DON’T CRY FOR ME ARGENTINA
Adria Bartolich
29 Gennaio 2025
Un alternarsi di movimenti populisti di estrema destra ed estrema sinistra , nonostante la retorica del decentramento e federalista del peronismo in primis, hanno però sempre trascurato le provincie periferiche e valorizzato Buenos Aires.
La presenza della fortissima CGT, Confederación General del Trabajo, il sindacato più forte in Argentina, e le sue rivendicazioni sociali e salariali, è stata determinante per il mantenimento del consenso del peronismo e nel definire le politiche economiche e del lavoro argentine.
Una rete di caudillos ha assunto il compito storico di difendere gli interessi locali dalle incursioni dello stato centrale.
Anche la sua struttura sociale non è priva di particolarità.
La vita economica dell’Argentina è costellata di default a partire dal primo, del 1827 , subito dopo l’indipendenza, poi alla fine del secolo una grande crisi economica, quindi un altro paio di default negli anni ’50 del XX° secolo, al momento della ricostruzione post bellica e poi all’instabilità politica, l’aumento del debito durante la dittatura militare e poi un altro default negli anni ’90 a causa dell’iperinflazione, negli anni 2000 per non avere ripagato il debito di 100 miliardi di dollari, un altro dovuto alla crisi con i debitori , infine l’ultimo con il Covid. La storia economica dell’Argentina, in sintesi, è una vera tragedia.
L’Argentina non è un paese come tutti gli altri. E’ una nazione post coloniale, di grande immigrazione, con una presenza di italiani che costituisce circa il 50 % della popolazione. Non si può dire che il suo funzionamento, o meglio, mancato funzionamento, non ci riguardi.
Milei è argentino e dire queste cose provenendo da un paese come l’Argentina è certamente fare una mossa decisamente contro corrente.
Milei dice in sostanza la nuova destra si qualificherà per essere antistatalista, liberista, contro l’assistenzialismo e per il merito.
E’ interessante vedere chi include ma anche chi esclude, per esempio la Le Pen, almeno per il momento.
E’ un intervento di grande forza, chiaro e illuminante su quello che potrebbe essere il futuro di una moderna destra mondiale. Disegna un asse Musk, Trump , Bukele, Orban, Netanyahu, Meloni e delinea i principi fondamentali sui quali il movimento conservatore si qualifica oggi.
Il discorso di Milei a Davos sta tenendo banco dal alcuni giorni su social e media, a parere mio giustamente.
Nonostante l’Argentina vanti un ordinamento federale, i soldi vendono raccolti dallo stato e redistribuiti sul territorio creando sperequazioni ed evidentemente anche redistribuzioni di denaro fortemente orientate al mantenimento del consenso.
In altre parole , in Argentina, lo stato ha avuto una funzione determinante, perfino nell’alternarsi di governi populisti e militari, per la redistribuzione delle risorse e la riproduzione del consenso.
I numerosi default, l’irrisolta questione del debito pubblico e l’inflazione ciclicamente alle stelle hanno reso l’Argentina un paese altamente clientelare e instabile, in preda a governi discutibili e a potentati locali.
Milei critica aspramente le politiche della sinistra argentina che definisce contagiata dal socialismo.
In un quadro del genere , le politiche ultraliberiste sul piano economico, di Milei sono un gesto di sanità mentale. E’ chiaro, infatti , che una riduzione del ruolo dello stato significa smantellare il potere enorme di un apparato burocratico che impiega il 20% della popolazione, ma anche quello di determinare l’adesione o meno alle politiche di un governo attraverso la distribuzione dei soldi ai più consenzienti.
L’Argentina è in grande ed estremo, quello che l’Italia è in piccolo. Un paese statocentrico, clientelare, pieno zeppo di caudillos e potentati locali che si chiamino mafia, boss, deputati, governatori di regioni, sindaci, imprenditori, anche se, ovviamente, non sono sullo stesso piano.
Milei ha trovato un paese con un livello d’inflazione al 211%, una cifra spaventosa, che ha quasi dimezzato in un solo anno operando un gigantesco ridimensionamento della spesa pubblica.
Ha operato tagli ai ministeri, alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, tagliato una trentina di fondi fiduciari per finanziare le opere pubbliche e ha cambiato l’agenzia delle entrate.
Dopo un primo incremento della povertà nei suoi primi mesi di governo, adesso pare abbia ridotto anche quella passata dal 41% al 38 %. Intendiamoci è sempre molto alta, ma lo era ancor di più prima di Milei nonostante le politiche assistenziali.
La spesa pubblica è stata ridotta in un solo anno del 30% nonostante l’aumento delle spese militari e per gli stipendi dei militari, la costituzione di quattro costosi uffici di intelligence che rispondono direttamente a lui con il il SIDE (Segretariato dell’Intelligence di Stato); per quest’ultimo Milei aveva chiesto un finanziamento di circa 100 milioni di dollari bocciato dal Parlamento, a cui si aggiunge la promessa di investire ulteriori 2 miliardi di dollari per l’efficientamento dell’esercito.
Naturalmente questa attenzione per le forze armate, in un paese come l’Argentina, è stata oggetto di aspre critiche sia da parte dell’opposizione e da prese di distanza di parte della maggioranza.
Nel complesso la situazione del paese rimane grave ma i risultati sono lì da vedere.
E’ evidente che in una situazione in cui lo stato è storicamente pervasivo , costoso e opprimente, una ricetta come quella di Milei è dirompente.
Le politiche di Milei, inoltre, seppur originate da una situazione del tutto particolare e anomala, si innestano con il nuovo corso di Trump negli USA ma anche in una tendenza che sta prendendo piede anche in Europa.
Il primo gesto di Trump è stato l’uscita da alcuni organismi internazionali come l’OMS e dagli Accordi di Parigi sul clima e l’accordo sulle tasse dell’OCSE.
Entrambi, Milei e Trump, hanno come punto qualificante della loro azione politica lo smantellamento della Woke culture cioè verso la cultura di orientamento progressista che ha dominato il decennio precedente, soprattutto in America, che va dall’ecologismo, al femminismo radicale, all’ipertutela di alcune minoranze etniche piuttosto che quelle LGBTQ+ alle correzioni linguistiche.
La woke culture ha un atteggiamento fortemente critico nei confronti del suprematismo bianco e dei valori patriarcali
Entrambi, Milei e Trump, sono per il recupero dei valori tradizionali e contro i desideri trasformati in diritti civili e sociali.
Il diritto alla vita in contrapposizione all’aborto, la libertà e la proprietà privata sono i loro valori di riferimento. Perciò, nonostante le visioni economiche difformi, è possibile la creazione di un asse anche con una parte della destra europea, tradizionalmente statalista, rappresentata da Meloni e Orban.
Milei dimentica che la tradizione statalista non è solo della sinistra socialista ma anche della destra estrema passando per il mondo cattolico, che statalista non è, ma ha largamente attinto dalle risorse pubbliche per allargare la sua rete d’influenza.
E’ un dettaglio di cui tenere debitamente conto
Lo statalismo purtroppo è di tutti. Lo stato è il centro di tutte le culture politiche del ‘900.
Certo c’è un diverso modo di vedere come impiegare le risorse dello stato.
Ad ogni modo la riduzione di un ruolo dello stato non è un tema solo argentino, bensì sia un esigenza dal momento. L’inversione delle tendenze demografiche , meno giovani e più vecchi, e i livelli di tassazione necessari per coprire la spesa pubblica, sono ormai molto alti e a questi si aggiungono anche continue richieste di esborsi per accedere a servizi di vario genere.
Al di là della missione divina di Milei volta a porre fine al comunismo internazionale come dice lui, le trasformazioni sociali ed economiche della 4° rivoluzione industriale, quella in corso, hanno già messo in crisi profondamente tutte le istituzioni tradizionali, sia nazionali che internazionali.
La politica arranca mentre le forze economiche e finanziarie si sono ormai internazionalizzate.
La disintermediazione si estende a macchia d’olio e con essa si fa sempre più forte l’esigenza di effettuare riforme radicali sia negli assetti interni degli stati che degli organismi internazionali.
La destra pare avere un progetto culturale e politico molto chiaro mentre sull’altro fronte, oltre al richiamo continuo alle tradizionali e sempre più insostenibili politiche stataliste e assistenzialiste, sembra non si riesca ad esprimere nulla di innovativo, da qui l’insistenza sui diritti delle minoranze.
A questo si aggiunge ormai la percezione, non destituita di qualche fondamento, dello schieramento progressista come un blocco di potere e una casta di persone più che benestanti con la tendenza ad volere infliggere sili di vita irreali ai ceti medi e popolari, concentrati invece su come risolvere i problemi più spiccioli della vita quotidiana, come pagare le bollette per l’energia continuamente rincarate o gli affitti alle stelle, soprattutto in alcune città, oppure pagare le rate del mutuo per la casa, al bisogno di sicurezza per le strade.
Alla radicalizzazione di posizioni eccessivamente distoniche rispetto al senso comune sul fronte dei diritti civili e totalmente insufficienti sul piano economico, si contrappone un avanzamento considerevole dei partiti di destra e conservatori che non si spiega con il populismo, termine usato abbastanza impropriamente, a volte a caso, e perfino abusato, bensì con la mancata comprensione di alcune necessità da parte della sinistra mondiale.
Non c’è dubbio che i movimenti di destra siano una risposta molto forte alle classi dirigenti del blocco progressista colpevole non solo di non avere risolto i problemi dei ceti più deboli, ma anzi di averli, per molti versi, acuiti.
La continua sottolineatura sulla riduzione della mobilità sociale, cosa assolutamente vera, pone un interrogativo molto forte sul ruolo che hanno esercitato ed esercitano, le classi dirigenti della sinistra e progressiste, laddove per classi dirigenti non si intende solo chi è al governo, bensì coloro che hanno il potere di dirigere i grandi apparati dello stato, le strutture burocratiche, i mezzi di comunicazione, le strutture organizzate dei corpi intermedi.
Se la conservazione delle società stratificate ed escludenti dei secoli scorsi passava soprattutto con il mancato accesso all’istruzione, che concretamente era uno strumento di emancipazione e mobilità sociale, nella società del terzo millennio, stante che l’istruzione, almeno nei paesi progrediti viene garantita a tutti, l’esclusione avviene attraverso la diversificazione della qualità dell’istruzione ma, soprattutto, tramite il filtro delle reti sociali e personali, di supporto, al momento dell’entrata nel mondo del lavoro.
Il vero blocco sociale si verifica a questo punto.
Per la semplice ragione che se si interviene nei confronti della povertà solo con misure assistenziali e interventi caritatevoli, non solo un povero è condannato a vita ad essere tale, ma soprattutto non si risolve il problema dei ceti medi che non hanno bisogno di misure assistenziali, che peraltro non ottengono, ma di un’economia più competitiva e una pressione fiscale meno oppressiva e più ragionevole.
Se la pressione fiscale, a fronte di una produttività e competitività molto bassa, com’è il caso dell’Italia, erode quasi il 50 % del salario, si dovrà intervenire con costose misure a sostegno delle famiglie più disagiate, ma questo, contestualmente, impedirà ad esse qualsiasi sviluppo.
Senza parlare della sudditanza politica alla quale saranno esposte.
Oltre a questo , la determinazione delle aliquote per fasce di reddito, superate le quali la pressione fiscale non aumenta proporzionalmente bensì a blocchi, determinando cifre piuttosto folli da dare allo stato, rende poco conveniente se non addirittura dannoso, lavorare di più e guadagnare di più e rende semplicemente vantaggioso rivolgersi al mercato del lavoro sommerso.
Occorre, in altre parole, prendere atto che la mondializzazione e le nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale alle tecnologie quantistiche, le biotecnologie e via di seguito, provocano nella società e nel mondo del lavoro e nel mercato economico mondiale, cambiamenti economici, sociali e politici radicali, ai quali non si può rispondere semplicemente con prediche morali sui valori solidali o imponendo impossibili visioni del mondo destinate a rendere felici solo piccole élite untrabenestanti.
Milei, ma anche Trump, sono la risposta a tutto questo : fateci vivere liberamente senza rotture di scatole, secondo le nostre possibilità reali non modificate dall’intervento dello stato e secondo i nostri valori tradizionali che hanno reso grande l’Occidente.
A questo la sinistra può rispondere dicendo consumi e inquini troppo, devi pagare le tasse, sei omofobo perché parli di famiglia tradizionale, se non sei per l’accoglienza e sei un egoista ,magari quando magari vivi in un quartiere dove è rischioso uscire alla sera?
Certo questo per Trump e Milei significa sia restrizioni sulle politiche migratorie che più disinteresse nei confronti delle minoranze etniche o di altro genere.
Però penalizzando o criminalizzando le maggioranze non si tutelano nemmeno le minoranze, anzi!
A questo nuovo manifesto conservatore occorre contrapporne un altro, ragionevolmente progressista e con contenuti nuovi, non radicalmente progressista , feroce e colpevolizzante nei confronti di stili di vita radicati.
A nessuno piace sentirsi dire in continuazione che rappresenta l’arretratezza e un mondo oppressivo, quando peraltro la gran parte delle culture lo è, generalmente, molto di più.
Soprattutto nessuna cultura nuova può prescindere dalla considerazione di quello che c’è stato prima, perché nei momenti di crisi, altrimenti , quello che è stato riemerge con tutta la sua forza e nel modo peggiore.