venerdì 28 febbraio 2020


CECITÀ 
José Saramago
Parte 4
Cap. 15-fine

15.

Tolta la polvere domestica, che approfitta delle assenze delle famiglie per andare dolcemente ad appannare la superficie dei mobili, e, a proposito, diciamo che sono le sue uniche occasioni per riposare, senza frenesie di piumini o di aspirapolveri, senza corse di bambini che, passando, scatenano cicloni atmosferici, la casa era pulita, e c’era il normale disordine che ci si aspetta quando si è dovuti uscire precipitosamente. E comunque, mentre quel giorno aspettavano le chiamate dal ministero e dall’ospedale, la moglie del medico, con la stessa previdenza che porta la gente sensata a risolvere in vita le proprie faccende, per non doversi verificare poi, dopo la morte, la fastidiosa necessità di ricorrere a sistemazioni violente, aveva lavato i piatti, rifatto il letto, riordinato la stanza da bagno, non aveva lasciato quel che si potrebbe definire un gioiello, ma per la verità sarebbe stata una crudeltà pretendere di più, con quelle mani che tremavano e gli occhi inondati di lacrime. Fu dunque a una specie di paradiso che giunsero i sette pellegrini, e l’impressione fu talmente forte, un’impressione che, senza troppa offesa al rigore del termine, potremmo definire trascendentale, che si trattennero al l’ingresso, quasi paralizzati dall’inatteso odore della casa, ed era semplicemente l’odore di una casa chiusa, in altri momenti saremmo corsi ad aprire tutte le finestre, Per arieggiare, avremmo detto, oggi sarebbe bene tenerle sigillate per non far entrare la putredine da fuori. La moglie del primo cieco disse, Sporcheremo tutto, e aveva ragione, se fossero entrati con quelle scarpe coperte di fango e merda, in un attimo il paradiso si sarebbe trasformato in un inferno, secondo luogo, questo, dove in base ad autorevoli affermazioni l’odore putrido, fetido, nauseabondo, pestilenziale è la cosa più penosa da sopportare per le anime dannate, non le tenaglie ardenti, i calderoni di pece bollente e gli artefatti vari di forgia e di cucina. Da tempi immemorabili è uso delle padrone di casa dire, Entrate, entrate, per carità, non ha importanza, se si sporca poi si pulisce, ma questa, al pari dei propri invitati, sa da dove viene, sa che nel mondo in cui vive ciò che è sporco si sporcherà sempre più, perciò li prega di togliersi le scarpe sul pianerottolo, e li ringrazia, certo, neanche i piedi sono puliti, ma non c’è paragone, gli asciugamani e le lenzuola della ragazza dagli occhiali scuri sono pur serviti a qualcosa, hanno portato via il grosso. Entrarono quindi scalzi, la moglie del medico cercò e trovò un grosso sacco di plastica dove infilò tutte le scarpe, pensando a un lavaggio, non sapeva né quando né come, poi lo portò sul balcone, non avrebbe certo peggiorato l’aria esterna. Il cielo cominciava a rabbuiarsi, c’erano grossi nuvoloni, Magari piovesse, pensò. Con la chiara idea di cosa bisognasse fare, tornò dai compagni. Erano in sala, fermi, in piedi, malgrado fossero stanchissimi non si erano azzardati a cercare un sedile, solo il medico sfiorava di sfuggita i mobili con le mani, lasciandovi i segni sulla superficie, era l’inizio della prima pulizia, un po’ di questa polvere ce l’ha già sulla punta delle dita. La moglie del medico disse, Spogliatevi tutti, non possiamo restare così, i nostri vestiti sono quasi altrettanto sporchi delle scarpe, Spogliarci, domandò il primo cieco, qui, uno davanti all’altro, non mi pare il caso, Se volete, posso mettervi ciascuno in una parte della casa, rispose ironicamente la moglie del medico, così non ci saranno più vergogne, Io mi spoglio qui, disse la moglie del primo cieco, solo tu mi puoi vedere, e quand’anche non fosse così, non dimentico che mi hai già vista peggio che nuda, ma mio marito ha la memoria corta, Non so che interesse possa esserci nel ricordare argomenti spiacevoli ormai passati, borbottò il primo cieco, Se fossi donna e fossi stato dove siamo state noi, la penseresti diversamente, disse la ragazza dagli occhiali scuri cominciando a spogliare il ragazzino strabico. Il medico e il vecchio dalla benda nera erano già nudi dalla cintola in su e adesso si sbottonavano i pantaloni, il vecchio dalla benda nera disse al medico, che gli stava accanto, Fammi appoggiare per sfilarmi i pantaloni. Erano talmente ridicoli, poveracci, che quasi veniva voglia di piangere. Il medico perse l’equilibrio, nella caduta si trascinò appresso il vecchio dalla benda nera, per fortuna la presero tutti e due sul ridere, e adesso suscitava tenerezza vederli lì, con i corpi macchiati da ogni possibile sporcizia, i sessi quasi impastati, peli bianchi, peli neri, ecco dov’è andata a finire la rispettabilità di un’età avanzata e di una professione tanto meritoria. La moglie del medico andò ad aiutarli ad alzarsi, fra poco sarà tutto buio, nessuno avrà più motivo di vergognarsi, Chissà se in casa c’è qualche candela, si domandò, per tutta risposta si ricordò che in casa aveva due reliquie dell’illuminazione, un’antica lucerna a olio, a tre beccucci, e un vecchio lume a petrolio, di quelli con la coppa di vetro, per oggi andrà bene la lucerna, olio ne ho, lo stoppino s’inventa, domani andrò in cerca di un po’ di petrolio in qualche negozio, sarà molto più facile trovare il petrolio che una scatoletta, Soprattutto se non vai a cercare nei negozi di alimentari, pensò, meravigliandosi di se stessa per essere ancora capace, in questa situazione, di scherzare. La ragazza dagli occhiali scuri si stava spogliando lentamente, in un modo per cui sembrava che, per quanto si scoprisse, le sarebbe sempre rimasto addosso un ultimo indumento a coprirla, non si capisce cosa c’entrino adesso queste ritrosie, ma se la mo glie del medico fosse più vicina vedrebbe come alla ragazza le si stia im porporando il viso, malgrado ce l’abbia tanto sporco, le donne, beato chi le capisce, a una le son venuti all’im provviso i pudori dopo essere andata a letto con un mucchio di uomini che a malapena conosceva, quanto all’altra, sappiamo che sarebbe capacissima di sussurrarle all’orecchio, con la massima tranquillità, Non ti vergognare, lui non ti può vedere, riferendosi al proprio marito, è chiaro, non ci siamo mica dimenticati di come quella sfacciata sia andata a tentarlo nel letto, le donne, in fondo, le compri chi non le conosce. Eppure la ragione potrebbe essere un’altra, qui ci sono altri due uomini nudi, e uno di loro l’ha ac colta nel letto.
La moglie del medico raccolse gli indumenti lasciati per terra, pantaloni, camicie, una giacca, una blusa, giubbotti, biancheria intima, appiccicosa di porcherie, che neanche un ammollo di un mese farebbe tornare pulita, si mise tutto sottobraccio, Restate qui, disse, torno subito. Portò tutto fuori sul balcone, come aveva fatto con le scarpe, lì si spogliò anche lei, guardando la città nera sotto il cielo coperto. Non una sola pallida luce alle finestre, non un tenue riflesso sulle facciate, quella lì non era una città, era un’enorme massa di catrame che, raffreddandosi, si era modellata in forme di palazzi, tetti, comignoli, tutto morto, tutto spento. Il cane delle lacrime spuntò sul balcone, inquieto, ma adesso non c’erano pianti da consolare, la disperazione era tutta interna, gli occhi erano asciutti. La moglie del medico sentì freddo, si ricordò degli altri, lì, in mezzo alla sala, nudi, ad aspettare chissà cosa. Rientrò. Erano divenuti dei semplici contorni senza sesso, macchie imprecise, ombre che si perdevano nell’ombra, Ma non per loro, pensò, loro si stemperano nella luce che li circonda, è la luce che non consente di vederli. Adesso farò un po’ di luce, disse, in questo momento sono cieca quanto voi, è tornata l’elettricità, domandò il ragazzino strabico, No, accendo una lucerna, E che cos’è, tornò a domandare il ragazzo, Poi te lo faccio vedere. Cercò in uno dei sacchetti di plastica una scatola di fiammiferi, andò in cucina, sapeva dove aveva riposto l’olio, non gliene serviva molto, strappò da uno strofinaccio per i piatti una striscia per farne uno stoppino, poi tornò in sala, dov’era la lucerna, per la prima volta da quando era stata costruita sarebbe stata utile, all’inizio non sembrava sarebbe stato questo il suo destino, ma nessuno di noi, lucerne, cani o esseri umani, sa, all’inizio, tutto quello per cui è venuto al mondo. Una dopo l’altra, sui beccucci della lucerna si attizzarono, tremule, tre piccole mandorle luminose, che di tanto in tanto si distendevano dando quasi l’impressione che la parte superiore delle fiamme sarebbe svanita nell’aria, ma poi si concentravano in se stesse, quasi a divenire dense, solide, dei sassolini di luce. La moglie del medico disse, Finalmente ci vedo, vado a prendervi qualcosa di pulito, Ma noi siamo sporchi, ricordò la ragazza dagli occhiali scuri. Sia lei che la moglie del primo cieco si coprivano il petto e il pube con le mani, Non per me, pensò la moglie del medico, ma perché le sta guardando la luce della lucerna. Poi disse, Meglio avere qualcosa di pulito sul corpo sporco che indossare abiti sporchi sul corpo pulito. Prese la lucerna e andò a frugare nei cassetti del comò, negli armadi, tornò pochi minuti dopo con pigiami, grembiuli, camicette, vestiti, pantaloni, magliette, il necessario per coprire decentemente sette persone, è pur vero che non tutte erano della stessa statura, ma nella magrezza sembravano gemelle. La moglie del medico li aiutò a vestirsi, al ragazzino strabico toccarono un paio di calzoncini del medico, tipo quelli da spiaggia o da campagna che ci rendono tutti bambini. Adesso possiamo sederci, sospirò la moglie del primo cieco, guidaci tu per favore, non sappiamo dove metterci.
La sala è come tutte, ha un tavolino al centro, intorno ci sono divani a sufficienza, su questo qui si siedono il medico e sua moglie, più il vecchio dalla benda nera, su quello la ragazza dagli occhiali scuri e il ragazzino strabico, sull’altro la moglie del primo cieco e il primo cieco. Sono esausti. Il ragazzino si è addormentato immediatamente, col capo in grembo alla ragazza dagli occhiali scuri, senza pensare più alla lucerna. Così trascorse un’ora, sembrava un paradiso, sotto la luce tenuissima gli stessi corpi sudici sembravano lavati, brillavano gli occhi di chi non dormiva, il primo cieco cercò la mano della moglie e la strinse, un gesto da cui si può osservare quanto il riposo del corpo possa contribuire all’armonia degli spiriti. Disse allora la moglie del medico, Fra poco mangeremo qualche cosa, ma prima converrebbe ci mettessimo d’accordo su come vivremo qui, tranquillizzatevi, non intendo ripetere il discorso dell’altoparlante, per dormire c’è spazio a sufficienza, abbiamo due camere per le due coppie, in questa sala possono dormire gli altri, ognuno su un divano, domani dovrò uscire a cercare un po’ di cibo, quello che abbiamo sta finendo, sarebbe utile che uno di voi mi accompagnasse, per aiutarmi a portarlo, ma anche per cominciare a imparare la strada di casa, a riconoscere gli angoli, un giorno potrei ammalarmi, o diventare cieca, mi aspetto sempre che capiti, in tal caso dovrò imparare da voi, altro argomento, per le necessità ci sarà un secchio sul balcone, so bene che non è piacevole andare là fuori, con la pioggia che è venuta giù e con il freddo che fa, in tutti i casi è meglio così piuttosto che ritrovarci con la casa puzzolente, non dimentichiamoci cosa è stata la nostra vita fintanto che siamo stati internati, abbiamo sceso tutti i gradini dell’indegnità, tutti, fino all’abiezione, anche se in maniera diversa potrebbe succedere anche qui, ma là, almeno, avevamo la scusa dell’abiezione di quelli che stavano fuori, adesso no, adesso siamo tutti uguali davanti al male e al bene, per favore, non domandatemi cosa sia il bene e cosa sia il male, lo sapevamo ogniqualvolta abbiamo dovuto agire quando ancora la cecità era un’eccezione, giusto e sbagliato sono appena due modi diversi di intendere il nostro rapporto con gli altri, non quello che manteniamo con noi stessi, di quest’ultimo non c’è da fidarsi, perdonatemi la lezione moralistica, ma voi non sapete, non potete saperlo, cosa significhi avere occhi in un mondo di ciechi, non sono regina, no, sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi lo sentite, io lo sento e lo vedo, e adesso fine della conferenza, andiamo a mangiare. Nessuno fece domande, il medico disse solo, Se mai avrò di nuovo gli occhi, vedrò veramente gli occhi degli altri, come se ne stessi vedendo l’anima, L’anima, domandò il vecchio dalla benda nera, O lo spirito, il nome poco importa, fu allora che, sorprendentemente se teniamo conto che si tratta di una persona che non ha fatto studi superiori, la ragazza dagli occhiali scuri disse, Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo.
La moglie del medico aveva già portato in tavola qualcosa di quel poco di cibo che restava, poi li aiutò a sedersi, disse, Masticate lentamente, per ingannare lo stomaco. Il cane delle lacrime non venne a chieder niente, era abituato a digiunare, e inoltre deve aver pensato di non avere il diritto, dopo il banchetto del mattino, di togliere sia pur quel poco di bocca alla donna che aveva pianto, gli altri non sembrano avere molta importanza per lui. Al centro della tavola la lucerna a tre beccucci aspettava che la moglie del medico desse la spiegazione promessa, il che avvenne dopo mangiato, Dammi le mani, disse al ragazzino strabico, poi le guidò lentamente, dicendo, Questa è la base, rotonda, come vedi, e questa la colonna che sostiene la parte superiore, il deposito dell’olio, qui, attenzione a non bruciarti, ci sono i beccucci, uno, due, tre, da cui escono gli stoppini, delle striscioline di tessuto che si imbevono di olio, vi si avvicina un fiammifero e bruciano fino a che l’olio si esaurisce, sono delle lucine fiacche, ma ci fanno vedere, Io non vedo, Un giorno vedrai, quel giorno ti regalerò la lucerna. Di che colore è, Non hai mai visto un oggetto di ottone, Non lo so, non mi ricordo, cos’è l’ottone, è giallo, Ah. Il ragazzino strabico rifletté un momento, Adesso chiederà della mamma, pensò la moglie del medico, ma si sbagliava, il ragazzo disse solo che voleva un po’ d’acqua, aveva tanta sete, Dovrai aspettare fino a domani, non abbiamo acqua in casa, in quello stesso istante si ricordò che invece l’acqua c’era, un cinque litri o più di acqua preziosa, il contenuto intatto del deposito dello sciacquone, non poteva essere peggio di quella che avevano bevuto durante la quarantena. Cieca nel buio, andò nella stanza da bagno, a tentoni sollevò il coperchio dello sciacquone, non poteva vedere se l’acqua ci fosse veramente, c’era, glielo dissero le dita, prese un bicchiere, ve lo immerse, con cautela lo riempì, la civiltà era regredita alle fonti primitive del tugurio. Quando entrò in sala, tutti erano ancora seduti ai loro posti. La lucerna ne illuminava i volti, girati verso la luce che sembrava stesse loro dicendo, Eccomi, guardatemi, approfittatene, badate che questa luce non durerà per sempre. La moglie del medico accostò il bicchiere alle labbra del ragazzino strabico, disse, Eccoti l’acqua, bevi lentamente, lentamente, assaporala, un bicchiere d’acqua è una cosa meravigliosa, non parlava a lui, non parlava a nessuno, semplicemente comunicava al mondo che cosa meravigliosa sia un bicchiere d’acqua. Dove l’hai trovata, è acqua piovana, domandò il marito, No, è dello sciacquone, E non avevamo anche un bottiglione d’acqua quando siamo andati via da qui, domandò lui di nuovo, e la moglie esclamò, Sì, come ho fatto a non ricordarmene, un bottiglione che era a metà e un altro che non era neppure iniziato, oh che gioia, non bere, non bere più, diceva adesso rivolta al ragazzo, berremo tutti acqua pura, adesso porto in tavola i nostri bicchieri migliori e berremo acqua pura. Stavolta afferrò la lucerna e andò in cucina, ne tornò con il bottiglione, la luce lo illuminava, facendo scintillare il gioiello che aveva dentro. Lo posò sulla tavola, andò a prendere i bicchieri, i migliori che avevano, di cristallo finissimo, poi, lentamente, come se stesse celebrando un rito, li riempì. Infine disse, Beviamo. Le mani cieche cercarono e trovarono i bicchieri, li alzarono tremando. Beviamo, ripeté la moglie del medico. Al centro del tavolo, la lucerna era come un sole circondato da astri brillanti. Quando i bicchieri furono di nuovo sul tavolo, la ragazza dagli occhiali scuri e il vecchio dalla benda nera stavano piangendo.
Fu una notte agitata. Vaghi all’inizio, imprecisi, i sogni passavano da un dormiente all’altro, coglievano qui, coglievano là, portando via con sé nuove memorie, nuovi segreti, nuovi desideri, ecco perché gli addormentati sospiravano e mormoravano, Questo sogno non è mio, dicevano, ma il sogno rispondeva, Non conosci ancora i tuoi sogni, fu così che la ragazza dagli occhiali scuri venne a sapere chi era il vecchio dalla benda nera che dormiva lì a due passi, così credette lui di sapere chi fosse lei, lo credette soltanto, perché non basta che i sogni siano reciproci per essere uguali. Cominciò a piovere alle prime luci dell’alba. Il vento scagliò contro le finestre uno scroscio che risuonò come mille frustate. La moglie del medico si svegliò, aprì gli occhi e mormorò, Come piove, poi li richiuse, nella camera era ancora buio pesto, poteva dormire. Neanche un minuto dopo si destò bruscamente all’idea di aver qualcosa da fare, ma senza comprendere ancora cosa fosse, la pioggia le stava dicendo Alzati, che mai voleva la pioggia. Lentamente, per non svegliare il marito, uscì dalla camera, attraversò il soggiorno, si fermò un istan te a guardare gli altri che dormivano sui divani, poi percorse il corridoio fino alla cucina, su questa parte del palazzo la pioggia cadeva con maggior forza, spinta dal vento. Con la manica del grembiule che indossava pulì il vetro appannato della porta-finestra e guardò fuori. Il cielo era, tutto, un’unica nuvola, pioveva a dirotto. Sul pavimento del balcone, ammucchiati, c’erano gli indumenti sporchi che si erano tolti, c’era il sacco di plastica con le scarpe che bisognava lavare. Lavare. L’ultimo velo del sonno si aprì subitamente, ecco cosa doveva fare. Aprì la porta, fece un passo avanti, in un attimo la pioggia la in zuppò dalla testa ai piedi, come se stesse sotto una cascata. Devo approfittare di quest’acqua, pensò. Rientrò in cucina e, evitando più che poteva i rumori, cominciò a radunare catini, casseruole, pentole, tutto quanto potesse raccogliere un po’ di questa pioggia che veniva giù dal cielo a catinelle, cortine che il vento faceva oscillare, che il vento andava spingendo sopra i tetti della città come una immensa e rumorosa scopa. Li trasportò fuori, li dispose lungo il balcone, vicino alla ringhiera, adesso avrebbe avuto un bel po’ d’acqua per lavare gli indumenti sudici, le scarpe schifose, Speriamo che non smetta, speriamo che non smetta di piovere, mormorava prendendo in cucina i saponi, i detergenti, gli strofinacci, tutto ciò che poteva servire per ripulire un po’, almeno un po’, questa sporcizia insopportabile dell’anima. Del corpo, disse, come per correggere il metafisico pensiero, poi aggiunse, è lo stesso. Allora, come se solo quella dovesse essere l’inevitabile conclusione, l’armoniosa conciliazione tra ciò che aveva detto e ciò che aveva pensato, di colpo si sfilò il grembiule bagnato, e, nuda, ricevendo sul corpo ora la carezza, ora la frustata della pioggia, si mise a lavare i panni, e, insieme, se stessa. Il rumoreggiare d’acqua che la circondava le impedì di avvertire immediatamente che non era più sola. Sulla porta del balcone erano comparse la ragazza dagli occhiali scuri e la moglie del primo cieco, che presentimenti, che intuizioni, che voci interiori le avessero destate non si sa, e tanto meno come fossero riuscite a trovare la strada fin qua, non vale la pena di cercare spiegazioni, adesso, le congetture sono libere. Aiutatemi, disse la moglie del medico quando le vide, E come, se non vediamo, domandò la moglie del primo cieco, Toglietevi i vestiti che avete indosso, quanto meno roba avremo da asciugare poi, tanto meglio, Ma noi non vediamo, ripeté la moglie del primo cieco, Fa lo stesso, disse la ragazza dagli occhiali scuri, faremo del nostro meglio, E poi finirò io, disse la moglie del medico, pulirò ciò che sarà rimasto sporco, e adesso al lavoro, forza, siamo l’unica donna con due occhi e sei mani che esista al mondo. Può darsi che nel palazzo di fronte, dietro quelle finestre chiuse, alcuni ciechi, uomini, donne, risvegliati dal la violenza dei continui scrosci, con la fronte appoggiata ai vetri freddi, ricoprendo col fiato del respiro l’appannamento della notte, stiano rammentando il tempo in cui così, proprio come stanno adesso, vedevano la pioggia scendere dal cielo. Non possono immaginare che laggiù ci sono tre donne nude, nude come sono venute al mondo, sembrano matte, devono essere proprio matte, nessuno con la testa a posto andrebbe a lavarsi su un balcone esponendosi agli sguardi dei vicini, tanto meno in quelle condizioni, cosa importa che siano tutti ciechi, certe cose non si devono fare, mio Dio, la pioggia, come scorre sui loro corpi, come scende fra i seni, come si trattiene e si perde nell’oscurità del pube, e infine si spande e circonda le cosce, forse le abbiamo giudicate male ingiustamente, forse siamo noi a essere incapaci di vedere ciò che di più bello e glorioso è mai accaduto nella storia della città, giù dal balcone si riversa una tovaglia di spuma, ah se potessi seguirla, giù all’infinito, pulito, purificato, nudo. Dio solo ci vede, disse la moglie del primo cieco, che, malgrado le disillusioni e le contrarietà, è ancora fermamente convinta che Dio non sia cieco, al che la moglie del medico rispose, Neppure lui, il cielo è coperto, soltanto io posso vedervi, Sono brutta, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Sei magra e sporca, brutta non lo sarai mai, E io, domandò la moglie del primo cieco, Sporca e magra come lei, non tanto carina, ma più di me, Tu sei carina, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Come puoi saperlo se non mi hai mai visto, Ti ho sognato due volte, Quando, La seconda è successo stanotte, Stavi sognando la casa perché ti sentivi sicura e tranquilla, è naturale, dopo tutto quello che abbiamo passato, nel tuo sogno io ero la casa, e siccome, per vedermi, avevi bisogno di darmi una faccia, l’hai inventata, Anch’io ti vedo carina, e non ti ho mai sognato, disse la moglie del primo cieco, Il che dimostra solo che la cecità è la provvidenza dei brutti, Tu non sei brutta, No, infatti non lo sono, ma l’età, Quanti anni hai, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Quasi cinquanta, Come mia madre, E lei, Lei cosa, è ancora carina, Un tempo lo era di più, Capita a tutti, lo eravamo sempre un po’ di più, Tu, mai come adesso, disse la moglie del primo cieco. Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un’armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d’acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrime per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni, come del pari lo sono le restanti due donne, le altre, pronomi indefiniti, anch’essi piangenti, che abbracciano quella della frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia. Sono momenti che non possono durare in eterno, è più di un’ora che queste donne sono qui, è tempo che sentano freddo, Ho freddo, ha già detto la ragazza dagli occhiali scuri. Per gli indumenti non è possibile far di più, le scarpe sono ripulite del grosso, adesso è il momento che queste donne si lavino, si insaponano i capelli e le spalle a vicenda, e ridono come ridevano soltanto le bambine che un tempo giocavano a moscacieca nel giardino, quando cieche ancora non lo erano. Ormai è giorno chiaro, il primo sole ha fatto capolino nel mondo prima di nascondersi di nuovo dietro le nuvole.
Continua a piovere, ma con minore intensità. Le lavandaie entrano in cucina, si sono asciugate e strofinate con i grandi teli che la moglie del medico è andata a prendere nell’armadietto della stanza da bagno, la loro pelle profuma di detergente, ma così è la vita, chi non ha cane caccia col gatto, la saponetta è sparita in un batter d’occhi, comunque in questa casa sembra esserci di tutto, o forse è perché sanno fare buon uso di ciò che hanno, infine si sono coperte, il paradiso era là fuori, sul balcone il grembiule della moglie del medico è bagnato fradicio, ma lei ha indossato un vestito a foglie e fiori, smesso tanti anni fa, che l’ha resa la più carina fra tutte e tre.
Quando entrarono nel soggiorno, la moglie del medico vide che il vecchio dalla benda nera era seduto sul divano dove aveva dormito. Aveva il capo fra le mani, le dita infilate nel cespuglio di capelli bianchi che ancora gli popolano le tempie e la nuca, ed era immobile, teso, come se volesse fissare i pensieri o, al contrario, impedir loro di continuare a pensare. Le udì entrare, sapeva da dove venivano, cosa avevano fatto, che erano state lì nude, e se sapeva tante cose non era perché all’improvviso avesse recuperato la vista e fosse andato, in punta di piedi, come gli altri vecchi, a spiare non una susanna al bagno, ma tre, cieco era prima, cieco continuava a essere, si era appena affacciato alla porta della cucina e aveva sentito cosa dicevano là sul balcone, le risa, il rumore della pioggia e delle spruzzate d’acqua, aveva respirato l’odore del sapone, poi se n’era tornato al suo di vano, pensando che al mondo esisteva ancora la vita, domandandosi se ce ne sarebbe stata un po’ anche per lui. La moglie del medico disse, Le donne sono già lavate, adesso tocca agli uomini, e il vecchio dalla benda nera domandò, Piove ancora, Sì, piove, e c’è dell’acqua nei recipienti che stanno in balcone, Allora preferisco lavarmi nella stanza da bagno, dentro la tinozza, pronunciava quella parola come se stesse presentando il proprio certificato anagrafico, come se spiegasse, Appartengo al tempo in cui non si diceva vasca da bagno, ma tinozza, e aggiunse, Se non ti dispiace, chiaro, non voglio sporcarti la casa, prometto che non ti allagherò il pavimento, insomma, farò il possibile, In tal caso ti porto i recipienti nella stanza da bagno, Ti aiuto io, Posso farcela da sola, Dovrò pur servire a qualcosa, non sono un invalido, Allora vieni. La moglie del medico trascinò per il balcone un recipiente quasi pieno d’acqua, Tu prendi lì, disse al vecchio dalla benda nera guidandogli le mani, Adesso, sollevarono il recipiente di peso, Alla fin fine, menomale che sei venuto ad aiutarmi, da sola non ce l’avrei fatta, Conosci quel detto, Quale detto, Il lavoro del vecchio non è molto, ma chi lo disprezza è stolto, Non è proprio così, Lo so, dove ho detto vecchio ci va bambino, dove ho detto disprezza ci va disdegna, ma i detti, se vogliono continuare a esprimere la stessa cosa perché bisogna continuare a esprimerla, devono adattarsi ai tempi, Sei un filosofo, Macché, sono soltanto un vecchio. Svuotarono il recipiente nella vasca da bagno, poi la moglie del medico aprì un cassetto, si ricordava di avere ancora una saponetta. La mise in mano al vecchio dalla benda nera, Vedrai, sarai più profumato di noi, usala liberamente, non ti preoccupare, mancherà pure il cibo, ma saponette, in quei supermercati, non mancano di certo, Grazie, Stai attento, non scivolare, se vuoi chiamo mio marito perché venga ad aiutarti, No, preferisco lavarmi da solo, Come vuoi tu, ed ecco qui, bada, dammi la mano, un rasoio, un pennello, se vuoi farti la barba, Grazie. La moglie del medico uscì. Il vecchio dalla benda nera si sfilò il pigiama che gli era capitato nella distribuzione dei vestiti, poi, con molta prudenza, entrò nella vasca da bagno. L’acqua era fredda ed era poca, non arrivava neanche a un palmo di profondità, che differenza fra il riceverla a fiotti dal cielo, ridendo, come le tre donne, e questo triste sciacquettare. Si inginocchiò sul fondo della vasca, inspirò profondamente, tenendo le mani a conca si lanciò sul petto la prima spruzzata d’acqua, che quasi gli mozzò il respiro. Si bagnò tutto rapidamente per non avere il tempo di rabbrividire, poi, con ordine, con metodo, cominciò a insaponarsi, a strofinarsi energicamente partendo dalle spalle, braccia, petto e addome, il pube, il sesso, fra le gambe, Sono peggio di un animale, pensò, poi le cosce magre, fino alla crosta di sporcizia che gli rivestiva i piedi come un paio di scarpe. Rimase così, ricoperto di schiuma, per prolungare l’azione di pulizia, disse, Devo lavarmi la testa, e alzò le mani dietro per slacciare la benda, Anche tu hai bisogno di un bagno, se la tolse e la lasciò cadere in acqua, adesso si sentiva il corpo caldo, si bagnò e insaponò i capelli, era un uomo di schiuma, bianco in quella immensa cecità bianca dove nessuno avrebbe potuto trovarlo, ma se lo pensò si sbagliava, in quel momento sentì che delle mani gli sfioravano la schiena, recuperavano un po’ di schiuma dalle braccia, e dal petto, e poi gliela spandevano sul dorso, lentamente, come se, non potendo vedere cosa facevano, dovessero prestare più attenzione al lavoro. Voleva domandare, Chi sei, ma la lingua gli si bloccò, non ne fu capace, adesso il corpo rabbrividiva, non di freddo, le mani continuavano a lavarlo dolcemente, la donna non disse, Sono la moglie del medico, sono la moglie del primo cieco, sono la ragazza dagli occhiali scuri, le mani conclusero l’opera, si ritrassero, si udì nel silenzio il lieve rumore della porta del bagno chiudersi, il vecchio dalla benda nera rimase solo, inginocchiato nella vasca come se stesse implorando una misericordia, tremando, tremando, Chi sarà stato, si domandava, la ragione gli diceva che poteva essere stata soltanto la moglie del medico, è lei quella che vede, è lei che ci ha protetto, custodito e nutrito, niente di strano che avesse avuto anche questo pensiero, ecco cosa gli diceva la ragione, ma lui non credeva alla ragione. Continuava a tremare, non sapeva se di commozione o di freddo. Cercò la benda sul fondo della vasca, la strofinò con forza, la strizzò, se la mise intorno alla testa, così si sentiva meno nudo. Quando, asciutto e profumato, entrò nel soggiorno, la moglie del medico disse, Abbiamo già un uomo pulito e sbarbato, e poi, col tono di chi si è appena ricordato di qualcosa che avrebbe dovuto esser fatto e non lo è stato, Non ti sei lavato la schiena, che peccato. Il vecchio dalla benda nera non rispose, pensò soltanto di aver avuto ragione a non credere alla ragione.
Quel poco che c’era da mangiare lo diedero al ragazzino strabico, gli altri avrebbero dovuto aspettare il rifornimento. Nella dispensa c’erano un po’ di marmellate, frutta secca, zucchero, qualche biscotto, ma a queste riserve, e ad altre che via via si fossero aggiunte, avrebbero fatto ricorso soltanto in caso di estrema necessità, che il mangiare di tutti i giorni, tutti i giorni andava procurato, se per sfortuna la spedizione fosse rientrata a mani vuote, allora sì, due biscotti ciascuno, con un cucchiaino di marmellata, C’è di fragole e di pesche, quale preferite, tre mezze noci, un bicchier d’acqua, un vero lusso finché dura. La moglie del primo cieco disse che avrebbe voluto partecipare anche lei alla ricerca del cibo, in tre non erano troppi, malgrado due fossero ciechi sarebbero stati comunque utili per il trasporto, e inoltre, se possibile, tenendo conto che non erano poi tanto lontani, le sarebbe piaciuto vedere in che condizioni era la casa, se era stata occupata, magari da gente conosciuta, per esempio qualche inquilino del palazzo a cui magari gli fosse aumentata la famiglia perché erano arrivati dalla provincia un po’ di parenti con l’idea di sottrarsi all’epidemia di cecità che aveva colpito il paese, si sa che in città ci sono sempre ben altri mezzi. Uscirono dunque tutti e tre, infagottati in quello che era rimasto in casa di vestiti, perché gli altri, quelli lavati, dovranno aspettare il bel tempo. Il cielo era sempre coperto, ma non minacciava pioggia. Trascinata dall’acqua, soprattutto nelle strade in maggior pendenza, la spazzatura aveva formato dei monticelli, lasciando pulite ampie zone di pavimentazione. Speriamo continui la pioggia, il sole, in questa situazione, sarebbe la cosa peggiore che potrebbe capitarci, disse la moglie del medico, marciume e cattivi odori ne abbiamo già fin troppi, Li sentiamo di più perché ci siamo lavati, disse la moglie del primo cieco, e il marito ne convenne, anche se aveva il sospetto di essersi beccato un raffreddore con quel bagno in acqua fredda. C’erano folle di ciechi per le strade, approfittavano della schiarita per cercare un po’ di nutrimento e soddisfare nel frattempo le necessità escretorie a cui il poco mangiare e il poco bere ancora li obbligavano. I cani fiutavano dovunque, frugavano nella spazzatura, qualcuno aveva in bocca un topo annegato, caso rarissimo, quest’ultimo, che si potrà spiegare solo con la straordinaria abbondanza delle ultime piogge, l’allagamento lo aveva beccato in un brutto posto, non gli è servito a niente essere un così bravo nuotatore. Il cane delle lacrime non si è unito agli antichi compagni di banda e di caccia, la sua scelta l’ha fatta, ma non è bestia da starsene ad aspettare che la mantengano, arriva masticando non si sa cosa, queste montagne di spazzatura racchiudono tesori inimmaginabili, tutto sta nel cercare, rimestare e trovare. Che rimestare e cercare nella memoria dovranno fare, quando se ne presenterà l’occasione, anche il primo cieco e sua moglie, adesso che hanno ormai imparato i quattro canti, non della casa dove vivono, che ne ha molti di più, ma della strada dove abitano, i quattro angoli che d’ora in poi fungeranno da punti cardinali, ai ciechi non interessa sapere dove sia l’oriente o l’occidente, il nord o il sud, i ciechi vogliono soltanto che le loro mani tastanti gli dicano se sono sulla strada giusta, anticamente, quando erano ancora pochi, usavano solitamente dei bastoni bianchi, il suono dei continui colpi per terra e sulle pareti era come una specie di codice che via via identificava e riconosceva la rotta, ma oggigiorno, ciechi come sono tutti, un bastone del genere, nel tintinnio generale, sarebbe quanto meno inutile, per non dire che il cieco, immerso nel proprio biancore, potrebbe addirittura dubitare di avere davvero qualcosa in mano. I cani possiedono, come si sa, oltre a quello che chiamiamo istinto, altri sistemi di orientamento, vero è che, essendo miopi, non si fidano molto della vista, ma siccome hanno il naso che precede gli occhi, arrivano sempre dove vogliono, in questo caso il cane delle lacrime, nell’incertezza, ha alzato la gamba ai quattro venti principali, la brezza s’incaricherà di guidarlo fino a casa se un giorno si dovesse perdere. Mentre continuavano a camminare, la moglie del medico guardava da un lato e dall’altro le strade, alla ricerca di negozi alimentari dove poter rifornire la defalcata dispensa. La razzia non era completa solo perché in qualche antica drogheria si potevano ancora trovare un po’ di fagioli o di ceci nei contenitori, sono legumi la cui cottura richiede molto tempo, e poi ci vuole l’acqua, e poi il combustibile, ragion per cui adesso hanno ben poco credito. Non era certo particolarmente propensa, la moglie del medico, alla mania predicativa dei proverbi, in tutti i casi qualcosa di quelle antiche scienze doveva esserle rimasto nel ricordo, prova ne fu che aveva riempito di fagioli e ceci due sacchetti di plastica, Serba ciò che non serve, troverai ciò che è necessario, le aveva detto una nonna, in fin dei conti se li avesse messi a bagno l’acqua sarebbe poi servita anche per cuocerli, e quella eventualmente rimasta dalla cottura non sarebbe stata più solo acqua, ma zuppa. Non capita solo in natura che a volte non tutto vada perduto e di qualcosa si approfitti.
Per quale motivo si trasportassero dietro i sacchetti di fagioli e ceci, più quanto potevano via via raccogliere, avendo ancora tanto da camminare prima di arrivare nella strada dove abitavano il primo cieco e sua moglie, che fanno parte del gruppo, è una domanda che avrebbe potuto uscire di bocca solo a chi nella vita non sa cosa sia il bisogno. A casa, sia pure un semplice sasso, diceva sempre quella nonna della moglie del medico, senza pensare però ad aggiungere, Anche se è necessario fare il giro del mondo, giusto l’impresa che stavano compiendo adesso, tornavano a casa per il percorso più lungo. Dove siamo, domandò il primo cieco, glielo disse la moglie del medico, gli occhi ce li aveva apposta, e lui, è qui che sono diventato cieco, all’angolo dove c’è il semaforo, è proprio l’angolo in cui ci troviamo, Qui, Esattamente qui. Non voglio neppure ripensare a cosa ho passato, rinchiuso nella macchina senza poter vedere, la gente che urlava fuori, e io disperato, a gridare che ero cieco, finché è venuto quell’uomo e mi ha condotto a casa, Poveraccio, disse la moglie del primo cieco, macchine non ne ruberà mai più, Tanto ci pesa l’idea di dover morire, disse la moglie del medico, che cerchiamo sempre di trovare delle scuse per i morti, è come se stessimo chiedendo in anticipo di essere scusati quando giungerà il nostro turno, Mi sembra ancora tutto un sogno, disse la moglie del primo cieco, è come se sognassi di essere cieca, Mentre ero a casa, ad aspettarti, l’ho pensato anch’io, disse il marito. Avevano lasciato la piazza dov’era successo il fatto, stavano risalendo alcune vie strette, labirintiche, la moglie del medico conosce poco questi posti, ma il primo cieco non si perde, dirige lui, la donna pronuncia i nomi delle strade e lui dice, Giriamo a sinistra, giriamo a destra, finalmente disse, Questa è la nostra strada, il palazzo è sulla sinistra, più o meno a metà, E il numero, domandò la moglie del medico, lui non se ne ricordava, Questa poi, non è mica che non me ne ricordo, mi si è cancellato dalla testa, disse, era un pessimo presagio, se non sappiamo più neanche dove abitiamo, il sogno a rimpiazzare la memoria, dove andremo a finire di questo passo. Ma via, stavolta non è grave, per fortuna la moglie del primo cieco ha pensato di partecipare al l’escursione, ecco, sta già dicendo il numero del palazzo, si è evitato di dover ricorrere a quello di cui il primo cieco si stava per vantare, e cioè di esser capace di riconoscere la porta con la magia del tatto, come se avesse la bacchetta magica, un tocco, metallo, un altro tocco, legno, con altri tre o quattro tocchettini completerebbe il disegno, non ho dubbi, è questa. Entrarono, la moglie del medico in testa, Che piano, domandò, Terzo, rispose il primo cieco, non era poi tanto fiacco di memoria com’era parso, alcune cose si dimenticano, è la vita, altre si ricordano, il rammentarsi per esempio di quando, già cieco, aveva varcato questa porta, A che piano abita, gli aveva domandato l’uomo che non aveva ancora rubato l’automobile, Terzo, aveva risposto lui, la differenza è che adesso non stanno salendo in ascensore, calcano i gradini invisibili di una scala che è al tempo stesso buia e luminosa, ecco quanto sente la mancanza dell’elettricità chi non è cieco, o della luce del sole, o di un moccolo di candela, ormai gli occhi della moglie del medico hanno avuto il tempo di adattarsi alla penombra, a metà strada la comitiva in salita si è scontrata con due donne in di scesa, cieche dei piani superiori, forse del terzo, nessuno ha fatto domande, effettivamente i vicini non sono più quelli di una volta.
La porta era chiusa. Come faremo, domandò la moglie del medico, Parlo io, disse il primo cieco. Bussarono una volta, due, tre volte, Non c’è nessuno, disse uno di loro nel preciso istante in cui la porta si apriva, niente di strano in quel ritardo, un cieco che si trovi in fondo alla casa non può arrivare di corsa a ricevere chi ha chiamato, Chi è, cosa desidera, domandò l’uomo che comparve, aveva un’aria seria, educata, doveva essere una persona per bene. Disse il primo cieco, Abitavo in questa casa, Ah, fu la risposta dell’altro, che poi domandò, C’è qualcun altro con lei, Mia moglie, e anche una nostra amica, Come posso sapere che questa casa era sua, è facile, disse la moglie del primo cieco, le dico tutto quanto c’è dentro. L’altro rimase in silenzio per alcuni secondi, poi disse, Entrate. La moglie del medico se ne rimase indietro, qui nessuno aveva bisogno di una guida. Il cieco disse, Sono solo, i miei sono andati in cerca di cibo, probabilmente avrei dovuto dire le mie, ma non credo sia corretto, fece una pausa e aggiunse, Benché avrei l’obbligo di saperlo, penso, Cosa vuol dire, domandò la moglie del medico, Le mie di cui parlavo sono mia mo glie e le mie due figlie, E perché avrebbe dovuto sapere se è o non è corretto usare il possessivo al femminile, Sono uno scrittore, si suppone che noi dobbiamo sapere queste cose. Il primo cieco si sentì adulato, immaginate, uno scrittore a casa mia, poi gli venne un dubbio, sarebbe stata buona educazione o no domandargli come si chiamava, probabilmente ne conosceva addirittura il nome, poteva darsi, addirittura, che lo avesse letto, era ancora in bilico fra la curiosità e la discrezione quando la moglie fece la domanda diretta, Come si chiama, I ciechi non hanno bisogno del nome, io sono questa mia voce, il resto non è importante, Ma ha scritto dei libri, e su quei libri c’è il suo nome, disse la moglie del medico, Adesso non può leggerli nessuno, dunque è come se non esistessero. Il primo cieco pensò che la conversazione si stesse allontanando un po’ troppo dal problema che più gli interessava, E come mai è finito a casa mia, domandò, Come tanti altri che non vivono più dove vivevano, ho trovato la mia casa occupata da gente che non ha voluto sentir ragioni, si può dire che ci hanno buttato giù per le scale, è lontana la sua casa, No, Ha fatto qualche altro tentativo per recuperarla, domandò la moglie del medico, ora è frequente che si giri da una casa all’altra, Ho tentato per ben due volte, Ed erano sempre là, Sì. E cosa pensa di fare dopo aver saputo che questa casa è nostra, volle sapere il primo cieco, ci caccerà come hanno fatto gli altri con lei, Non ne ho né l’età né la forza, e, anche se le avessi, non credo sarei capace di ricorrere a sistemi tanto sbrigativi, uno scrittore finisce per avere nella vita la pazienza di cui ha avuto bisogno per scrivere, Ci lascerà, dunque, la casa, Sì, se non troviamo un’altra soluzione, Non vedo quale altra soluzione si possa trovare. La moglie del medico aveva già immaginato quale sarebbe stata la risposta dello scrittore, Lei e sua moglie, come l’amica che vi accompagna, vivete in una casa, suppongo, Sì, per la precisione a casa della nostra amica, è lontana, Non si può dire che sia lontana, Allora, se me lo consentite, ho una proposta da farvi, Dica, Rimaniamo così come stiamo, in questo momento abbiamo tutti e due una casa dove poter vivere, io starò sempre attento a cosa succede nella mia, se un giorno la trovo sgomberata mi trasferisco immediatamente, lei farà lo stesso, verrà qui regolarmente, e quando la trova vuota si trasferisce, Non sono sicuro che l’idea mi piaccia, Non mi aspettavo che le piacesse, ma dubito che le possa essere più gradevole l’unica alternativa che resta, Qual è, Che recuperiate fin da ora la casa di vostra proprietà, Ma in tal caso, Appunto, in tal caso andremo noi a vivere dall’altra parte, No, neanche per idea, intervenne la moglie del primo cieco, lasciamo le cose come stanno, a suo tempo si vedrà, Ora mi viene in mente che c’è un’altra soluzione, disse lo scrittore, E cioè, domandò il primo cieco, Che noi viviamo qui come vostri ospiti, la casa basterebbe per tutti, No, disse la moglie del primo cieco, continueremo così come stiamo, ad abitare con questa nostra amica, non ho bisogno di domandarti se sei d’accordo, soggiunse rivolta alla moglie del medico, Né io di risponderti, Vi ringrazio tutti, disse lo scrittore, per la verità sono stato tutto questo tempo ad aspettare che veniste a reclamare la casa, Accontentarsi di quanto si possiede è la cosa più naturale quando si è ciechi, disse la moglie del medico, Come avete vissuto da quando è iniziata l’epidemia, Siamo usciti dalla segregazione tre giorni fa, Ah, siete fra quelli che hanno messo in quarantena, Sì, è stata dura, A dir poco, Orribile, Lei è uno scrittore, come ha detto poco fa ha l’obbligo di conoscere le parole, dunque sa che gli aggettivi non servono a niente, se una persona ne ammazza un’altra, per esempio, sarebbe meglio enunciarlo così, semplicemente, e confidare che l’orrore dell’atto, di per sé, fosse tanto scioccante da dispensarci dal dire che è stato orribile, Vuol dire che abbiamo parole in più, Voglio dire che abbiamo sentimenti in meno, Oppure ce li abbiamo, ma non usiamo più le parole che potrebbero esprimerli, E dunque li perdiamo, Vorrei che mi parlaste di come avete vissuto in quarantena, Perché, Sono uno scrittore, Bisognerebbe esserci stati, Uno scrittore è una persona come un’altra, non può sapere tutto né vivere tutto, deve domandare e immaginare, Forse un giorno glielo racconterò, così potrà scrivere un libro, Lo sto scrivendo, Come, se è cieco, Anche i ciechi possono scrivere, Vuol dire che ha avuto il tempo di imparare l’alfabeto braille, No, non lo conosco, Come può scrivere, allora, domandò il primo cieco, Ve lo faccio vedere. Si alzò dalla sedia, uscì, dopo un minuto rientrò, con un foglio di carta e una biro in mano, è l’ultima pagina che ho completato, Non possiamo vederla, disse la moglie del primo cieco, Neanche io, disse lo scrittore, Allora come può scrivere, domandò la moglie del medico, guardando il foglio di carta dove, nella penombra della sala, si distinguevano le righe molto ravvicinate, qua e là sovrapposte, Col tatto, rispose sorridendo lo scrittore, non è difficile, si mette il foglio di carta su una superficie un po’ morbida, per esempio su altri fogli di carta, e poi si scrive, Ma, se non ci vede, disse il primo cieco, La biro è un ottimo strumento di lavoro per uno scrittore cieco, non serve per fargli leggere cosa ha scritto, ma serve per sapere dove ha scritto, basta seguire col dito la depressione dell’ultima riga scritta, proseguire così fino al margine del foglio, calcolare la distanza per la nuova riga e così via, è molto facile, Noto che a volte le righe si sovrappongono, disse la moglie del medico togliendogli delicatamente di mano il foglio di carta, Come lo sa, Io ci vedo, Ci vede, ha recuperato la vista, come, quando, domandò lo scrittore nervosamente, Suppongo di essere l’unica persona a non averla mai perduta, E perché, che spiegazione ha per questo, Non ho alcuna spiegazione, probabilmente non ce n’è, Ciò significa che ha visto tutto quello che è successo, Ho visto ciò che ho visto, non ho potuto far altro, Quanti eravate in quarantena, Circa trecento, Da quando, Fin dall’inizio, ne siamo usciti solo tre giorni fa, come le ho detto, Credo di essere stato io il primo a diventare cieco, disse il primo cieco, Dev’essere stato orribile, Di nuovo questa parola, disse la moglie del medico, Mi scusi, all’improvviso mi sembra ridicolo tutto quanto ho scritto fin da quando siamo diventati ciechi, la mia famiglia e io, Su che cosa, Su quello che abbiamo sofferto, sulla nostra vita, Ognuno deve parlare di ciò che sa, e quello che non sa lo domanda, Io glie lo domando a lei, E io le risponderò, non so quando, un giorno. La moglie del medico sfiorò con il foglio di carta la mano dello scrittore, Non le dispiace farmi vedere dove lavora, cosa sta scrivendo, Al contrario, venga con me, Possiamo venire anche noi, domandò la moglie del primo cieco, La casa è vostra, disse lo scrittore, io sono solo di passaggio. In camera da letto c’era un tavolino e, sopra, un lume spento. La luce opaca che entrava dalla finestra consentiva di vedere, a sinistra, dei fogli bianchi, altri, sulla destra, scritti, al centro una pagina a metà. C’erano due biro nuove accanto al lume. Ecco qui, disse lo scrittore. La moglie del medico domandò, Posso, senza aspettare la risposta prese i fogli scritti, saranno stati una ventina, diede uno sguardo alla calligrafia minuscola, alle righe che salivano e scendevano, alle parole iscritte nel biancore del foglio, incise nella cecità, Sono di passaggio, aveva detto lo scrittore, e questi erano i segni che lasciava via via passando. La moglie del medico gli posò la mano sulla spalla, e con tutte e due le mani lui gliela prese, lentamente la portò alle labbra, Non si perda, non consenta di perdersi, disse, ed erano parole inattese, enigmatiche, che sembravano fuori luogo.
Quando rientrarono a casa, carichi di viveri sufficienti per tre giorni, la moglie del medico, fra gli aiuti eccitati del primo cieco e della moglie, raccontò l’accaduto. E la sera, inevitabilmente, lesse per tutti un po’ di pagine di un libro che era andata a prendere in biblioteca. L’argomento non interessava al ragazzino strabico, che presto si addormentò col capo in grembo alla ragazza dagli occhiali scuri e i piedi sulle gambe del vecchio dalla benda nera.

16.

Trascorsi due giorni il medico disse, Vorrei sapere cos’è successo all’ambulatorio, in questo momento non serviamo a niente, né lui né io, ma forse un giorno la gente riavrà l’uso degli occhi, gli strumenti saranno ancora lì, in attesa, Andiamo quando vuoi, disse la moglie, anche subito, E potremmo approfittarne per passare da casa mia, se non vi dispiace, disse la ragazza dagli occhiali scuri, non che pensi che i miei genitori siano tornati, è solo per scaricarmi la coscienza, Andremo anche a casa tua, disse la moglie del medico. Nessun altro si volle unire alla spedizione di riconoscimento dei domicili, il primo cieco e la moglie perché sapevano già su cosa poter contare, come del resto anche il vecchio dalla benda nera, benché per ragioni diverse, e il ragazzino strabico perché continuava a non ricordarsi il nome della strada dove un tempo abitava. Il tempo si era rasserenato, sembrava che le piogge fossero finite, e il sole, ancorché pallido, già cominciava a sentirsi sulla pelle, Non so come potremo tirare avanti se il caldo aumenterà, disse il medico, tutta questa spazzatura a marcire, gli animali morti, forse anche qualche essere umano, ci sarà gente morta dentro le case, il guaio è che non siamo organizzati, dovrebbe esserci un’organizzazione in ogni palazzo, in ogni strada, in ogni quartiere, Un governo, disse la moglie, Un’organizzazione, anche il corpo è un sistema organizzato, è vivo finché si mantiene tale, e la morte non è altro che l’effetto di una disorganizzazione, E come potrà organizzarsi per vivere una società di ciechi, Organizzandosi, l’organizzarsi è già, in un certo qual modo, cominciare ad avere occhi, Avrai pure ragione, forse, ma l’esperienza di questa cecità ci ha portato solo morte e miseria, i miei occhi, tale e quale al tuo ambulatorio, non sono serviti a niente, è grazie ai tuoi occhi che siamo vivi, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Lo saremmo anche se fossi cieca, il mondo è pieno di ciechi vivi, Io penso che moriremo tutti, è questione di tempo, Morire è sempre stata questione di tempo, disse il medico, Ma morire solo perché si è ciechi, non dev’esserci peggior maniera di morire, Moriamo di malattie, di incidenti, di casualità, E adesso moriremo anche perché siamo ciechi, e cioè moriremo di cecità e di cancro, di cecità e di tubercolosi, di cecità e di aids, di cecità e di infarto, le malattie potranno essere diverse da persona a persona, ma quello che adesso ci sta ammazzando veramente è la cecità, Non siamo immortali, non possiamo sfuggire alla morte, ma dovremmo almeno non essere ciechi, disse la moglie del medico, E come, se questa cecità è concreta e reale, disse il medico, Non ne sono sicura, disse la moglie, Neanche io, disse la ragazza dagli occhiali scuri.
Non dovettero forzare la porta, l’a prirono normalmente, la chiave si trovava nel portachiavi del medico che era rimasto in casa quando erano stati trasportati in quarantena. Questa è la sala d’aspetto, disse la moglie del medico, Quella dove stavo io, disse la ragazza dagli occhiali scuri, il sogno continua, ma non so quale sia, sarà il sogno di sognare che quel giorno stavo sognando di essere qui cieca, oppure il sogno di essere sempre stata cieca e di venire in sogno nell’ambulatorio per una infiammazione agli occhi in cui non c’era alcun pericolo di cecità, La quarantena non è stata un sogno, disse la moglie del medico, Questo proprio no, come non è stato un sogno che siamo state violentate, Né che ho pugnalato un uomo, Accompagnami nello studio, ci potrei arrivare da solo, ma accompagnami tu, disse il medico. La porta era aperta. La moglie del medico disse, è tutto per aria, carte per terra, i cassetti dello schedario li hanno portati via, Devono essere stati quelli del ministero, per non perdere tempo a cercare, Probabilmente, E gli strumenti, A vederli, mi sembrano in ordine, Almeno questo, disse il medico. Avanzò da solo, con le braccia tese, toccò la scatola delle lenti, l’oftalmoscopio, la scrivania, poi disse, rivolgendosi alla ragazza dagli occhiali scuri, Comprendo cosa intendi quando dici che stai vivendo un sogno. Si sedette dietro la scrivania, posò le mani sul ripiano di vetro coperto di polvere, poi, con un sorriso triste e ironico, come se si rivolgesse a qualcuno seduto davanti a sé, disse, Purtroppo no, dottore, mi dispiace molto, ma per lei non c’è niente da fare, se vuole che le dia un ultimo consiglio si rifugi in quel vecchio detto, avevano ragione quando dicevano che la pazienza allunga la vista, Non farci soffrire, disse la moglie, Scusami, scusami anche tu, in questo posto un tempo si facevano i miracoli, e adesso non ho più neanche le prove dei miei poteri magici, le hanno portate via tutte, L’unico miracolo che possiamo fare sarà quello di continuare a vivere, disse la moglie, difendere la fragilità della vita giorno per giorno, come se fos se lei la cieca, e non sapesse dove andare, e forse è proprio così, forse la vita non lo sa davvero, si è abbandonata nelle nostre mani dopo averci reso intelligenti, e noi l’abbiamo portata a questo, Parli come se fossi cieca anche tu, disse la ragazza dagli occhiali scuri, In un certo qual modo è vero, sono cieca della vostra cecità, potrei forse cominciare a veder meglio se fossimo più gente a vederci, Temo che tu sia come quel testimone che va in cerca del tribunale dove lo ha convocato non si sa chi e dove dovrà dichiarare non sa che cosa, disse il medico, Il tempo sta per concludersi, la putredine dilaga, le malattie trovano le porte aperte, l’acqua si esaurisce, il cibo è ormai veleno, sarebbe questa la mia prima dichiarazione, disse la moglie del medico, E la seconda, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Cerchiamo di aprire gli occhi, Non possiamo, siamo ciechi, disse il medico, Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità, Ma io voglio vedere, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Non per questo vedrai, l’unica differenza sarebbe che non saresti più la peggior cieca, e adesso andiamo via, qui non c’è altro da vedere, disse il medico.
Strada facendo verso la casa della ragazza dagli occhiali scuri attraversarono una grande piazza dove c’erano gruppi di ciechi intenti ad ascoltare i discorsi di altri ciechi, a prima vista né questi né quelli lo sembravano, chi parlava volgeva infervorato la faccia verso chi ascoltava, chi ascoltava volgeva attento la faccia verso chi parlava. Si proclamavano la fine del mondo, la salvezza penitenziale, la visione del settimo giorno, l’avvento dell’angelo, la collisione cosmica, l’estinzione del sole, lo spirito tribale, l’umore della mandragora, l’unguento della tigre, la virtù del segno, la disciplina del vento, il profumo della luna, la rivendicazione della tenebra, il potere dello scongiuro, l’impronta del calcagno, la crocifissione della rosa, la purezza della linfa, il sangue del gatto nero, il sopore dell’ombra, la rivolta delle maree, la logica dell’antropofagia, la castrazione indolore, il tatuaggio divino, la cecità volontaria, il pensiero convesso, quello concavo, quello piano, quello verticale, quello concentrato, quello disperso, quello sfuggito, l’ablazione delle corde vocali, la morte della parola. Qui non c’è nessuno che parli di organizzazione, disse la moglie del medico al marito, Forse è in un’altra piazza, rispose lui. Continuarono a camminare. Poco più avanti la moglie del medico disse, Ci sono più morti del solito per la strada, Perché la nostra resistenza si sta esaurendo, il tempo si conclude, l’acqua si esaurisce, le malattie aumentano, il cibo si trasforma in veleno, lo hai detto tu stessa, ricordò il medico, Chissà se fra questi morti non ci saranno i miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e io, magari, passo accanto a loro e non li vedo, è una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la moglie del medico.
La strada dove un tempo abitava la ragazza dagli occhiali scuri sembrava ancora più abbandonata. Davanti alla porta del palazzo c’era il corpo di una donna. Morta, smangiucchiata dagli animali randagi, per fortuna il cane delle lacrime oggi non è voluto venire, sarebbe stato necessario dissuader lo dal servirsi anche lui su questa carcassa. è la vicina del primo piano, disse la moglie del medico, Chi, dove, domandò il marito, Proprio qui, la vicina del primo piano, si sente l’odore, Povera creatura, disse la ragazza dagli occhiali scuri, chissà perché sarà uscita per la strada, non lo faceva mai, Forse aveva avvertito che la morte si stava avvicinando, forse non ha potuto sopportare l’idea di restare da sola in casa, a marcire, disse il medico, E adesso non potremo entrare, non ho le chiavi, Può darsi che i tuoi genitori siano tornati, che stiano in casa ad aspettare te, disse il medico, Non credo, Hai ragione a non crederlo, disse la moglie del medico, le chiavi sono qui. Nel concavo della mano morta, semiaperta, posata per terra, faceva capolino, brillante, luminoso, un mazzo di chiavi. Forse sono le sue, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Penso di no, non aveva alcun motivo per portarsi le chiavi là dove pensava di andare a morire, Ma io, cieca come sono, non avrei potuto vederle, se era questa l’idea che aveva, cioè di restituirmele perché potessi entrare in casa, Non sappiamo quali siano stati i suoi pensieri quando ha deciso di portarsi dietro le chiavi, forse ha immaginato che avresti recuperato la vista, forse ha sospettato che ci fosse qualcosa di poco naturale, di troppo facile nel modo in cui ci siamo mossi quando siamo stati qui, forse mi ha sentito dire che la scala era buia, che si riusciva a vedere a stento, che riuscivo a vedere a stento, oppure niente di tutto ciò, delirio, demenza, come se, perduta la ragione, si fosse fissata sull’idea di consegnarti le chiavi, l’unica cosa che sappiamo è che la sua vita si è conclusa mettendo il piede fuori dalla porta. La moglie del medico raccolse le chiavi, le consegnò alla ragazza da gli occhiali scuri, poi domandò, E adesso cosa facciamo, la lasciamo qui, Non possiamo sotterrarla nella strada, non abbiamo niente con cui sollevare le pietre, disse il medico, C’è il giardino, Bisognerà portarla su fino al secondo piano e poi calarla giù per la scala di sicurezza, è l’unica maniera, Avremo forze abbastanza, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Il problema non è se avremo o non avremo forze, il problema è se consentiremo a noi stessi di lasciare questa donna qui, Questo no, disse il medico, Allora le forze bisognerà trovarle. Infatti si trovarono, ma fu un’impresa dell’accidenti trasportare il cadavere su per i gradini, e non per quanto pesasse, già poco di natura, e adesso anche meno, dopo che i cani e i gatti avevano favorito, ma perché il corpo stava lì rigido, impalato, si fa ticava a fargli fare il giro nelle curve della stretta scala, per un’ascensione tanto breve dovettero riposarsi quattro volte. Né il rumore, né le voci, né l’odore della decomposizione fecero comparire sui pianerottoli altri abitanti del palazzo, Come pensavo, i miei genitori non ci sono, disse la ragazza dagli occhiali scuri. Quando finalmente giunsero davanti al la porta erano esausti, e dovevano ancora attraversare tutta la casa fino al retro, scendere la scala di sicurezza, ma lì, con l’aiuto dei santi, che verso il basso danno tutti una mano, il carico si riuscì a portare già meglio, le svolte erano facili da fare perché la scala era a cielo aperto, bisognò solo stare attenti a non lasciarsi sfuggire di mano il corpo di quella povera creatura, il capitombolo l’avrebbe sconquassata tutta, per non parlare dei dolori, che dopo la morte sono peggiori.
Il giardino sembrava una selva inesplorata, le recenti piogge avevano fatto crescere abbondantemente l’erba e le piante selvatiche portate dal vento, non sarebbe certo mancato cibo fresco ai conigli che andavano qua e là saltellando, le galline si contentano anche in regime di siccità. Se ne stavano seduti, ansimanti, lo sforzo li aveva messi a terra, lì accanto il cadavere riposava come loro, protetto dalla moglie del medico che scacciava le galline e i conigli, questi ultimi solo curiosi, col naso fremente, ma le galline già col becco puntato, disposte a tutto. Disse la moglie del medico, Prima di uscire, si è ricordata di aprire la porta della conigliera, non voleva che i conigli morissero di fame, è proprio vero che il difficile non è vivere con gli altri, il difficile è comprenderli, disse il medico. La ragazza dagli occhiali scuri si puliva le mani con un ciuffo d’erba che aveva strappato, colpa sua, aveva afferrato il cadavere nel punto sbagliato, ecco cosa significa non avere occhi. Disse il medico, Avremmo bisogno di una zappa, o di una pala, e qui si può osservare come l’autentico eterno ritorno sia quello delle parole, ora sono ritornate queste, pronunciate per le stesse ragioni, prima si trattava dell’uomo che ha rubato l’automobile, ora sarà la vecchia che ha restituito le chiavi, una volta sotterrati le differenze non si noteranno, a meno che non le avrà serbate una memoria. La moglie del medico era salita a casa della ragazza dagli occhiali scuri per andare a prendere un lenzuolo pulito, dovette scegliere fra quelli meno sporchi, quando scese giù di nuovo le galline stavano facendo festa, i conigli ruminavano soltanto l’erba fresca. Coperto e avvolto il cadavere, la donna andò a cercare la pala o la zappa. Le trovò tutte e due in un casottino insieme ad altri attrezzi. Ci penso io, disse, la terra è umida, si scava bene, voi riposate. Scelse un punto dove non ci fossero radici, tipo quelle che bisogna tagliare con successivi colpi di zappa, e non si creda che si tratta di un compito facile, le radici sono furbe, sanno approfittare della morbidezza della terra per schivare i colpi e ammortizzare l’effetto mortifero della ghigliottina. Né la moglie del medico né il marito né la ragazza dagli occhiali scuri, la prima perché presa dal proprio lavoro, gli altri due perché a loro gli occhi non servono a niente, notarono la comparsa di vari ciechi nei balconi circostanti, non molti, e non in tutti i balconi, doveva averli attratti il rumore della zappa, anche se la terra è molle è inevitabile, e poi non dimentichiamo che c’è sempre un sassolino nascosto che risponde sonoramente al colpo. Erano uomini e donne che sembravano fluidi come spettri, potevano essere dei fantasmi curiosi che assistevano a un funerale, solo per rammentarsi di com’era stato il proprio. La moglie del medico li vide, finalmente, quando, terminata la fossa, raddrizzò le reni dolenti e portò l’avambraccio alla fronte per asciugare il sudore. Allora, spinta da un impulso irresistibile, senza riflettere, a quei ciechi e a tutti i ciechi del mondo gridò, Risorgerà, si badi, non disse Risusciterà, il caso non era di tale importanza, sebbene il dizionario stia lì ad affermare, promettere o insinuare che si tratta di perfetti ed esatti sinonimi. I ciechi si spaventarono e s’infilarono in casa, non capivano perché fosse stata pronunciata quella parola, e inoltre non dovevano essere del tutto pronti a una rivelazione del genere, evidentemente non frequentavano abitualmente la piazza degli annunci magici, al cui elenco, per essere completo, c’era soltanto da aggiungere la testa della mantide e il suicidio dello scorpione. Il medico domandò, Per ché hai detto risorgerà, a chi parlavi, Ad alcuni ciechi che sono spuntati sui balconi, mi sono spaventata e devo averli spaventati, E perché quel la parola, Non so, mi è affiorata e l’ho detta, Ti manca solo di andare a predicare in quella piazza da cui siamo passati, Sì, un sermone sul dente di coniglio e sul becco di gallina, ora vieni ad aiutarmi, da qui, sì, bene, prendila per i piedi, io la sollevo da questo lato, attenzione, non scivolarmi tu dentro la fossa, bene, così, falla scendere pian pianino, di più, di più, ho fatto la fossa un po’ profonda per via delle galline, quando si mettono a rovistare non si sa mai fin dove possono arrivare, fatto. Si servì della pala per ricoprire la fossa, calcò bene la terra, spianò il monticello che avanza sempre dalla terra che è tornata alla terra, come se non avesse mai fatto altro nella vita. In fine strappò un ramo del roseto che cresceva in un angolo del giardino e andò a piantarlo alla base del mausoleo, dal lato della testa. Risorgerà, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Lei no, rispose la moglie del medico, ben più necessità avrebbero i vivi di risorgere da se stessi, e non lo fanno, Siamo già mezzi morti, disse il medico, Siamo ancora mezzi vivi, rispose la donna. Andò a riporre nel casottino la pala e la zappa, diede uno sguardo al giardino per accertarsi che tutto fosse in ordine, Quale ordine, si domandò, e si rispose da sola, L’ordine che vuole i morti al loro posto di morti e i vivi al loro posto di vivi, mentre le galline e i conigli nutrono questi e si nutrono di quelli, Vorrei lasciare un segnale ai miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, solo perché sappiano che sono viva, Non voglio toglierti le illusioni, disse il medico, ma prima dovrebbero trovare la casa, ed è poco probabile, pensa che non saremmo mai riusciti ad arrivare fin qui se non avessimo avuto qualcuno a guidarci, Ha ragione, e non so neppure se sono ancora vivi, ma, se non gli lasciassi un segnale, una cosa qualsiasi, mi sentirei come se li avessi abbandonati, Cosa potrebbe essere, allora, domandò la moglie del medico, Qualcosa che possano riconoscere al tatto, disse la ragazza dagli occhiali scuri, il guaio è che addosso non ho più niente del passato. La moglie del medico la guardava, lei se ne stava seduta sul primo gradino della scala di sicurezza con le mani abbandonate sulle ginocchia, il bellissimo viso angosciato, i capelli sciolti sulle spalle, So quale segnale potrai lasciare, disse. Risalì rapidamente la scala, rientrò in casa e tornò con un paio di forbici e un pezzettino di spago, Cos’hai in mente, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, preoccupandosi nel sentire lo stridere delle forbici che le tagliavano i capelli, Se i tuoi genitori torneranno, troveranno appesa alla maniglia della porta una ciocca, di chi potrebbe essere se non della loro figlia domandò la moglie del medico, Mi viene da piangere, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e detto fatto, col capo reclinato sulle braccia incrociate sopra le ginocchia sfogò le proprie pene, la nostalgia, la commozione per il pensiero che aveva avuto la moglie del medico, e subito dopo si rese conto, senza sapere per quali vie del sentimento vi fosse giunta, che stava piangendo anche per la vecchia del primo piano, la mangiatrice di carne cruda, l’orribile strega, colei che con la propria mano morta le aveva restituito le chiavi di casa. E allora la moglie del medico disse, Che tempi, è già invertito l’ordine delle cose, un simbolo che quasi sempre è stato di morte ora diviene un segnale di vita, Ci sono mani capaci di questi e di ben altri e più grandi prodigi, disse il medico, Necessità fa virtù, mio caro, disse la moglie, e adesso basta con le filosofie e le taumaturgie, diamoci da fare. Fu la stessa ragazza dagli occhiali scuri che appese la ciocca di capelli alla maniglia, Credi che i miei genitori se ne accorgeranno, domandò, La maniglia della porta è la mano tesa di una casa, rispose la moglie del medico, e con questa frase d’effetto, come si di rebbe, ritennero la visita conclusa.
Quella sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non avevano altra maniera di distrarsi, peccato che il medico non fosse, per esempio, un violinista dilettante, che dolci serenate si sarebbero allora potute sentire in questo quinto piano, i vicini invidiosi avrebbero detto, Quelli, o gli va bene la vita o sono degli incoscienti e credono di poter sfuggire alla sventura ridendosela della sventura degli altri. Adesso non c’è altra musica all’infuori di quella delle parole, e le parole, soprattutto quelle dei libri, sono discrete, anche se la curiosità spingesse qualcuno del palazzo a mettersi in ascolto dietro la porta, costui non sentirebbe altro che questo mormorio solitario, questo lungo filo di un suono che potrebbe prolungarsi all’infinito perché i libri del mondo, tutti insieme, sono come dicono sia l’universo, infiniti. Quando, a notte fonda, la lettura terminò, il vecchio dalla benda nera disse, A questo siamo ridotti, a sentir leggere, Io non mi lamento, potrei restare così per sempre, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Neanch’io mi sto lamentando, dico solo che serviamo soltanto a questo, a sentir leggere la storia di un’umanità esistita prima di noi, approfittiamo della combinazione che ci siano ancora un paio d’occhi aperti, gli ultimi rimasti, se un giorno si dovessero spegnere, non voglio neanche pensarci, allora il filo che ci unisce a quell’umanità si spezzerebbe, sarebbe come se ci stessimo allontanando gli uni dagli altri nello spazio, per sempre, e ciechi loro tanto quanto noi, Finché potrò, disse la ragazza dagli occhiali scuri, manterrò la speranza, la speranza di ritrovare un giorno i miei genitori, la speranza che compaia la mamma di questo ragazzo, Ti sei dimenticata di parlare della speranza di tutti, Quale, Quella di recuperare la vista, Avere certe speranze è una follia, Allora ti dico che, se non fosse per quelle, avrei già rinunciato alla vita, Fammi un esempio, Vedere di nuovo, Questo lo conosciamo già, fammene un altro, No, Perché, Non ti interessa, E come sai che non mi interessa, cosa credi di conoscere di me per decidere, per tuo conto, ciò che mi interessa e ciò che non mi interessa, Non ti arrabbiare, non avevo intenzione di ferirti, Gli uomini sono tutti uguali, pensano che basti esser nati dalla pancia di una donna per sapere tutto delle donne, Io delle donne so ben poco, e di te niente, e quanto a essere un uomo, per me è acqua passata, ora sono un vecchio, e guercio, oltre che cieco, Non hai nient’altro da dire contro te stesso, Tante altre cose, non immagini neanche quanto la lista nera delle autorecriminazioni vada aumentando a mano a mano che gli anni passano, Io sono giovane, e già ne sono ben fornita, Ancora non hai fatto niente di ve ramente cattivo, Come puoi saperlo, se non hai mai vissuto con me, Sì, non ho mai vissuto con te, Perché hai ripetuto con quel tono le mie parole, Quale tono, Quello, Ho detto solo che non ho mai vissuto con te, Il tono, il tono, non fingere di non capire, Non insistere, ti prego, Invece sì, ho bisogno di sapere, Torniamo alle speranze, Va bene, L’altro esempio di speranza che ho rifiutato di fare era quello, Quello, quale, L’ultima autorecriminazione della mia lista, Spiegati, per favore, le sciarade non le capisco, Il mostruoso desiderio di non recuperare più la vista, Perché, Per continuare a vivere così, Vuoi dire tutti insieme, oppure insieme a me, Non costringermi a rispondere, Se fossi soltanto un uomo potresti sottrarti alla risposta, come fanno tutti, ma tu stesso hai detto che sei un vecchio, e un vecchio, se l’aver vissuto tanto ha ancora un senso, non dovrebbe voltare la faccia davanti alla verità, rispondi, Insieme a te, E per quale motivo vuoi vivere con me, Ti aspetti che lo dica davanti a tutti, Gli uni davanti agli altri abbiamo fatto le cose più sporche, più brutte, più ripugnanti, non sarà certo peggio quello che hai da dirmi, Giacché lo vuoi, e sia, perché all’uomo che sono ancora piace la donna che tu sei, è stato poi così tanto penoso fare questa dichiarazione d’amore, Al la mia età, il ridicolo fa paura, Non sei stato ridicolo, Dimentichiamolo, ti prego, Non intendo dimenticare né lasciare che tu dimentichi, è una sciocchezza, mi hai costretto a parlare, e adesso, E adesso è il mio turno, Non dire nulla di cui potresti pentirti, ricordati della lista nera, Se in questo momento sono sincera, cosa importa se un domani dovrò pentirmene, Taci, Tu vuoi vivere con me e io voglio vivere con te, Sei pazza, Vivremo insieme qui, come una coppia, e insieme continueremo a vivere se dovremo separarci dai nostri amici, due ciechi dovranno pur vedere più di uno, è una follia, io non ti piaccio, Cosa significa piacere, a me non è mai piaciuto nessuno, con gli uomini ci sono solo andata a letto, Mi stai dando ragione, No, Hai parlato di sincerità, allora rispondimi, è proprio vero che ti piaccio, Mi piaci abbastanza da voler stare con te, ed è la pri ma volta che lo dico a qualcuno, Non lo diresti neanche a me se mi avessi incontrato prima, un uomo anziano, mezzo calvo, con i capelli bianchi, una benda su un occhio e una cataratta nell’altro, La donna che ero un tempo non lo direbbe, lo riconosco, lo ha detto la donna che sono oggi, Vedremo allora cosa avrà da dire la donna che sarai domani, Mettimi alla prova, Che idea, chi sono io per metterti al la prova, è la vita che decide di queste cose, Una l’ha già decisa.
Ebbero questa conversazione faccia a faccia, gli occhi ciechi dell’uno fissi negli occhi ciechi dell’altra, i visi infiammati e veementi, e quando, per averlo detto uno di loro e per averlo voluto entrambi, convennero che la vita aveva deciso che si mettessero a vivere insieme, la ragazza dagli occhiali scuri tese le mani, solo per offrirle, non per sapere dove andava, sfiorò le mani del vecchio dalla benda nera che la strinse dolcemente a sé, e rimasero seduti così, vicini, non era la prima volta, è chiaro, ma adesso erano state pronunciate le parole del contratto matrimoniale. Nessun altro fece commenti, nessuno si congratulò, né augurò loro eterna felicità, non è davvero tempo di festeggiamenti e illusioni, e quando si tratta di decisioni tanto serie come sembra sia stata questa, non ci sarebbe neppure da sorprendersi se qualcuno avesse pensato che bisogna proprio esser ciechi per comportarsi in questa maniera, il silenzio è sempre il miglior applauso. La moglie del medico si limitò a stendere nel corridoio un po’ di cuscini del divano, sufficienti per improvvisare un comodo letto, poi condusse nell’altra stanza il ragazzino strabico e gli disse, D’ora in poi dormirai qui. Quanto a ciò che accadde nella sala, tutto indica che questa prima notte si sarà finalmente chiarito il caso della mano misteriosa che ha lavato la schiena del vecchio dalla benda nera quella mattina in cui si riversarono tante acque, tutte purificatrici.

17.

Il giorno seguente, ancora a letto, la moglie del medico disse al marito, Abbiamo poco da mangiare in casa, bisognerà fare un giro, oggi ho pensato di andare al magazzino sotterraneo del supermercato, quello dove sono stata il primo giorno, se non l’ha ancora scoperto nessuno potremo rifornirci per una o due settimane, Vengo con te, e chiediamo di accompagnarci anche a uno o due di loro, Preferirei che fossimo solo noi, è più facile e non ci sarà pericolo di perderci, Fino a quando riuscirai a reggere il peso di sei persone che non possono darsi da fare, Reggerò finché potrò, ma in realtà le forze cominciano ormai a mancarmi, a volte mi ritrovo a desiderare di diventare cieca per essere uguale agli altri, per non avere più obblighi di loro, Ci siamo abituati a dipendere da te, se ci mancassi sarebbe come se ci avesse colpito una seconda cecità, grazie ai tuoi occhi riusciamo a essere un po’ meno ciechi, Tirerò avanti finché ne sarò capace, non posso promettere di più, Un giorno, quando dovessimo capire che non possiamo fare più nulla di buono e di utile al mondo, dovremmo avere il coraggio di uscire semplicemente dalla vita, come ha detto lui, Lui chi, Il fortunato di ieri, Sono sicura che oggi non lo direbbe, non c’è niente di meglio che una solida speranza per far cambiare opinione, Adesso ce l’ha, speriamo gli duri, Nella tua voce c’è un tono che sembra di contrarietà, Contrarietà, perché, Come se ti avessero portato via qualcosa che ti apparteneva, Ti riferisci a quello che è accaduto con la ragazza quando eravamo in quel posto orribile, Sì, Ricordati che è stata lei a cercarmi, La memoria ti inganna, sei tu che l’hai cercata, Ne sei sicura, Non ero cieca, Eppure sarei pronto a giurare che, Giureresti il falso, è strano come la memoria possa ingannarci così, In questo caso è facilmente comprensibile, sentiamo più nostro quanto ci si è offerto spontaneamente che non quello che abbiamo dovuto conquistare, Né lei mi ha cercato dopo, né io l’ho più cercata, Volendo ci s’incontra nella memoria, a questo serve, Sei gelosa, No, non sono gelosa, né lo sono stata quel giorno, ma ho provato pena per lei e per te, e anche per me perché non potevo aiutarvi, Come stiamo ad acqua, Male. Dopo la meno che frugale colazione del mattino, amenizzata finalmente da alcune allusioni discrete e sorridenti agli avvenimenti della notte trascorsa, con parole convenientemente controllate per la presenza di un minore, una cautela peraltro inutile se ripensiamo alle scandalose scene di cui è stato di persona testimone durante la quarantena, la moglie del medico e il marito si recarono al lavoro, accompagnati stavolta dal cane delle lacrime, che non volle restare a casa. L’aspetto delle strade peggiorava di ora in ora. La spazzatura sembrava moltiplicarsi durante le ore notturne, era come se dall’estero, da un paese sconosciuto dove regnasse ancora una vita normale, venissero di nascosto a svuotare i contenitori, se non fosse che ci troviamo in un paese di ciechi vedremmo avanzare in questa bianca oscurità i carri e i camion fantasma carichi di detriti, avanzi, macerie, scorie chimiche, ceneri, oli bruciati, ossa, bottiglie, interiora, pile scariche, plastiche, montagne di carta, soltanto i resti del mangiare non ci portano, neanche un po’ di bucce con cui poter ingannare via via la fame, aspettando quei giorni migliori che dovranno pur venire. è ancora mattina presto, ma il caldo si fa già sentire. Il cattivo odore si diffonde dall’immensa pattumiera come una nube di gas tossico, Fra non molto cominceranno a spuntare un bel po’ di epidemie, ha ripetuto il medico, non ne scamperà nessuno, siamo completamente indifesi, Se non è pioggia è vento, ha detto la moglie, Magari, la pioggia almeno ci servirebbe per dissetarci, e il vento ci libererebbe un po’ da questo fetore. Il cane delle lacrime gira qua e là fiutando inquieto, si è soffermato a rovistare in un mucchio di spazzatura, probabilmente ci ha nascosto sotto qualche leccornia sopraffina che adesso non riesce a trovare, se fosse solo da lì non si schioderebbe, ma la donna che ha pianto è già arrivata laggiù, il suo dovere è di seguirla, non si sa mai, potrebbe dover asciugare altre lacrime. È difficile camminare. In certe strade, soprattutto quelle più in pendenza, l’impeto delle acque piovane, trasformate in torrente, ha scaraventato automobili contro automobili, o contro palazzi, buttando giù porte, svuotando vetrine, ci sono schegge di vetro spesso dappertutto. Schiacciato fra due macchine, imputridisce il corpo di un uomo. La moglie del medico distoglie lo sguardo. Il cane delle lacrime si avvicina, ma la morte gli mette soggezione, fa due pas si ancora, di colpo gli si è rizzato il pelo, un lacerante ululato gli è uscito dalla gola, il guaio di questo cane è di essere stato tanto vicino agli esseri umani, finirà per soffrire quanto loro. Attraversarono una piazza dove c’erano gruppi di ciechi che s’intrattenevano ad ascoltare i discor si di altri ciechi, a prima vista non sembravano ciechi né gli uni né gli altri, chi parlava girava infervorato la faccia verso chi ascoltava, chi ascoltava girava attento la faccia verso chi parlava. Si proclamavano i principi fondamentali dei grandi sistemi organizzati, la proprietà privata, il libero scambio, il mercato, la borsa, la pressione fiscale, l’interesse, l’appropriazione, l’espropriazione, la produzione, la distribuzione, il consumo, l’approvvigionamento e il suo contrario, la ricchezza e la povertà, la comunicazione, la repressione e la delinquenza, le lotterie, le istituzioni carcerarie, il codice penale, il codice civile, il codice stradale, il dizionario, l’elenco telefonico, le reti di prostituzione, le fabbriche di materiali bellici, le forze armate, i cimiteri, la polizia, il contrabbando, le droghe, i traffici illeciti permessi, la ricerca farmaceutica, il gioco, il prezzo delle cure e dei funerali, la giustizia, il mutuo, i partiti politici, le elezioni, i parlamenti, i governi, il pensiero convesso, quello concavo, quello piano, quello verticale, quello inclinato, quello concentrato, quello disperso, quello sfuggito, l’ablazione delle corde vocali, la morte della parola. Qui si parla di organizzazione, disse la moglie del medico al marito, Me ne sono accorto, rispose lui, e tacque. Continuarono a camminare, la moglie del medico andò a consultare una mappa della città che era lì su un angolo, come un antico crocifisso sulle strade. Erano molto vicini al supermercato, qui, da qualche parte si era accasciata per terra, piangente, quel giorno in cui si era vista perduta, grottescamente prostrata sotto il peso di quei sacchetti di plastica per fortuna pieni, era accorso un cane a consolarla dal disorientamento e dall’angoscia, proprio questo che sta ringhiando alle mute che si avvicinano troppo, come ad avvisarle, A me non me la fate, state lontani. Una svolta a sinistra, un’altra a destra, e compare la porta del supermercato. Solo la porta, cioè, la porta c’è, l’edificio c’è tutto, ma non si vede gente entrare e uscire, quel formicaio umano che incontriamo continuamente in questi locali, che vivono appunto dell’afflusso di grandi masse. La moglie del medico, temendo il peggio, disse al marito, Siamo venuti troppo tardi, non ci sarà più neppure un quarto di biscotto, Perché dici questo, Non vedo entrare né uscire nessuno, Può darsi non abbiano ancora scoperto il sotterraneo, è la mia speranza. Si erano fermati sul marciapiede davanti al supermercato mentre si scambiavano queste frasi. Accanto a loro, come se fossero in attesa che a un semaforo si accendesse il verde, c’erano tre ciechi. La moglie del medico non si accorse della faccia che fecero, un’espressione di sorpresa inquieta, una sorta di vago timore, non vide che la bocca di uno di loro si aprì come per dire qualcosa e subito dopo si richiuse, non notò quel rapido movimento di stringersi nelle spalle, Fatti tuoi, avrà probabilmente pensato questo cieco. Ormai in mezzo alla strada, mentre l’attraversavano, la moglie del medico e il marito non poterono udire l’osservazione del secondo cieco, Chissà perché avrà detto che non vedeva, che non vedeva entrare e uscire nessuno, né la risposta del terzo cieco, Sono modi di dire, anche poco fa, quando ho inciampato, mi hai domandato se non vedevo dove mettevo i piedi, è lo stesso, non abbiamo ancora perso l’abitudine di vedere, Mio Dio, quante volte lo abbiamo già detto, esclamò il primo cieco.
Il chiarore del giorno illuminava l’ampio spazio del supermercato fino giù in fondo. Quasi tutti gli scaffali erano per terra, non c’erano che pattume, vetri rotti, scatoloni vuoti, è curioso, disse la moglie del medico, anche se non c’è più niente da mangiare, non capisco perché non ci viva nessuno. Il medico disse, Effettivamente, non sembra normale. Il cane delle lacrime si mise a guaire flebilmente. Aveva di nuovo il pelo ritto.
Disse la moglie del medico, C’è uno strano odore, La solita puzza, disse il marito, No, è un altro odore, di putrefazione, Ci sarà qualche cadavere, Non ne vedo, Allora sarà una tua impressione. Il cane riprese a gemere. Cos’ha il cane, domandò il medico, è nervoso, Cosa facciamo, Andiamo a vedere, se c’è un cadavere ci te niamo lontani, a questo punto i morti non ci fanno più paura, Per me è più facile, non li vedo. Attraversarono il supermercato fino alla porta che dava accesso al corridoio per cui si sarebbe arrivati al magazzino del sotterraneo. Il cane delle lacrime li seguì, ma di tanto in tanto si fermava, guaiva richiamandoli, poi il dovere lo costringeva a proseguire. Quando la moglie del medico aprì la porta, l’odore si fece più intenso, C’è davvero puzza, disse il marito, Tu resta qui, torno subito. Avanzò nel corridoio, sempre più buio, e il cane delle lacrime la seguì come se lo stessero trascinando. Satura del fetore di putrefazione, l’aria sembrava pastosa. A metà strada, la moglie del medico vomitò, Cosa sarà successo, pensava fra un conato e l’altro, e poi mormorando ripeté, una prima e una seconda volta, sempre le stesse parole mentre si avvicinava alla porta metallica da cui si accedeva al sotterraneo. Confusa dalla nausea, non aveva notato che in fondo c’era un chiarore diffuso, molto tenue. Adesso sapeva cos’era. Negli interstizi delle due porte, della scala e del montacarichi, palpitavano del le fiammelle. Un nuovo attacco di vomito le contorse le budella, talmente violento da scagliarla per terra. Il cane delle lacrime emise un lungo ululato, lanciò un grido che sembrava interminabile, un lamento che risuonò nel corridoio come l’ultima voce dei morti che si trovavano nel sotterraneo. Il medico sentì i vomiti, i rantoli, la tosse, corse come poté, inciampò e cadde, si alzò e ricadde, infine strinse la moglie fra le braccia, Cos’è accaduto, domandò tremante, lei ripeteva solo, Portami via da qui, portami via da qui per favore, per la prima volta da quando era sopraggiunta la cecità era lui che guidava la moglie, la guidava senza sapere dove, in un posto qualsiasi, ma lontano da queste porte, dalle fiamme che non poteva vedere. Quando uscirono fuori dal corridoio, i nervi le cedettero di colpo, il pianto si fece convulso, non c’è modo di asciugare lacrime come queste, solo il tempo e la stanchezza potranno chetarle, ecco perché il cane non si avvicinava, cercava solo una mano da leccare. Cos’è accaduto, domandò il medico di nuovo, cos’hai visto, Sono morti, riuscì a dire lei fra i singhiozzi, Chi è che è morto, Loro, e non poté continuare, Calmati, parlerai quando ce la farai. Trascorsi alcuni minuti, lei disse, Sono morti, Hai visto qualche cosa, hai aperto la porta, domandò il marito, No, ho visto solo dei fuochi fatui alle fessure, stavano lì avvinghiati e ballavano, senza staccarsi, Idrogeno fosforato derivante dalla decomposizione, Immagino di sì, Cosa sarà successo, Devono aver trovato per caso il sotterraneo, si saranno precipitati giù per la scala in cerca di cibo, ricordo quanto era facile scivolare e cadere su quei gradini, e se ne è caduto uno sono caduti tutti, probabilmente non sono neppure riusciti ad arrivare dove volevano, o forse ci sono riusciti ma poi, con la scala ostruita, non hanno potuto tornare indietro, Ma tu hai detto che la porta era chiusa, L’avranno chiusa certamente gli altri ciechi, hanno trasformato il sotterraneo in un enorme sepolcro, e sono io la colpevole di quanto è accaduto, quando sono uscita di corsa con i sacchetti avranno sospettato che si trattasse di cibo e si saranno messi a cercarlo, In un certo qual modo, tutto quanto mangiamo è rubato alla bocca altrui, e se ne rubiamo troppo finiamo per causarne la morte, in fondo siamo tutti più o meno assassini, Magra consolazione, Ma non voglio che cominci ad addossarti colpe immaginarie quando già riesci a stento a sostenere la responsabilità di mantenere sei bocche reali e inutili, Senza la tua bocca inutile, come potrei vivere, Continueresti a vivere per mantenere le altre cinque, Mi chiedo per quanto tempo, Ancora non per molto, quando sarà tutto finito saremo costretti a girare per le campagne in cerca di cibo, strapperemo tutti i frutti dagli alberi, ammazzeremo tutti gli animali che riusciremo ad acchiappare, se nel frattempo non avremo cominciato a divorare i cani e i gatti. Il cane delle lacrime non si fece sentire, l’argomento non lo riguardava, a qualcosa gli era pur servito trasformarsi negli ultimi tempi nel cane delle lacrime.
La moglie del medico a stento poteva trascinare i piedi. La scossa l’aveva lasciata priva di forze. Quando uscirono dal supermercato, lei esanime, lui cieco, nessuno avrebbe saputo dire chi dei due stava sostenendo l’altro. Forse per l’intensità della luce le venne una vertigine, pensò di star perdendo la vista, ma non si spaventò, era solo un mancamento. Non giunse al punto di cadere, di perdere del tutto i sensi. Aveva bisogno di sdraiarsi, chiudere gli occhi, respirare regolarmente, se avesse potuto stare qualche minuto tranquilla, calma, era sicura che le forze sarebbero tornate, e bisognava che tornassero, i sacchetti di plastica erano ancora vuoti. Non voleva sdraiarsi su tutta quella schifezza del marciapiede, rientrare nel supermercato neanche morta. Si guardò intorno. Al di là della strada, poco più avanti, c’era una chiesa. Probabilmente c’era gente dentro, come dappertutto, ma doveva essere un buon posto dove riposare un po’, anticamente almeno era così. Disse al marito, Ho bisogno di riprendere le forze, portami laggiù, Laggiù dove, Scusami, tu sostienimi, te lo dico io, Cos’è, Una chiesa, se mi potessi sdraiare un po’ tornerei come nuova, Andiamo. Si entrava nel tempio salendo sei gradini, sei gradini, nota bene, che la moglie del medico fece con gran fatica, tanto più che doveva guidare anche il marito. Le porte erano spalancate, e per fortuna, anche un paravento, per quanto tra i più semplici, sarebbe stato in questo momento un ostacolo difficile da superare. Il cane delle lacrime si fermò indeciso sulla soglia. è che, malgrado la libertà di movimenti di cui hanno goduto i cani negli ultimi mesi, nel loro cervello era ancora geneticamente incorporata la proibizione che un giorno, in tempi remoti, si era abbattuta sulla specie, la proibizione di entrare nelle chiese, probabilmente per colpa di quell’altro codice genetico che ordina loro di marcare il territorio dovunque arrivino. Non sono serviti a niente i buoni e leali servigi prestati dagli antenati di questo cane delle lacrime, quando lambivano le purulente piaghe di santi prima ancora che fossero approvati e dichiarati tali, una misericordia, dunque, fra le più disinteressate, perché, lo sappiamo bene, non certo tutti i mendicanti riescono ad ascendere alla santità, per quante piaghe possano avere sul corpo, e anche nell’anima, là dove la lingua dei cani non arriva. Questo, adesso, si è azzardato a penetrare nel sacro recinto, la porta era a perta, portiere non ce n’era, e, ragione oltremodo forte, la donna delle la crime è già entrata, non so neppure come riesca a trascinarsi, continua a mormorare al marito una sola parola, Reggimi, la chiesa è piena, quasi non si trova un palmo di pavimento libero, qui si potrebbe veramente dire che non c’è una pietra su cui posare il capo, è accorso ancora una volta il cane del le lacrime, con due ringhiate e due attacchi, il tutto senza cattiveria, ha fatto un po’ di spazio dove la moglie del medico si è accasciata, abbandonando il corpo allo svenimento, gli occhi finalmente chiusi. Il marito le ha preso il polso, è sostenuto e regolare, appena appena lontano, poi ha fatto un tentativo per rialzarla, la posizione non è corretta, bisogna rapidamente far affluire di nuovo il sangue al cervello, aumentare l’irrorazione cerebrale, meglio di tutto sarebbe sederla, metterle il capo fra le ginocchia, e confidare nella natura e nella forza di gravità. Alla fine, dopo alcuni tentativi falliti, riuscì a rialzarla. Dopo qualche minuto, la moglie del medico sospirò profondamente, si mosse di un nonnulla, cominciava a tornare in sé. Non ti alzare ancora, le disse il marito, stai lì un altro po’ a testa bassa, ma lei si sentiva bene, nessun segno di vertigine, gli occhi riuscivano già a intravvedere i lastroni del pavimento, che il ca ne delle lacrime, grazie alle tre energiche raspate che aveva dato per sdraiarsi pure lui, aveva ripulito in maniera accettabile. Alzò la testa verso le colonne slanciate, verso le alte volte, a comprovare la sicurezza e la stabilità della circolazione sanguigna, poi disse, Ora mi sento bene, ma nello stesso istante pensò di essere ammattita, o forse, scomparsa la vertigine, di avere le allucinazioni, non poteva essere vero ciò che le mostravano gli occhi, quell’uomo inchiodato alla croce con una benda bianca a tappargli gli occhi, e, lì accanto, una donna col cuore trafitto da sette spade e gli occhi tappati anch’essi con una benda bianca, e non c’erano soltanto quest’uomo e questa donna in simili condizioni, tutte le immagini della chiesa avevano gli occhi bendati, le sculture con una striscia di tessuto bianco legata intorno alla testa, i dipinti con una spessa pennellata di pittura bianca, e laggiù c’era una donna che insegnava a leggere alla figlia, e tutte e due avevano gli occhi tappati, e un uomo con un libro aperto su cui era seduto un bambino, e tutti e due avevano gli occhi tappati, e un altro uomo col corpo trafitto di frecce, e aveva gli occhi tappati, e una donna con una lanterna accesa, e aveva gli occhi tappati, e un altro uomo con ferite alle mani, ai piedi e al petto, e aveva gli occhi tappati, e un altro uomo con un leone, e tutti e due avevano gli occhi tappati, e un altro uomo con un agnello, e tutti e due avevano gli occhi tappati, e un altro uomo con un’aquila, e tutti e due avevano gli occhi tappati, e un altro uomo che dominava con una lancia un uomo a terra, con le corna e i piedi fessi, e tutti e due avevano gli occhi tappati, e un altro uomo con una bilancia, e aveva gli occhi tappati, e un vecchio calvo con un giglio bianco in mano, e aveva gli occhi tappati, e un altro vecchio appoggiato a una spada sguainata, e aveva gli occhi tappati, e una donna con una colomba, e tutte e due avevano gli occhi tappati, e un uomo con due corvi, e tutti e tre avevano gli occhi tappati, c’era soltanto una donna che non aveva gli occhi tappati, perché li porgeva sopra un vassoio d’argento. La moglie del medico disse al marito, Non mi crederesti se ti dicessi quello che ho davanti a me, tutte le immagini della chiesa hanno gli occhi bendati, Che strano, chissà perché, Come faccio a saperlo, potrebbe essere stata opera di qualche disperato della fede quando ha capito che sarebbe diventato cieco come gli altri, può essere stato lo stesso sacerdote, forse ha pensato giustamente che, siccome i ciechi non avrebbero potuto vedere le immagini, anche le immagini non avrebbero più dovuto vedere i ciechi, Le immagini non vedono, Ti sbagli, le immagini vedono con gli occhi che le vedono, solo adesso la cecità è veramente generale, Tu ci vedi ancora, Ci vedrò sempre meno, anche se non perderò la vista diverrò sempre più cieca di giorno in giorno perché non avrò più nessuno che mi veda, Se è stato il prete a tappare gli occhi delle immagini, è solo una mia idea, è l’unica ipotesi plausibile, è l’unica che possa conferire una certa grandiosità alla nostra miseria, immagino quell’uomo che entra qui dentro proveniente da un mondo di ciechi, al quale poi dovrà tornare per divenirlo anche lui, immagino le porte chiuse, la chiesa deserta, il silenzio, immagino le statue, i dipinti, lo vedo andare dall’una all’altro, salire sugli altari e legare i pezzi di stoffa, con due nodi perché non si slaccino e cadano giù, a passare due mani di colore sulle pitture per rendere più spessa la notte bianca in cui sono entrate, quel prete dev’essere stato il più grande sacrilego di tutti i tempi e di tutte le religioni, il più giusto, il più radicalmente umano, colui che è venuto finalmente ad affermare che Dio non merita di vedere. La moglie del medico non arrivò a rispondere, qualcuno accanto parlò prima di lei, Cosa state dicendo, chi siete, Ciechi come te, disse lei, Ma ti ho sentito dire che vedevi, Sono modi di dire che si fatica a perdere, quante volte ancora bisognerà ripeterlo, E cos’è questa roba delle immagini con gli occhi tappati, è vero, E tu come lo sai, se sei cieca, Lo verresti a sapere anche tu se facessi come ho fatto io, avvicinati e toccale con le mani, le mani sono gli occhi dei ciechi, E tu perché lo hai fatto, Ho pensato che per essere giunti al punto cui siamo giunti qualcun altro doveva essere cieco, E quella storia che è stato il parroco di questa chiesa a tappare gli occhi alle immagini, l’ho conosciuto molto bene, sarebbe incapace di fare una cosa del genere, Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra, Parlare di gioco in una chiesa è peccato, Alzati, usa le tue mani, se dubiti di quanto dico, Giurami che è vero che le immagini hanno gli occhi tappati, Quale giuramento ti è sufficiente, Giura sui tuoi occhi, Lo giuro due volte, sui miei e sui tuoi occhi, è vero, è vero. Questa conversazione la stavano sentendo altri ciechi che si trovavano più vicino, e sarebbe inutile dire che non ci fu bisogno di aspettare la conferma del giuramento perché la notizia cominciasse a circolare, a passare di bocca in bocca, in un mormorio che a poco a poco cambiava tono, prima incredulo, poi inquieto, di nuovo incredulo, il guaio fu che in quell’assembramento di gente c’erano un certo numero di persone superstiziose e ricche d’immaginazione, l’idea che le immagini sacre fossero cieche, che i loro sguardi misericordiosi o sofferenti non contemplassero altro che la propria cecità, divenne subitamente insopportabile, fu come se qualcuno fosse venuto a dir loro che erano circondati da mortiviventi, bastò che si udisse un grido, e poi un altro, e un altro ancora, la paura fece immediatamente alzare tutti quanti, il panico li spinse verso la porta, si ripeté la scena ormai nota, siccome il panico è molto più rapido delle gambe che lo devono portare, i piedi del fuggiasco finiscono per impappinarsi nella corsa, tanto più se lui è cieco, ed eccolo all’improvviso per terra, il panico gli dice, Alzati, corri, stanno venendo ad ammazzarti, figurarsi se lui non lo vorrebbe, ma ce ne sono altri che si son messi a correre e son caduti, bisogna proprio avere un gran buon cuore per non scoppiare a ridere davan ti a questo grottesco garbuglio di corpi alla ricerca di braccia per liberarsi e di piedi per scappare. Quei sei gradini là fuori saranno come un precipizio, ma insomma, non sarà poi una gran caduta, l’abitudine a cadere indurisce il corpo, l’esser giunti per terra è già, di per sé, un sollievo, Da qui non ne vengo fuori, è il primo pensiero, e a volte l’ultimo nei casi fatali. Ciò che neppure cambia è che si approfittino alcuni del male altrui, come sanno benissimo, fin dall’i nizio del mondo, gli eredi e gli eredi degli eredi. La fuga disperata di questa gente l’ha spinta a lasciare dietro di sé tutti i propri beni, e quando la necessità avrà avuto la meglio sulla paura e loro torneranno a cercarli, oltre al difficile problema di chiarire in modo soddisfacente qual era il mio e quale il tuo, vedremo che sarà sparita parte di quel po’ di cibo che avevamo, vuoi vedere che è stato tutto un cinico stratagemma di quella donna che ha detto che le immagini avevano gli occhi tappati, la cattiveria di certe persone non ha limiti, si inventano persino di queste balle per poter rubare alla povera gente quei pochi avanzi di cibo indecifrabili. Orbene, è stata tutta colpa del cane del le lacrime, vedendo finalmente libera la piazza è andato ad annusare qua e là, si è ripagato del lavoro, com’era giusto e naturale, ma ha mostrato, per così dire, l’ingresso della miniera, col risultato che la moglie del medico e il marito sono usciti dalla chiesa coi sacchetti mezzi pieni. Se finiranno per utilizzare una metà di quanto hanno preso potranno ritenersi soddisfatti, davanti all’altra metà diranno, Non so come riuscissero a mangiarselo, anche quando la sventura è comune a tutti, c’è sempre chi se la passa peggio degli altri.
Il resoconto di questi avvenimenti, ognuno nel suo genere, lasciò costernati e sgomenti i compagni, anche se tuttavia c’è da notare che la moglie del medico, forse perché le parole si rifiutavano, non ce la fece a comunicar loro quel sentimento di orrore assoluto che aveva provato davanti alla porta del sotterraneo, davanti a quel rettangolo pallido e vacillante di lumini che dava nella scala per cui si sarebbe giunti all’altro mondo. Già le immagini dagli occhi bendati avevano colpito profondamente, ancorché in modo diverso, l’immaginazione di tutti, nel primo cieco e in sua moglie, per esempio, si notò un certo malessere, per loro si trattava principalmente di una imperdonabile mancanza di rispetto. Che tutti gli esseri umani, si ritrovassero ciechi, era una iattura di cui loro non erano colpevoli, sono sventure che possono capitare a chiunque, ma andare, solo per ciò, a tappare gli occhi alle sante immagini, gli sembrava un attentato imperdonabile, e peggio ancora se commesso dal parroco di una chiesa. Il commento del vecchio dalla benda nera fu assai diverso, Capisco lo shock che ti avrà causato, sto giusto pensando alla galleria di un museo, tutte le sculture con gli occhi tappati, non perché lo scultore non avesse voluto sgrossare la pietra fino a giungere al punto in cui c’erano gli occhi, ma tappati come dici tu, con quei pezzi di stoffa annodati, come se una cecità sola non bastasse, è curioso, ma una benda come la mia non fa la stessa impressione, a volte ti conferisce addirittura un’aria romantica, e rise di quanto aveva detto e di se stesso. Quanto alla ragazza dagli occhiali scuri, lei si accontentò di dire che sperava di non dover vedere in sogno quella maledetta galleria, di incubi ne aveva abbastanza. Mangiarono un po’ di quel pessimo cibo che c’era, era il meglio che avevano, la moglie del medico disse che stava diventando sempre più difficile trovare da mangiare, forse avrebbero dovuto lasciare la città e andare a vivere in campagna, lì, per lo meno, i cibi che fossero riusciti a rimediare sarebbero stati più sani, e ci sarà pure qualche capra o qualche mucca in libertà, possiamo mungerle, avremo latte, e c’è l’acqua dei pozzi, possiamo cuocere quello che vogliamo, il problema sta nel trovare un buon posto, ciascuno diede poi la propria opinione, alcune più entusiastiche di altre, ma a tutti era chiaro che la situazione incalzava e forzava, chi si mostrò contento senza riserve fu il ragazzino strabico, probabilmente per via dei bei ricordi delle vacanze. Dopo aver mangiato, se ne andarono a dormire, lo facevano sempre fin dal tempo della quarantena, quando l’esperienza aveva loro insegnato che il corpo sdraiato sopporta veramente tanta fame. La sera non mangiarono, solo il ragazzino strabico ebbe qualcosa per tacitare la lagna e ingannare l’appetito, gli altri si sedettero ad ascoltare la lettura del libro, almeno lo spirito non potrà protestare contro la mancanza di nutrimento, il guaio è che la debilità del corpo portava talvolta l’attenzione della mente a distrarsi, e non certo per mancanza di interesse intellettuale, no, è che semplicemente il cervello scivolava in un mezzo sopore, come un animale che si prepara a ibernarsi, addio mondo, ragion per cui non di rado gli ascoltatori chiudevano docilmente le palpebre, si mettevano a seguire con gli occhi dell’anima le peripezie dell’intreccio, finché un episodio più energico li riscuoteva dal torpore, quando non era semplicemente il rumore del libro rilegato che si chiudeva di colpo, la moglie del medico aveva delicatezze del genere, non voleva far loro capire di saperlo che chi sognava in verità stava dormendo.
In questo dolce dondolio sembrava essere entrato il primo cieco, e tuttavia non era così. Aveva gli occhi chiusi, è vero, e alla lettura prestava un’attenzione più che vaga, ma l’idea di andare tutti a vivere in campagna gli impediva di addormentarsi, gli sembrava un grave errore allontanarsi tanto dalla propria casa, per quanto simpatico fosse quello scrittore era meglio tenerlo sotto sorveglianza, di tanto in tanto presentarsi lì a casa. Era dunque ben sveglio il primo cieco, e se altra prova fosse stata necessaria, c’era sempre quel biancore offuscante degli occhi che probabilmente soltanto il sonno rabbuiava, ma non si poteva esser certi neppure di questo, dal momento che nessuno poteva essere contemporaneamente addormentato e vigile. Ritenne il primo cieco di aver chiarito finalmente questo dubbio quando, all’improvviso, l’interno delle palpebre gli si fece buio, Mi sono ad dormentato, pensò, invece no, non si era addormentato, continuava a sentire la voce della moglie del medico, il ragazzino strabico tossì, allora fu colto da una gran paura, credette di esser passato da una cecità all’altra, che dopo aver vissuto nella cecità della luce adesso sarebbe vissuto nella cecità della tenebra, il terrore lo fece gemere, Cos’hai, gli domandò la moglie, e lui rispose stupidamente, senza aprire gli occhi, Sono cieco, come se fosse l’ultima novità del mondo, lei lo abbracciò affettuosamente, Via, ciechi lo siamo tutti, non c’è niente da fare, Ho visto tutto buio, credevo di essermi addormentato, e invece no, sono sveglio, è quel che dovresti fare, dormire, non pensarci. Il consiglio lo infastidì, uno era lì angosciato, soltanto lui sapeva quanto, e sua moglie non aveva altro da dirgli se non di andare a dormire. Irritato, con l’acida risposta già sulla punta della lingua, aprì gli occhi e vide. Vide e gridò, Vedo. Il primo fu ancora il grido dell’incredulità, ma col secondo, e col terzo, e con tutti gli altri, a poco a poco si rinsaldò l’evidenza, Vedo, vedo, come un pazzo abbracciò la moglie, poi corse dalla moglie del medico e abbracciò pure lei, la vedeva per la prima volta, ma sapeva chi era, e il medico, e la ragazza dagli occhiali scuri, e il vecchio dalla benda nera, lui era inconfondibile, e il ragazzino strabico, la moglie gli andava appresso, non voleva mollarlo, e lui interrompeva gli abbracci per abbracciare di nuovo lei, adesso era tornato dal medico, Vedo, vedo, dottore, non gli diede del tu com’era divenuto ormai quasi una regola in questa comunità, se qualcuno ci riesce, spieghi lui la ragione di questo repentino cambiamento, e il medico domandava, Ci vede proprio bene, come prima, non c’è traccia di bianco, Niente di niente, mi sembra addirittura di vedere ancora meglio di prima, e non è mica poco, non ho mai portato occhiali. Allora il medico disse ciò che tutti stavano pensando, ma che non osavano pronunciare a voce alta, è possibile che questa cecità sia giunta alla fine, è possibile che stiamo cominciando tutti a recuperare la vista, a queste parole la moglie del medico cominciò a piangere, avrebbe dovuto esser contenta e piangeva, come sono curiose le reazioni della gente, chiaro che era contenta, mio Dio, è talmente facile da capire, piangeva perché di colpo le si era esaurita la resistenza mentale, era come una bimba appena nata e questo pianto era il suo primo e ancora inconsapevole vagito. Il cane delle lacrime le si avvicinò, questo cane sa sempre quando qualcuno ha assoluto bisogno di lui, perciò la moglie del medico gli si aggrappò, non perché non volesse bene e non amasse il marito, ma in quel momento fu talmente intensa la sua impressione di solitudine, talmente insopportabile da sembrar le che solo avrebbe potuto mitigarla quella strana sete con cui il cane beveva le sue lacrime.
La gioia generale era stata sostituita dal nervosismo, E adesso, cosa faremo, aveva domandato la ragazza da gli occhiali scuri, io non riuscirò a dormire dopo quanto è successo, Nessuno ci riuscirà, penso che dovremmo restare qui, disse il vecchio dalla benda nera, si interruppe come se avesse ancora qualche dubbio e poi concluse, In attesa. Attesero. Le tre fiammelle della lucerna illuminavano quel circolo di volti. All’inizio avevano ancora chiacchierato con animazione, volevano sapere esattamente com’era accaduto, se il cambiamento era avvenuto solo negli occhi o se lui aveva sentito qualche cosa anche nel cervello, poi, a poco a poco, le parole si smorzarono, a un certo punto al primo cieco venne in mente di dire alla moglie che il giorno dopo sarebbero andati a casa, Ma io sono ancora cieca, rispose lei, Non fa niente, ti guido io, solo chi si trovava lì, e quindi lo udì con le proprie orecchie, fu in grado di avvertire come parole tanto semplici potessero racchiudere sentimenti tanto diversi come la protezione, l’orgoglio e l’autorità.
Il secondo a recuperare la vista, in tarda serata, e quando ormai la lucerna, esaurito l’olio, cominciava a tremolare, fu la ragazza dagli occhiali scuri. Aveva tenuto gli occhi sempre aperti, come se la visione avesse dovuto entrare attraverso di essi, e non rinascere dall’interno, all’improvviso disse, Mi sembra di vedere, era meglio essere prudente, non tutti i casi sono uguali, si suole addirittura dire che non esistano le cecità, ma i ciechi, quando l’esperienza non ha fatto altro che dirci che non esistono i ciechi, ma le cecità. Qui sono già in tre a vederci, ancora uno e sarà la maggioranza, ma comunque, anche se la felicità di vederci di nuovo non dovesse contemplare pure i restanti, per questi ultimi la vita d’ora in poi sarebbe molto più facile, non più quel tormento che è stato fino a oggi, guardate in che stato si è ridotta quella donna, è come una corda che si è spezzata, come una molla che non ce l’ha più fatta a reggere lo sforzo a cui era costantemente sottoposta. Ecco, forse, perché fu lei che la ragazza dagli occhiali scuri abbracciò prima di tutti, lasciando il cane delle lacrime senza sapere da chi accorrere, perché tanto piangeva l’una come l’altra. Il secondo abbraccio fu per il vecchio dalla benda nera, adesso sapremo quanto valgano veramente le parole, ci ha tanto commosso l’altro giorno quel dialogo che si è concluso con quel loro bellissimo impegno di vivere insieme, ma la situazione è cambiata, la ragazza dagli occhiali scuri si ritrova davanti un uomo vecchio, che lei ormai può vedere, sono finite le idealizzazioni emotive, le false armonie nell’isola deserta, le rughe sono rughe, le pelate son pelate, non c’è differenza tra una benda nera e un occhio cieco, ed è quanto lui le sta dicendo in altri termini, Guardami bene, sono quello con cui hai detto che avresti vissuto, e lei ha risposto, Ti conosco, sei quello con cui vivo, in definitiva ci sono parole che valgono anche più del loro apparente significato, e questo abbraccio vale quanto le parole.
Il terzo a recuperare la vista, quando ormai cominciava ad albeggiare, fu il medico, adesso non potevano esserci più dubbi, che la recuperassero anche gli altri era solo questione di tempo. Passate le naturali e prevedibili espansioni, che a questo punto, avendone già prima rilasciato elencazione sufficiente, non si vede la necessità di ripetere, sia pur trattandosi di figure principali in questo vero resoconto, il medico fece la domanda che premeva, Cosa starà succedendo fuori, la risposta venne dallo stesso palazzo in cui si trovavano, al piano di sotto qualcuno uscì sul pianerottolo gridando, Vedo, vedo, a questo piano il sole sorgerà su una città in festa.
Da vera festa fu il banchetto del mattino. Quanto c’era in tavola, non solo era ben poco, ma avrebbe suscitato ripugnanza in qualsiasi appetito normale, la forza dei sentimenti, come succede sempre in momenti di esaltazione, aveva preso il posto della fame, ma la gioia fungeva da manicaretto, nessuno si lagnò, anche coloro che ancora erano ciechi ridevano come se gli occhi che ci vedevano fossero i propri. Quando finirono, la ragazza dagli occhiali scuri ebbe un’idea, E se andassi a mettere sulla porta di casa mia un biglietto per dire che sono qui, se i miei genitori tornassero potrebbero venire a cercarmi, Portami con te, voglio sapere cosa sta accadendo fuori, disse il vecchio dalla benda nera, E usciamo anche noi, disse alla moglie quello che era stato il primo cieco, può darsi che lo scrittore ci veda, che stia pensando di tornarsene a casa, strada facendo mi occuperò di reperire qualcosa di commestibile, Farò lo stesso anch’io, disse la ragazza dagli occhiali scuri. Alcuni minuti dopo, rimasti soli, il medico andò a sedersi accanto alla moglie, il ragazzino strabico sonnecchia va ancora in un angolo del divano, il cane delle lacrime, sdraiato, col muso sulle zampe anteriori, di tanto in tanto apriva e chiudeva gli occhi per mostrare di essere ancora vigile, dalla finestra aperta, malgrado l’altezza del piano, entrava il rumore delle voci alterate, le strade dovevano essere piene di gente, la folla a gridare una sola parola, Vedo, dicevano quelli che avevano già ricuperato la vista, Vedo, dicevano quelli che all’improvviso la ricuperavano, Vedo, Vedo, comincia a sembrare davvero una storia dell’altro mondo quella in cui si era detto, Sono cieco. Il ragazzino strabico mormorava, probabilmente era in pieno sogno, forse stava vedendo la madre, le stava domandando, Mi vedi, ora mi vedi. La moglie del medico domandò, E loro, e il medico disse, Questo, probabilmente, sarà guarito quando si sveglierà, per gli altri non sarà diverso, quasi sicuramente staranno ricuperando la vista in questo momento, a chi gli prenderà un colpo, poveraccio, è il nostro uomo dalla benda nera, Perché, Per via della cataratta, è passato tanto di quel tempo da quando l’ho visitato che sarà cieco come una talpa, Diventerà cieco, No, appena la vita si sarà normalizzata, appena tutto riprenderà a funzionare, lo opererò, questione di settimane, Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò la strada coperta di spazzatura, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, è arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.