano, Lo hanno ammazzato, come, chi è che lo ha ammazzato, Gli hanno fatto uno squarcio enorme in gola, deve essere stata quella puttana che stava con lui, dobbiamo acchiapparla. Si mossero di nuovo tutti quanti, ora più lentamente, come se avessero paura di incontrare la lama che aveva ammazzato il loro capo. Non potevano vedere che il cieco della contabilità infilava precipitosamente le mani nelle saccocce del morto, che trovava la pistola e un sacchetto di plastica con una decina di cartucce. L’attenzione di tutti fu improvvisamente distratta dallo schiamazzo delle donne che, ormai in piedi, in preda al panico, volevano uscire, ma alcune avevano perso la nozione di dove fosse la porta della camerata, e andarono nella direzione sbagliata e urtarono contro i ciechi, e questi credettero di essere assaliti, allora la confusione dei corpi raggiun se il culmine di un delirio. Immobile, giù in fondo, la moglie del medico aspettava l’occasione per scappare. Teneva saldamente la cieca, con l’altra mano impugnava le forbici, pronta a sferrare la prima pugnalata se qualcuno si fosse avvicinato. Per il momento, lo spazio libero intorno la favoriva, ma lei sapeva di non poter restare a lungo lì. Un po’ di donne avevano trovato finalmente la porta, altre lottavano per liberarsi dalle mani che le ghermivano, qualcuna tentava di strangolare il nemico e aggiungere morto su morto. Il cieco dei conti gridò con autorità ai suoi, Calma, mantenete la calma, risolviamo subito questo problema, e con l’intenzione di rendere più convincente l’ordine sparò un colpo in aria. Il risultato fu l’e satto contrario di quanto si aspettava. Sorpresi nel capire che la pistola era già in altre mani e che, dunque, avrebbero avuto un nuovo capo, i ciechi smisero di lottare con le cieche, rinunciarono al tentativo di dominarle, uno di loro era evidente che aveva rinunciato a tutto perché era stato strangolato. A quel punto la moglie del medico decise di avanzare. Sferrando colpi a destra e a manca, si fece strada. Adesso erano i ciechi che gridavano, che si scontravano, si accalcavano gli uni sugli altri, chi avesse avuto occhi per vedere si sarebbe accorto che, paragonata a questa, la prima baraonda era stato uno scherzo. La moglie del medico non voleva ammazzare, voleva solo uscire il più in fretta possibile, soprattutto non lasciarsi dietro nessuna cieca. Probabilmente questo non sopravviverà, pensò quando piantò le forbici in un petto. Si udì un altro sparo, Via, via, diceva la moglie del medico spingendo avanti a sé le cieche che trovava via facendo. Le aiutava a rialzarsi, ripeteva, Presto, presto, e adesso era il cieco della contabilità che urlava dal fondo, Prendetele, non fatele fuggire, ma era troppo tardi, erano già tutte nel corridoio, fuggivano ruzzolando, mezze nude, tenendosi gli stracci come potevano. Ferma all’entrata della camerata, la moglie del medico gridò furiosamente, Ricordatevi di quello che ho detto l’altro giorno, che non mi sarei dimenticata la sua faccia, e d’ora in poi pensate a quello che vi dico adesso, non mi dimenticherò neanche delle vostre, Me la pagherai, minacciò il cieco della contabilità, tu e le tue amiche, più quei cornuti dei vostri uomini, Non sai chi sono né da dove vengo, Sei della prima camerata dell’altro lato, disse uno di quelli che erano andati a chiamare le donne, e il cieco dei conti aggiunse, La voce non inganna, ti basterà pronunciare una parola accanto a me e sarai morta, Lo aveva detto anche quell’altro, ed eccotelo lì, Ma io non sono un cieco come lui, come voi, quando voi vi siete ritrovati cie chi io conoscevo già tutto del mondo, Della mia cecità non sai niente, Tu non sei cieca, a me non mi inganni, Forse sono la più cieca di tutti, ho già ammazzato, e ammazzerò di nuovo se sarà necessario, Ma prima morirai di fame, da oggi in poi niente più cibo, neanche se verrete tutte a offrirci sopra un vassoio i tre buchi che avete fin dalla nascita, Per ogni giorno che staremo senza mangiare, morirà uno degli uomini qui dentro, basta che mettiate un piede fuori di questa porta, Non ci riuscirai, Ci riusciremo invece, d’ora in poi saremo noi a ritirare il cibo, voi mangiate quello che avete qua dentro, Figlia di puttana, Le figlie di puttana non sono né uomni né donne, sono figlie di puttana, e ora lo sai quanto valgono le figlie di puttana. Infuriato, il cieco della contabilità sparò un colpo in direzione della porta. La pallottola passò fra le teste dei ciechi, senza colpire nessuno, e andò a conficcarsi nella parete del corridoio. Non mi hai preso, disse la moglie del medico, e stai attento, se ti finiscono le munizioni, ce ne sono altri che vogliono fare il capo.
Si allontanò, fece alcuni passi ancora sicuri, poi proseguì appoggiandosi alla parete del corridoio, sul punto di svenire, di colpo le ginocchia le si piegarono e lei cadde lunga distesa. Gli occhi le si annebbiarono, Ora divento cieca, pensò, ma poi comprese che non sarebbe avvenuto neanche questa volta, a offuscarle la vista erano solo lacrime, lacrime come non ne aveva mai pianto in tutta la sua vita, Ho ammazzato, disse a voce bassa, ho voluto ammazzare e l’ho fatto. Girò il capo verso la porta della camerata, se i ciechi fossero arrivati non sarebbe stata capace di difendersi. Il corridoio era deserto. Le donne erano scomparse, i ciechi, ancora spaventati dagli spari e, soprattutto, dai cadaveri dei compagni, non si azzardavano a uscire. A poco a poco cominciarono a tornarle le forze. Le lacrime continuavano a scorrere, ma lente, serene, come davanti a qualcosa di irrimediabile. Si alzò a fatica. Aveva sangue sulle mani e sul vestito, e tutto a un tratto il corpo esausto l’avvertì che era vecchia, Vecchia e assassina, pensò, ma sapeva che se fosse stato necessario avrebbe ammazzato di nuovo, E quand’è che è necessario ammazzare, si domandò avviandosi verso l’atrio, e si rispose da sola, Quando ormai è morto ciò che ancora è vivo. Scosse il capo, pensò, E cosa vuol dire, parole, parole, nient’altro. Era ancora sola. Si avvicinò alla porta che dava nel recinto. Fra le grate del portone intravide la figura del soldato di sentinella, C’è ancora gente là fuori, gente che vede. Un fruscio di passi dietro di sé la fece rabbrividire, Sono loro, pensò, e si girò rapidamente con le forbici pronte. Era il marito. Le donne della seconda camerata erano tornate indietro gridando cos’era successo dall’altra parte, che una donna aveva ucciso a coltellate il capo dei malvagi, che c’erano stati spari, il medico non domandò chi fosse quella donna, poteva essere solo la sua, aveva detto al ragazzino strabico che poi avrebbe finito di raccontargli la storia, e adesso chissà come stava, probabilmente morta anche lei, Sono qui, disse la donna, e gli si avvicinò, e lo abbracciò, senza badare che lo macchiava di sangue, o forse badandoci, ma non aveva importanza, fino a oggi hanno condiviso tutto. Cos’è successo, domandò il medico, hanno detto che è stato ucciso un uomo, Sì, l’ho ammazzato io, Perché, Qualcuno doveva pur farlo, e non c’era nessun altro, E adesso, Adesso siamo liberi, sanno cosa li aspetta se vorranno di nuovo servirsi di noi, Sarà lo scontro, la guerra, I ciechi sono sempre in guerra, lo sono sempre stati, Ammazzerai di nuovo, Se così dovrà essere, di questa cecità ormai non mi libero più, E il cibo, Verremo a prenderlo noi, dubito che si azzardino a venire fin qui, per lo meno nei prossimi giorni avranno paura che gli capiti la stessa cosa, che un paio di forbici gli si pianti nel collo, Non abbiamo saputo resistere come avremmo dovuto quando sono comparsi con le prime pretese, Infatti, abbiamo avuto paura, e la paura non sempre è buona consigliera, e adesso andiamo, converrà, per maggior sicurezza, barricare la porta del le camerate mettendo letti su letti, come fanno loro, se qualcuno di noi dovrà dormire per terra pazienza, meglio così che morire di fame.
Nei giorni seguenti si domandarono se non gli sarebbe capitato proprio questo. All’inizio non lo trovarono strano, c’erano abituati fin dai primi giorni, omissioni nelle consegne del cibo c’erano sempre, i ciechi malvagi avevano ragione quando dicevano che i militari a volte tardavano, una ragione che però degenerava quando affermavano allegramente che perciò non avevano potuto far altro che imporre un razionamento, sono i penosi doveri di chi governa. Il terzo giorno, quando ormai non si sarebbe riusciti a trovare nelle camerate né un tozzo di pane né una briciola, la moglie del medico, con alcuni compagni, uscì nel recinto e domandò, Ehi, voi, perché questo ritardo, dov’è il cibo, sono più di due giorni che non mangiamo. Il sergente, un altro, non quello di prima, si avvicinò alla grata dichiarando che la responsabilità non era dell’Esercito, lì non si toglieva il pane di bocca a nessuno, l’onore militare non lo avrebbe mai permesso, se il cibo non c’era è perché non ce n’era, e voi non fate un altro passo, il primo che viene avanti sa qual è la sorte che lo aspetta, gli ordini non sono cambiati. All’intimazione rientrarono e parlottarono fra di loro, E adesso, cosa facciamo se non ci portano da mangiare, Può darsi ce lo portino domani, O do podomani, O quando non ci potremo più muovere, Dovremmo uscire, Non arriveremmo neanche al portone, Se avessimo la vista, Se avessimo la vista, non ci avrebbero messo in questo inferno, Come sarà la vita fuori, Forse non gli dispiacerà darci un po’ di cibo se andremo a chiederglielo là fuori, in definitiva, se manca a noi mancherà anche a loro, Proprio per questo non ce lo darebbero, E prima che a loro finisca noi saremo morti di fame, Cosa possiamo fare allora. Seduti lì per terra, sotto la luce giallastra dell’unica lampadina dell’atrio, più o meno in circolo, c’erano il medico e la moglie del medico, il vecchio dalla benda nera, fra tanti altri uomini e donne, due o tre per ciascuna camerata, sia dell’ala sinistra che dell’ala destra, e allora, siccome questo mondo di ciechi è quello che è, successe quel che sempre deve succedere, un uomo disse, Io so soltanto che non ci troveremmo in questa situazione se non gli avessero ammazzato il capo, che gliene importava alle donne di dover andare un paio di volte al mese a dargli quello di cui la natura le ha dotate a questo scopo, mi domando. Ci fu chi trovò spiritosa la reminiscenza e chi trattenne il riso, e qualche voce di protesta fu soffocata dallo stomaco, così l’uomo insistette, Vorrei proprio sapere chi sarà stato a fare quella carneficina, Le donne presenti al momento giurano che non è stata nessuna di loro, Dovremmo farci giustizia noi e portarla al castigo, A patto che sapessimo chi è, Potremmo dirgli, ecco la persona che cercate, adesso dateci il cibo, A patto che sapessimo chi è. La moglie del medico chi nò il capo, pensò, Hanno ragione, se qualcuno di noi morirà di fame, la colpa sarà mia, ma poi, dando voce alla collera che si sentiva montare dentro e che contraddiceva questa accettazione della propria responsabilità, Spero siano questi a morire per primi, così che la mia colpa paghi la loro. Poi, alzando gli occhi, pensò, E se ora confessassi di essere stata io ad ammazzarlo, mi consegnerebbero pur sapendo di consegnarmi a una morte certa. O per effetto della fame o perché improvvisamente sedotta da quel pensiero come da un abisso, una specie di stordimento le ottenebrò la mente, il suo corpo si mosse in avanti, la bocca si aprì per parlare, ma in quel momento qualcuno le afferrò e strinse il braccio, lei guardò, era il vecchio dalla benda nera, che disse, Ammazzerei con le mie stesse mani chi si denunciasse da solo, Perché, domandarono gli altri, Perché se la vergogna ha ancora un significato in questo inferno in cui ci hanno messo a vivere e che noi abbiamo reso più infernale del l’inferno, è solo grazie a chi ha avuto il coraggio di andare ad ammazzare la iena nella sua tana, Sì, sì, ma non sarà la vergogna a riempirci il piatto, Chiunque tu sia, hai ragione, c’è sempre stato chi si è riempito la pancia con la mancanza di vergogna, ma noi, cui non resta più niente se non quest’ultima e immeritata dignità, dimostriamoci almeno capaci di lottare per quanto ci appartiene di diritto, Cosa vuoi dire con questo, Che dopo aver mandato le donne e mangiato a spe se loro come dei papponcelli di quartiere, è il momento di mandare gli uomini, se ancora ce ne sono fra di noi, Spiegati, ma prima dicci di dove sei, Della prima camerata lato destro, Parla, È molto semplice, andiamo a prenderci il cibo con le nostre mani, Loro hanno le armi, Che si sappia hanno solo una pistola, e le cartucce non dureranno sempre, Con quelle che hanno qualcuno di noi morirà, Ne sono già morti per meno, Non sono disposto a perdere la vita per farla godere agli altri, Sarai anche disposto a non mangiare se qualcuno finirà per perdere la propria per far mangiare te, domandò sarcastico il vecchio dalla benda nera, e l’altro non rispose.
Sulla soglia della porta che dava nelle camerate dell’ala destra comparve una donna che se ne stava lì nascosta ad ascoltare. Era quella colpita in faccia dallo spruzzo di sangue, quella nella cui bocca il morto aveva eiaculato, quella al cui orecchio la moglie del medico aveva detto, Zitta, e adesso quest’ultima sta pensando, Da qui dove mi trovo, seduta in mezzo a questa gente, non posso dirti zitta, non mi denunciare, ma senza dubbio riconosci la mia voce, è impossibile che tu l’abbia dimenticata, la mia mano era sulla tua bocca, il mio corpo contro il tuo, e io ti ho detto zitta, adesso è arrivato il momento di conoscere veramente chi ho salvato, di sapere chi sei, perciò parlerò, perciò dirò a voce alta e chiara perché tu possa accusarmi, se questo è il tuo destino e il mio destino, ecco, lo dico, Non andranno solo gli uomini, andranno anche le donne, torneremo là dove ci hanno umiliate perché di quell’umiliazione non resti nulla, per potercene liberare così come abbiamo sputato quel che ci hanno lanciato in bocca. Così disse, e rimase ad aspettare fin ché la donna parlò, Dovunque andrai, verrò, fu quel che disse. Il vecchio dalla benda nera sorrise, parve un sorriso felice, e forse lo era, non è il momento di domandarglielo, più interessante è notare l’espressione di stupore degli altri ciechi, come se qualcosa fosse passato sopra le loro teste, un uccello, una nuvola, un primo e timido lume. Il medico strinse la mano alla moglie, poi domandò, C’è ancora qualcuno che sta pensando di scoprire chi ha ammazzato quell’uomo, o siamo d’accordo che la mano che lo ha sgozzato era la mano di noi tutti, più esattamente, la mano di ciascuno di noi. Nessuno rispose. La moglie del medico disse, Diamogli un termine, aspettiamo fino a domani, se i soldati non porteranno da mangiare, allora avanzeremo. Si alzarono, si separarono, chi verso il lato destro, chi verso il lato sinistro, imprudentemente non aveva nopensato che qualche cieco della camerata dei malvagi potesse averli ascoltati, per fortuna non sempre il diavolo sta dietro la porta, un detto capitato molto a proposito. Del tutto a sproposito capitò invece l’altoparlante, negli ultimi tempi alcuni giorni parlava, altri no, ma sempre alla stessa ora, come aveva promesso, sicuramente c’era nel trasmettitore un sistema a orologeria che al momento opportuno metteva in funzione il nastro registrato, la ragione per cui a volte aveva fallito non la verremo a sapere, sono faccende del mondo esterno, in tutti i casi alquanto serie visto il risultato, e cioè che si confuse il calendario, il cosiddetto conto dei giorni, che alcuni ciechi, maniaci per natura, o amanti dell’ordine, che è una forma moderata di mania, avevano tentato di tenere scrupolosamente facendo nodini su una cordicella, lo facevano quelli che non si fidavano della memoria, come se andassero via via scrivendo un diario. Adesso era l’orario che veniva fuori tempo, doveva es sersi guastato il meccanismo, un relè attorcigliato, una saldatura saltata, speriamo che la registrazione non seguiti a ricominciare da capo all’infinito, ci mancherebbe altro, oltre che ciechi, pazzi. Per i corridoi, per le camerate, come un ultimo e inutile avviso, risuonava la voce autoritaria, Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifi chi qualcosa di simile a una violenta epidemia di cecità, provvisoriamente designata come mal bianco, e desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio, nell’ipotesi che di contagio si tratti, nell’ipotesi che non ci si trovi unicamente davanti a una serie di coincidenze per ora inspiegabili. La decisione di riunire in uno stesso luogo le persone colpite, e, in luogo prossimo, ma separato, quelle che con esse hanno avuto qualche tipo di contatto, non è stata presa senza seria ponderazione. Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l’isolamento in cui adesso si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà con il resto della comunità nazionale. Detto ciò, richiamiamo l’attenzione di tutti alle istruzioni che seguono, primo, le luci si manterranno sempre accese, sarà inutile qualsiasi tentativo di manovrare gli interruttori, non funzionano, secondo, chi abbandonerà l’edificio senza autorizzazione verrà immediatamente passato per le armi, ripeto, immediatamente passato per le armi, terzo, in ogni camerata esiste un telefono che potrà essere usato solo per richiedere all’esterno prodotti per l’igiene e la pulizia, quarto, gli internati laveranno manualmente i propri indumenti, quinto, si raccomanda l’elezione di responsabili di camerata, si tratta di una raccomandazione, non di un ordine, gli internati si organizzeranno come meglio credono, purché rispettino le suddette regole e quelle che verranno enunciate qui di seguito, sesto, tre volte al giorno saranno depositate razioni di cibo alla porta d’ingresso, a destra e a sinistra, destinate, rispettivamente, ai pazienti e ai sospetti di contagio, settimo, tutti i resti dovranno essere bruciati, considerandosi resti, all’uopo, non solo ogni tipo di cibo avanzato, ma anche le casse, i piatti e le posate, che sono di materiale combustibile, ottavo, l’operazione dovrà essere effettuata nei cortili interni dell’edificio o nel recinto, nono, gli internati sono responsabili di tutte le eventuali conseguenze di tali operazioni di incenerimento, decimo, in caso di incendio, sia esso fortuito o intenzionale, i pompieri non interverranno, undicesimo, gli internati non dovranno contare su alcun tipo di intervento dall’esterno nell’i potesi che fra di essi si verifichino malattie, nonché l’insorgere di disordini o aggressioni, dodicesimo, in caso di morte, qualunque ne sia la causa, gli internati sotterreranno senza formalità il cadavere nel recinto, tredicesimo, la comunicazione fra l’ala dei pazienti e l’ala dei sospetti di contagio avverrà tramite il corpo centrale dell’edificio, lo stesso da cui siete entrati, quattordicesimo, i sospetti di contagio che dovessero diventare ciechi passeranno immediatamente nell’ala di coloro che lo sono già, quindicesimo, questa comunicazione sarà ripetuta tutti i giorni, a questa stessa ora, per conoscenza dei nuovi ammessi. Il Governo, in quel momento le luci si spensero e l’altoparlante tacque. Indifferente, un cieco fece un nodo alla cordicella che aveva fra le mani, poi tentò di contarli, i nodi, i giorni, ma lasciò perdere, c’erano nodi sovrapposti, nodi ciechi per così dire. La moglie del medico disse al marito, Si sono spente le luci, Qualche lampadina si è bruciata, non c’è da stupirsi, dopo essere rimaste accese per tanti giorni, Si sono spen te tutte, il problema è fuori, Sarai diventata cieca anche tu, Aspetterò che sorga il sole. Uscì dalla camerata, attraversò l’atrio, guardò fuori. Questa parte della città era al buio, il proiettore dell’esercito era spento, dovevano averlo collegato alla rete generale, e adesso, a quanto pare, non c’era più elettricità.
Il giorno seguente, chi più presto, chi più tardi, perché il sole non sorge contemporaneamente per tutti i ciechi, spesso dipende dall’acutezza dell’udito individuale, cominciarono a radunarsi sui gradini esterni dell’edificio uomini e donne provenienti dalle diverse camerate, a eccezione, è ovvio, di quella dei malvagi, che a quest’ora staranno già facendo la colazione. Aspettavano il rumore del portone che veniva aperto, il cigolio acuto dei cardini da oliare, i suoni che annunciavano l’arrivo del cibo, seguiti dalle parole del sergente di servizio, Non uscite, che nessuno si avvicini, il calpestio dei piedi dei soldati, il fruscio attutito delle casse che venivano depositate per terra, la ritirata precipitosa, di nuovo lo stridere del portone, infine l’autorizzazione, Potete venire. Aspettarono finché il mattino si fece mezzogiorno e il mezzogiorno pomeriggio. Nessuno, neanche la moglie del medico voleva domandare niente a proposito del cibo. Fin quando non avessero fatto la domanda non avrebbero sentito il temuto no, e fin quando il no non fosse stato pronunciato avrebbero continuato a sperare di udire parole come queste, Sta arrivando, sta arrivando, abbiate pazienza, sopportate la fame un altro po’. Alcuni, per quanto lo volessero, non ci riuscirono, come se all’improvviso si fossero addormentati svennero, li soccorse la moglie del medico, sembrava impossibile come questa donna riuscisse ad accorgersi di tutto quello che succedeva, doveva esser dotata di un sesto senso, una specie di visione senza occhi, ma solo grazie a questo i poveri sventurati non rimasero lì a cuocere sotto il sole, li trasportarono subito a spalla dentro, e con un po’ di tempo, d’acqua e qualche buffetto sul viso finirono per riprendersi tutti dallo svenimento. Ma era inutile contare su questi per la guerra, non ce l’avrebbero fatta neanche con una gatta tenuta per la coda, un antichissimo modo di dire che ha dimenticato di spiegare per quale straordinaria ragione sia più facile portare per la coda una gatta che un gatto. Infine il vecchio dalla benda nera disse, Se il cibo non è arrivato, non arriverà, andiamo a prendercelo. Si alzarono Dio solo sa come e andarono a riunirsi nella camerata più distante dal la fortezza dei malvagi, è già bastata l’imprudenza dell’altro giorno. Da lì mandarono delle sentinelle nell’altra ala, logicamente ciechi che vivevano da quella parte, conoscevano meglio i posti, Al primo movimento sospetto, venite ad avvisare. La moglie del medico andò con loro e riportò un’informazione poco incoraggiante, Hanno barricato l’entrata con quattro letti sovrapposti, Come sai che sono quattro, domandò qualcuno, Non è stato difficile, li ho tastati, Non si sono accorti di te, Non credo, Cosa facciamo, Andiamo, ripeté il vecchio dalla benda nera, come si era deciso, o facciamo così o siamo condannati a una morte lenta, Qualcuno morirà più in fretta se andremo, disse il primo cieco, Chi morirà è già morto e non lo sa, Che dobbiamo morire, lo sappiamo fin da quando nasciamo, Perciò, in un certo senso, è come se già fossimo nati morti, Smettetela di parlare inutilmente, disse la ragazza dagli occhiali scuri, io da sola non posso andarci, ma se ora cominciamo a rimangiarci la parola, allora mi sdraio sul letto e mi lascio morire, Morirà solo chi ha i giorni contati, nessun altro, disse il medico, e poi, alzando la voce, domandò, Chi è deciso ad andare alzi la mano, ecco quel che accade a chi non ci pensa due volte prima di aprire la bocca per parlare, a cosa serviva chiedere di alzare la mano se poi non c’era nessuno a contare, così credevano, e poi dire, Siamo tredici, nel qual caso sarebbe sicuramente iniziata una nuova discussione per appurare cosa sarebbe stato più corretto alla luce della logica, se chiedere un altro volontario in modo da annullare la iella per eccesso, oppure evitarla per difetto, tirando a sorte chi doveva uscire. Alcuni avevano alzato la mano con poca convinzione, con un movimento che denotava l’esitazione e il dubbio, vuoi per la consapevolezza del pericolo cui si sarebbero esposti, vuoi perché si erano resi conto dell’assurdità dell’ordine. Il medico rise, Che sciocchezza, chiedervi di alzare la mano, procediamo in maniera diversa, che si ritiri chi non può o non vuole andare, gli altri restino per concordare insieme il da farsi. Ci furono movimenti, passi, mormorii, sospiri, a poco a poco uscirono i debo li e i timorosi, l’idea del medico era stata non solo eccellente ma anche generosa, così sarà meno facile sapere chi c’era prima e non c’è più. La moglie del medico contò i ciechi rimasti, diciassette, compresi lei e il marito. Della prima camerata lato destro c’erano il vecchio dalla benda nera, il commesso di farmacia, la ragazza dagli occhiali scuri, mentre i volontari delle altre camerate erano tutti uomini, a eccezione di quella donna che aveva detto, Dovunque andrai, verrò, c’è anche lei qui. Si allinearono lungo la corsia, il medico li con tò, Diciassette, siamo diciassette, Siamo pochi, disse il commesso, così non ci riusciremo, Il fronte di attacco, se mi è consentito usare questo linguaggio in apparenza più da militare, dovrà essere stretto, disse il vecchio dalla benda nera, perché ci aspetta la larghezza di una porta, penso che sarebbe solo una complicazione se fossimo di più, Attacco in massa, convenne qualcuno, e tutti parvero contenti di essere in definitiva pochi.
L’armamentario lo conosciamo già, sbarre di ferro tolte dai letti, che potevano fungere sia da leva sia da lancia, a seconda se dovessero entrare in combattimento i genieri oppure le truppe d’assalto. Il vecchio dalla benda nera, che a quanto pare qualche lezione di tattica deve averla appresa in gioventù, ricordò la convenienza di mantenersi sempre uniti e rivolti nella stessa direzione, essendo questa l’unica maniera di non aggredirsi a vi cenda, e che dovevano avanzare in silenzio assoluto affinché l’attacco beneficiasse dell’effetto sorpresa, Togliamoci le scarpe, disse, Poi sarà difficile per ciascuno ritrovare le proprie, disse qualcuno, e un altro commentò, Se avanzeranno delle scarpe, saranno le vere scarpe da morto, con la differenza che, almeno in questo caso, qualcuno se ne avvantaggerà, Cos’è questa storia delle scarpe da morto, È un detto, stare ad aspettare le scarpe da morto significava stare ad aspettare niente, Perché, Perché le scarpe con cui si sotterravano i morti erano di cartone, è pur vero che forse erano sufficienti, le anime non hanno mica i piedi a quanto si sa, Un altro punto ancora, interruppe il vecchio dalla benda nera, sei di noi, i sei che si sentano più coraggiosi, quando arriveremo spingeranno con tutte le forze i letti all’interno, in modo da poter poi entrare tutti, In questo caso dovremo lasciare le sbarre, Non credo sarà necessario, anzi, potrebbero servire, se le usate in posizione verticale. Fece una pausa, poi disse, con una nota tetra nella voce, E soprattutto non dobbiamo separarci, se ci separiamo siamo uomini morti, E donne, disse la ragazza dagli occhiali scuri, non ti dimenticare delle donne, Vieni anche tu, domandò il vecchio dalla benda nera, preferirei non venissi, E perché, si può sapere, Sei molto giovane, Qui dentro l’età non conta, né il sesso, quindi non ti dimenticare delle donne, No, non me ne dimentico, la voce con cui il vecchio dalla benda nera pronunciò queste parole sembrava appartenere a un altro dialogo, le seguenti erano di nuovo appropriate, Al contrario, magari qualcuna di voi potesse vedere ciò che non vediamo noi, condurci sulla strada giusta, guidare la punta delle nostre sbarre contro la gola dei malvagi con la stessa precisione di quell’altra, Sarebbe chiedere troppo, una volta può bastare, e inoltre, chi ci dice che non sia morta, per lo meno non se n’è saputo niente, ricordò la moglie del medico, Le donne risorgono le une nelle altre, le oneste risorgono nelle puttane, le puttane risorgono nelle oneste, disse la ragazza dagli occhiali scuri. Seguì un lungo silenzio, per le donne era ormai tutto detto, gli uomini avrebbero dovuto cercare le parole, e sapevano in anticipo che non sarebbero stati capaci di trovarle.
Uscirono in fila, i sei più forti in testa, come si era combinato, e fra di essi c’erano il medico e il commesso, seguiti dagli altri, ciascuno armato con la propria sbarra, un battaglione di lancieri squallidi e straccioni, mentre attraversavano l’atrio uno si lasciò scappare dalle mani la sbarra, che rintronò sul lastricato come una raffica di mitragliatrice vagante, se i malvagi hanno sentito il rumore e capito cosa stiamo facendo, siamo perduti. Senza avvertire nessuno, neppure il marito, la moglie del medico corse avanti, guardò nel corridoio, poi, pian pianino, rasente alla parete, si avvicinò all’entrata della camerata, dove si mise in ascolto, le voci lì dentro non sembravano allarmate. Rapidamente tornò indietro con l’informazione, e l’avanzata riprese. Malgrado la lentezza e il silenzio con cui l’esercito si muoveva, gli occupanti delle due camerate che precedevano il bastione dei malvagi, sapendo cosa stava per accadere, si avvicinavano alle porte per poter meglio udire il fragore imminente della battaglia, e alcuni, più nervosi, eccitati dall’o dore di una polvere che ancora doveva bruciare, decisero all’ultimo momento di accompagnare il gruppo, qualcuno tornò anche indietro per armarsi, adesso non erano più diciassette, ma almeno il doppio, un rinforzo che il vecchio dalla benda nera non avrebbe di certo gradito, ma lui non lo venne a sapere che comandava due reggimenti, e non uno. Dalle poche finestre che davano sul patio interno entrava un ultimo chiarore, grigio, moribondo, che scemava rapidamente, ormai sul punto di scivolare nel pozzo nero e profondo della notte in arrivo. Se non per la tristezza inconsolabile suscitata dalla cecità di cui inesplicabilmente con tinuavano a soffrire, i ciechi, almeno questo, erano in salvo da deprimenti melanconie causate da queste o da simili alterazioni atmosferiche, comprovativamente responsabili di tanti e tanti gesti di disperazione ai tempi assai lontani di quando gli uomini avevano occhi per vedere. Quando raggiunsero la porta della camerata maledetta, era talmente buio che la moglie del medico non poté vedere che non erano più quattro, ma otto, i letti a fare da barriera, che nel frattempo si era duplicata come gli attaccanti, ma per questi ultimi con conseguenze imme diate ben peggiori, come ben presto si appurerà. La voce del vecchio dalla benda nera risuonò in un grido, Adesso, era l’ordine, non gli venne in mente il classico All’assalto, oppure sì, gli venne in mente, ma forse gli sarà sembrato ridicolo trattare con tanta considerazione militare una barriera di brande infette, invase da pul ci e cimici, coi materassi imputriditi dal sudore e dall’urina, le coperte ridotte a stracci, non più grigie, ma di tutti quei colori che può assumere la ripugnanza, la moglie del medico lo sapeva fin da prima, non lo poteva certo vedere adesso, se non si era neanche accorta del rinforzo alla barricata. I ciechi avanzarono come angeli circondati dalla propria aureola, cozzarono contro l’ostacolo con le sbarre sollevate, secondo le istruzioni, ma i letti non si mossero, fatto sta che le forze di questi primi uomini erano forse appena appena superiori a quelle dei deboli che li seguivano e che riuscivano a stento a reggere le lance, come chi si è portato una croce sulle spalle e adesso deve aspettare che qualcuno ve lo issi. Finito il silenzio, gridavano quelli fuori, cominciarono a gridare quelli dentro, fino a oggi probabilmente non lo avrà notato nessuno come siano assolutamente terribili le grida dei ciechi, sembra stiano gridando senza saperne il perché, avremmo voglia di dirgli di tacere e finisce che ci mettiamo a gridare anche noi, ci manca solo di essere ciechi, ma arriverà pure quel giorno. A questo punto, mentre alcuni gridavano all’attacco, mentre altri gridavano in difesa, i ciechi che stavano fuori, disperati per non essere riusciti a rimuovere i letti, abbandonarono le sbarre per terra come capitava e, tutti in una volta, o almeno quelli che riuscirono a infilarsi nel vano della porta, e chi non c’entrava faceva forza sulle spalle di chi gli stava davanti, si misero a spingere, a spingere, e sembrava che ce la stessero per fare, i letti si erano già mossi un pochettino, quando all’improvviso, senza alcun avvertimento previo o alcuna minaccia, si udirono tre spari, era il cieco della contabilità che mirava basso. Due fra gli attaccanti crollarono feriti, gli altri indietreggiarono precipitosamente scontrandosi, inciampavano sulle sbarre e cadevano, come pazze le pareti del corridoio moltiplicavano le grida, e si gridava anche nelle altre camerate. Il buio era ormai quasi totale, non era possibile sapere chi fosse stato colpito dalle pallottole, certo, si poteva domandare da lon tano Chi siete, ma non sembrava opportuno, i feriti bisogna trattarli con rispetto e considerazione, avvicinarsi caritatevolmente, posargli la mano sulla fronte, a meno che la pallottola, per disgrazia, non li abbia colpiti proprio lì, poi domandargli sottovoce come si sentono, dirgli che non è niente, che stanno arrivando i barellieri, e infine dar loro un goccio d’acqua, ma solo nel caso non siano feriti al ventre, come espressamente raccomandato nel manuale di pronto soccorso. Cosa facciamo adesso, domandò la moglie del medico laggiù ce ne sono due per terra. Nessuno le domandò come facesse, lei, a saperlo che erano due, in definitiva gli spari erano stati tre, senza contare l’effetto dei rimbalzi, ammesso che ve ne siano stati. Dobbiamo andare a prenderli, disse il medico, È un grosso rischio, osservò, prostrato, il vecchio dalla benda nera, che aveva visto come la sua tattica di assalto si fosse rivelata un disastro, se quelli si accorgono che c’è gente riprendono a sparare, fece una pausa e, sospirando, aggiunse, Ma dobbiamo andare, quanto a me io sono pronto, Vado anch’io, disse la moglie del medico, ci sarà meno pericolo se ci avvicineremo strisciando, ma bisogna assolutamente trovarli al più presto, prima che dentro abbiano il tempo di reagire, Anch’io vado, disse la donna che l’altro giorno aveva dichiarato, Dovunque andrai, verrò, fra tanti che c’erano a nessuno venne in mente di dire che era facilissimo appurare chi fossero i feriti, attenzione, feriti o morti, per il momento ancora non si sa, bastava che tutti dicessero uno dopo l’altro, Io vado, Io non vado, chi restava zitto, era lui.
Si misero quindi i quattro volontari a strisciare, le due donne al centro, un uomo per lato, è capitato così, non lo hanno fatto né per cortesia maschile né per un istinto cavalleresco di protezione delle dame, la verità è che tutto dipenderà dall’angolo di tiro, se il cieco della contabilità dovesse sparare di nuovo. Insomma, potrebbe anche non succedere niente, prima di muoversi il vecchio dalla ben da nera aveva avuto un’idea, magari migliore delle prime, e cioè che gli altri compagni attaccassero a parlare ad alta voce, anche a gridare, tanto più che ragioni non ne mancano, in modo da coprire l’inevitabile rumore del l’andare e venire, nonché di quanto nel frammezzo dovesse capitare, Dio sa che cosa. In pochi minuti giunsero i soccorritori a destinazione, lo seppero pur non avendo ancora toccato i corpi, il sangue su cui avanzavano tra scinandosi era come un messaggero andato a dirgli, Io ero la vita, dietro a me non c’è più nulla, Mio Dio, pensò la moglie del medico, quanto sangue, ed era vero, una pozza di sangue, le mani e i vestiti si appiccicavano per terra come se il pavimento di legno e di marmo fosse coperto di vischio. La moglie del medico si sollevò sui gomiti e continuò ad avanzare, anche gli altri avevano fatto lo stesso. Allungando le braccia raggiunsero finalmente i corpi. Laggiù, indietro, i compagni continuavano a far baccano a più non posso, ora sembravano prefiche in trance. Le mani della moglie del medico e del vecchio dalla benda nera afferrarono le caviglie di uno dei caduti, a loro volta il medico e l’altra donna avevano acchiappato un braccio e una gamba del secondo, adesso si trattava di tirarli, di sottrarsi rapidamente alla linea di fuoco. Non era facile, si sarebbero dovuti sollevare un po’, mettersi a quattro zampe, era l’unico modo di riuscire a impiegare efficacemente le poche forze che ancora restavano. Partì la pallottola, ma stavolta non colpì nessuno. La paura fulminante non li fece fuggire, al contrario, diede loro la dose di energia mancante. Un istante dopo erano tutti in salvo, si erano avvicinati il più possibile alla parete su cui c’era la porta della camerata, solo uno sparo molto angolato avrebbe avuto qualche possibilità di colpirli, ma era alquanto discutibile che il cieco della contabilità fosse esperto in balistiche, sia pure in queste elementari. Tentarono di alzare i corpi, ma rinunciarono. Non potevano far altro che trascinarli, e insieme ai corpi trascinare, ormai quasi secco, come nella scia di una spatola, il sangue versato, e l’altro, ancora fresco, che continuava a sgorgare dalle ferite. Chi sono, domandarono quelli che stavano aspettando, Come si fa a saperlo, se non vediamo, disse il vecchio dalla benda nera, Non possiamo restare qui, disse qualcuno, se decidono di fare una sortita avremo ben più di due feriti, disse qualcun altro, O di morti, disse il medico, a questi, almeno, il polso non lo sento più. Trasportarono i corpi lungo il corridoio come un esercito in ritirata, giunti nell’atrio fecero una sosta, e a questo punto si direbbe che avessero deciso di accamparsi, ma la verità dei fatti è un’altra, in realtà erano completamente svuotati di ogni forza, io resto qui, non ce la faccio più.
A questo punto, bisogna riconoscere che potrebbe sembrare sorprendente che i ciechi malvagi, prima così prepotenti e aggressivi, così facilmente e con tanto piacere brutali, adesso si limitino a difendersi, alzando barricate e sparando a man salva, quasi avessero paura di combattere in campo aperto, faccia a faccia, occhi negli occhi. Come tutte le cose nella vita, anche questa ha la sua spiegazione, e cioè che nella camerata, dopo la tragica morte del primo capo, si erano allentati lo spirito di disciplina e il senso dell’obbedienza, il grave errore del cieco della contabilità è l’aver pensato che bastasse impossessarsi del la pistola per avere in tasca anche il potere, ebbene, il risultato è stato esattamente il contrario, ogni volta che fa fuoco il colpo gli esce dalla culatta, in altre parole, ogni pallottola sparata è una frazione di autorità che perde, stiamo a vedere cosa accadrà quando le munizioni gli finiranno tutte. Così come l’abito non fa il monaco, anche lo scettro non fa il re, è una verità che è meglio non dimenticare. E se è vero che, adesso, lo scettro reale lo impugna il cieco della contabilità, verrebbe voglia di dire che il re, malgrado sia morto e sotterrato proprio lì, in camerata, e pure male, tre palmi appena sottoterra, è tuttora ricordato, se non altro se ne nota la fortissima presenza dall’odore.
Intanto era sorta la luna. Dalla porta dell’atrio che dà nel recinto esterno entra un diffuso chiarore che aumenta a poco a poco, i corpi per terra, due sono morti, gli altri ancora vivi, vanno lentamente acquistando volume, contorno, tratti, lineamenti, tutto il peso di un orrore senza nome, e allora la moglie del medico comprese che non aveva più senso, se mai lo aveva avuto, continuare in quella finzione di essere cieca, ormai è chiaro, nessuno potrà salvarsi, la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza. Poteva dunque dire chi erano i morti, questo è il commesso di farmacia, questo è l’uomo che aveva detto che i cie chi avrebbero attaccato in massa, in un certo senso avevano avuto ragione entrambi, e non domandatemi come faccio a sapere chi sono, la risposta è semplice, Io ci vedo. Alcuni già lo sapevano e avevano taciuto, altri ne avevano qualche sospetto da tempo e adesso lo vedevano confermato, inatteso fu lo sbigottimento dei restanti, eppure, a pensarci meglio, non dovremmo trovarlo strano, in un altro momento la rivelazione sarebbe stata causa di eccitazione, di un’irrefrenabile commozione, quanto sei fortunata, come sei riuscita a sfuggire alla sciagura universale, come si chiamano le gocce che ti metti negli occhi, dammi l’indirizzo del tuo medico, aiutami a uscire da questa prigione, ma in questo momento non faceva alcuna differenza, nella morte la cecità è uguale per tutti. Lì, però, non potevano proprio restare, senza alcun tipo di difesa, persino le sbarre dei letti avevano ormai perduto, i pugni non sarebbero serviti a niente. Orientati dalla moglie del medico, trascinarono i cadaveri sul pianerottolo esterno e li lasciarono lì sotto la luna, esposti al candore lattiginoso dell’astro, bianchi fuori, dentro finalmente neri. Torniamo nelle camerate, disse il vecchio dalla benda nera, vedremo in seguito cosa si potrà organizzare. Così disse, e furono parole folli cui nessuno fece caso. Non si divisero subito nei gruppi originari, ma si ritrovarono e riconobbero via facendo, alcuni verso l’ala destra, altri verso l’ala sinistra, fin qui sono venute insieme la moglie del medico e quella che aveva detto, Dovunque andrai, verrò, ma adesso non la pensava più così, anzi, al contrario, ma non volle parlarne, non sempre i giuramenti si rispettano, talvolta per debolezza, talaltra per una forza superiore di cui non avevamo tenuto conto.
Passò un’ora, sorse la luna, la fame e il timore tengono lontano il sonno, nelle camerate non dorme nessuno. Ma non sono questi gli unici motivi. O per l’eccitazione della recente battaglia, ancorché disastrosamente perduta, o per qualcosa di indefinibile che si senta nell’aria, i ciechi sono inquieti. Nessuno si azzarda a uscire nei corridoi, ma l’interno di ogni camerata è come un alveare popolato solo di calabroni, insetti che ronzano, com’è noto, poco propensi all’ordine e al metodo, non si ha notizia che si siano mai dati da fare o si siano preoccupati, sia pur un minimo, del fu turo, anche se nel caso dei ciechi, poveracci, sarebbe ingiusto accusarli di essere dei profittatori o dei beoni, e profittatori di quali briciole, e beoni di quali bevande, bisogna fare attenzione con i paragoni, che poi non siano un po’ sventati. Non c’è regola, però, che non abbia la sua eccezione, e qui non manca, nella persona di una donna che, appena entrata in camerata, la seconda dell’ala destra, si mise a frugare tra i suoi stracci finché trovò un piccolo oggetto che strin se nel palmo della mano, quasi volesse nasconderlo alla vista degli altri, si fa fatica a dimenticare le vecchie abitudini, anche quando arriva un momento in cui credevamo di averle ormai del tutto perdute. Qui, dove avrebbe dovuto essere uno per tutti e tutti per uno, abbiamo potuto vedere quanto crudelmente i forti abbiano tolto il pane di bocca ai deboli, e adesso questa donna, ricordandosi di aver portato un accendino nella borsetta, se in tutta quella baraonda non l’aveva perduto, lo ha cercato ansiosamente e gelosamente lo sta nascondendo, come se condizionasse addirittura la sua sopravvivenza, mica pensa che uno dei compagni di sventura potrebbe avere un’ultima sigaretta e che non se la può fumare perché gli manca la necessaria fiammella. Neanche farebbe più in tempo a chiederla. La donna è uscita senza dire una parola, né addio, né ciao, procede nel corridoio deserto, passa vicinissimo alla porta della prima camerata, dove nessuno si è reso conto del suo passaggio, attraversa l’atrio, la luna calante ha tracciato e dipinto un recipiente di latte sui lastroni del pavimento, ecco la donna nell’altra ala, di nuovo un corridoio, la sua meta è giù in fondo, in linea retta, non si può sbagliare. Inoltre avverte il richiamo di alcune voci, un richiamo per modo di dire, figurato, ciò che le giunge all’orecchio è la baldoria dei malvagi nell’ultima camerata, stanno festeggiando la vincita della battaglia mangiando e bevendo a quattro palmenti, passi l’esagerazione intenzionale, non dimentichiamo come tutto nella vita sia relativo, mangiano e bevono semplicemente quello che c’è, e beati loro, piacerebbe anche agli altri metterci bocca, ma non possono, fra loro e il piatto c’è di mezzo una barricata di otto letti e una pistola carica. La donna è in ginocchio davanti all’ingresso della camerata, vicino ai letti, tira lentamente le coperte verso l’esterno, poi si alza, fa lo stesso con quella di sopra, poi con la terza, alla quarta non ci arriva col braccio, non importa, le micce sono pronte, non rimane che appiccar loro fuoco. Rammenta ancora come dovrà regolare l’accendino per allungare la fiamma, eccola, un piccolo pugnale di fuoco, vibrante come la punta di un paio di forbici. Comincia dal letto di sopra, la fiamma lambisce faticosamente la sporcizia dei tessuti, finalmente prende, ora il letto di mezzo, ora il letto di sotto, la donna ha sentito l’odore dei propri capelli un po’ bruciacchiati, deve fare attenzione, è lei ad appiccar fuoco alla pira, non deve mica morirci, sente le grida dei malvagi all’interno, e in quel momento ha pensato, E se avessero dell’acqua, se riuscissero a spegnerlo, disperata si è infilata sotto il primo letto, passando l’accendino lungo il materasso, qua e là, e all’improvviso le fiamme si sono moltiplicate, trasformate in un’unica cortina ardente, un getto d’acqua le ha attraversate e le è caduto addosso, ma inutilmente, ormai era il suo stesso corpo che stava alimentando il rogo. Cosa starà succedendo dentro, non ci si può arrischiare a entrare, ma l’immaginazione a qualcosa dovrà pur servirci, il fuoco sta saltellando velocemente da un letto all’altro, vuole sdraiarsi su tutti contemporaneamente, e ci riesce, i malvagi hanno sprecato senza criterio né profitto la poca acqua rimastagli, ora tentano di raggiungere le finestre, in precario equilibrio si arrampicano sulle testiere dei letti dove il fuoco non è ancora arrivato, ma all’improvviso ecco il fuoco, scivolano, cadono giù, ed ecco di nuovo il fuoco, per il calore ardente i vetri cominciano a scoppiare, a infrangersi, l’aria fresca entra sibilando e attizza l’incendio, ah, sì, non vi dimenticate, le grida di rabbia e di paura, le urla di dolore e di agonia, ecco, se n’è accennato, da notare, in tutti i casi, che saranno sempre di meno, la donna dell’accendino, per esempio, è zitta da un bel pezzo.
A questo punto gli altri ciechi stanno già scappando terrorizzati nei corridoi pieni di fumo, Al fuoco, al fuoco, gridano, e qui si può osservare in vivo come siano state mal pensate e organizzate queste strutture umane di ricovero, ospedale e manicomio, si noti come ogni branda, di per sé, con la sua armatura di sbarre appuntite, può trasformarsi in una trappola mortale, vedete le terribili conseguenze del fatto che, in camerate che contengono quaranta persone, oltre quelle che dormono per terra, ci sia una sola porta, se il fuoco ci arriva per primo e ne ostruisce l’uscita, non ne scampa nessuno. Per fortuna, come la storia umana ha dimostrato, non di rado da una cosa negativa ne deriva una positiva, si parla un po’ meno delle cose ne gative derivanti da quelle positive, così vanno le contraddizioni del nostro mondo, alcune meritano più considerazione di altre, in questo caso la cosa positiva è proprio il fatto che le camerate avessero un’unica porta, circostanza grazie alla quale il fuoco che ha bruciato i malvagi è rimasto in fatti circoscritto per lungo tempo, se la confusione non aumenterà, forse non dovremo lamentare la perdita di altre vite. Ovviamente, molti di questi ciechi vengono calpestati, spinti, schiacciati, è l’effetto del panico, un effetto naturale si può dire, del resto la natura animale è così, anche quella vegetale si comporterebbe nella stessa maniera se non avesse tutte quelle radici che la trattengono al suolo, e poi, sarebbe bello poter vedere gli alberi del bosco scappare davanti all’incendio. Il rifugio della parte interna del recinto è stato ben utilizzato da quei ciechi a cui è venuto in mente di aprire le finestre esistenti nei corridoi e che si affacciavano proprio lì. Saltando hanno in ciampato, sono caduti, piangono e gridano, ma per ora sono in salvo, e speriamo che il fuoco, quando farà crollare il tetto e scaglierà in aria e nel vento un vulcano di fiamme e tizzoni ardenti, non si ricordi di propagarsi alle cime degli alberi. Nell’altra ala la paura è tale e quale, basta che un cieco fiuti un po’ di fumo e subito s’immagina di avere il fuoco proprio accanto, il che magari non è vero, in poco tempo il corridoio si è intasato di gente, se qualcuno non mette un po’ d’ordine, sarà una tragedia. A un certo momento qualcuno si rammenta che la moglie del medico ha ancora un paio d’occhi che vedono, dov’è, si domanda, ce lo dica lei cosa sta succedendo, dove dobbiamo andare, dov’è, sono qui, solo adesso sono riuscita a uscire dal la camerata, per via del ragazzino strabico che non si sapeva dove si fos se cacciato, adesso finalmente è qui, lo tengo ben stretto per mano, dovrebbero strapparmi il braccio per farmelo mollare, con l’altra mano stringo la mano di mio marito, e poi c’è la ragazza dagli occhiali scuri, e poi il vecchio dalla benda nera, dove c’è uno c’è l’altro, e poi il primo cieco, e poi sua moglie, tutti insieme, stretti stretti come una pigna che, lo spero bene, neanche questo calore dovrebbe aprire. Nel frattempo, un gruppo di questi ciechi aveva seguito l’esempio di quelli dell’altra ala, saltando nel recinto esterno, non possono vedere che la maggior parte dell’edificio dal l’altro lato è già in fiamme, ma sentono sul viso e sulle mani l’alito ardente che proviene da quella parte, per il momento il tetto regge ancora, le foglie degli alberi si stanno incre spando lentamente. Allora qualcuno gridò, Cosa stiamo a fare qui, perché non usciamo, e la risposta, proveniente da questo mare di teste, richiese solo quattro parole, Ci sono i soldati, ma il vecchio dalla benda nera disse, Meglio morire sparati che bruciati, sembrava la voce dell’esperienza, perciò potrebbe non essere stato proprio lui a parlare, potrebbe, per bocca sua, aver parlato la donna dell’accendino, che non ha avuto la fortuna di esser beccata da un’ultima pallottola sparata dal cieco della contabilità. Disse allora la moglie del medico, Lasciatemi passare, vado a parlare con i soldati, non possono lasciarci morire così, anche i soldati hanno dei sentimenti. Grazie alla speranza che i soldati avessero di fatto dei sentimenti, riuscì ad aprirsi tra la folla uno stretto canale, attraverso cui avanzò con difficoltà portandosi dietro i suoi. Il fumo le annebbiava la vista, ben presto si sarebbe ritrovata cieca quanto gli altri. Nell’atrio si riusciva a penetrare a stento. Le porte che davano nel recinto erano state abbattute, i ciechi che si erano rifugiati lì si resero conto rapidamen te che non era un posto sicuro, volevano uscire, spingevano, ma gli altri resistevano, puntavano i piedi come potevano, in tutti loro, per il momento, prevaleva ancora la paura di comparire alla vista dei soldati, ma quando le forze avessero ceduto, quando il fuoco si fosse avvicinato, aveva ragione il vecchio dalla benda nera, tanto sarebbe valso morire sparati. Non fu necessario aspettare tanto, la moglie del medico era riuscita finalmente a uscire sul pianerottolo, era praticamente mezza nuda, perché, avendo tutte e due le mani occupate, non si era potuta difendere da quanti volevano unir si al gruppetto che avanzava, nel tentativo di prendere per così dire il treno in corsa, i soldati avrebbero si curamente strabuzzato gli occhi quando fosse comparsa davanti a loro con i seni mezzi scoperti. Non era più la luna a illuminare l’ampio vuoto che arrivava al portone, ma il chiarore violento dell’incendio. La moglie del medico gridò, Vi prego, per il vostro bene, lasciateci uscire, non sparate. Nessuno rispose. Il proiettore era sempre spento, non si muoveva nessuna figura. Ancora impaurita, la moglie del medico scese due gradini, Cosa c’è, domandò il marito, ma lei non rispose, non poteva crederci. Scese gli altri gradini, s’incamminò verso il portone, sempre tirandosi dietro il ragazzino strabico, il marito e tutta la compagnia, non c’erano più dubbi, i soldati se n’erano andati, o li avevano portati via, anch’essi ciechi, tutti ciechi, infine.
Allora, per semplificare, accade tutto contemporaneamente, la moglie del medico proclama che erano liberi, il tetto dell’ala sinistra crolla con uno spaventoso fragore, sprizzando fiamme da tutte le parti, i ciechi si precipitano gridando nel recinto, alcuni non ce la fanno, restano dentro, schiacciati contro le pareti, altri vengono calpestati fino a trasformarsi in una massa informe e sanguinolenta, il fuoco che dilaga all’improvviso tramuterà tutto in cenere. Il portone è spalancato, i pazzi escono.

13.

A un cieco gli si dice, Sei libero, gli si apre la porta che lo separava dal mondo, Vai, sei libero, gli ripetiamo, ma lui non va, se ne sta fermo lì in mezzo alla strada, lui e gli altri, sono spaventati, non sanno dove andare, è che non c’è paragone tra il vivere in un labirinto razionale, come lo è per definizione un manicomio, e l’avventurarsi, senza la guida di una mano né il guinzaglio di un cane, nel labirinto demenziale della città, dove la memoria non servirà a niente, poiché riuscirà solo a mostrare l’immagine dei luoghi e non le vie per arrivarci. Immobili davanti all’e dificio che ormai brucia da un capo all’altro, i ciechi sentono sul viso le ondate di calore dell’incendio, le accolgono come qualcosa che in qualche modo li ripara, proprio come facevano prima le pareti, prigione e, insieme, sicurezza. Stanno lì tutti uniti, stretti fra loro, come un gregge, nessuno vuol essere la pecora smarrita perché fin d’ora sanno che nessun pastore li andrà a cercare. Il fuoco scema a poco a poco, è di nuovo la luna a illuminare, i ciechi cominciano a tranquillizzarsi, non possono restare lì, Eternamente, disse uno. Qualcuno domandò se fosse giorno o notte, e la ragione di questa incongruente curiosità si seppe subito, Chissà se ci verranno a portare il cibo, può esserci stato un disguido, un ritardo, è già capitato, Ma i soldati non ci sono, Questo non vuol dire niente, possono essere andati via perché non erano più necessari, Non capisco, Per esempio perché non c’è più contagio, O perché si è scoperto il rimedio alla nostra malattia, Sarebbe bello, davvero, Cosa facciamo, Io rimango qui fin quando sarà giorno, E come farai a sapere che è giorno, Dal sole, dal calore del sole, Se il cielo non sarà coperto, Tante ore dovranno passare che prima o poi sarà giorno. Esausti, mol ti ciechi si erano seduti per terra, altri, ancora più debilitati, si la sciarono semplicemente cadere, alcuni erano svenuti, probabilmente il fresco della notte li farà tornare in sé, ma stiamo pur certi che, nel momento in cui si leveranno le tende, alcuni di questi poveracci da qui non si leveranno proprio, ce l’hanno fatta fin qui, sono come quel maratoneta che è crollato a tre metri dal traguardo, in fin dei conti è chiaro, tutte le vite si concludono anzitempo. Si sono seduti, o sdraiati, anche quei ciechi che aspettano ancora che i soldati, o chi per essi, la croce rossa è un’ipotesi, gli portino il cibo e gli altri conforti necessari alla vita, la delusione, per costoro, giungerà un po’ più tardi, è l’unica differenza. E se qualcuno ha creduto sia stata scoperta la cura della nostra cecità, non per questo sembra più contento.
Per altri motivi pensò la moglie del medico, e lo disse ai suoi, che sarebbe stato meglio aspettare che passasse la notte, La cosa più urgente, adesso, è trovare del cibo, e al buio non sarebbe facile, Hai qualche idea di dove siamo, domandò il marito, Più o meno, Lontano da casa, Un bel po’. Anche gli altri vollero sapere a che distanza potevano essere dalle proprie case, dissero i loro indirizzi, e la moglie del medico si mise a spiegarglielo all’incirca, solo il ragazzino strabico non riuscì a ricordarsene, non c’è da stupirsi, ha smesso da un pezzo di chiedere della mamma. Andando di casa in casa, dalla più vicina alla più lontana, la prima sarà quella della ragazza dagli occhiali scuri, la seconda quella del vecchio dalla benda nera, poi quella della moglie del medico, e infine quella del primo cieco. Seguiranno senza dubbio questo itinerario giacché la ragazza dagli occhiali scuri ha già chiesto di essere accompagnata, quando sarà possibile, a casa sua, Non so come staranno i miei genitori, disse, questa sincera preoccupazione dimostra come in definitiva siano infondati i preconcetti di coloro i quali negano la possibilità dell’esistenza di sentimenti forti, ivi compreso il sentimento filiale, nei casi, purtroppo numerosi, di condotte irregolari, soprattutto sul piano della morale pubblica. La notte ha rinfrescato, all’incendio non resta più granché da bruciare, il calore che si diffonde ancora dalle braci non basta a riscaldare i ciechi intirizziti che si trovano più lontani dall’ingresso, come nel caso della moglie del medico e del suo gruppo. Sono seduti vicini vicini, le tre donne e il ragazzo in mezzo, i tre uomini intorno, se qualcuno li vedesse direbbe che sono già na ti così, e per la verità sembrano un corpo solo, con un solo respiro e un’unica fame. Uno dopo l’altro si addormentarono, un sonno leggero da cui dovettero destarsi più volte perché c’erano ciechi che, uscendo dal proprio torpore, si alzavano e venivano a inciampare come sonnambuli in questo accidente umano, e ce ne fu pure uno che rimase, tanto valeva dormire lì come altrove. Quando sorse il giorno, solo alcune tenui colonne di fumo s’innalzavano dalle macerie, ma neanche quelle durarono molto, perché di lì a poco cominciò a piovere, una pioggerellina sottile, un semplice pulviscolo, certo, ma stavolta persistente, all’inizio non riusciva neanche a posarsi sul terreno infuocato, si trasformava immediatamente in vapore, ma poi, con il passar del tempo, si sa, goccia a goccia sui carboni ardenti tanto fa che poi si spegne, la rima ce la metta qualcun altro. Alcuni di questi ciechi non lo sono soltanto degli occhi, lo sono anche dell’intelletto, altrimenti non si spiegherebbe il ragionamento tortuoso per cui ne conclusero che l’agognato cibo, visto che stava piovendo, non sarebbe arrivato. Non ci fu modo di convincerli che era sbagliata la premessa e che, dunque, sbagliata doveva essere anche la conclusione, non servì a niente dirgli che non era ancora l’ora di colazione, di sperati si buttarono per terra piangendo, Non arriverà, sta piovendo, non arriverà, ripetevano, se in quella penosa rovina ci fossero state ancora condizioni minime di abitabilità, sarebbe tornato a essere il manicomio che era prima.
Il cieco che nella notte era rimasto lì dopo aver inciampato non poté più alzarsi. Avvoltolato su se stesso, come a voler proteggere l’estremo calore del ventre, non si mosse malgrado la pioggia diventasse sempre più fitta. È morto, disse la moglie del medico, e quanto a noi è meglio se ce ne andiamo fino a che abbiamo ancora un po’ di forza. Si alzarono a fatica, zoppicando, con le vertigini, aggrappandosi gli uni agli altri, poi si disposero in fila, in testa quella dagli occhi che vedono, seguita da quelli che pur avendo occhi non vedono, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio dalla benda nera, il ragazzino strabico, la moglie del primo cieco, il di lei marito, e il medico per ultimo. La strada che hanno preso conduce al centro della città, ma non è questa l’intenzione della moglie del medico, lei vuole piuttosto trovare al più presto un posto dove poter lasciare al riparo tutto il gruppo che le viene appresso e andare da sola in cerca di cibo. Le strade sono deserte, o perché è ancora presto o per via della pioggia, che cade sempre più fitta. C’è spazzatura dappertutto, alcuni negozi hanno le porte aperte, ma per la maggior parte sono chiusi, dentro non sembra esserci gente, e neanche luce. La moglie del medico pensò che sarebbe stata una buona idea lasciare i compagni in uno di questi negozi, facendo molta attenzione alla strada e al numero, non fosse mai che se li perdesse tornando. Si fermò, disse alla ragazza dagli occhiali scuri, Aspettatemi qui, non vi muovete, andò a sbirciare dietro la vetrata di una farmacia, le parve di vedervi dentro delle figure sdraiate, bussò sul vetro, una delle ombre si mosse, lei tornò a bussare, altre figure si spostarono lentamente, ce ne fu una che si alzò voltando la faccia in direzione del rumore, Sono tutti ciechi, pensò la moglie del medico, ma non capì perché mai si trovassero lì dentro, forse era la famiglia del farmacista, ma, in tal caso, perché non se ne stavano a casa propria, con qualcosa di più comodo di quel duro pavimento, a meno che non presidiassero il locale, ma contro chi, e tanto più trattandosi di merci del genere, che tanto possono salvare come ammazzare. Se ne allontanò, poco più avanti guardò nell’interno di un altro negozio, vide altre persone coricate, donne, uomini, bambini, alcune sembrava si stessero preparando per uscire, una si avvicinò alla porta, tese il braccio fuori e disse, Sta piovendo, Forte, fu la domanda dall’interno, Sì, dobbiamo aspettare per vedere se smette, l’uomo, era un uomo, stava lì a due passi dalla moglie del medico, non si era accorto della sua presenza, perciò sussultò quando sentì dire, Buongiorno, si era ormai perduta l’abitudine di rivolgersi il buongiorno, non solo perché giorno di ciechi, a rigor di termini, non potrebbe mai essere buono, ma anche perché nessuno avrebbe potuto essere del tutto sicuro che il giorno non fosse pomeriggio o sera, e se adesso, apparentemente in contraddizione con quanto si è appena spiegato, queste persone si stanno svegliando più o meno contemporaneamente al mattino, è perché alcune sono diventate cieche solo pochi giorni fa e non hanno ancora perduto del tutto il senso della successione dei giorni e delle notti, del sonno e della veglia. L’uomo disse, Sta piovendo, e poi, Chi è lei, Non sono di qui, Va in cerca di cibo, Sì, sono quattro giorni che non mangiamo, E come sa che sono quattro giorni, Calcolo, È sola, Sono con mio marito e alcuni compagni, Quanti siete, In tutto sette, Se state pensando di restare qui con noi, toglietevelo di mente, siamo già molti, Siamo solo di passaggio, Da dove venite, Siamo stati internati fin dall’inizio della cecità, Ah sì, la quarantena, non è servita a niente, Perché dice questo, Vi hanno fatto uscire, C’è stato un incendio, e allora abbiamo capito che i soldati di sorveglianza erano scomparsi, E siete usciti, Sì, I vostri soldati devono essere stati tra gli ultimi a diventare ciechi, siamo tutti ciechi, Tutti, tutta la città, il paese, Se qualcuno ci vede ancora, non lo dice, se ne sta zitto, Perché non vive a casa sua, Perché non so dove sia, Non lo sa, E lei, sa forse dov’è la sua, Io, la moglie del medico stava per rispondere che ci si stava appunto dirigendo con il marito e i compagni, solo il tempo di mangiare qualcosa per recuperare le forze, ma in quell’istante vide con la massima chiarezza la situazione, insomma, se uno che era cieco fosse uscito da casa, solo per miracolo sarebbe riuscito a ritrovarla, non era più come un tempo, quando i ciechi potevano sempre contare sull’aiuto di un passante, o per attraversare una strada o per riprendere quella giusta nel caso avessero deviato inavvertitamente dal solito percorso, So soltanto che è lontana da qui, disse, Ma non è capace di arrivarci, No, Per l’appunto, lo stesso capita a me, lo stesso capita a tutti, voi che siete stati in quarantena avete molto da imparare, non sapete come sia facile restare senza casa, Non capisco, Vagando in gruppo come noi, come quasi tutti, quando dobbiamo procurarci da mangiare siamo costretti ad andare insieme, è l’unica maniera di non perderci a vicenda, e siccome andiamo tutti e non rimane nessuno a guardia della casa, la cosa più sicura, supponendo di essere poi riusciti per caso a trovarla, è che sia già occupata da un altro gruppo il quale, a sua volta, non ha potuto trovare la propria casa, siamo una specie di noria che gira, all’inizio c’è stata un po’ di lotta, ma ben presto ci siamo resi conto che noi, i ciechi, per così dire non abbiamo praticamente nulla che potremmo definire nostro, se non quello che ci portiamo addosso, La soluzione starebbe nel vivere in un negozio di alimentari, almeno fintanto che durassero non sarebbe necessario uscire, Se qualcuno lo facesse, il minimo che gli potrebbe capitare sarebbe di non avere più un minuto di tranquillità, dico il minimo, perché ho sentito dire di alcuni che ci hanno provato, si sono chiusi dentro, hanno sprangato le porte, soltanto che non sono riusciti a far sparire l’odore del cibo, fuori si è radunata gente che voleva mangiare, e siccome la gente dentro non apriva, hanno appiccato fuoco al negozio, una mano santa, io non l’ho visto, me l’hanno raccontato, in ogni modo una mano santa, che io sappia non si è azzardato più nessuno, E non si vive nelle case, negli appartamenti, Sì, eccome, ma tanto è uguale, per casa mia deve essere già passata un mucchio di gente, non so se un giorno riuscirò per caso a ritrovarla, e inoltre, in questa situazione, è molto più pratico dormire nei negozi a pianterreno, nei magazzini, evitiamo di continuare a salire e scendere scale, Non piove più, disse la moglie del medico, Non piove più, ripeté l’uomo rivolto dentro. A queste parole, si alzarono tutti quelli che erano ancora coricati, raccolsero i loro averi, zaini, valigette, sacchetti di stoffa e di plastica, come se partissero per una spedizione, ed era vero, andavano a caccia di cibo, a uno a uno uscirono dal negozio, la moglie del medico notò che erano ben coperti, certo, i colori dei vestiti non erano abbinati, e poi i pantaloni, o erano talmente corti da lasciare scoperti gli stinchi, o talmente lunghi da dover es sere rimboccati all’orlo, ma il freddo non passava di certo, alcuni uomini avevano un impermeabile o un cappotto, due donne portavano dei giacconi di pelle, ma ombrelli non se ne vedevano, probabilmente per il fastidio che danno, con quelle stecche pericolose per gli occhi. Il gruppo, una quindicina di persone, si allontanò. Lungo la strada spuntavano altri gruppi, qua e là qualche persona da sola, accostati ai muri c’erano uomini che alleggerivano la vescica dal bisogno mattutino, le donne preferivano il riparo delle automobili abbandonate. Rammolliti dalla pioggia, gli escrementi, qua e là, avevano invaso tutta la strada.
La moglie del medico tornò indietro dai suoi, riparatisi istintivamente sotto la tettoia di una pasticceria da cui usciva un odore di creme acide e marciumi vari, Andiamo, disse, ho trovato un rifugio, e li condusse nel ne gozio da cui gli altri se n’erano andati. Il contenuto del locale era intatto, la merce non era né da mangiare né da vestire, c’erano frigoriferi, la vatrici, lavastoviglie, cucine e forni a microonde, sbattitori, spremiagru mi, aspirapolveri, frullatori, le mil le e una invenzioni elettrodomestiche destinate a rendere più facile la vita. L’atmosfera era impregnata di cattivi odori, rendendo assurdo l’invariabile biancore degli oggetti. Riposatevi qui, disse la moglie del medico, io vado a cercare un po’ di cibo, non so dove lo troverò, vicino, lontano, non lo so, voi aspettate con pazienza, ci sono tanti gruppi fuori, se qualcuno vuole entrare dite che il posto è occupato, basterà perché se ne vadano via, si usa così, Vengo con te, disse il marito, No, è meglio che vada da sola, dobbiamo scoprire come si vive adesso, a quanto ho sentito dire devono essere diventati tutti ciechi, Allora, disse il vecchio dalla benda nera, è come se fossimo ancora nel manicomio, Non c’è paragone, possiamo muoverci come ci pare, e quanto al mangiare si troverà una soluzione, non moriremo certo di fame, devo trovare anche dei vestiti, siamo ridotti a brandelli, la più bisognosa era proprio lei, poco meno che nuda dalla cintola in su. Baciò il marito, avvertendo in quel momento come una fitta al cuore, Per favore, qualsiasi cosa accada, anche se qualcuno vuole entrare, non lasciate questo posto, e se vi mettessero fuori, benché non creda possa accadere, ma è solo per prevedere tutte le ipotesi, restatevene qui vicino alla porta, insieme, finché non arrivo. Li guardò con gli occhi pieni di lacrime, erano tutti lì, dipendevano da lei come i piccini dipendono dal la mamma, Se gli manco io, pensò, non le sovvenne che là fuori erano tut ti ciechi, e comunque vivevano, avrebbe dovuto diventare cieca anche lei per capire come ci si abitua a tutto, soprattutto se non si è più un essere umano, ma anche se non si è giunti a tal punto, quel ragazzino lì, per esempio, lo strabico, che neanche della mamma chiede più. Uscì, guardò e memorizzò il numero civico, il nome del negozio, adesso doveva vedere come si chiamava la strada, a quell’angolo, non sapeva fin dove l’avrebbe portata la ricerca del cibo, e che cibo, poteva essere tre porte più avanti o trecento, non poteva perdersi, non ci sarebbe stato nessuno a cui chiedere informazioni, quelli che prima ci vedevano adesso erano ciechi, e lei, che poteva vedere, non avrebbe saputo dove si trovava. Era spuntato il sole, brillava nelle pozze d’acqua fra la spazzatura, si vedeva meglio l’erba che cresceva fra le pietre della strada. C’era più gente fuori. Come si orienteranno, si domandò la moglie del medico. Non si orientavano, camminavano rasente ai palazzi, con le braccia tese in avanti, continuavano a urtarsi fra loro, come le formiche in fila, ma quando capitava non si udivano proteste, non c’era neanche bisogno di parlare, una delle famiglie si staccava dalla parete, avanzava lungo quella che procedeva in senso contrario, e così via fino al prossimo incontro. Di tanto in tanto si fermavano, fiutavano all’ingresso dei negozi, se c’era odore di cibo, di qualunque tipo, poi proseguivano, svoltavano dietro un angolo, scomparivano alla vista, e poco dopo spuntava un altro gruppo, non avevano l’aria di aver trovato ciò che cercavano. La moglie del medico poteva muoversi più rapidamente, non perdeva tempo a entrare nei negozi per sco prire se fossero di alimentari, ma ben presto le fu chiaro che non sarebbe stato facile rifornirsi in abbondanza, le poche drogherie che incontrò sembravano essere state divorate dall’interno, erano come gusci vuoti.
Si era già allontanata molto dal punto in cui aveva lasciato il marito e i compagni, attraversando e riattraversando strade, viali, piazze, quando si ritrovò davanti a un supermercato. L’aspetto, dentro, non era diverso, scansie vuote, scaffalature buttate giù fra cui vagavano i ciechi, la maggior parte a quattro zampe, scandagliando con le mani il pavimento immondo, sperando di trovare ancora qualcosa di utilizzabile, una scatoletta che avesse resistito ai colpi con cui avevano tentato di aprirla, un pacchetto di qualcosa, di qualsiasi cosa, una patata, anche schiacciata, un tozzo di pane, anche pietrificato. La moglie del medico pensò, Malgrado tutto qualcosa ci sarà, è un posto enorme. Un cieco si alzò da terra lamentandosi, un coccio di bottiglia gli si era conficcato in un ginocchio, il sangue gli scorreva giù per la gamba. I ciechi del gruppo lo circondarono, Cosa c’è, cosa c’è, e lui disse, Un vetro, nel ginocchio, Quale, Il sinistro, una delle cieche si accovacciò, Attenzione, magari ce ne sono altri, tastò, palpeggiò per distinguere una gamba dall’altra, Eccolo, disse, ce l’hai ancora dritto dentro, uno dei ciechi scoppiò a ridere, Allora, se è dritto, approfitta, e risero anche gli altri, uomini e donne indifferentemente. Tenendo a mo’ di pinza il pollice e l’indice, è un gesto naturale per cui non c’è bisogno di addestramento, la cieca estrasse il pezzo di vetro, poi legò il ginocchio con uno straccio rimediato nel sacco che portava in spalla, infine concorse al buon umore generale con una sua battuta, Niente da fare, gli è passato in fretta quello star dritto, tutti risero, e il ferito ribatté, Quando ne avrai bisogno, potremo provare a vedere cosa si drizza meglio, sicuramente in questo gruppo non ci saranno mariti e mogli visto che nessuno si è mostrato scandalizzato, sarà gente dai costumi libertini e dalle unioni libere, a meno che questi due non siano proprio marito e moglie, e perciò in confidenza, ma per la verità non lo sembrano, in pubblico non parlerebbero in questi termini. La moglie del medico si guardò intorno, quel poco che c’era ancora di utilizzabile se lo stavano contendendo a suon di pugni che quasi sempre andavano a vuoto e di spintoni che non sceglievano fra amici e avversari, e capitava pure che l’oggetto della contesa sfuggisse loro di mano e rimanesse lì per terra, ad aspettare che qualcuno ci inciampasse, Qui non ci busco niente, pensò, usando un termine che non rientrava nel suo vocabolario corrente, a ulteriore dimostrazione di come la forza e la natura del le circostanze influiscano profondamente sul lessico, si pensi a quel militare che disse merda quando gli intimarono di arrendersi, assolvendo così dal delitto di maleducazione futuri sfoghi in situazioni meno pericolose. Qui non ci busco niente, pensò di nuovo, e stava già per andarsene quando un altro pensiero le sovvenne come una provvidenza, In un supermercato del genere deve pur esserci un magazzino, non dico un magazzino grande, che magari sarà in un altro locale, probabilmente lontano, ma una riserva di certi prodotti di maggior consumo. Eccitata all’idea, si mise alla ricerca di una porta chiusa che la potesse condurre alla grotta del tesoro, ma erano tutte aperte, e dentro la stessa devastazione, gli stessi ciechi che frugavano nella spazzatura. Finalmente, in un corridoio buio, dove la luce filtrava a stento, vide qualcosa che le parve un montacarichi. Le porte metalliche erano chiuse, e accanto c’era un’altra porta, liscia, di quelle che scivolano su binari, Il sotterraneo, pensò, se i ciechi sono arrivati fin qui hanno trovato la strada sbarrata, dovevano aver capito che si trattava di un ascensore, ma a nessuno era venuto in mente che di norma c’era anche una scala, nell’eventualità che mancasse l’energia elettrica per esempio, come adesso. Spinse la porta scorrevole ed ebbe quasi simultaneamente due fortissime impressioni, la prima, della profonda oscurità in cui avrebbe dovuto scendere per arrivare al sotterraneo, e, subito dopo, l’odore inconfondibile delle cose da mangiare, anche quando sono chiuse in recipienti che definiamo ermetici, è che la fame ha sempre avuto un olfatto finissimo, capace di attraversare ogni barriera, come i cani. Tornò rapidamente indietro per prendere fra la spazzatura i sacchetti di plastica di cui avrebbe avuto bisogno per trasportare il cibo, e nel frattempo si domandava, Senza luce, come farò a sapere cosa prendere, si strinse nelle spalle, era una preoccupazione stupida, adesso il dubbio considerando lo stato di debilità in cui si trovava, avrebbe dovuto essere piuttosto se le forze le sarebbero bastate per trasportare i sacchetti pieni, rifare tutta la strada per cui era venuta, e in quel momento fu assalita da una terribile paura, quella di non riuscire a ritornare là dove il marito la aspettava, sapeva il nome della strada, non lo aveva certo dimenticato, ma erano stati tanti i giri che aveva fatto, rimase lì paralizzata dalla disperazione, poi lentamente, come se il cervello immobile si fosse messo finalmente in movimento, si vide lì, china sulla mappa della città, a cercare con la punta del dito il percorso più breve, come se avesse due paia di occhi, un paio che la vedevano lì a guardare la mappa, e l’altro che guardavano la mappa e la strada. Il corridoio era sempre deserto, una vera fortuna, innervosita dalla scoperta fatta si era dimenticata di chiudere la porta. La chiuse allora con cautela dietro di sé, per ritrovarsi immersa in un’oscurità totale, cieca quanto lo erano i ciechi là fuori, l’unica differenza era nel colore, ammesso che il bianco e il nero siano effettivamente dei colori. Rasentando la parete cominciò a scendere la scala, se questo posto non fosse tanto segreto e qualcuno stesse salendo dal fondo, dovrebbero procedere come aveva visto fare per la strada, uno di loro si dovrebbe staccare dalla sicurezza dell’appoggio, avanzare rasentando l’imprecisa materialità dell’altro, forse temere per un istante, assurdamente, che la parete non continuasse al di là, Sto perdendo il senno, pensò, e ragioni certo che ce ne aveva, scendere come stava facendo lei in un buco tenebroso, senza luce né speranza di vederne, fino a dove, questi magazzini sotterranei generalmente non sono alti, una prima rampa di scale, Adesso so cosa significa essere ciechi, una seconda rampa di scale, Sto per gridare, sto per gridare, una terza rampa di scale, le tenebre sono come una massa densa che le si è appiccicata alla faccia, gli occhi si sono tramutati in palle di pece, Cosa c’è davanti a me, e subito dopo un altro pensiero, ancora più spaventoso, E come ritroverò la scala, un improvviso sbilanciamento la costrinse ad abbassarsi per non cadere, quasi sul punto di perdere coscienza balbettò, È pulito, si riferiva al pavimento, le sembrava incredibile, un pavimento pulito. A poco a poco cominciò a riprendersi, sentiva dei dolori sordi allo stomaco, non che fossero una novità, ma in questo momento era come se nel suo corpo non esistesse altro organo vivente, sicuramente c’erano, ma non volevano dar segno di sé, il cuore, invece, il cuore risuonava come un immenso tamburo, sempre a lavorare alla cieca nel buio, fin dalla prima di tutte le tenebre, il ventre dove lo hanno creato, e sino all’ultima, quella dove si fermerà. Aveva ancora in mano i sacchetti di plastica, non li aveva lasciati, adesso dovrà solo riempirli, tranquillamente, un magazzino non è certo un posto popolato di fantasmi e draghi, qui non c’è altro che buio, e il buio non morde né ferisce, quanto alla scala la troverò, anche se dovessi fare tutto il giro di questo buco. Decisa, stava per alzarsi, ma si ricordò di essere cieca come i ciechi, meglio fare come loro, avanzare a quattro zampe fino a trovarsi qualcosa davanti, scansie cariche di cibo, qualunque esso sia, pur ché si possa mangiare così com’è, senza cotture né preparazioni, che non è tempo di fantasie del genere.
La paura tornò, strisciante, non appena ebbe fatto alcuni metri, forse si stava sbagliando, forse proprio lì, davanti a lei, invisibile, un drago l’aspettava a bocca aperta. O un fantasma le tendeva la mano per condurla nel mondo terribile dei morti che non cessano mai di morire perché viene sempre qualcuno a resuscitarli. Poi, prosaicamente, con una tristezza infinita, rassegnata, pensò che il posto nel quale si trovava non era un deposito di alimentari, ma un garage, le parve addirittura di sentire l’odore della benzina, a tal punto può illuder si l’animo quando si arrende ai mostri che esso stesso ha creato. La sua mano, allora, toccò qualcosa, non le dita vischiose del fantasma, non la lingua ardente e le fauci del drago, ciò che sentì fu il contatto di un metallo freddo, una superficie verticale liscia, immagino, senza sapere come si chiamava, che si trattasse del montante di una struttura a scansie. Considerò che dovevano essercene altre uguali, parallele, come lo sono di solito, adesso si trattava di scoprire dove fossero i prodotti alimentari, non qui, ché questo odore non inganna, è odore di detergenti. Senza pensare ol tre alle difficoltà che avrebbe avuto per ritrovare la scala, cominciò a per correre le scansie, palpeggiando, odorando, smuovendo. C’erano scatoloni di cartone, bottiglie di vetro e di plastica, flaconi piccoli, medi e grandi, barattoli che dovevano essere di conserve, recipienti vari, tubi, borse, tubetti. A casaccio riempì un sacchetto, Sarà tutto da mangiare, si domandava, inquieta. Passò ad altre scansie, e, sulla seconda, l’inatteso avvenne, la mano cieca, che non poteva vedere dove andava, toccò e fece cadere alcune scatolette. Il rumore che fecero, sbattendo contro il suolo, per poco non fece fermare il cuore della moglie del medico, Sono fiammiferi, pensò. Fremendo per l’eccitazione, si chinò, passò le mani sul pavimento, trovò qualcosa, questo è un odore che non si può confondere con nessun altro, e il rumore dei legnetti quando agitiamo la scatola, il coperchio che scivola, la ruvidità della striscia esterna, dove c’è il fosforo, la testa del fiammifero che raspa, infine la deflagrazione della fiammella, lo spazio intorno, una diffusa sfera luminosa simile a un astro nella nebbia, mio Dio, la luce esiste e io ho gli occhi per vederla, sia lodata la luce. D’ora in poi la raccolta sarebbe stata fa cile. Cominciò dalle scatolette di fiammiferi, e ne fece un sacchetto qua si pieno, Non c’è bisogno di prenderle tutte, le diceva la voce del buon senso, ma lei, al buon senso, non prestò attenzione, poi le tremule fiamme dei fiammiferi le mostrarono via via le scansie, qua, là, i sacchetti si riempirono ben presto, il primo bisognò svuotarlo perché non conteneva niente di utilizzabile, negli altri c’era già ricchezza sufficiente a comprare la città, e non c’è niente di strano in questa disparità di valori, basti ricordare che, un giorno, ci fu un re che volle scambiare il proprio regno per un cavallo, chissà cosa non avrebbe dato se fosse stato morto di fame e gli avessero fatto intravvedere questi sacchetti di plastica. La scala è lì, sempre di fronte. Prima, però, la moglie del medico si siede per terra, apre una confezione di salsicce, una di pane nero a fette, una bottiglia d’acqua, e senza alcun rimorso mangia. Se adesso non mangiasse non avrebbe forze per trasportare il carico fino a dove manca, il furiere è lei. Quando ebbe finito, s’infilò i sacchetti nelle braccia, tre per lato, e con le mani alzate davanti a sé raggiunse, accendendo fiammiferi, la scala, poi faticosamente la salì, il cibo non ha ancora superato lo stomaco, ha bisogno di tempo per arrivare ai muscoli e ai nervi, in questo caso è la testa quella che ha retto meglio. La porta scorrevole scivolò senza rumore, E se c’è qualcuno nel corridoio, aveva pensato la moglie del medico, cosa faccio. Non c’era nessuno, ma lei si domandò di nuovo, Cosa faccio. Avrebbe potuto, giunta all’uscita, voltarsi verso l’interno e gridare, C’è da mangiare in fondo al corridoio, una scala conduce al magazzino del sotterraneo, approfittate, ho lasciato la porta aperta. Avrebbe potuto farlo, ma non lo fece. Aiutandosi con la spalla, chiuse la porta, continuava a ripetersi che era meglio tacere, s’immagini cosa sarebbe accaduto, i ciechi ad accorrere come pazzi, come quando si era annunciato l’incendio al manicomio, sarebbero rotolati giù per le scale, calpestati e schiacciati da quelli dietro, che sarebbero caduti an ch’essi, non è la stessa cosa mettere il piede su un gradino fermo o su un corpo sdrucciolevole. E quando il cibo sarà finito potrò tornare per dell’altro, pensò. Passò i sacchetti al le mani, tirò un profondo respiro e avanzò nel corridoio. Non l’avrebbero vista, ma l’odore di quello che aveva mangiato, La salsiccia, che stupida, sarebbe stata una traccia vivente. Serrò i denti, strinse con tutta la forza i manici dei sacchetti, Devo correre, disse. Si ricordò del cieco ferito al ginocchio da un coccio, Se mi succede la stessa cosa, se non me ne accorgo e metto il piede su un vetro, forse ci siamo dimenticati che questa donna è senza scarpe, non ha ancora avuto il tempo di girare per calzolerie, come fanno i ciechi della città che, malgrado siano dei poveri non vedenti, possono scegliere le calzature al tatto. Doveva correre, e corse. All’inizio aveva tentato di sgusciare fra i gruppi di ciechi, cercando di non toccarli, ma questo la costringeva a procedere lentamente, a fermarsi più volte per scegliere la strada, quanto bastava perché da lei si diffondesse un effluvio, non soltan to gli effluvi profumati ed eterei sono effluvi, un attimo dopo c’era già un cieco che gridava, Chi è che sta mangiando salsiccia, neanche il tempo di pronunciare queste parole e la moglie del medico si buttò dietro le spalle tutte quelle precauzioni e si lanciò in una corsa forsennata, inciampando, spingendo, atterrando, in un si salvi chi può severamente criticabile, perché non è certo questo il modo di trattare delle persone cieche, sventurate lo sono già abbastanza.
Stava piovendo a dirotto quando raggiunse la strada, Meglio così, pensò, ansimando, con le gambe tremanti, si sentirà meno l’odore. Qualcuno le aveva afferrato l’ultimo brandello che a stento la copriva dalla cintola in su, adesso aveva i seni scoperti, e su di essi, purificatrice, che parola raffinata, scorreva l’acqua del cielo, non era la libertà che guidava il popolo, i sacchetti, per fortuna pieni, pesano troppo per trasportarli issati come una bandiera. Il che presenta an che un inconveniente, giacché le eccitanti fragranze viaggiano all’altezza del naso dei cani, che non potevano certo mancare, adesso senza padrone che li accudisca e nutra, c’è quasi una muta appresso alla moglie del medico, speriamo che a nessuna di queste bestie venga in mente di sperimentare col dente la resistenza della plastica. Con una pioggia del genere, che per poco non è un diluvio, ci sarebbe da aspettarsi che la gente se ne stia al riparo, in attesa che spiova. Non è così, però, dappertutto ci sono ciechi che, a bocca aperta verso l’alto, si dissetano, immagazzinano acqua in ogni angolo del corpo, mentre altri, più previdenti, e soprattutto più sensati, reggono fra le mani secchi, casseruole e pentole, alzandole al cielo generoso, è proprio vero che Dio concede nubi in base alla sete. Alla moglie del medico non era venuta in mente la possibilità che dai rubinetti delle case non uscisse neppure una goccia del prezioso liquido, è il difetto della civiltà, ci si abitua alla comodità dell’acqua incanalata, a domicilio, e ci si dimentica che, perché sia così, devono esserci persone ad aprire e chiudere le valvole di distribuzione, impianti che hanno bisogno di energia elettrica, computer per regolare le richieste e distribuire le riserve e per tutto questo mancano gli occhi. Come del resto ne mancano per vedere questa scena, una donna carica di sacchetti di plastica che cammina per una strada allagata, fra spazzatura marcia ed escrementi umani e animali, automobili e camion abbandonati come capita e che intralciano la pubblica via, alcuni con le ruote già circondate dall’erba, e i ciechi, quei poveri ciechi, a bocca aperta, che tengono aperti anche gli occhi rivolti al cielo bianco, sembra impossibile come possa piovere da un cielo così. La moglie del medico legge via via le targhe delle strade, di alcune si ricorda, di altre no, e a un certo momento capisce di essere disorientata e persa. Non c’è dubbio, si è persa. Ha fatto un giro, ne ha fatto un altro, non riconosce più né le strade né i loro nomi, e allora, disperata, si è accasciata su quel terreno sporchissimo, impastato di fango nero, e, priva di forze, di tutte, è scoppiata a piangere. I cani l’hanno circondata, fiutano i sacchetti, ma senza convinzione, come se l’ora di mangiare ormai fosse passata, uno la lecca in faccia, forse lo hanno abituato fin da cucciolo ad asciugare i pianti. La donna gli tocca la testa, scorre la mano sul dorso inzuppato, e le altre lacrime le piange abbracciata a lui. Quando finalmente alzò gli occhi, mille volte sia lodato il dio dei crocevia, vide davanti a sé una grande mappa, uno di quei cartelloni che gli uffici turistici comunali sparpagliano nel centro delle città, per lo più per uso e tranquillità dei visitatori, che non solo vogliono poter dire dove sono stati, ma hanno anche bisogno di sapere dove si trovano. Adesso, siccome tutti quanti sono ciechi, sembra facile dire che sono stati male utilizzati i soldi spesi, è che in definitiva bisogna aver pazienza, dare tempo al tempo, ormai dovremmo averlo imparato, e una volta per tutte, che il destino deve fare tanti e tanti giri prima di giungere da qualche parte, lo sa soltanto lui quanto gli sarà costato portare qui questa mappa per indicare a questa donna dove sta. Non era tanto lontana quanto credeva, aveva unicamente deviato per un’altra direzione, dovrai solo proseguire per questa strada fino a una piazza, lì conti due traverse a si nistra e poi svolti alla prima a destra, è quella che cerchi, il numero non lo hai dimenticato. A poco a poco i cani sono rimasti indietro, qualcosa li ha distratti via facendo, oppure sono talmente abituati al quartiere che non vogliono lasciarlo, soltanto il cane che aveva bevuto quelle lacrime ha accompagnato chi le ha piante, probabilmente questo incontro della donna e della mappa, tanto ben preparato dal destino, includeva anche un cane. Fatto sta che entrarono insieme nel negozio, il cane delle lacrime non trovò strano di vedere tutte quelle persone distese per terra, talmente immobili da sembrare morte, c’era abituato, a volte lo lasciavano dormire fra di loro, e quando era il momento di alzarsi erano quasi sempre vive. Svegliatevi, se state dormendo, vi ho portato un po’ di cibo, disse la moglie del medico, ma prima aveva chiuso la porta, non sia mai la dovesse udire qualcuno di passaggio per la strada. Il ragazzino strabico fu il primo ad alzare la testa, non riuscì a fare altro, la debolezza non glielo consentiva, gli altri tardarono un po’ di più, stavano sognando di essere dei sassi, e nessuno ignora quanto sia profondo il loro sonno, una semplice passeggiata in campagna lo dimostra, se ne stanno lì a dormire, mezzi sotterrati, aspettando chi sa quale risveglio. Ma la parola cibo possiede poteri magici, soprattutto quando l’appetito incalza, perfino il cane delle lacrime, che non conosce il linguaggio, si è messo a scodinzolare, e l’istintivo movimento gli ha fatto ricordare di non avere ancora compiuto quello a cui sono costretti i cani bagnati, scuotersi violentemente schizzando qualsiasi cosa intorno, per loro è facile, hanno la pelle come una giacca. Acqua benedetta della più efficace, scesa direttamente dal cielo, gli spruzzi aiutarono i sassi a trasformarsi in persone, mentre la moglie del medico partecipava all’operazione di metamorfosi aprendo uno dopo l’altro i sacchetti di plastica. Non sempre l’odore corrispondeva all’effettivo contenuto, ma anche il profumo di un boccone di pane duro sarebbe stato, per dirla in maniera elevata, l’essenza stessa della vita. Finalmente sono tutti svegli, hanno le mani tremanti, le espressioni ansiose, e allora il medico, proprio com’era successo prima al cane delle lacrime, si ricorda chi è, Attenzione, non conviene mangiare molto, può farci male, Quel che ci fa male è la fame, disse il primo cieco, Ascolta quello che dice il dottore, ammonì la moglie, e il marito tacque, pensando con una punta di rancore, Lui neanche di occhi ne capisce, parole tanto più ingiuste se teniamo conto che il medico è cieco quanto gli altri, prova ne sia che non si è accorto che la moglie è nuda dalla cintola in su, fu lei a chiedergli la giacca per coprirsi, gli altri ciechi guardarono allora nella sua direzione, ma troppo tardi, ah, se avessero guardato prima.
Mentre mangiavano, la donna narrò le sue avventure, di tutto quanto le era accaduto e aveva fatto tacque unicamente di aver lasciato la porta del magazzino chiusa, non era molto sicura delle motivazioni umanitarie che si era data, ma in compenso raccontò l’episodio del cieco che si era ficcato il vetro nel ginocchio, tutti risero di gusto, no, non tutti, il vecchio dalla benda nera si limitò ad accennare un sorriso stanco, e il ragazzino strabico aveva orecchi solo per il rumore che faceva masticando. Il cane delle lacrime ebbe la sua parte, che ripagò sollecito abbaiando furiosamente quando qualcuno da fuori venne a scuotere la porta con violenza. Chiunque fosse, non insistette, si diceva che girassero cani rabbiosi, di rabbia già mi basta questa di non vedere dove metto i piedi. Tornò la tranquillità, e fu allora, quando ormai si era chetata in tutti la prima fame, che la moglie del medico raccontò la conversazione avuta con l’uomo che era uscito proprio da questo negozio per vedere se pioveva. Poi concluse, Se quello che mi ha detto è vero, non possiamo avere la certezza di ritrovare le nostre case come le abbiamo lasciate, non sappiamo neanche se riusciremo a entrarvi, parlo di quelli che hanno dimenticato di portar via le chiavi quando sono usciti, o le hanno perse, noi per esempio non le abbiamo, sono rimaste nell’incendio, ora sarebbe impossibile ritrovarle in mezzo alle macerie, e nel pronunciarne la parola fu come se vedesse ancora le fiamme avviluppare le forbici, bruciando prima il sangue rappreso che ancora doveva ricoprirle, poi attaccandone la lama, le punte aguzze, smussandole, e poco a poco rendendole rotonde, tenere, molli, informi, incredibile che abbiano potuto per forare la gola di qualcuno, quando il fuoco avrà concluso il suo lavoro, sarà impossibile, nella massa unica del metallo fuso, distinguere dove stiano le forbici e dove stiano le chiavi, Le chiavi, disse il medico, le ho io, e introducendo con difficoltà tre dita in un taschino dei pantaloni a brandelli, vicino alla cintura, ne estrasse un cerchietto con tre chiavi, Come mai le hai tu, se le avevo messe nella mia valigetta, che è rimasta là, Le ho tolte, ho avuto paura che si potessero perdere, ho pensato che erano più sicure se me le portavo sempre dietro, e poi era una maniera di credere che un giorno saremmo ritornati a casa, Bene, abbiamo le chiavi, ma può darsi che troviamo la porta sfondata, Ma potrebbe darsi che non ci abbiano neanche provato. Per qualche momento si erano dimenticati degli altri, ma adesso bisognava sapere, da tutti quanti, cosa fosse successo delle rispettive chiavi, la prima a parlare fu la ragazza dagli occhiali scuri, I miei genitori sono rimasti a casa quando l’ambulanza è venuta a prendermi, non so cosa gli sarà successo, dopo di che parlò il vecchio dalla benda nera, Io mi trovavo a casa quando sono diventato cieco, hanno bussato alla porta, la padrona di casa è venuta a dirmi che alcuni infermieri mi cercavano, non era il momento di pensare alle chiavi, mancava solo la moglie del primo cieco, ma questa disse, Non lo so, non mi ricordo, invece sapeva, se ne ricordava, ma non voleva confessare che, quando all’improvviso si era vista cieca, un’espressione assurda, ma radicata, che non siamo riusciti a evitare, era uscita di casa gridando, chiamando le vicine, quelle che ancora si trovavano nel palazzo si erano ben guardate dal soccorrerla, e lei, che si era dimostrata tanto decisa e capace quando la sventura si era abbattuta sul marito, si comportava adesso in maniera dissennata abbandonando la casa con la porta spalancata, senza neanche avere avuto il pensiero di chiedere il permesso di tornare indietro, un minuto solo, il tempo di chiudere la porta e vengo subito. Al ragazzino strabico nessuno domandò della chiave di casa, se quel povero bambino non è ancora riuscito a ricordarsi dove abita. La moglie del medico, allora, sfiorò leggermente la mano della ragazza dagli occhiali scuri, Cominciamo da casa tua, è la più vicina, ma prima dobbiamo trovare vestiti e scarpe, non possiamo girare in questo stato, sporchi e laceri. Fece per alzarsi, ma notò che il ragazzino strabico, ormai ristorato, sazio, si era riaddormentato. Disse, riposiamo allora, dormiamo un po’, subito dopo andremo a vedere cosa ci aspetta. Si sfilò la gonna bagnata, poi, per riscaldarsi, si avvicinò al marito, lo stesso fecero il primo cieco e la moglie, Sei tu, aveva domandato lui, lei ripensava alla casa e soffriva, non disse, Consolami, ma fu come se lo avesse pensato, quel che non si sa è quale sentimento avrà spinto la ragazza dagli occhiali scuri a posare un braccio sulla spalla del vecchio dalla benda nera, certo è che lo fece, e rimasero così, lei a dormire, ma non lui. Il cane andò a sdraiarsi davanti alla porta, di traverso, è un animale scontroso e intrattabile quando non c’è da asciugare lacrime.

14.

Indossarono abiti e scarpe, ma non trovarono il modo di lavarsi, comunque c’è già una bella differenza rispetto agli altri ciechi, i colori dei vestiti, pur nella relativa scarsità dell’offerta, perché, come si suol dire, c’è ben poca scelta, sono abbinati, è il vantaggio di avere fra di noi qualcuno che ci consigli, Tu indossa questo, sta meglio con quei pantaloni, le righe con i pallini proprio no, particolari così, probabilmente non per gli uomini, tanto per loro o è zuppa o è pan bagnato, ma sia la ragazza dagli occhiali scuri sia la moglie del primo cieco ci tennero a sapere quali colori e quali disegni avevano indosso, almeno, con l’aiuto dell’immaginazione, potranno vedersi. Quanto alle calzature, convennero tutti che la comodità dovesse essere prioritaria rispetto al la bellezza, niente laccetti e tacchi alti, niente camosci e vernici, nello stato in cui si trovano le strade sarebbe una sciocchezza, invece vanno be ne degli stivali di gomma, totalmente impermeabili, delle calosce a metà gamba, facili da infilare e sfilare, non c’è niente di meglio per camminare nei pantani. Purtroppo, stivali di questo modello per tutti non si trovarono, il ragazzino strabico, per esempio, non c’era misura che andasse bene, i piedi ci sciacquavano dentro, perciò dovette accontentarsi di un paio di generiche scarpe da ginnastica, Che coincidenza, direbbe sua madre, dovunque sia, se qualcuno le fosse andato a raccontare l’accaduto, è proprio quello che avrebbe scelto mio figlio se potesse vedere. Il vecchio dalla benda nera, che aveva i piedi più sul grande che sul piccolo, risolse il problema mettendosi un paio di scarpe da basket, di quelle speciali, per giocatori di due metri ed estremità in proporzione. è pur vero che adesso è un po’ ridicolo, sembra che porti delle pantofole bianche, ma questi sono tipi di ridicolo che durano poco, in meno di dieci minuti le scarpe saranno già sporchissime, come del resto tutto nella vita, date tempo al tempo e ci pensa lui a risolverlo.
Ha smesso di piovere, ciechi a bocca aperta non ce ne sono. Camminano, non sanno cosa fare, vagano per le strade, ma mai per molto tempo, camminare o star fermi finisce che per loro è lo stesso, a parte la ricerca di cibo non hanno altri obiettivi, la musica è cessata, non c’è mai stato tanto silenzio nel mondo, i cinema e i teatri servono solo a chi è rimasto senza casa e ormai ha rinunciato a cercarla, alcune sale, le più grandi, erano state usate per le quarantene quando il governo, o quel che via via ne rimaneva, credeva ancora che il mal bianco si sarebbe potuto bloccare con sistemi e trucchi che altrettanto poco erano serviti in passato contro la febbre gialla e altri pestiferi contagi, ma qui niente da fare, qui neanche un incendio c’è voluto. Quanto ai musei, è un vero e proprio dolore dell’anima, da spezzare il cuore, tutta quella gente, sì, gente, dico bene, tutti quei dipinti, tutte quelle sculture senza neanche una persona, lì davanti, a guardare. Di cosa siano in attesa i ciechi della città, non si sa, sarebbero in attesa della cura se ancora vi credessero, ma la speranza l’hanno persa quando si è reso pubblico che la cecità non aveva risparmiato nessuno, che non era rimasta un’unica vista sana a guardare dalla lente di un microscopio, che erano stati abbandonati anche i laboratori dove, ai batteri, se volevano sopravvivere, non restava altra soluzione che divorarsi a vicenda. All’inizio molti ciechi, accompagnati dai parenti dotati ancora per il momento di vista e senso della famiglia, si riversarono negli ospedali, ma vi trovarono soltanto medici ciechi che prendevano il polso a malati che non vedevano, che li auscultavano dietro e davanti, ed era tutto quanto potevano fare, l’udito ancora ce l’avevano.
Poi, incalzati dalla fame, i malati, quelli che ancora potevano camminare, cominciarono a fuggire dagli ospedali, andavano a morire per la strada, abbandonati, e le famiglie, se ancora ne avevano, chissà dov’erano, e poi, perché li sotterrassero, non bastava che qualcuno finisse per inciamparci casualmente, dovevano cominciare a puzzare, e anche in questo caso, solo se fossero morti in un posto di passaggio. Non c’è da stupirsi che i cani siano tanti, alcuni somigliano già alle iene, le chiazze sul pelo sono già come quelle della putredine, si spostano correndo con le zampe posteriori retratte, come se avessero paura che i morti e divorati riacquistassero vita per far loro pagare la vergogna di azzannare chi non si poteva difendere. Come va fuori, aveva domandato il vecchio dalla benda nera, e la moglie del medico rispose, Non c’è differenza tra il fuori e il dentro, tra il qua e il là, tra i pochi e i tanti, tra ciò che abbiamo vissuto e ciò che dovremo vivere, E le persone, come sono, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Come fantasmi, essere un fantasma dev’essere questo, avere la certezza che la vita esiste, perché ce lo dicono quattro sensi, e non poterla ve dere, Ci sono molte macchine in giro, domandò il primo cieco, non riesce proprio a dimenticare che la sua gliel’hanno rubata, è un cimitero. Né il medico né la moglie del primo cieco fecero domande, a che scopo, se le risposte sarebbero state tipo queste.
Al ragazzino strabico gli basta la soddisfazione di portare le scarpe sempre sognate, né basta a rattristarlo il non poterle vedere. è questo, probabilmente, il motivo per cui non cammina come un fantasma. E tanto meno si meriterebbe di essere definito iena il cane delle lacrime che segue la moglie del medico, lui non fiuta l’odore della carne morta, accompagna un paio d’occhi che, lo sa benissimo, sono vivi. La casa della ragazza dagli occhiali scuri non è lontana, ma a questi affamati da una settimana soltanto adesso le forze cominciano a tornare, per ciò camminano tanto lentamente, per riposare non possono far altro che sedersi per terra, non valeva la pena di star lì a preoccuparsi tanto dei colori e del disegno se in così poco tempo i vestiti sono già di nuovo lerci. La strada dove abita la ragazza dagli occhiali scuri, oltre che corta, è stretta, il che spiega perché non vi siano automobili, passare era possibile, a senso unico, ma non restava spazio per posteggiare, era proibito. E niente di strano che non ci fosse neanche gente, nelle strade così non sono rari i momenti del giorno in cui non si vede anima viva, Qual è il numero del tuo palazzo, domandò la moglie del medico, Sette, abito al secondo piano, a sinistra. Una delle finestre era aperta, in altri tempi sarebbe stato un segnale che quasi sicuramente c’era gente in casa, ma adesso tutto era dubbio. Disse la moglie del medico, Non andiamo tutti, saliamo soltanto noi due, voi aspettate giù. Si capiva che il portone esterno era stato forzato, si vedeva distintamente che l’incastro del saliscendi era storto, una lunga scheggia di legno si era completamente separata dal battente. La moglie del medico non ne parlò. Lasciò andare avanti la ragazza, conosceva la strada, indipendentemente dalla penombra in cui la scala era immersa. Col nervosismo della fretta, la ragazza dagli occhiali scuri inciampò due volte, ma pensò fosse meglio riderne, Te l’immagini, una scala che prima ero capace di salire e scendere a occhi chiusi, così sono le frasi fatte, non hanno al cuna sensibilità per le mille sottigliezze semantiche, questa, per esempio, ignora la differenza tra il chiudere gli occhi ed essere ciechi. Al pianerottolo del secondo piano la porta che cercavano era chiusa. La ragazza dagli occhiali scuri fece scivolare la mano sullo stipite finché trovò il pulsante del campanello, Non c’è luce, le ricordò la moglie del medico, e queste poche parole, che non facevano altro che ripetere ciò che tutti sapevano, la ragazza le prese come l’annuncio di una cattiva notizia. Bussò alla porta, una, due, tre volte, la terza con violenza, a pugni, chiamava, Mammina, paparino, e nessuno veniva ad aprire, i diminutivi affettuosi non intaccavano la realtà, nessuno le venne a dire, Figliola mia, finalmente sei arrivata, pensavamo di non vederti più, entra, entra, e questa signora è una tua amica, si accomodi, si accomodi anche lei, la casa è un po’ in disordine, non ci faccia caso, la porta era sempre chiusa, Non c’è nessuno, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e scoppiò a piangere appoggiata alla porta, col capo sugli avambracci incrociati, come se stesse implorando con tutto il corpo una disperata pietà, se non avessimo appreso a sufficienza co me sia complicato lo spirito umano ci meraviglieremmo di quanto desideri i suoi genitori, al punto di queste manifestazioni di dolore, una ragazza dai costumi tanto liberi, benché non sia lontano chi abbia già affermato che non esiste né mai è esistita alcuna contraddizione fra questo e quello. La moglie del medico voleva consolarla, ma aveva ben poco da dire, si sa che il rimanere molto a lungo nelle proprie case è diventato praticamente impossibile, Potremmo domandare ai vi cini, suggerì, se ce n’è qualcuno, Sì, andiamo a domandare, disse la ragazza dagli occhiali scuri, ma non c’era speranza nella sua voce. Cominciarono col bussare alla porta dell’appartamento accanto sullo stesso pianerottolo, ma anche lì nessuno rispose.
Al piano di sopra le due porte erano aperte. Le case erano state saccheggiate, gli armadi erano vuoti, nei posti dove si teneva il cibo non ne era rimasta neanche l’ombra. C’erano segni del recente passaggio di gente, certamente un gruppo errante, come più o meno lo erano adesso tutti, sempre in giro da una casa all’altra, da un’assenza all’altra. Scesero al primo piano, la moglie del medico bussò con le nocche delle dita alla porta più vicina, dopo un si lenzio di attesa una voce roca domandò, diffidente, Chi è, la ragazza dagli occhiali scuri si fece avanti, Sono io, la vicina del secondo piano, sto cercando i miei genitori, sa mica dove sono, cosa gli è accaduto, domandò. Si udirono dei passi strascicati, la porta si aprì e comparve una donna magrissima, pelle e ossa, squallida, con un’enorme massa di capelli bianchi arruffati. Una mistura nauseante di odori rancidi e di un indefinibile marciume fece indietreggiare le due donne. La vecchia strabuzzava gli occhi, li aveva quasi bianchi, Non so niente dei tuoi genitori, sono venuti a prenderli il giorno dopo che avevano portato via te, allora ci vedevo ancora,
C’è qualcun altro nel palazzo, Di tanto in tanto sento salire e scendere la scala, ma è gente di fuori, che viene solo a dormire, E i miei genitori, Ti ho già detto che non ne so niente, E suo marito, e suo figlio, e sua nuora, Hanno portato via anche loro, E lei no, perché, Perché mi ero nascosta, Dove, Pensa, a casa tua, Com’è riuscita a entrare, Dal retro, dalla scala di sicurezza, ho rotto un vetro e ho aperto la porta dall’interno, la chiave era nella serratura, E come ha potuto, da allora, vivere da sola a casa sua, domandò la moglie del medico, Chi altri c’è, sussultò la vecchia girando la testa, è una mia amica, fa parte del mio gruppo, disse la ragazza dagli occhiali scuri, E poi non è solo il problema di star da sola, ma il cibo, come ce l’ha fatta a procurarselo durante tutto questo tempo, insistette la moglie del medico, Non sono mica stupida, io, mi regolo man mano, Se non vuole, non lo dica, era solo una curiosità, Sì, sì, ve lo dico, per prima cosa sono andata in tutte le case del palazzo a recuperare il cibo che c’era, quello che andava a male l’ho mangiato subito, l’altro l’ho conservato, Ne ha ancora un po’, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, No, ormai è finito, rispose la vecchia con improvvisa espressione di diffidenza negli occhi ciechi, un modo di dire che capita sempre di usare in queste situazioni, ma che in realtà non è affatto preciso, perché gli occhi, gli occhi propriamente detti, non hanno alcuna espressione, neanche se li hanno strappati, sono due biglie che restano lì inerti, sono le palpebre, le ciglia, e anche le sopracciglia che devono farsi carico delle diverse eloquenze e retoriche visive, la fama però ce l’hanno gli occhi, E allora, di cosa vive adesso, domandò la moglie del medico, La morte è per le strade, ma nei giardini la vita non è finita, disse la vecchia misteriosamente, Cosa vuol dire, Nei giardini ci sono cavoli, ci sono conigli, ci sono galline, ci sono anche fiori, ma questi non si possono mangiare, E come fa, Come capita, una volta mi prendo dei cavoli, altre volte ammazzo un coniglio o una gallina, Crudi, All’inizio accendevo un fuocherello, poi mi sono abituata alla carne cruda, e i torsoli dei cavoli sono dolci, stia tranquilla che di fame non morirà la figlia di mia madre. Indietreggiò due passi, quasi scomparve nel buio dell’appartamento, soltanto gli occhi bianchi brillavano, e poi disse, Se vuoi andare a casa tua, entra, ti faccio passare. La ragazza dagli occhiali scuri stava per dire no, grazie mille, non vale la pena, a che scopo se i miei genitori non ci sono, ma improvvisamente sentì il desiderio di vedere la sua camera, vedere la mia camera, che stupidaggine, se sono cieca, sfiorare almeno con le mani le pareti, il copriletto, il cuscino su cui riposava la mia folle testa, i mobili, forse sul comò c’è ancora il vaso di fio ri di cui si ricordava, se la vecchia non l’ha buttato per terra, per la rabbia di non poterseli mangiare. Disse, Allora, se permette, approfitto dell’offerta, è molto gentile da parte sua, Entra, entra, ma sai già che cibo non ne troverai, e quello che ho è poco anche per me, inoltre a te non serve, non deve piacerti la carne cruda, Non si preoccupi, noi abbiamo da mangiare, Ah, ce l’avete, in tal caso, per contraccambiare il favore, lasciatemene un po’, Glielo lasceremo, stia tranquilla, disse la moglie del medico. Avevano già superato il corridoio, il fetore era divenuto insopportabile. Nella cucina, male illuminata dalla scarsa luce esterna, c’erano pelli di coniglio per terra, piume di gallina, ossa, e sul tavolo, in un piatto sporco di sangue rappreso, pezzi di carne irriconoscibili, come se fossero stati masticati più volte, E i conigli, e le galline, cosa mangiano, domandò la moglie del medico, Cavoli, erba, avanzi, disse la vecchia, Avanzi, di cosa, Di tutto, perfino di carne, Non mi dica che le galline e i conigli mangiano carne, I conigli non ancora, ma le galline ne vanno matte, gli animali sono come le persone, finiscono per abituarsi a tutto. La vecchia si muoveva con sicurezza, senza inciampare, scostò una sedia dal cammino come se la vedesse, poi indicò la porta che dava sulla scala di sicurezza, Per di lì, state attente, non scivolate, il corrimano non è molto saldo, E la porta, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, La porta basta spingerla, la chiave ce l’ho io, dev’essere lì, è mia, stava per dire la ragazza, ma nello stesso istante pensò che la chiave non le sarebbe servita a niente se i genitori, o chi per loro, avessero portato via le altre, quelle della porta principale, non poteva mica star lì a chiedere alla vicina di lasciarla passare ogni volta che avesse voluto entrare e uscire. Sentì una leggera stretta al cuore, forse perché stava per entrare a casa sua, o forse perché sapeva che i genitori non ci sarebbero stati, o chissà perché altro.
La cucina era pulita e ordinata, la polvere sui mobili non era eccessiva, altro vantaggio del tempo piovoso, oltre a quello di aver fatto crescere cavoli ed erba, infatti i giardini, visti dall’alto, erano parsi alla moglie del medico delle foreste in miniatura, E i conigli, saranno in libertà, si domandò, sicuramente no, probabilmente continuavano a vivere nelle conigliere, in attesa di quella mano cieca che dopo aver loro portato le foglie di lattuga li avrebbe afferrati per le orecchie e tirati fuori sgambettanti, mentre l’altra mano prepara il colpo cieco che gli sconocchierà le vertebre all’altezza del cranio. La memoria della ragazza dagli occhiali scuri l’aveva condotta qua e là dentro l’appartamento, come la vecchia del piano di sotto anche lei non inciampò né esitò, il letto dei genitori era disfatto, dovevano esser venuti a prenderli all’alba, si sedette lì a piangere, la moglie del medico andò a sedersi accanto a lei, le disse, Non piangere, quali altre parole si possono dire, che senso hanno le lacrime quando il mondo ha perduto ogni senso. Nella camera della ragazza, sul comò, c’era un vaso di vetro con un mazzo di fiori ormai secchi, l’acqua era evaporata, fu lì che le mani cieche si diressero, le dita sfiorarono i petali morti, com’è fragile la vita, se la si abbandona. La moglie del medico aprì la finestra, guardò fuori per la strada, erano tutti là, seduti per terra, in paziente attesa, il cane delle lacrime fu l’unico ad alzare la testa, avvisato dall’udito finissimo. Il cielo, di nuovo coperto, cominciava a scurirsi, stava giungendo la notte. Pensò che non avrebbero avuto bisogno di andare in cerca di un rifugio dove dormire, si sarebbero fermati qui, Alla vecchia non piacerà che le passiamo tutti per casa, mormorò. In quel momento la ragazza dagli occhiali scuri, toccando le la spalla, diceva, Le chiavi erano infilate nella serratura, non le hanno portate via. La difficoltà, ammesso che lo fosse, era quindi risolta, non avrebbero dovuto sopportare il malumore della vecchia del primo piano, Scendo a chiamarli, fra poco sarà buio, che bello, almeno per oggi possiamo dormire in una casa, sotto un tetto, disse la moglie del medico, Voi prenderete il letto dei miei genitori, Poi vedremo, Qui comando io, sono a casa mia, Hai ragione, come vuoi, la moglie del medico abbracciò la ragazza, poi scese giù a prendere la compagnia. Su per le scale, parlando animatamente, ogni tanto inciampando sui gradini malgrado la guida avesse detto, Sono dieci per ogni rampa, sembrava venissero in visita. Il cane delle lacrime li seguiva tranquillamente, come se fosse cosa di tutti i giorni. Sul pianerottolo, la ragazza dagli occhiali scuri guardava in basso, come si fa quando sale qualcuno, sia per sapere di chi si tratta, se non è gente conosciuta, sia per accogliere festosamente a parole, se sono amici, in questo caso non c’era bisogno di avere occhi per sapere chi stava arrivando, Entrate, entrate, accomodatevi. La vecchia del primo piano era comparsa a sbirciare alla porta, ha creduto che il trambusto fosse dovuto a una di quelle bande che compaiono per passare la notte, e in questo non si sbagliava, domandò, Chi c’è, e la ragazza dagli occhiali scuri rispose da sopra, è il mio gruppo, la vecchia si confuse, Com’era riuscita ad arrivare al pianerottolo, ma lo capì immediatamente e si irritò con se stessa per non essersi ricordata di cercare e recuperare le chiavi delle porte principali, era come se stesse perdendo i diritti di proprietà di un palazzo del quale, ormai da mesi, era l’unica abitante. Non trovò modo migliore di compensare la repentina frustrazione che dire, aprendo la porta, Guardate che dovete darmi qualcosa da mangiare, non ve ne dimenticate. E siccome non le risposero né la moglie del medico né la ragazza dagli occhiali scuri, l’una occupata a guidare il gruppo in arrivo, l’altra ad accoglierlo, gridò acida, Avete sentito, e fe ce malissimo, perché il cane delle lacrime, che in quel preciso istante le passava davanti, attaccò ad abbaiarle contro furiosamente, la vecchia cacciò un urlo spaventata e s’infilò precipitosamente in casa, sbattendo la porta, Chi è quella strega, domandò il vecchio dalla benda nera, sono cose che si dicono quando non sappiamo avere occhi per guardare noi stessi, ci avesse vissuto lui come ha vissuto lei, e vorremmo vedere quanto gli durerebbero le maniere civili.
Non c’era altro cibo all’infuori di quello che avevano portato nei sacchetti, l’acqua dovevano risparmiarla fino all’ultima goccia, e quanto all’illuminazione, fu una bella fortuna che avessero trovato due candele nella dispensa della cucina, messe via per sopperire a occasionali mancanze di energia e che la moglie del medico accese a proprio beneficio, gli altri non ne avevano bisogno, avevano già una luce dentro la testa, talmente forte da averli accecati. Non avevano i compagni che questo poco, eppure finì per essere una festa di famiglia, una di quelle feste, rare, dove quel che possiede ciascuno è di tutti. Prima di sedersi a tavola, la ragazza dagli occhiali scuri e la moglie del medico scesero al piano di sotto per adempiere alla promessa, o forse sarebbe più esatto dire per soddisfare la richiesta, di pagare col cibo il passaggio per quella dogana. La vecchia li accolse lagnosa, imbronciata, quel maledetto cane che solo per un miracolo non l’aveva divorata, Dovete avere cibo in abbondanza per poter mantenere una belva del genere, insinuò, come se si aspettasse, tramite quell’osservazione recriminatoria, di suscitare nel le due emissarie qualcosa che definiremmo rimorsi di coscienza, veramente, si sarebbero dette, non sarebbe umano lasciar morire di fame una povera vecchia mentre un bruto animale si nutre a crepapelle. Ma le due donne non tornarono di certo indietro per andare a prendere dell’altro cibo, quanto le avevano portato era già una porzione generosa, tenendo conto delle difficoltà della vita di oggigiorno, e, inaspettatamente, fu così che l’intese la vecchia del piano di sotto, in fin dei conti meno malvagia di quanto sembrava, che rientrò a prendere le chiavi del retro di casa, dicendo poi alla ragazza dagli occhiali scuri, Prendi, è la tua chiave, e come se non bastasse, nel chiudere la porta, aggiunse mormorando, Grazie mille. Le due donne risalirono meravigliate, in definitiva quella strega dei sentimenti ce li aveva, Non era cattiva, è che il fatto di esser rimasta sola deve averla mandata fuori di testa, commentò la ragazza dagli occhiali scuri senza pensare a ciò che diceva. La moglie del medico non rispose, decise di rinviare la conversazione, e solo quando tutti gli altri erano ormai coricati, e alcuni addormentati, tutte e due sedute in cucina come madre e figlia a riprendere le forze per completare le faccende di casa, la moglie del medico le domandò, E tu, cosa farai adesso, Niente, resto qui ad aspettare che tornino i miei genitori, Da sola e cieca, Alla cecità mi sono abituata, E alla solitudine, Dovrò abituarmi, anche la vicina del piano di sotto vive da sola, Vuoi forse diventare come lei, cibarti di cavoli e carne cruda finché dureranno, nei palazzi qui intorno sembra che non abiti più nessuno, finirete tutte e due con l’odiarvi per paura che il cibo finisca, ogni torsolo trovato lo ruberete alla bocca dell’altra, tu non hai visto quella povera donna, della casa hai sentito soltanto l’odore, ma ti dico che neanche il posto dove vivevamo era così ripugnante, Prima o poi saremo tutti come lei, e poi sarà finita, non ci sarà altra vita, Per il momento siamo ancora vivi, Ascolta, tu sai molte più cose di me, al tuo confronto io sono soltanto una povera ignorante, ma penso che siamo già morti, siamo ciechi perché siamo morti, oppure, se preferisci che te lo dica diversamente, siamo morti perché siamo ciechi, il risultato è lo stesso, Io ci vedo ancora, Fortunatamente per te, fortunatamente per tuo marito, per me, per gli altri, ma non sai se continuerai a vedere, qualora diventassi cieca saresti uguale a noi, finiremo tutti come la vicina di sotto, Oggi è oggi, domani è un altro giorno, e io la responsabilità ce l’ho oggi, non domani, se sarò cieca, Responsabilità di cosa, La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno perduti, Non puoi guidare o dare da mangiare a tutti i ciechi del mondo, Dovrei, Ma non puoi, Aiuterò per quanto sarà nel le mie possibilità, So bene che lo farai, se non fosse per te forse non sarei più viva, E adesso non voglio che tu muoia, Devo restare, è un mio obbligo, questa è la mia casa, voglio che i miei genitori mi trovino qui se torneranno, Se torneranno, l’hai detto tu stessa, e resta da sapere se saranno ancora i tuoi genitori, Non capisco, Hai detto che la vicina di sotto era una brava persona, Poverina, Poverini i tuoi genitori, poverina te, quando vi incontrerete, ciechi negli occhi e ciechi nei sentimenti, perché i sentimenti con i quali abbiamo vissuto e che ci hanno fatto vivere come eravamo sono nati perché avevamo gli occhi, senza di essi i sentimenti si trasformeranno, non sappiamo come, non sappiamo in quali, tu dici che siamo morti perché siamo ciechi, dunque, Tu ami tuo marito, Sì, quanto me stessa, ma se diventassi cieca, se dopo esserlo diventata non fossi più quella di prima, chi sarei per poter continuare ad amarlo, e di che amore,
Anche prima, quando vedevamo, c’erano i ciechi, In confronto, pochi, i normali sentimenti erano quelli di chi vedeva, quindi i ciechi si regolavano sui sentimenti degli altri, non da cie chi quali erano, adesso, invece, stanno venendo fuori gli autentici sentimenti dei ciechi, e siamo appena all’inizio, stiamo ancora vivendo del ricordo di ciò che sentivamo, non hai bisogno degli occhi per sapere com’è la vita oggi, se mi avessero detto che un giorno avrei ammazzato l’avrei presa per un’offesa, eppure ho ammazzato, Allora, cosa vuoi che faccia, Vieni con me, vieni a casa nostra, E loro, Ciò che vale per te vale per loro, ma è soprattutto a te che voglio bene, Perché, Me lo domando anch’io il perché, forse perché per me sei diventata come una sorella, forse perché mio marito è stato a letto con te, Perdonami, Non è un delitto per cui serva il perdono, Ti succhieremo il sangue, saremo come dei parassiti, Non ne mancavano neppure quando vedevamo, e quanto al sangue, a qualcosa dovrà pur servire, oltre che a mantenere il corpo che lo trasporta, e adesso andiamo a dormire, domani è un’altra vita.
 Un’altra vita, o la stessa. Il ragazzino strabico, quando si svegliò, volle andare al gabinetto, aveva la diarrea, debole com’era qualcosa gli aveva fatto male, ma ci si accorse subito che non era possibile entrarci, a quanto pare la vecchia del piano di sotto si era servita a turno di tutti i gabinetti del palazzo fino a non poterli più usare, solo per una straordinaria coincidenza nessuno dei sette, ieri, prima di andare a coricarsi, ha avuto bisogno di soddisfare le urgenze del bassoventre, altrimenti già lo sapremmo. Adesso le sentivano tutti, e più di tutti il povero ragazzo che non riusciva più a trattenersi, in effetti, per quanto ci costi ammetterlo, an che queste sporche realtà della vita vanno considerate in un racconto, con le budella in pace chiunque può avere delle idee, discutere, per esempio, se esista un rapporto diretto fra gli occhi e i sentimenti, o se il senso di responsabilità sia la naturale conseguenza di una buona visione, ma quando la tortura incalza, quando il corpo ci fa impazzire di dolore e angoscia, allora sì, si vede che povero animale siamo. Il giardino, esclamò la moglie del medico, e aveva ragione, se non fosse così presto ci troveremmo anche la vicina del piano di sotto, è ora di smetterla di chiamarla vecchia, come abbiamo fatto in senso peggiorativo, sarebbe già lì, dicevamo, accovacciata, circondata dalle galline, e perché, chi ha domandato il perché sicuramente non sa come sono le galline. Comprimendosi la pancia, sostenuto dalla moglie del medico, il ragazzino strabico scese le scale ansiosamente, è già tanto se è riuscito a tenersela fin qui, poverino, di più non gli si chieda, agli ultimi gradini lo sfintere aveva ormai rinunciato a resistere alla pressione interna, immaginatevi le conseguenze. Gli altri cinque, intanto, stavano scendendo come potevano giù per la scala di sicurezza, una definizione azzeccata, se ancora era rimasto loro un po’ di pudore dopo il periodo passato in quarantena, era ora di perderlo. Sparpagliati per il giardino, gemendo per lo sforzo, soffrendo per un residuo di inutile vergogna, fecero quel che andava fatto, anche la moglie del medico, ma lei, guardandoli, piangeva, piangeva per tutti loro, che pare non possano più fare neanche questo, piangere, suo marito, il primo cieco e la moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio dalla benda nera, questo ragazzo, li vedeva accoccolati sull’erba, fra gli steli nodosi dei cavoli, con le galline lì a sbirciare, era sceso anche il cane delle lacrime, uno in più. Si pulirono alla meglio, poco e male, chi con manciate d’erba, chi con cocci di mattone, dove il braccio era riuscito ad arrivare, in qualche caso fu peggiore il rimedio. Risalirono per la scala di sicurezza in silenzio, la vicina del primo piano non comparì a domandare chi erano, da dove venivano, dove andavano, magari stava ancora dormendo dopo aver ben digerito la cena, e, quando entrarono in casa, prima non seppero di cosa parlare, poi la ragazza dagli occhiali scuri disse che non potevano restare in quello stato, la verità è che acqua per lavarsi non ce n’era, peccato non stesse piovendo a dirotto, come ieri, sarebbero usciti di nuovo nel giardino, ma adesso nudi e senza vergognarsi, avrebbero accolto sul capo e sulle spalle l’acqua generosa del cielo, l’avrebbero sentita scivolare giù lungo la schiena e sul petto, fra le gambe, avrebbero potuto raccoglierla con le mani finalmente pulite e, con quella coppa, darla da bere a un assetato, non importava chi fosse, magari le labbra avrebbero sfiorato leggermente la pelle prima di trovare l’acqua e, vista la gran sete, ansiosamente avrebbero raccolto nella concavità le ultime gocce, così risvegliando, chissà, un’altra secchezza. Alla ragazza dagli occhiali scuri, come altre volte si è osservato, quel che la rovina è l’immaginazione, guarda cosa doveva pensare in una situazione del genere, tragica, grottesca, disperata. Malgrado tutto, non le manca un certo senso pratico, prova ne fu che andò ad aprire l’armadio della sua camera, poi quello dei genitori, e rientrò con un bel po’ di asciugamani e lenzuola, Pu liamoci con questi, disse, è meglio di niente, e indubbiamente fu una buona idea, quando si sedettero per mangiare si sentivano altri.
Seduti a tavola, la moglie del medico espose il proprio pensiero, è giunto il momento di decidere cosa dobbiamo fare, sono convinta che tutti quanti siano ciechi, almeno come tali si comportavano le persone che ho visto fino a ora, non c’è acqua, non c’è elettricità, non ci sono rifornimenti di alcun tipo, ci ritroviamo nel caos, il vero caos dev’essere questo, Ci sarà pure un governo, disse il primo cieco, Non credo, ma, nel caso ci fosse, sarebbe un governo di ciechi che vogliono governare dei ciechi, e cioè, il nulla che pretende di organizzare il nulla, Allora non c’è futuro, disse il vecchio dalla benda nera, Non so se ci sarà futuro, ma adesso si tratta di sapere come potremo vivere in questo presente, Senza futuro il presente non serve, è come se non esistesse, Può darsi che l’umanità riesca a vivere senza occhi, ma allora non sarà più umanità, il risultato è evidente, chi di noi si considera ancora altrettanto umano di quanto credeva di essere prima, io per esempio ho ammazzato un uomo, Hai ammazzato un uomo, si meravigliò il primo cieco, Sì, quello che comandava nell’altra camerata, gli ho conficcato le forbici in gola, Hai ammazzato per vendicarci, a vendicare le donne doveva essere una donna, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e se la vendetta è giusta, è cosa umana, se la vittima non avesse un diritto sul carnefice, allora non ci sarebbe giustizia, Né umanità, aggiunse la moglie del primo cieco, Torniamo al punto, disse la moglie del medico, se rimaniamo insieme forse riusciremo a sopravvivere, se ci separiamo saremo inghiottiti dalla massa e distrutti, Hai detto che ci sono gruppi di ciechi organizzati, osservò il medico, ciò significa che si stanno inventando nuove maniere di vivere, non è detto che finiremo distrutti, come prevedi, Non so fino a qual punto siano realmente organizzati, li vedo solo aggirarsi in cerca di un po di cibo e di un posto dove dormire, niente di più, Siamo regrediti all’orda primitiva, disse il vecchio dalla benda nera, con la differenza che non siamo più qualche migliaio di uomini e donne in una natura immensa e intatta, ma migliaia di milioni in un mondo spolpato ed esaurito, E cieco, aggiun se la moglie del medico, quando comincerà a farsi difficile trovare acqua e cibo, sicuramente questi gruppi si disgregheranno, ognuno penserà di poter sopravvivere meglio da solo, non dovrà spartire con altri, qualsiasi cosa potrà arraffare sarà sua, e di nessun altro, I gruppi già esistenti avranno pure dei capi, qualcuno che comandi e organizzi, ricordò il primo cieco, Forse, ma in tal caso chi comanda è altrettanto cieco di chi viene comandato, Tu non sei cieca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, perciò sei stata tu a comandare e organizzare, Io non comando, organizzo ciò che posso, sono unicamente gli occhi che voi non avete più, Una specie di capo naturale, un re dotato di occhi in una terra di ciechi, disse il vecchio dalla benda nera, Se è così, allora lasciatevi guidare dai miei occhi fintanto che dureranno, e perciò propongo che, invece di disperderci, la ragazza in questa casa, voi nella vostra, tu nella tua, continuiamo a vivere insieme, Possiamo restare qui, disse la ragazza dagli occhiali scuri, La nostra casa è più grande, Supponendo che non sia occupata, rammentò la moglie del primo cieco, Quando ci arriveremo lo sapremo, e casomai ritorneremo qui, o potremmo andare a vedere la vostra, o la tua, aggiunse rivolgendosi al vecchio dalla benda nera, e lui rispose, Io non ho casa, vivevo da solo in una camera, Non hai famiglia, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Nessuno, Né moglie, né figli, né fratelli, Nessuno, Se i miei genitori non torneranno, anch’io sarò sola come te, Io sto con te, disse il ragazzino strabico, ma non aggiunse, Se mia madre non tornerà, non ha posto questa condizione, strano comportamento, o forse mica tanto strano, i giovani si adattano rapidamente, hanno tutta la vita davanti. Cosa decidete, domandò la moglie del medico, Vengo con voi, disse la ragazza dagli occhiali scuri, ti chiedo solo di accompagnarmi qui almeno una volta alla settimana, nel caso i miei genitori tornassero, Lascia le chiavi alla vicina di sotto, Non c’è altro da fare, non potrà portarsi via più di quanto abbia già fatto, Distruggerà tutto, Dopo questa mia visita, forse no, Anche noi veniamo con voi, disse il primo cieco, vorremmo solo, il più presto possibile, passare da casa nostra per sapere cosa è accaduto, Ci passeremo, è chiaro, Dalla mia non vale la pena, vi ho già detto cos’era, Ma verrai con noi, Sì, a una condizione, a prima vista potrebbe sembrare scandaloso che qualcuno anteponga condizioni a un favore che gli si vuole fare, ma certi vecchi sono così, tanto più orgogliosi quanto meno tempo hanno davanti, Qual è la condizione, domandò il medico, Quando comincerò a diventare un peso insopportabile, vi chiedo di dirmelo, e se, per amicizia o compassione, deciderete di tacere, spero di avere ancora abbastanza giudizio in testa per fare ciò che devo, E cosa sarebbe, si può sapere, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Ritirarmi, allontanarmi, scomparire, come facevano un tempo gli elefanti, ho sentito dire che negli ultimi tempi non era più così, nessun elefante riusciva a invecchiare, Tu non sei esattamente un elefante, Esattamente non sono più neppure un uomo, Soprattutto se cominci a dare risposte da bambino, ribatté la ragazza dagli occhiali scuri, e la discussione finì qui.
I sacchetti di plastica sono molto più leggeri di com’erano all’arrivo, non c’è da stupirsi, ci ha mangiato anche la vicina del primo piano, per ben due volte, la prima ieri sera, e oggi le hanno lasciato ancora qualcosa quando le hanno chiesto di tenere le chiavi e custodirle fino alla comparsa dei loro legittimi proprietari, tanto per addolcirle la bocca, che siamo già sufficientemente edotti sul suo carattere, per non parlare poi del cane delle lacrime, ha mangiato anche lui, so lo un cuore di pietra sarebbe stato capace di fingersi indifferente davanti a quegli occhi supplici, ma, a proposito, dove si è ficcato il cane, in casa non c’è, dalla porta non è uscito, può essere soltanto nel giardino, andò la moglie del medico ad accertarsene, e infatti era così, il cane delle lacrime stava divorando una gallina, l’attacco era stato talmente rapido che quella non ebbe neppure il tempo di lanciare un segnale d’allarme, ma se la vecchia del primo piano avesse gli occhi e le galline contate, non si sa che fine farebbero le chiavi, per la rabbia. Tra la consapevolezza di aver commesso un delitto e la percezione che l’umana creatura da lui protetta se ne stava andando via, il cane delle lacrime ebbe solo un attimo di esitazione, si mise immediatamente a scavare nel terreno molle, e prima che la vecchia del primo piano spuntasse sul pianerottolo della scala di si curezza fiutando la fonte dei rumori che le stavano entrando in casa, la carcassa della gallina era già sotterrata, celato il crimine, rinviato ad altra occasione il rimorso. Il cane delle lacrime se la svignò su per la scala, sfiorò per un soffio le sottane della vecchia, che non si accorse neppure del pericolo appena scampato, e andò a piazzarsi accanto alla moglie del medico, dove annunciò ai venti l’impresa compiuta. La vecchia del primo piano, sentendo abbaiare con tale ferocia, temette, ma noi sappiamo quanto tardi, troppo, per la sicurezza della dispensa, e si mise a gridare al lungando il collo verso l’alto, Quel cane deve stare legato, finisce che mi ammazza una gallina, Stia tranquilla, rispose la moglie del medico, il cane non ha fame, ha già mangiato, e adesso ce ne stiamo andando, Adesso, ripeté la vecchia con una sorta di spossatezza nella voce che sembrava pena, era come se volesse farsi intendere in modo ben diverso, per esempio, Mi lasciate qui da sola, ma non aggiunse una parola di più, solo quell’Adesso che non chiedeva neppure risposta, anche i duri di cuore provano qualche di spiacere, e quello di questa donna fu tale che poi non volle aprire la porta per salutare quegli sventurati ai quali aveva concesso libero passaggio per casa sua. Li sentì scendere la scala, si parlavano, dicevano, Attenzione, non inciampare, Mettimi la mano sulla spalla, Tieniti al corrimano, sono parole di sempre, ma adesso, in questo mondo di ciechi, più comuni, quel che le parve strano fu sentire una delle donne dire, Qui è talmente buio che non riesco a vedere, che la cecità di questa donna non fosse bianca era già, di per sé, sorprendente, ma che lei non potesse vedere perché era buio, cosa mai poteva significare. Voleva pensare, si sforzò, ma la testa svanita non le diede alcun aiuto, poco dopo stava dicendo fra sé e sé, Avrò sentito male, dev’essere così. Per la strada, la moglie del medico si ricordò di quel che aveva detto, doveva stare più attenta alle parole, muoversi come chi abbia gli occhi, poteva farlo, Ma le parole devono essere da cieca, pensò.
Riuniti sul marciapiede, dispose i compagni in due file di tre, nella prima mise il marito e la ragazza dagli occhiali scuri, con il ragazzino strabico in mezzo, nella seconda fila il vecchio dalla benda nera e il primo cieco, uno per lato dell’altra donna. Voleva averli tutti vicini, non nella solita e fragile fila indiana che poteva rompersi in qualunque momento, bastava che via facendo s’incrociassero con un gruppo più numeroso o più brusco e sarebbe successo come in mare, un piroscafo che tronca in due una feluca che gli si è messa davanti, sono ben note le conseguenze di simili incidenti, naufragio, rottami, gente annegata, inutili grida di aiuto nella vastità, e il piroscafo è già lontano, non si è neppure accorto dell’investimento, così sarebbe capitato a questi qui, un cieco qui, uno là, sperduti nelle disordinate correnti degli altri ciechi, come le onde del mare che non si trattengono e non sanno dove vanno, e la moglie del medico lì, senza sapere neppure lei chi soccorrere per primo, acchiappando il marito, forse il ragazzino strabico, ma perdendo la ragazza dagli occhiali scuri, gli altri due, il vecchio dalla benda nera ormai lontanissimo, diretto al cimitero degli elefanti. Ma eccola lì, sta passando intorno a tutti loro e poi a se stessa una corda fatta intrecciando strisce di stoffa mentre gli altri dormivano, Non vi ci afferrate, disse, invece sì, afferratela con tutta la forza che avete, non lasciatela in nessun caso, qualsiasi cosa accada. Non dovevano camminare troppo vicini per non inciampare fra di loro, ma avrebbero dovuto sentire la prossimità dei propri vicini, se possibile il contatto, soltanto uno di loro non aveva bisogno di preoccuparsi di questi nuovi problemi tattici di avanzamento sul terreno, ed era il ragazzino strabico, che procedeva in mezzo, protetto da tutti i lati. A nessuno dei nostri ciechi è venuto in mente di domandare in che modo navigano gli altri gruppi, se camminano anch’essi così legati, con lo stesso o con altri sistemi, ma la risposta sarebbe facile, a quel che si è potuto osservare i gruppi, salvo il caso di qualcuno più coeso per motivi intrinseci e che noi non conosciamo, generalmente continuano a perdere e ad acquistare aderenti nel corso del la giornata, c’è sempre un cieco che si disorienta e si perde, un altro che viene acchiappato per forza di gravità e viene trascinato, può darsi che lo accettino, può darsi che lo caccino, dipende da quel che porta con sé. La vecchia del primo piano ha aperto lentamente la finestra, non vuole si sappia di questa sua debolezza sentimentale, ma dalla strada non sale nessun brusio, se ne sono già andati, hanno lasciato questo posto dove non passa quasi nessuno, la vecchia dovrebbe essere contenta, così non dovrà dividere con altri le sue galline e i suoi conigli, dovrebbe esserlo, ma non lo è, dagli occhi ciechi le spuntano due lacrime, per la prima volta si è domandata se avesse una ragione per continuare a vivere. Non ha trovato risposta, le risposte non vengono ogniqualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il rimanere semplicemente ad aspettarle sia l’unica risposta possibile.
Dalla strada che avevano preso sarebbero passati a due isolati dalla casa dove il vecchio dalla benda nera aveva la sua camera da uomo solo, ma avevano già deciso di proseguire, cibo là non ce n’è, di vestiti non ha bisogno, i libri non può leggerli. Le strade sono piene di ciechi che vanno a caccia di cibo. Entrano ed escono dai negozi, a mani vuote ci entrano, a mani vuote ne escono quasi sempre, poi discutono fra loro la necessità o il vantaggio di lasciare questo quartiere e andare a racimolare qualcosa in altre parti della città, il grande problema è che, così come stanno le cose, senza acqua corrente, senza energia elettrica, con le bombole di gas vuote, e per giunta con il pericolo di accendere fuochi dentro casa, non si può cucinare, supponendo che sapessimo dove andare a rimediare il sale, l’olio, i condimenti, nell’ipotesi di voler preparare una pietanza con qualche traccia di sapori all’antica, perché se si trattasse di verdure basterebbe una sbollentata e ci riterremmo soddisfatti, come del resto per la carne, oltre che i conigli e le galline di sempre, serviremmo i cani e i gatti che eventualmente si facessero acchiappare, ma, siccome l’esperienza è veramente maestra di vita, perfino questi animali, prima domestici, hanno imparato a diffidare delle carezze, adesso cacciano in gruppo e in gruppo si difendono dai cacciatori, e siccome grazie a Dio hanno ancora gli occhi, sanno meglio come sgattaiolare, e attaccare, se è necessario. Tutte queste circostanze e ragioni hanno portato a concluderne che gli alimenti migliori per gli esseri umani sono quelli inscatolati, non solo perché in molti casi sono già cotti, pronti per essere consumati, ma anche per la facilità del trasporto e la comodità dell’utilizzo. è vero che in tutte le lattine, vasetti e scatolami vari che contengono questo tipo di alimenti è menzionata la data dopo la quale il consumo non è più conveniente, se non addirittura, in certi casi, pericoloso, ma la saggezza popolare non ha tardato a mettere in circolazione un detto in un certo senso irrefutabile, simmetrico di quell’altro che ora non si usa più, occhio non vede cuore non duole, si diceva, adesso l’occhio che non vede gode di uno stomaco insensibile, perciò si mangiano un mucchio di schifezze. In testa al gruppo, la moglie del medico fa mentalmente il bilancio del cibo che hanno ancora, al massimo basterà per un pasto, senza contare il cane, ma che lui se la sbrighi coi propri mezzi, quelli che tanto bene gli son serviti per acchiappare la gallina per il collo e spezzarle la voce e la vita. Ha in casa, se ben rammenta, e se non è entrato nessuno, una discreta quantità di scatolame, giusto per una coppia, ma qui sono in sette a mangiare, la riserva durerà poco, anche se si adotta un rigido razionamento di base. Domani, uno di questi giorni, dovrà tornare al magazzino sotterraneo del supermercato, dovrà decidere se andarci da sola o chiedere al marito di accompagnarla, o al primo cieco, che è più giovane e più agile, la scelta è fra la possibilità di recuperare una maggior quantità di cibo e la rapidità dell’azione, ivi comprese, da non dimenticare, le condizioni della ritirata. La spazzatura per le strade, che da ieri sembra raddoppiata, gli escrementi umani, mezzi liquefatti dalla pioggia violenta di ieri o di prima, pastosi o diarroici quelli che stanno eliminando mentre passiamo questi uomini e queste donne, saturano di fetore l’atmosfera, come una nebbia densa attraverso cui è possibile avanzare solo con grande sforzo. In una piazza circondata da alberi, con una statua al centro, una muta di cani divora un uomo. Dovrebbe essere morto da poco, le membra non sono rigide, lo si nota quando i cani lo scuotono per strappare dall’osso la carne afferrata coi denti. Un corvo saltella qua e là in cerca di un varco per avvicinarsi anche lui al manicaretto. La moglie del medico ha sviato lo sguardo, ma era troppo tardi, il vomito le è salito ir refrenabile dalle viscere, due, tre volte, come se il suo stesso corpo, ancora vivo, fosse scosso da altri cani, la muta della disperazione assoluta, sono arrivato qui, qui voglio morire. Il marito domandò, Cos’hai, gli altri, uniti dalla corda, si strinsero di più, d’improvviso spaventati, Cos’è successo, Ti ha fatto male il cibo, Qualche cosa che era andata a male, Io non sento niente, Neanche io. Meglio per loro, potevano sentire soltanto l’agitazione delle bestie, un repentino e insolito gracchiare di corvo, nella confusione uno dei cani gli aveva morso un’ala, di sfuggita, senza cattive intenzioni, allora la moglie del medico disse, Non l’ho potuto evitare, scusatemi, ma qui ci sono dei cani che ne stanno mangiando un altro, Stanno mangiando il nostro cane, domandò il ragazzino strabico, No, il nostro, come dici tu, è vivo, gli sta girando intorno, ma non si avvicina, Dopo la gallina che ha mangiato, non dovrà avere molta fame, disse il primo cieco, Stai un po’ meglio, domandò il medico, Sì, sì, andiamocene via, E il nostro cane, domandò di nuovo il ragazzino strabico, Il cane non è nostro, è soltanto venuto con noi, probabilmente adesso si fermerà con questi, forse già prima era insieme a loro, ha ritrovato gli amici, Voglio fare la cacca, Qui, Non sto tanto bene, mi fa male la pancia, si lagnò il ragazzo. Si scaricò lì stesso, come gli fu possibile, la moglie del medico vomitò ancora una volta, ma le sue ragioni erano diverse. Attraversarono poi l’ampia piazza, e quando arrivarono sotto l’ombra degli alberi, la moglie del medico si guardò indietro. Erano comparsi altri cani, c’era già una disputa su quanto ne restava del corpo. Stava arrivando il cane delle lacrime, col muso rasente al suolo come se stesse seguendo una pista, questione di abitudine, perché stavolta il semplice sguardo bastava per ritrovare colei che cercava.
La camminata continua, la casa del vecchio dalla benda nera ormai è laggiù, adesso procedono in un ampio viale, con alti e lussuosi edifici da un lato e dall’altro. Le automobili, qui, sono costose, grandi e comode, perciò si vedono tanti ciechi che vi dormono dentro, e, a giudicare dalle apparenze, un’enorme limousine è stata addirittura trasformata in residenza fissa, probabilmente perché è più facile ritornare a una macchina che a una casa, i suoi occupanti faranno esattamente come si faceva in quarantena per ritrovare il letto, procedere palpeggiando e contando le automobili partendo dall’angolo, ventisette, lato sinistro, eccomi a casa. L’edificio davanti alla cui porta si trova la limousine è una banca. La macchina ha portato il presidente del consiglio di amministrazione alla settimanale riunione plenaria, la prima che si teneva da quando si era annunciata l’epidemia di mal bianco, e non c’è stato il tempo di portarla nel garage sotterraneo, dove avrebbe atteso la fine delle discussioni. L’autista è diventato cieco mentre il presidente stava per entrare nell’edificio, dalla porta principale, come piaceva a lui, ha lanciato un grido, stiamo parlando dell’autista, ma lui, stiamo parlando del presidente, non lo ha sentito. La riunione, peraltro, non sarebbe poi stata tanto plenaria quanto lasciava presumere la sua definizione, negli ultimi giorni erano diventati ciechi vari membri del consiglio. Il presidente non è arrivato neppure ad aprire la seduta, il cui ordine del giorno prevedeva giustappunto la discussione e i provvedimenti da adottare nel caso finissero per diventare ciechi tutti i membri del consiglio di amministrazione effettivi e supplenti, e non è riuscito neanche a entrare nella sala delle riunioni perché, mentre l’ascensore lo portava al quindicesimo piano, esattamente fra il nono e il decimo, è mancata la corrente elettrica, per non tornare più. E siccome una disgrazia non viene mai da sola, nello stesso istante sono diventati ciechi anche gli elettricisti addetti alla manutenzione del sistema interno di energia e, di conseguenza, anche del generatore, di vecchio modello, non automatico, che da tempo era da sostituire, col risultato, come si è detto, che l’ascensore è rimasto fermo fra il nono e il decimo piano. Il presidente ha visto diventare cieco l’ascensorista che lo accompagnava, egli stesso ha perso la vista un’ora dopo, e siccome l’energia non è tornata e quel giorno i casi di cecità all’interno della banca si sono moltiplicati, è quasi sicuro che i due siano ancora chiusi lì dentro, morti, inutile dirlo, rinchiusi in una tomba di acciaio e perciò fortunatamente in salvo dai cani divoratori.
Non essendoci testimoni, e se ci sono stati non risulta siano stati interpellati per riferirci com’è andata, è comprensibile che qualcuno domandi come sia stato possibile sapere che le cose sono andate così e non altrimenti, la risposta da dare è che tutti i racconti sono come quelli della creazione dell’universo, nessuno c’era, nessuno vi ha assistito, ma tutti sanno cosa è accaduto. La moglie del medico aveva domandato, Come sarà andata con le banche, non che le importasse molto, nonostante abbia affidato le sue economie proprio a una banca, lo ha domandato per semplice curiosità, solo perché le è venuto in mente, non per altro, né si aspettava che le rispondessero, per esempio così, In principio Dio creò il cielo e la terra, la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, invece quel che successe fu che il vecchio dalla benda nera disse mentre riscendevano il viale, A quanto ho potuto sapere quando avevo ancora un occhio per vedere, in principio fu un pandemonio, le persone, per paura di ritrovarsi cieche e sfornite, si precipitarono nelle banche per ritirare i propri soldi, pensavano di doversi premunire per il futuro, ed è comprensibile, se uno sa di non poter lavorare più, l’unico rimedio, finché durano, è quello di far ricorso alle economie fatte in periodi di prosperità e previ sioni a lungo termine, supponendo che si sia avuta effettivamente la prudenza di andare accumulando i risparmi granello su granello, il risultato del la fulminea corsa fu che in ventiquattr’ore erano fallite alcune tra le principali banche, intervenne il governo chiedendo che gli animi si calmassero e facendo appello alla coscienza civica dei cittadini, concludendo il proclama con la solenne dichiarazione che si sarebbe assunto tutte le responsabilità e i doveri derivanti dalla situazione di calamità pubblica che si stava vivendo, un passo che tuttavia non riuscì ad allentare la crisi, non solo perché la gente continuava a diventare cieca, ma anche perché chi ancora ci vedeva pensava soltanto a salvare i propri amati soldi, infine, era inevitabile, le banche, fallite o meno, chiusero i battenti e chiesero protezione alla polizia, non servì a niente, in mezzo alla folla che si ammassava urlante davanti alle banche c’erano anche poliziotti in borghese che reclamavano ciò che tanto avevano faticato a guadagnare, alcuni, per potersi esprimere liberamente, avevano addirittura avvisato il comando che erano ciechi, e quindi si erano messi in congedo, e gli altri, quelli ancora in uniforme e in servizio, con le armi puntate sulle masse insoddisfatte, all’improvviso cessarono di vedere il bersaglio, e questi ultimi, se avevano dei soldi in banca, perdevano ogni speranza e, per giunta, venivano accusati di aver patteggiato con il potere costituito, ma il peggio venne dopo, quando le banche si videro assalite da orde infuriate di ciechi e non ciechi, ma tutti disperati, ormai non si trattava più di presentare pacificamente allo sportello un assegno da riscuotere dicendo all’impiegato, Voglio ritirare il saldo, ma di arraffare quel che si poteva, i soldi del giorno, quanto fosse stato lasciato nei cassetti, in un forziere aperto per disattenzione, in un sacchettino di spiccioli all’antica, come usavano le nonne della generazione più vecchia, non si può immaginare che cosa fu, i grandi e lussuosi atri delle sedi, le piccole agenzie di quartiere assistettero a scene veramente terrificanti, e non bisogna dimenticare il particolare delle casse automatiche, forzate e saccheggiate fino all’ultima banconota, sullo schermo di alcune, enigmaticamente, comparve un messaggio di ringraziamento per aver scelto questa banca, le macchine sono effettivamente stupide, a meno che non sia più esatto dire che queste qui avevano tradito i loro padroni, insomma, tutto il sistema bancario crollò in un soffio, come un castello di carte, e non perché il possesso di denaro avesse cessato di essere apprezzato, prova ne sia che chi ce l’ha non vuole mollarlo, adducendo che non si può prevedere come sarà il domani, cosa che del resto staranno pensando sicuramente anche i ciechi che si sono installati nei sotterranei delle banche, dove si trovano le casseforti, in attesa di un miracolo che ne spalanchi le pesanti porte di acciaio che li separano dalla ricchezza, se ne allontanano soltanto per procurarsi cibo e acqua, o per soddisfare altre necessità, ma ritornano immediatamente ai propri posti, hanno parole d’ordine e segnali con le dita affinché nessun estraneo possa introdursi nel baluardo, chiaro, vivono nel buio più totale, ma tant’è, per questa cecità è tutto bianco. Il vecchio dalla benda nera narrò questi tremendi avvenimenti di banche e finanze mentre attraversavano lentamente la città, con qualche fermata perché il ragazzino strabico potesse sedare gli insopportabili tumulti dell’intestino, e malgrado il tono veridico che ha saputo imprimere all’appassionante descrizione, è lecito sospettare della presenza di alcune esagerazioni nel suo racconto, la storia dei ciechi che vivono nei sotterranei per esempio, come avrà fatto a saperla se non conosce la parola d’ordine né il trucco del pollice, in ogni caso è servita per farcene un’i dea.
Il giorno si stava concludendo quando arrivarono finalmente nella strada dove abitano il medico e sua moglie. Non è diversa dalle altre, ci sono immondizie dappertutto, bande di ciechi vaganti alla deriva, e per la prima volta, ma è solo per puro caso che non li hanno incontrati prima, degli enormi ratti, due, contro i quali non osano scagliarsi neppure i gatti che vagabondano da queste parti, perché sono quasi della loro dimensione e certamen te molto più feroci. Il cane delle lacrime guardò gli uni e gli altri con l’indifferenza di chi vive in un’altra sfera di emozioni, si direbbe così, se non fosse il cane che continua a essere, bensì un animale di quelli umani. Vedendo i luoghi conosciuti, la moglie del medico non fece quella consueta, malinconica riflessione che consiste nel dire, Come passa il tempo, l’altro giorno eravamo ancora felici, ma, piuttosto, fu colpita dalla delusione, inconsapevolmente aveva creduto che, siccome era la sua strada, l’avrebbe trovata pulita, spazzata, ordinata, che i suoi vicini fossero ciechi degli occhi, ma non dell’intelletto, Che stupidaggine, disse a voce alta, Perché, cosa c’è, domandò il marito, Niente, fantasie, Come passa il tempo, e la casa, in che condizioni sarà, disse lui, Fra poco lo sapremo. Le forze erano poche, perciò salirono le scale molto lentamente, fermandosi a ogni pianerottolo, è al quinto, aveva detto la moglie del medico. Procedevano alla meglio, ciascuno per sé, il cane delle lacrime ora avanti ora dietro, come se fosse nato per essere un cane da pastore, con l’ordine di non perdere una sola pecora. C’erano porte aperte, voci nell’interno, il nauseabondo odore di sempre che usciva a zaffate, per ben due volte spuntarono dei ciechi sulla soglia guardando con occhi vacui, Chi c’è, domandarono, la moglie del medico ne riconobbe uno, l’altro non era del palazzo, Vivevamo qui, si limitò a rispondere. Anche sul volto del vicino passò fugacemente un’espressione di riconoscimento, ma non domandò, Siete la moglie del dottore, quando rientrerà forse dirà, Sono tornati quelli del quinto piano. Alla fine dell’ultima rampa di scale, ancor prima di posare il piede sul pianerottolo, la moglie del medico annunciava, è chiusa. C’erano tracce di forzatura, ma la porta aveva resistito. Il medico infilò la mano in una tasca interna della giacca nuova e tirò fuori le chiavi. Rimase lì con le chiavi per aria, in attesa, ma la moglie gli guidò dolcemente la mano verso la serratura.

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