lunedì 13 gennaio 2025

ZUCKERBERG:10 ANNI DI WOKE SONO STATI UNA FARSA Pietro Molteni



ZUCKERBERG:10 ANNI DI WOKE SONO STATI UNA FARSA 

Pietro Molteni 

In un vecchio e spassosissimo sketch, Carlo Verdone, nei panni di un irritante padrone di casa in viaggio di lavoro, telefona al suo maggiordomo (sempre interpretato da Verdone), e durante la telefonata, venuto a sapere che la moglie è a letto con un altro, ordina al maggiordomo di uccidere i due amanti a colpi di pistola, per poi rendersi conto di aver sbagliato numero. La gag finisce con un esilarante: “Scusi tanto, abbia pazienza…”.

Il video in cui Mark Zuckerberg annuncia di abolire il Fact-checking di Meta è la riedizione più moderna, e infinitamente più tragica, della storia di uno dei padroni di casa del web che di fronte a temi che hanno condizionato l’opinione pubblica per un decennio ammette con un sorriso: “c’eravamo sbagliati”. Perché non è solo il concetto di libertà di espressione che Zuckerberg tratta in quegli strabilianti 5 minuti. Il capo di Meta accenna alle restrizioni applicate a temi quali l’immigrazione e l’identità di genere, affermando con leggerezza: “siamo andati troppo oltre”. Annuncia di trasferire alcuni uffici specifici in Texas, definendolo un ambiente più adatto rispetto alla California, la cui aura ultra-progressista ha lui stesso contribuito a creare. Non pago di ciò, è notizia di ieri il fatto che Meta abbandonerà i suoi programmi DEI (Diversity, Equity, Inclusion).

È impressionante con quanta leggerezza, con quale semplicità il fondatore di Facebook rinneghi tutti quei “valori” che sembravano il punto di arrivo della società occidentale fino a pochi mesi fa. Perché l’ideologia woke, il politicamente corretto, il buonismo antioccidentale non è certo stato creato da Facebook, ma i social media sono stati il terreno di coltura di quelle ideologie nate nelle università d’élite americane e portate a nuovo vangelo proprio dai magnati della Silicon Valley, una neo-religione con i propri santi e le proprie parabole. In virtù di questo culto laico sono stati elaborati corsi universitari, si sono finanziate campagne elettorali, intere carriere sono state costruite dal nulla e altrettante ne sono state distrutte.

Al posto dei due sfortunati amanti nella casa del maggiordomo Verdone, ci sono state centinaia di persone del mondo intellettuale, universitario, dello spettacolo, dell’editoria, che hanno visto le proprie vite rovinate da un giorno all’altro per una parola o un tweet fuori posto riguardo il concetto dell’identità sessuale, o perché hanno osato far riferimento agli alti tassi di violenza presenti nelle comunità afroamericane, o perché hanno criticato una certa bislacca ricostruzione della storia. Nel 2020, Alan Dershowitz, nel suo libro “Cancel Culture” (uno dei primi sull’argomento), elenca per pagine e pagine le innumerevoli, autorevoli personalità pubbliche

cadute in miseria perché sacrificate sull’altare del wokismo. All’epoca, il mondo dell’High-Tech californiano, Zuckerberg e compagni in primis, erano il baluardo di questa rivoluzione che ci avrebbe reso tutti più buoni.

Oggi, quegli stessi protagonisti si rimangiano tutto, dimostrando di non averci mai creduto. Il vento soffia altrove, e quindi ci si rivolge verso questo altrove, dimostrando che tutto ciò che si era predicato prima non aveva nessun valore. Certo, ora si potrebbe ridere di tutte le nevrosi nostrane nate dal puro intento di copiare le manìe degli americani: dalle università italiane teatro di battaglie e scomuniche sulla questione del terzo bagno ad alcuni quotidiani (come La Stampa allora diretta da Giannini) che hanno istituito il Sensitivity Reader per rendere gli articoli “inclusivi”. Ma ciò che mette amarezza è constatare che le vere vittime del wokismo sono state proprio tutte quelle grandi questioni che avrebbero meritato analisi sincere e approfondite ma che il politicamente corretto ha impedito per anni di affrontare serenamente: i concetti di integrazione e assimilazione degli stranieri, il problema dell’islamizzazione degli immigrati di seconda e terza generazione, la questione dei diversi tipi di criminalità legati a gruppi etnico-religiosi differenti, il tema dei diritti civili e dei diversi orientamenti sessuali unito al loro riconoscimento giuridico. Tutti questi grandi temi, e tanti altri, sono stati relegati al dibattito da curva da stadio, un terreno di scontro tra estremismi opposti e veri e propri tabù in ambienti culturali “moderati”, pena la scomunica a vita.

Più che gioire della morte del woke, ci si dovrebbe dispiacere delle tante energie intellettuali ed economiche spese per costruire castelli di sabbia intorno a queste sciocchezze. Gran parte della classe intellettuale e politica italiana dovrebbe a questo punto rendersi conto del cul-de-sac in cui si è acriticamente infilata, ma è più probabile che, come l’impacciato maggiordomo-verdone, resti pietrificata con la cornetta del telefono in mano e lo sguardo fisso al soffitto.