venerdì 20 dicembre 2019


UN RAGAZZO SVEGLIO

ESTRATTO da Stagioni diverse
Stephen King 

Un ragazzo sveglio 


Aveva l'aria del classico ragazzo americano mentre percorreva, in sella ad una di quelle biciclette dal manubrio ricurvo, una strada del quartiere residenziale della città; ed effettivamente lo era: Todd Bowden, tredici anni, un metro e settantadue di altezza, un buon sessantatré chili di peso, capelli biondissimi, occhi azzurri, denti bianchi e regolari, pelle abbronzata e non ancora intaccata dall'acne giovanile. 
Aveva il tipico sorriso da vacanza estiva mentre pedalava nell'aria soleggiata senza allontanarsi troppo da casa sua. Sembrava uno di quei ragazzini che consegnano i giornali, cosa che effettivamente faceva, visto che distribuiva il Clarion di Santo Donato. Oppure uno di quei ragazzi che vanno in giro a vendere bigliettini augurali, e aveva fatto anche questo. Erano quei biglietti con il nome stampato all'interno — JACK E MARY BURKE, oppure DON E SALLY, oppure la FAMIGLIA MURCHISON. 
A vederlo sembrava uno di quelli che quando lavorano fischiettano, cosa che faceva spesso; anzi, era molto bravo a fischiettare. Suo padre faceva l'ingegnere edile e guadagnava quarantamila dollari l'anno. Sua madre si era diplomata in francese al college e aveva conosciuto il padre di Todd impartendogli delle lezioni private; ora, nel tempo libero, batteva a macchina manoscritti. Conservava tutte le pagelle scolastiche di Todd in una cartelletta. Ce ne era una in particolare a cui era affezionata, quella in cui la professoressa Upshaw aveva scritto: «Todd è un alunno molto sveglio». Ed era vero. Tant'è che aveva sempre ricevuto dei buonissimi voti. Certo, non erano tutti ottimi, altrimenti i suoi compagni avrebbero incominciato a pensare che forse era un tipo un po' strano. 
Todd si fermò davanti al numero 963 di Claremont Street e scese dalla bicicletta. La casa era una di quelle villette a schiera precedute da un piccolo giardino. Era bianca con imposte e finiture verdi. La casa era circondata da una siepe. La siepe era tosata e tenuta molto bene. 
Todd si sistemò il ciuffo di capelli biondi e salì con la bicicletta sul vialetto di cemento che portava all'ingresso. Aveva ancora un bel sorriso aperto di chi si aspetta grandi cose. Fece scattare il cavalietto della bici con la punta delle sue scarpe Nike e raccolse il giornale che giaceva su uno dei gradini. Non si trattava del Clarion ma del Times di Los Angeles. Se lo mise sotto il braccio, salì i gradini e si trovò di fronte ad una porta di legno massiccio protetta da una seconda porta a rete munita di una serratura a scatto. C'era, sulla destra dell'intelaiatura, un campanello e, sotto il campanello, due targhette ben fissate sul legno con due viti e coperte da un foglio di plastica per proteggerle dall'umidità. Efficienza tedesca, pensò Todd, e il suo sorriso si fece più ampio. Era un'osservazione d'adulto e si congratulava sempre mentalmente con se stesso quando ne aveva una. 
Sulla prima targhetta c'era scritto ARTHUR DENKER. 
Sulla seconda NIENTE VENDITORI AMBULANTI, COMMESSI VIAGGIATORI O PIAZZISTI. 
Sempre con il sorriso sulle labbra, Todd suonò il campanello. 
Quasi non riusciva a distinguere il suo suono smorzato che si riproduceva all'interno della casa. Tolse il dito dal campanello e rimase in ascolto, in attesa di sentire dei passi. Ma non sentì nulla. Guardò il suo orologio Timex (era uno dei premi che aveva ricevuto con la vendita dei bigliettini augurali) che segnava le dieci e dodici. Dovrebbe essere sveglio a quest'ora. Todd si alzava sempre al massimo alle sette e mezzo, anche quando era in vacanza. Chi dorme non piglia pesci. 
Rimase ad ascoltare per altri trenta secondi e, visto che non sentiva nessun rumore provenire dalla casa, suonò di nuovo il campanello controllando la lancetta dei secondi sul suo orologio Timex. Dopo aver scampanellato per settantun secondi, Todd udì finalmente dei passi strascicati. Pantofole, a giudicare dal rumore debole e ovattato. Todd era in vena di deduzioni.
L'aspirazione del momento di Todd era di fare il detective privato da grande. 
«Arrivo! Arrivo!» si lamentò l'uomo che si spacciava per Arthur Denker.  «Ho sentito, basta con quel campanello!» Todd smise di suonare il campanello. 
Si udì il rumore metallico del chiavistello e la porta in legno massiccio si aprì. 
Un uomo vecchio, curvo dentro una vestaglia, si presentò dietro la porta a rete. In mano teneva una sigaretta accesa. A Todd sembrò una via di mezzo tra Albert Einstein e Boris Karloff. Portava lunghi capelli bianchi tendenti ad un giallo che ricordava più il giallo nicotina che il giallo avorio. Il suo volto era raggrinzito e gonfio dal sonno, e Todd notò con disgusto che non si era rasato da almeno un paio di giorni. Suo padre era solito dire che radersi equivale a cominciare bene la giornata. Il padre di Todd si radeva tutti i giorni, anche quando non doveva andare a lavorare. 
Fissava Todd con occhi attenti ma incredibilmente rossi e infossati. Per un istante Todd si sentì profondamente deluso. È vero che assomigliava un po' ad Albert Einstein, ed è vero che assomigliava un po' a Boris Karloff, ma più che altro assomigliava ad uno di quei vecchi avvinazzati che si vedono bighellonare davanti alla stazione. 
Però, si riprese Todd, c'è da considerare che si è appena alzato. Todd aveva visto Denker in molte altre occasioni (facendo ben attenzione affinché Denker non vedesse lui però!) e durante le sue apparizioni in pubblico, Denker era sempre stato molto elegante, il classico esempio di ufficiale in pensione, e questo nonostante i suoi settantasei anni, sempre che l'articolo che Todd aveva letto in biblioteca avesse riportato la corretta data di nascita. Quando Todd l'aveva pedinato fino a Shoprite, dove Denker andava a fare la spesa, o con l'autobus (Denker non aveva l'automobile) fino ad una delle tre sale cinematografiche, l'aveva sempre visto indossare, anche quando faceva caldo, uno dei tre abiti che teneva con molto riguardo. Quando il tempo minacciava la pioggia, usciva con un ombrello sotto il braccio a mo' di canna da ufficiale. A volte si metteva un cappello di feltro. E in occasione di queste sue uscite, Denker si presentava perfettamente rasato e con i baffi bianchi (fatti crescere per nascondere un leggero labbro leporino) ben in ordine. 
«Un ragazzo», disse con la voce impastata di chi è assonnato. Todd notò con ulteriore disappunto che la vestaglia era scolorita e appiccicaticcia. Una delle punte arrotondate del colletto era piegata in alto e andava a sfiorargli il collo flaccido. Sul risvolto sinistro della vestaglia spiccava una chiazza, forse di chili o di qualcos'altro, e il suo alito sapeva di sigarette e di alcol. 
«Un ragazzo», riprese. «Non mi serve nulla, ragazzo. Leggi il cartello. Sai leggere, no? Ma certo. Tutti i ragazzi americani sanno leggere. Lasciami in pace, ragazzo. Stammi bene.» Fece per chiudere la porta. 
Todd si rammaricò, tempo dopo, durante le lunghe notti passate insonne, di non essersene andato via in quel momento. La delusione di vederlo da vicino per la prima volta, tradito nella sua immagine pubblica — che aveva riposto nell'armadio insieme all'ombrello e al cappello di feltro — avrebbe dovuto bastare. Poteva finire tutto lì, col sottile suono tagliente del chiavistello che, come un colpo di forbici, l'avrebbe tagliato fuori da tutto quello che sarebbe successo in seguito. Ma, come gli era appena stato detto, lui era un ragazzo americano e aveva ben inculcato l'idea che la tenacia è una virtù. 
«Il suo giornale, signor Dussander», disse Todd porgendogli educatamente il Times. 
La porta si bloccò di colpo a pochi centimetri dallo stipite. Per un attimo il volto di Kurt Dussander tradì un'espressione dura e attenta che sparì subito. Forse c'era anche della paura in quella espressione, che eliminò con bravura, ma per la terza volta Todd rimase deluso. Lui non si aspettava che Dussander fosse bravo, lui si aspettava che fosse bravissimo. 
Accidenti, pensò Todd con profondo disgusto. Che delusione. 
La porta si aprì di nuovo. Una mano deformata dall'artrite fece scattare la porta a rete e l'aprì leggermente in modo da creare uno spiraglio abbastanza grande dal quale strisciar fuori, come fosse un ragno, ed avvicinarsi al giornale che Todd gli tendeva. Todd notò con ripugnanza che il vecchio aveva delle unghie lunghe, gialle e callose. Era una mano che aveva passato la maggior parte delle ore di veglia ad accendere una sigaretta dietro l'altra. 
Todd sapeva che il fumo faceva male e che era un brutto vizio, e si guardava bene dall'iniziare. C'era da meravigliarsi che Dussander non fosse già morto. 
Il vecchio afferrò il giornale. «Dammelo.» 
«Certo, signor Dussander.» Todd mollò la presa. La mano si ritirò veloce come un ragno. La porta a rete si chiuse. 
«Mi chiamo Denker», disse il vecchio. «E non Dussander. Si vede che non sai proprio leggere. Mi dispiace per te. Stammi bene.» 
Di nuovo la porta fece per chiudersi. Todd parlò velocemente attraverso lo spiraglio. «Bergen-Belsen, gennaio 1943 giugno 1943. Auschwitz, giugno
1943 giugno 1944, Unterkommandant. Patin...» 
Di nuovo la porta si fermò. Il volto pallido e gonfio del vecchio rimase sospeso nello spiraglio come un pallone grinzoso e mezzo sgonfio. Todd sorrise. 
«Ha lasciato Patin poco prima che arrivassero i russi, ed ha raggiunto Buenos Aires. Alcuni dicono che lì fece una fortuna e che abbia investito l'oro che si era portato dalla Germania nel traffico di droga. Ad ogni modo, compare a Città del Messico dal 1950 al 1952. Poi...» 
«Ragazzo, tu sei pazzo da legare», disse toccandosi con una mano artritica un'orecchia deforme, ma la bocca sdentata tremava come se fosse in preda al panico. 
«Dal 1952 al 1958, non si sa», disse Todd facendo un gran sorriso. «Nessuno lo sa, penso, o per lo meno, nessuno ha parlato. Comunque un agente israeliano l'ha individuata a Cuba dove lavorava come portiere in un grand'hotel poco prima dell'avvento di Castro. Ha fatto perdere le sue tracce quando i ribelli entrarono a L'Avana. Ricomparve a Berlino Ovest nel 1965. Quasi la prendevano.» Pronunciò le ultime parole facendo il gesto con il pugno della mano. Gli occhi di Dussander caddero su quelle belle mani americane, così ben nutrite, che sembravano fatte apposta per costruire dei go-kart o dei modellini Aurora. E Todd aveva fatto anche quello. Infatti, un anno prima, lui e suo padre avevano costruito un modellino del Titanic. Ci avevano impiegato quasi quattro mesi e ora il padre di Todd lo teneva nel suo ufficio. 
«Non so di che stai parlando», disse Dussander. Senza dentiera, le sue parole avevano un suono quasi sdolcinato, cosa che Todd non gradiva. Aveva un che di falso. Il colonnello Klink ne Gli Eroi di Hogan era più convincente nella parte di nazista di Dussander. Certo che ai suoi tempi doveva essere stato più che convincente se, in un articolo di Men's Action sui campi di concentramento, l'autore l'aveva definito Il Sanguinario di Patin.
«Sparisci, ragazzo, prima che chiami la polizia.» 
«Oh be', la chiami pure, signor Dussander. O Herr Dussander, se preferisce.» Continuò a sorridere rivelando una dentatura perfetta trattata con fluoro fin dall'infanzia e sottoposta ad una triplice pulizia quotidiana con abbondante dentifricio. «A partire dal 1965, lei è sparito nel nulla... finché non l'ho riconosciuta io, due mesi fa, sull'autobus.» 
«Tu sei pazzo.» 
«Per cui se vuol chiamare la polizia», continuò Todd sorridendo, «faccia pure, io aspetto qui. Però se vuole aspettare a chiamarla, perché non mi fa entrare? Possiamo parlare.» 
Il vecchio guardò il ragazzo, che sorrideva, per un lungo istante. Gli uccelli cinguettavano sugli alberi. Poco lontano si udiva il rumore di un tagliaerba e, più in là, dalla strada, quello delle automobili che scandivano a colpi di clacson il ritmo della vita e del commercio. 
Nonostante tutto, Todd avvertì un dubbio. Era davvero sicuro? Oppure aveva commesso un errore? Todd pensava di no, però qui non era come fare un compito a scuola, qui si trattava della vita reale. Ecco perché tirò un sospiro di sollievo (un leggero sollievo, avrebbe ammesso più tardi) quando Dussander disse: «Entra pure se vuoi, ma sappi che lo faccio solo perché non voglio farti passare dei guai, capito?»  «Certo, signor Dussander», rispose Todd. Aprì la porta a rete ed entrò in casa. Dussander chiuse la porta alle sue spalle lasciando fuori la mattina. 
C'era odore di stantio nella casa, lo stesso odore che a volte Todd sentiva a casa sua quando i suoi avevano dato una festa la sera prima e sua madre non aveva ancora avuto modo di arieggiare la stanza. Solo che qui era ancora peggio. Si sentiva che era un odore che apparteneva alla casa. Sapeva di liquore, di fritto, di sudore, di vestiti vecchi e di qualche medicina puzzolente tipo Vick's o Mentholatum. Nell'oscurità dell'ingresso, Dussander gli stava proprio attaccato, con la testa infossata nel colletto della vestaglia come quella di un avvoltoio in attesa della morte di un animale ferito. In quell'istante, nonostante la barba lunga e la pelle flaccida, Todd riconobbe in lui l'uomo che aveva indossato l'uniforme nera delle SS con più chiarezza di quando l'aveva visto per strada. Fu allora che sentì una stilettata di paura nella pancia; una leggera paura, si sarebbe poi corretto. 
«L'avverto che se dovesse succedermi qualcosa...» iniziò a dire, e Dussander gli passò di fianco dirigendosi nel soggiorno, accompagnato dal rumore ovattato delle pantofole. Gli fece cenno con la mano in maniera sprezzante e Todd sentì una vampata di calore salirgli dalla gola fino alle guance. 
Todd lo seguì e il suo sorriso si fece, per la prima volta, più incerto. Aveva pensato che l'incontro si sarebbe svolto in maniera diversa. Comunque, le cose si sarebbero aggiustate, ne era sicuro. Le cose si aggiustano sempre. Riprese a sorridere ed entrò nel soggiorno. 
Qui l'attese un'altra delusione — e che delusione! — anche se prevedibile. Non c'era nessun ritratto di Hitler con tanto di ciuffo e sguardo fisso. Niente bacheche con medaglie, niente spade da cerimonia fissate alla parete, niente Luger né PPK Walther sulla mensola del camino (anche perché non c'era nessuna mensola del camino). Ma è chiaro, disse Todd fra sé e sé, sarebbe troppo pericoloso fare bella mostra di simili oggetti quando c'è gente che può vederli. Certo non è facile liberarsi dall'idea che uno si fa guardando i film al cinema o alla TV. Sembrava il soggiorno di un anziano qualsiasi, che viveva da solo di una magra pensione. Il camino finto era ricoperto di mattoni finti. Su un tavolinetto stava un televisore in bianco e nero la cui antenna era stata ricoperta, sulle punte, con un pezzetto di foglio d'alluminio per migliorarne la ricezione. Il pavimento era coperto da un tappeto grigio ormai consunto. Il porta-riviste conteneva numeri del National Geographic, Reader's Digest e del Times di Los Angeles. Sul muro, al posto di Hitler o di una spada da cerimonia, era appeso un certificato di cittadinanza e la fotografia di una donna con un buffo cappello. Dussander gli spiegò più tardi che quel cappello si chiamava cloche e che era molto di moda durante gli anni venti e trenta. 
«Mia moglie», disse Dussander con affetto. «Morì nel 1955 per una malattia ai polmoni. A quel tempo lavoravo per l'industria automobilistica di Menschler a Essen. Fu un duro colpo.» 
Todd continuò a sorridere. Attraversò la stanza come se volesse andare ad osservare da vicino la donna della fotografia. Ma invece di guardare la fotografia, sfiorò il paralume che si trovava lì vicino. 
«Smettila!» ringhiò Dussander. Todd indietreggiò di scatto. 
«Complimenti», confessò Todd. «Che voce autoritaria. Era Ilse Koch che aveva i paralumi fatti con pelle umana, vero? Ed era lei quella che faceva i giochetti con le provette.» 
«Non so di che stai parlando», rispose Dussander. C'era un pacchetto di Kools senza filtro sul televisore. Ne offrì una a Todd. «Sigaretta?» chiese con un largo sorriso. Un sorriso ripugnante. 
«No. Fanno venire il cancro ai polmoni. Mio padre fumava una volta, ma ora ha smesso. Si è iscritto all'Associazione Anti-Tabacco.» 
«Ah sì?» Dussander sfilò un fiammifero dalla tasca della vestaglia e lo strofinò con indifferenza sul televisore. Diede una prima boccata e disse: «Vuoi darmi una ragione valida per cui non debba chiamare la polizia e riferire delle orribili accuse che mi hai appena fatto? Una ragione. Dimmela, ragazzo. Il telefono è lì nell'ingresso. Sicuro che tuo padre ti darà una bella sculacciata. E sarai costretto a sederti su un cuscino per una settimana». 
«I miei genitori non mi hanno mai sculacciato. Sono convinti che la punizione corporale causi più problemi di quanti ne risolva.» D'un tratto gli occhi di Todd si illuminarono. «Lei ne ha mai sculacciate? Di donne, voglio dire. Gli strappava di dosso i vestiti e...» 
Soffocando un'imprecazione, Dussander si diresse verso il telefono. 
Todd disse freddamente: «Io non lo farei se fossi in lei». 
Dussander si voltò. Controllando il tono di voce, che produceva però un effetto storpiato visto che non portava la dentiera, disse: «Te lo dico una volta per tutte, ragazzo. Io mi chiamo Arthur Denker. E mi sono sempre chiamato così; non è nemmeno un cognome americanizzato. Fu mio padre a scegliere il nome Arthur perché era un grande ammiratore dei racconti di Arthur Conan Doyle. Non mi sono mai chiamato Dussander, o Himmler o Babbo Natale. Durante la guerra sono stato tenente della riserva. Non mi sono mai iscritto al partito nazista. Ho combattuto per tre mesi durante la battaglia di Berlino. Confesso che quando mi ero appena sposato, alla fine degli anni Trenta, sono stato un sostenitore di Hitler, perché ci permise di uscire dalla depressione e riportò quell'orgoglio nazionale che avevamo perso in seguito all'ingiusto e disgustoso Trattato di Versailles. Forse sono stato un suo sostenitore perché finalmente riuscii a trovare un lavoro e finalmente si potevano comprare le sigarette, e non ero più costretto a raccogliere i mozziconi per strada quando avevo voglia di fumare. A quei tempi lo ritenevo un grand'uomo. E a suo modo forse lo è stato. Però finì per comportarsi come un pazzo, comandava eserciti fantasmi secondo le predizioni di un astrologo. Uccise persino Biondi, il suo cane, facendogli ingerire una capsula di veleno. Il gesto di un pazzo; finirono tutti per diventare pazzi, somministravano il veleno ai propri figli cantando Horst Wessel. Il due maggio 1945 il mio reggimento si arrese agli americani. Ricordo che un soldato semplice di nome Hackermeyer mi regalò una tavoletta di cioccolato. Mi misi a piangere. Ormai era inutile continuare a combattere: la guerra era finita, lo era già da febbraio. Fui internato a Essen dove mi trattarono molto bene. Ascoltavamo alla radio i processi di Norimberga, e quando Goering si suicidò, barattai quattordici sigarette americane per mezza bottiglia di Schnaps e mi presi una sbronza. Quando mi rilasciarono, trovai posto nella fabbrica di automobili di Essen dove ho montato ruote fino al 1963, quando andai in pensione. Poi emigrai negli Stati Uniti. Avevo sempre sognato di venire a vivere qui. Nel 1967 mi diedero la cittadinanza. Sono un americano, voto alle elezioni. Non so niente di Buenos Aires, traffico di droga, Berlino, Cuba. Quindi o sparisci o chiamo la polizia.» 
Todd non si mosse. Dussander andò nell'ingresso e alzò il ricevitore. Todd stava sempre nel soggiorno, vicino al tavolo con sopra il paralume. 
Dussander cominciò a comporre il numero. Todd lo guardava mentre il cuore gli batteva sempre più forte. Dopo quattro numeri, Dussander si voltò e fissò il ragazzo. Lasciò cadere le spalle in un gesto di sconforto e riattaccò. 
«Un ragazzo», sussurrò. «Proprio da un ragazzo.» Todd sorrise un po' impacciato.  «Come hai fatto a scoprirlo?» 
«Con un po' di fortuna e molto lavoro», rispose Todd. «Ho un amico che si chiama Harold Pegler, però noi lo chiamiamo Foxy, che gioca come seconda base nella nostra squadra. Suo padre tiene un sacco di riviste nel garage. Tante davvero. Riviste di guerra. Roba vecchia. Ho cercato di procurarmene di nuove ma all'edicola di fronte alla scuola mi hanno detto che ormai non ne pubblicano quasi più. Comunque sono riviste con foto di crucchi — di soldati tedeschi volevo dire — e di giapponesi che torturano le donne. E con articoli sui campi di concentramento. Io ci vado matto.» 
«Ci... vai matto?» Dussander lo fissava mentre si sfregava una guancia con la mano producendo un suono tipo quello della carta vetrata. 
«Sì, ci vado matto. Mi piacciono. Mi interessano.» 
Si ricordava molto bene, anzi, fin troppo bene, quel giorno nel garage di Foxy. Si ricordava quando, alla fine dell'anno scolastico, prima del Giorno dell'Orientamento, la professoressa Anderson (che gli alunni avevano soprannominato Bunny per via dei dentoni) aveva parlato ai ragazzi di ciò che lei aveva definito la ricerca del GRANDE INTERESSE. 
«Lo si scopre all'improvviso», Bunny Anderson aveva entusiasticamente detto. «Vedete una cosa per la prima volta, e vi rendete subito conto di aver trovato il VOSTRO GRANDE INTERESSE. È come una chiave che gira nella serratura. O come innamorarsi per la prima volta. Ecco perché il Giorno dell'Orientamento è così importante, ragazzi. Potrebbe essere il giorno in cui trovate il VOSTRO GRANDE INTERESSE.» E aveva poi continuato a raccontare del suo GRANDE INTERESSE, che non si rivelò essere l'insegnamento ma collezionare cartoline del diciannovesimo secolo. 
A quel tempo Todd aveva pensato che la professoressa Anderson avesse raccontato un sacco di cavoiate, ma quel giorno, nel garage di Foxy, gli ritornò alla mente quanto aveva detto e si era chiesto se tutto sommato non avesse avuto ragione. 
Era stata una giornata di vento e si sviluppò un incendio nei boschi ad est della città. Si ricordava di un odore caldo e cattivo di erba bruciata. Si ricordava dei capelli a spazzola di Foxy e dei residui di brillantina che spiccavano sulle punte. Si ricordava tutto. 
«Sono sicuro che ci sono dei fumetti qui dentro», aveva detto Foxy. Sua madre stava smaltendo una sbornia e li aveva cacciati fuori di casa perché facevano troppo chiasso. «Vedrai che forti. Sono quasi tutti di cowboy ma c'è anche Turok, Il Figlio delle Pietre e...» 
«Questi cosa sono?» domandò Todd indicando delle voluminose scatole di cartone sotto le scale. 
«Ah, niente di interessante», disse Foxy. «Riviste di guerra per lo più. Una noia...» 
«Posso darci un'occhiata?» 
«Certo, io intanto cerco i fumetti.» 
Ma quando quel ciccione di Foxy Pegler li trovò, a Todd era passata la voglia di leggere i fumetti. Ormai era completamente rapito da un altro tipo di lettura. 
È come una chiave che gira nella serratura. O come innamorarsi per la prima volta. 
E così fu. Certo, ne aveva già sentito parlare della guerra; non di quella cavolo di guerra che era in corso e in cui gli americani si erano fatti prendere per il culo da quattro visi gialli con la tuta nera, ma della seconda guerra mondiale. Sapeva che gli americani usavano degli elmetti rotondi coperti di rete mentre quelli dei crucchi erano più o meno quadrati. Sapeva che gli americani avevano vinto quasi tutte le battaglie e che verso la fine della guerra i tedeschi avevano inventato i missili e che li avevano lanciati su Londra. Sapeva persino dell'esistenza dei campi di concentramento. 
Però tra quello che sapeva e quello che scoprì sulle riviste nel sottoscala del garage di Foxy, passava la stessa differenza che c'è tra il sapere che esistono i germi e il vederli con i tuoi occhi al microscopio mentre si dimenano vivi e vegeti. 
Qui trovò Ilse Koch. Qui trovò i forni crematori con le porte aperte su cardini ricoperti da fuliggine. Qui trovò le uniformi degli ufficiali delle SS e quelle a righe dei prigionieri. L'odore di quelle vecchie riviste sembrava l'odore dell'erba che bruciava incontrollata ad est di Santo Donato, e gli pareva che la carta si sgretolasse sotto i polpastrelli, e sfogliò le pagine, non più nel garage di Foxy, ma in un tempo e in un luogo non ben definito, mentre cercava di raccapezzarsi all'idea che quelle cose erano veramente successe, e che qualcuno le aveva fatte davvero, e che qualcuno gli aveva permesso di farle, e cominciò a fargli male la testa in un misto di repulsione e di eccitazione, e gli occhi erano rossi e stanchi, ma continuò a leggere, e in una colonna di un articolo, posta sotto la fotografia di un groviglio di persone in un posto chiamato Dachau, fu colpito da una cifra: 

6.000.000. 

E pensò: Si saranno sbagliati, avranno messo uno o due zeri di troppo, è tre volte la popolazione di Los Angeles! Ma poi, su un'altra rivista (la cui copertina riportava una donna incatenata a un muro mentre un tizio con l'uniforme da nazista le si avvicinava con in mano un attizzatoio e con un ghigno dipinto sul volto) lesse di nuovo: 
6.000.000. 
Il mal di testa gli aumentò. Gli si seccò la bocca. Vagamente, in lontananza, udì Foxy dire che lui entrava perché era ora di cena. Todd gli domandò se poteva restare in garage a leggere ancora un po'. Foxy lo guardò con aria sorpresa, si strinse le spalle, e disse di sì. E Todd lesse, curvo su quegli scatoloni pieni di riviste di guerra, finché sua madre non telefonò a chiedere perché non tornasse a casa. 
Come una chiave che gira nella serratura. 
Nelle riviste si condannava quanto era successo. Ma nelle ultime pagine, le parole di condanna degli articoli erano circondate da annunci pubblicitari di pugnali, cinturoni ed elmetti tedeschi accanto a quelli delle lozioni per la crescita dei capelli e delle tute dimagranti. Bandiere tedesche ornate di svastica, Luger nazisti e un gioco chiamato Attacco Panzer, insieme a corsi per corrispondenza e offerte di lavoro per venditori di scarpe che ti fanno sembrare più alto di sette centimetri. Condannavano, sì, ma sembrava che a molte persone ciò non interessasse. 
Come innamorarsi. 
Oh sì, si ricordava benissimo di quel giorno, fin nei minimi dettagli — un vecchio calendario ingiallito con foto di ragazze discinte appeso al muro, la chiazza d'olio sul pavimento, lo spago color arancione con cui le riviste venivano tenute insieme. Si ricordava del mal di testa che si acuiva ogni volta che pensava a quella cifra incredibile, 6.000.000. 
Si ricordava di aver pensato: Voglio sapere tutto quello che è successo in quei posti. Tutto. E voglio sapere se sono più vere le parole o gli annunci pubblicitari che ci stanno dietro. 
Gli ritornò alla mente Bunny Anderson mentre rimetteva a posto gli scatoloni nel sottoscala, e pensò: Aveva ragione. Ho trovato il mio GRANDE INTERESSE. 
Dussander guardò Todd per un lungo istante. Poi attraversò il soggiorno e si lasciò cadere sulla sedia a dondolo. Guardò Todd un'altra volta senza capire il perché di quella espressione vagamente sognatrice e nostalgica che aveva sul volto. 
«Sì. Quelle riviste mi avevano davvero colpito, ma pensavo anche che dicessero un sacco di cavoiate. Così andai in biblioteca a cercare altro materiale. Trovai molta roba interessante. All'inizio, quella stupida della bibliotecaria non voleva farmela vedere perché era del materiale riservato agli adulti, ma io le spiegai che mi serviva per la scuola. Se ti serve per la scuola, allora è diverso. Però volle chiamare lo stesso mio padre.» Todd fece uno sguardo indignato. «Pensava che mio padre non ne fosse al corrente, quella stupida.» 
«Ne era al corrente?» 
«Certo. Mio padre ritiene che i ragazzi debbano imparare a conoscere la vita appena possibile, nei suoi aspetti positivi e negativi. Così si è pronti per affrontarla. Lui dice che la vita è come una tigre e che bisogna prenderla per la coda, ma se non sai com'è fatta, rischi di farti sbranare.» «Mmmm», disse Dussander. 
«Anche mia mamma la pensa così.» 
«Mmmmm.» Dussander sembrava intontito, come se non sapesse dove si trovava. 
«Fatto sta», continuò Todd, «che in biblioteca ho trovato dell'ottimo materiale. Ci saranno stati più di cento libri che parlavano dei campi di concentramento nazisti, proprio qui, nella biblioteca di Santo Donato. Chissà quante persone li leggono. Sulle riviste del papà di Foxy c'erano più fotografie, però in biblioteca ho letto delle cose da far venir la pelle d'oca. Sedie ricoperte da spuntoni. Gente che strappava i denti d'oro con le pinze. Docce dalle quali usciva gas asfissiante.» Todd scosse la testa. «Se vuole sapere la mia, avete davvero esagerato. Altroché!» 
«Da pelle d'oca», disse Dussander con un tono severo. 
«Ho anche fatto una ricerca per la scuola su questo argomento e sa cos'ho preso? Ottimo. Comunque sono stato molto cauto. Certe cose bisogna scriverle in un certo modo. Bisogna stare attenti.» 
«Ah sì?» chiese Dussander. E sfilò un'altra sigaretta mentre la mano gli tremava. 
«Oh sì. Tutti quei libri sono scritti in un certo modo. Sembra quasi che chi li ha scritti sia rimasto schifato dall'argomento.» Todd aggrottò le sopracciglia e si sforzava mentalmente di spiegare con più chiarezza quello che voleva dire. Il fatto che non avesse ancora familiarizzato con la parola stile, riferito ai libri, rese l'opera più difficile. «Sembra che l'argomento stesso gli abbia fatto passare delle notti insonni. E si dice che dobbiamo fare in modo che cose del genere non si ripetano mai più. Anch'io l'ho detto nella mia ricerca e forse la professoressa mi ha dato un bel voto perché ho affrontato l'argomento con molto equilibrio.» Ancora una volta, Todd fece un sorriso accattivante. 
Dussander diede una lunga boccata alla sigaretta senza filtro la cui estremità tremò leggermente. Quando fece uscire il fumo dal naso, diede un colpo di tosse cupo e sgradevole. «Non mi sembra vero che siamo qui a parlare di queste cose», disse. Si sporse in avanti e scrutò Todd da vicino. 
«Ragazzo, conosci la parola 'esistenzialismo'?» 
Todd ignorò la domanda. «Ha mai conosciuto Ilse Koch?» 
«Ilse Koch?» Dussander disse con voce quasi impercettibile: «Sì. L'ho conosciuta». 
«Era bella?» domandò Todd con impazienza. «Voglio dire...» E con le mani disegnò nell'aria una forma di clessidra. 
«L'avrai vista senz'altro nelle foto», disse Dussander. «Un aficionado come te.» 
«Cos'è un af... af...» 
«Un aficionado», disse Dussander, «è una persona che ha un particolare interesse per qualcosa.» 
«Sì? Non lo sapevo.» Il sorriso di Todd, per un attimo perplesso e smorzato, riprese un aspetto trionfale. «Certo, l'ho vista in fotografia. Ma lei sa come sono le foto in quei libri.» Parlò come se Dussander li possedesse tutti. «Sono tutte sfocate, in bianco e nero... Chi le ha scattate non si immaginava certo che sarebbero diventate foto storiche. Era davvero una bella donna?» 
«Era grassa, tozza e con la pelle rovinata», tagliò corto Dussander. Spense la sigaretta fumata per metà in un contenitore d'alluminio per alimenti, già colmo di mozziconi. 
«Oh. Cavolo.» L'espressione di Todd si rabbuiò. 
«Pura fortuna», osservò Dussander guardando Todd. «Mi hai visto in una fotografia di una rivista di guerra e poi, per caso, mi riconosci su un autobus. Accidenti!» Picchiò il pugno, con poca forza, sul bracciolo della sedia a dondolo. 
«No, signor Dussander. Ci è voluto ben altro che un semplice colpo di fortuna. Ben altro», aggiunse Todd con la massima serietà, sporgendosi in avanti. 
«Oh? Davvero?» Le folte sopracciglia si inarcarono in segno di educato scetticismo. 
«Certo. Le foto in cui lei è ritratto, che tengo nel mio album, hanno almeno trent'anni. Ora siamo nel 1974.»  «Tu tieni... un album di foto?» 
«Oh, sì, signore! E anche molto bello. Con centinaia di foto. Un giorno glielo mostro, sono certo che le piacerà.» 
Dussander fece una smorfia di disgusto ma non disse nulla. 
«Le prime volte che l'ho vista, non ne ero sicuro. Ma poi, un giorno che pioveva, l'ho vista salire sull'autobus con un impermeabile nero...» «L'impermeabile...» sussurrò Dussander. 
«Sì. In una rivista di Foxy c'era una fotografia in cui lei indossa un impermeabile del genere. E poi ce ne era una in biblioteca dove ha uno di quei lunghi cappotti delle SS. E stato solo allora che mi sono detto, 'Non c'è dubbio, è proprio Kurt Dussander'. Così ho cominciato a pedinarla.»  «Cos'hai fatto?» 
«L'ho pedinata. L'ho seguita. Il mio sogno è di diventare un detective privato, come Sam Spade nei libri, o Mannix alla TV. Ad ogni modo, sono stato molto prudente. Non volevo farmi scoprire. Le faccio vedere le foto.» 
Todd sfilò dalla tasca posteriore una busta in carta di Manila piegata in due. Il sudore aveva fatto aderire la linguetta che Todd staccò con cura. Aveva gli occhi che gli brillavano come a un bambino quando pensa al suo compleanno, o a Natale, o ai petardi che farà scoppiare il Quattro Luglio.  «Mi hai fatto delle foto?» 
«Proprio così. Ho una macchina fotografica, una Kodak, così piccola e piatta che sta in un palmo della mano. Con un po' di esperienza, si possono scattare fotografie tenendo semplicemente la macchina in mano, con le dita leggermente divaricate in modo da far sporgere l'obiettivo, e premendo il pulsante con il pollice.» Todd rise con modestia. «Adesso me la cavo, ma all'inizio continuavo a fotografarmi le dita. Però dopo sono diventato bravo.
Sono convinto che si possa riuscire in tutto se uno si impegna sul serio, sa? Sarà una frase fatta ma è la verità.» 
Kurt Dussander divenne pallido; sembrava malato, curvo com'era nella vestaglia. «Le hai fatte sviluppare da un fotografo, ragazzo?» 
«Eh?» Todd ebbe un attimo di sorpresa e sbigottimento, poi si fece sprezzante. «No! Mi prende forse per uno stupido? Mio padre ha una camera oscura. Ho sempre sviluppato da solo le foto da quando avevo nove anni.» 
Dussander non disse nulla ma si rilassò un poco e il suo viso riprese un po' di colore. 
Todd gli porse diverse fotografie su carta lucida con contorni irregolari,  il che confermava che erano state sviluppate dal ragazzo. Dussander le fece passare una a una, scuro in volto. Eccolo seduto sull'autobus, vicino al finestrino, con il busto eretto e con in mano l'ultimo libro di James Michener, Centennial. Eccolo alla fermata di Devon Avenue, con l'ombrello sottobraccio, la testa leggermente reclinata all'indietro con un'aria quasi imperiale che ricordava De Gaulle. Eccolo mentre fa la fila davanti al botteghino del cinema Majestic, ritto e silenzioso, ben visibile per altezza e portamento tra la folla di ragazzini e di casalinghe con bigodini e sguardo assente. E infine eccolo mentre guarda nella cassetta delle lettere. 
«Quella volta avevo paura che mi scoprisse», disse Todd. «Era un rischio calcolato, mi ero messo dall'altra parte della strada. Cavolo, come mi piacerebbe avere una Minolta col teleobiettivo. Forse un giorno...» si augurò Todd. 
«Scommetto che ti eri preparato una scusa in caso di necessità.» 
«Infatti. Le avrei chiesto se aveva visto il mio cane. Fatto sta che dopo averle sviluppate, ho fatto un raffronto con quest'altre.» 
Gli porse tre fotocopie di altrettante fotografie che Dussander conosceva molto bene. La prima lo ritraeva nel suo ufficio nel campo di concentramento di Patin; era stata ritagliata in modo che si vedesse solamente lui, seduto alla scrivania, con alle spalle la bandiera nazista. La seconda era stata scattata il giorno in cui si era arruolato. Nell'ultima stringeva la mano a Heinrich Gluecks, subalterno di Himmler. 
«Ormai ero quasi sicuro, solo che non potevo accertarmi del labbro leporino per via di quei maledettissimi baffi. Però volevo avere la certezza, per cui mi sono procurato questo.» 
Gli consegnò l'ultimo foglio della busta. Era stato piegato più e più volte, e nelle pieghe si era formato dello sporco. Gli angoli erano smussati, proprio come quei foglietti di carta che rimangono a lungo nelle tasche posteriori di ragazzi a cui non mancano le cose da fare. Era una copia della scheda distribuita dalla polizia israeliana su Kurt Dussander. Con il foglio in mano, Dussander meditò sui cadaveri irrequieti che si rifiutavano di rimanere sepolti. 
«Ho preso le sue impronte digitali», disse Todd sorridendo. «E poi le ho confrontate con quelle della scheda.» 
Dussander rimase a bocca aperta e poi pronunciò 'merda' in tedesco. «Non è vero!» 
«È vero sì. L'anno scorso, i miei genitori mi hanno regalato per Natale un'apparecchiatura per il rilevamento delle impronte digitali. Una vera, non un gioco. Completa di polvere, tre pennelli per tre diverse superfici e le apposite cartine per prendere le impronte. Sanno che da grande voglio fare l'investigatore privato. Però pensano che con gli anni mi passerà la voglia.» E accantonò l'idea alzando le spalle con indifferenza. «Il libro spiega tutto sulle linee a vortice, le linee ad ansa e i punti di similitudine. Vengono chiamati confronti. Ce ne vogliono otto perché un'impronta digitale sia accettata in tribunale. 
«Così un giorno, approfittando del fatto che lei era andato al cinema, sono venuto qui a prendere tutte le impronte digitali possibili sulla cassetta delle lettere e la maniglia della porta. Sono furbo, eh?» 
Dussander non disse nulla. Rimaneva aggrappato ai braccioli della sedia a dondolo con la bocca sdentata mossa da tremolii. A Todd ciò non piaceva. Lo faceva apparire come se fosse sul punto di piangere, cosa che trovava, chiaramente, ridicola. Il Sanguinario di Patin che piange? Sarebbe come se la Chevrolet andasse in fallimento o come se i McDonald si mettessero a servire caviale e tartufi invece di hamburger. 
«Il risultato fu due serie di impronte», disse Todd. «La prima non aveva niente a che vedere con quelle della scheda. Molto probabilmente erano del postino. La seconda invece corrispondeva. E non ho ottenuto otto confronti, bensì quattordici.» Sorrise. «Questo è quanto.» 
«Piccolo bastardo», disse Dussander, e per un attimo il suo sguardo assunse un'espressione pericolosa. Todd provò lo stesso brivido che aveva avuto poco prima nell'ingresso. Poi Dussander si lasciò cadere all'indietro. 
«A chi l'hai detto?» 
«A nessuno.» 
«Nemmeno a questo tuo amico, Cony Pegler?» 
«Foxy. Foxy Pegler. No, è un chiacchierone. Non l'ho detto a nessuno. Non c'è nessuno di cui mi fidi veramente.» 
«Che cosa vuoi da me? Soldi? Mi spiace, non ne ho. Ne avevo in Sud America, anche se non me li ero fatti in maniera tanto romantica o pericolosa come il traffico di droga. Esiste, anzi, esisteva in Brasile, Paraguay e Santo Domingo una rete di ex camerati, tutti fuggiti dalla Germania. Ne entrai a far parte e feci una modesta fortuna nel settore dei minerali e metalli: stagno, rame, bauxite. Poi le cose cambiarono. Arrivò il nazionalismo, l'antiamericanismo. Forse avrei potuto cavarmela lo stesso, ma gli uomini di Wiesenthal si misero sulle mie tracce. Quando incomincia, la sfortuna non ti lascia in pace, ragazzo, ti segue come i cani seguono una cagna in calore.
In due occasioni, quasi mi prendevano; in una, sentii le voci di quei bastardi di ebrei nella stanza accanto. 
«Hanno impiccato Eichmann», sussurrò. Si toccò il collo con la mano e sbarrò gli occhi quasi fosse un bambino intento ad ascoltare la parte più oscura e paurosa di «Hansel e Gretel» o «Barbablù». «Ormai era vecchio, un uomo innocuo. Non si occupava di politica. Eppure l'hanno impiccato.» Todd annuì. 
«Alla fine andai dalle uniche persone che potevano aiutarmi. Ne avevano aiutati altri e io ero stanco di fuggire.» 
«Si rivolse all'Odessa?» chiese Todd con impazienza. 
«Ai siciliani», rispose Dussander seccato, e Todd si rabbuiò di nuovo. «Mi hanno procurato tutto, documenti falsi, un passato falso. Vuoi bere qualcosa, ragazzo?» 
«Sì. Ce l'ha una coca-cola?» 
«Niente coca-cola.» 
«Latte?» 
«Latte.» Dussander passò sotto la volta ed entrò in cucina. Si udì il ronzio della luce al neon. «Ora vivo dei dividendi delle azioni», riprese a dire. «Azioni che comprai dopo la guerra sotto un altro nome, tramite una banca del Maine. Il direttore di quella banca andò in galera per aver assassinato la moglie l'anno dopo che le avevo comprate... com'è strana a volte la vita, ragazzo, hein?» 
Aprì il frigorifero e lo richiuse. 
«Quegli sciacalli dei siciliani non sapevano delle azioni», disse. «Oggi sono dappertutto, ma a quei tempi non si spingevano più a nord di Boston. Se lo avessero saputo, mi avrebbero preso anche quelle. Mi avrebbero ripulito per benino e spedito in America a fare la fame con quello che ti passa la previdenza sociale.» 
Todd lo sentì aprire la credenza e versare un liquido in un bicchiere. 
«Qualche azione della General Motors, qualcuna della American Telephone and Telegraph, centocinquanta della Revlon. Fu il banchiere a sceglierle. Si chiamava Dufresne, me lo ricordo perché assomigliava un po' al mio cognome. Certo era più bravo a comprare titoli per i suoi clienti che ad assassinare mogli. Le crime passionnel, ragazzo. Il che prova che tutti gli uomini non sono altro che asini capaci di leggere.» 
Rientrò nella stanza insieme al suono ovattato delle pantofole. Aveva in mano due bicchieri verdi di plastica che sembravano quei regali che distribuiscono quando inaugurano una stazione di servizio. Se fai il pieno, hai diritto a un bicchiere. Dussander spinse il bicchiere verso Todd. 
«Per i primi cinque anni, i profitti delle azioni che mi aveva procurato Dufresne mi permisero di vivere discretamente. Ma poi ho venduto i titoli della Diamond Match per comprare questa casa e una casetta vicino a Big Sur. Poi, l'inflazione, la recessione... Così ho venduto la casetta e a poco a poco anche le azioni, guadagnandoci a volte delle cifre fantastiche. Adesso mi pento di non averne comprate di più. Mi ero illuso che avrei trovato in ogni caso protezione, e poi giocare in borsa è un po' come giocare d'azzardo», disse, storpiando sempre di più le parole con la bocca sdentata. 
Todd si annoiava. Non era venuto per ascoltare le lagne di Dussander sulle sue misere finanze e titoli. A Todd non era mai passato per la mente di ricattare Dussander. Soldi? E che se ne faceva? Aveva la sua mancia settimanale, guadagnava qualcosa consegnando i giornali. E se per caso una settimana aveva bisogno di qualche soldo in più, se lo rimediava tagliando il prato di qualche vicino. 
Todd si portò il bicchiere alle labbra poi ebbe un attimo di esitazione. Il suo sorriso si riaccese... un sorriso di ammirazione. Porse il bicchiereomaggio verso Dussander. 
«Beva lei prima», disse con voce furba. 
Dussander lo fissò per un momento senza capire, poi alzò gli occhi iniettati di sangue. «Gruss Gott!» Afferrò il bicchiere, diede due sorsate e glielo rimise in mano. «Come vedi non sto boccheggiando, non ho portato la mano alla gola, non c'è nessun odore di mandorle amare. È latte, ragazzo. Latte. Direttamente dal supermercato. Sulla confezione c'è disegnata una mucca che sorride.» 
Todd lo guardò con circospezione per un attimo, poi bevve un sorso. Sì, sapeva di latte, non c'era dubbio, ma chissà perché, gli era passata la sete. Mise giù il bicchiere. Dussander scrollò le spalle, e alzò il suo bicchiere che conteneva una buona dose di whisky, e mandò giù un'abbondante sorsata, facendo poi schioccare le labbra. 
«Schnaps?» domandò Todd. 
«Bourbon. 'Ancient Age'. È molto buono e costa poco.» Todd giocherellò con le dita sulle pieghe dei blue-jeans. 
«Allora», disse Dussander, «se hai deciso di giocare in borsa con il sottoscritto, sappi che ti sei scelto un titolo che non vale nulla.»  «Eh?» 
«Ricatto», disse Dussander. «Non è così che dicono nei telefilm di 'Mannix', 'Hawaii Squadra Speciale Cinque Zero' e 'Barnaby Jones'? Estorsione. Se è questo che...» 
Ma Todd stava ridendo, e anche di gusto. Scosse il capo, fece per parlare, non ci riuscì, e continuò a ridere. 
«No», disse Dussander, e di colpo divenne pallido e ancora più spaventato di quando lui e Todd avevano cominciato a parlare. Diede un'altra abbondante sorsata, fece una smorfia e scrollò le spalle. «A quanto pare non è quello... o per lo meno non si tratta di estorsione di danaro. Ma, anche se ridi, sento che in qualche modo c'è sotto un'estorsione. Che cos'è? Perché vieni a disturbare un vecchio? Come hai detto tu, un tempo sarò anche stato un nazista, persino un SS. Ma ora sono vecchio, e per scaricarmi devo mettermi una supposta. Allora, cosa vuoi?» 
Todd ritornò serio. Fissò Dussander con sguardo sincero e aperto. «Ecco... voglio sapere com'era. Tutto qui. Non voglio nient'altro. Davvero.» «Com'era cosa?» gli fece eco Dussander. Era a dir poco perplesso. 
Todd si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «I plotoni d'esecuzione. Le camere a gas. I forni. Gli uomini che dovevano scavarsi la fossa e rimanere sull'orlo in modo da caderci dentro. Gli...» Con la lingua si bagnò le labbra. «Gli esami. Gli esperimenti. Tutto. Tutti i particolari raccapriccianti.» 
Dussander lo fissò sbalordito ma con un certo distacco, nello stesso modo in cui un veterinario può fissare una gatta nell'atto di partorire una serie di gattini con due teste. «Tu sei un mostro», disse sommessamente. Todd arricciò il naso. 
«Stando ai libri che ho letto per la mia ricerca, il mostro è lei, signor Dussander. Non io. Lei li ha spediti nei forni, non io. Duemila al giorno a Patin prima che arrivasse lei, poi tremila, e prima che arrivassero i russi a fermarla, tremila e cinquecento. Himmler la riteneva un campione di efficienza, e le diede una medaglia. E lei dice che il mostro sono io? Che coraggio!» 
«Queste non sono altro che sporche menzogne americane», disse Dussander, ferito sul vivo. Posò il bicchiere con forza facendo rovesciare del bourbon sulla mano e sul tavolo. «Il problema non era di mia competenza, e nemmeno la soluzione. Mi hanno dato degli ordini e delle direttive e io li ho seguiti.» 
Il sorriso di Todd si allargò, era un sorriso compiaciuto. 
«Oh, so bene come gli americani abbiano distorto i fatti», mormorò Dussander. «Ma al confronto dei vostri politici, il nostro dottor Goebbels sembra un bambino dell'asilo che gioca con innocui libri illustrati. Parlano di moralità e intanto uccidono vecchi e bambini col napalm. Gli obiettori di coscienza li chiamate vigliacchi. Chi si rifiuta di partire viene mandato in prigione o espulso dal paese. Chi partecipa a manifestazioni contro l'intervento del paese in Asia deve subire le manganellate della polizia. I soldati americani che uccidono innocenti vengono decorati dal presidente, accolti in patria, dopo aver infilzato con le baionette i bambini e dato fuoco a ospedali, con parate e stendardi. Si organizzano cene in loro onore, ricevono le chiavi della città, biglietti omaggio per importanti partite di football.» Fece un brindisi in direzione di Todd. «Solo chi perde viene processato come criminale di guerra quando invece non ha fatto altro che eseguire gli ordini.» Bevve e venne poi colto da una crisi di tosse che riportò un po' di colore sulle guance. 
Durante la maggior parte di questo monologo, Todd giocherellò nervosamente come quando i suoi genitori discutevano sulle notizie appena trasmesse dal telegiornale — dal buon vecchio Walter Klondike, come diceva suo padre. A Todd non interessavano le idee politiche di Dussander, come non gli interessava quante azioni aveva comperato. Secondo lui, la politica era un'invenzione degli uomini per poter giustificare determinate azioni. Come quando, l'anno prima, voleva infilare la mano sotto il vestito di Sharon Ackerman. Sharon aveva detto che non sono cose da fare quelle, anche se si capiva dal tono di voce che l'idea l'allettava. Allora Todd le disse che da grande voleva fare il dottore e Sharon cedette. Questa era politica. Todd voleva che gli raccontasse dei dottori tedeschi che cercavano di far accoppiare le donne coi cani, che mettevano due gemelli in celle frigorifere per vedere se morivano nello stesso istante o se uno dei due durava più a lungo, voleva sapere della terapia elettroshock, delle operazioni senza anestesia, e dei soldati tedeschi che violentavano quante donne volevano. Il resto erano tutte delle emerite cavoiate tanto per giustificare in qualche modo degli orrori compiuti nel passato. 
«Se non mi fossi attenuto agli ordini, sarei morto.» Dussander stava ansimando e si dondolava avanti e indietro facendo cigolare le molle.
Intorno a lui aleggiava un vago odore di alcol. «C'era sempre il fronte russo, nicht wahr? I nostri capi erano dei pazzi, questo è sicuro, ma si può discutere coi pazzi? Soprattutto quando il più pazzo di tutti era più fortunato del diavolo? Riuscì a sfuggire per un pelo ad un brillante tentativo di omicidio. Gli ideatori vennero strangolati con la corda di un pianoforte, lentamente.
La 
loro morte venne filmata a edificazione dell'élite...» 
«Oh, che bello!» gridò istintivamente Todd. «Lei l'ha visto il film?» 
«Sì. L'ho visto. Vollero mostrarci quello che capitava a chi era incapace  o riluttante di correre verso il vento ed aspettare la fine della bufera. Dovevamo fare quello che abbiamo fatto. In quel momento e in quella situazione, era la cosa giusta da fare. Lo rifarei di nuovo. Ma...» Gli occhi gli caddero sul bicchiere. Era vuoto. 
«...ma non voglio parlarne, non voglio nemmeno pensarci. Abbiamo agito esclusivamente per ragioni di sopravvivenza, e non c'è niente di buono nella sopravvivenza. Facevo dei sogni...» Sfilò lentamente una sigaretta dal pacchetto che si trovava sul televisore. «Sì. Per anni e anni. Sognavo il buio, e dentro il buio, dei rumori. Motori di trattori. Motori di bulldozer. Il calcio di una pistola che cadeva con un tonfo, non so se sulla terra gelata oppure su teschi umani. Fischi, sirene, colpi di pistola, urla. Il rumore sordo delle porte dei carri di bestiame che si aprivano nei freddi pomeriggi invernali. 
«Poi, nel sogno, tutti i rumori cessavano, e nell'oscurità si aprivano gli occhi, e brillavano come gli occhi degli animali delle foreste pluviali. Per anni ho vissuto ai margini della giungla e forse è per questo che in quei sogni sentivo sempre l'odore e la presenza della giungla. Quando mi svegliavo, ero fradicio di sudore, col cuore che batteva all'impazzata e con la mano premuta sulla bocca per soffocare le urla. E allora pensavo: il sogno è la realtà. Brasile, Paraguay, Cuba... quelli erano i sogni. Nella realtà ero ancora a Patin. I russi si avvicinano sempre di più. Alcuni ricordano che nel 1943 per sopravvivere dovettero mangiare i cadaveri congelati dei tedeschi. E ora muoiono dalla voglia di bere il caldo sangue dei tedeschi. Si diceva, ragazzo, che alcuni di loro, una volta entrati in Germania, lo facevano davvero: tagliavano la gola ai prigionieri e ne bevevano il sangue che raccoglievano in uno stivale. Al risveglio pensavo sempre: Il lavoro deve andare avanti, se ciò è l'unico modo per distruggere le prove di quanto abbiamo fatto o perché ne rimangano così poche che il mondo, che si rifiuta di crederci, non sia costretto a farlo. E pensavo: Il lavoro deve andare avanti se vogliamo sopravvivere.» 
Todd ascoltava con grande attenzione. Tutto ciò era interessante ma era sicuro che avrebbe ascoltato cose ancor più interessanti nei giorni seguenti. Dussander aveva solo bisogno di essere spronato. Poteva ritenersi fortunato: per la sua età aveva una mente ancora lucida. 
Dussander aspirò profondamente una boccata di fumo. «Più tardi, quando quei sogni mi abbandonarono, passai un periodo in cui mi sembrava di riconoscere gente che era stata a Patin. E non guardie o ufficiali, ma prigionieri. Ricordo un pomeriggio in Germania Occidentale, dieci anni fa.  C'era stato un incidente sull'Autobahn. Il traffico era bloccato su tutte le corsie. Io stavo nella mia Morris, con la radio accesa, ad aspettare che il traffico si muovesse. Mi voltai a destra. Nella corsia accanto c'era una vecchia Simca con al volante un uomo che mi fissava. Avrà avuto cinquant'anni e sembrava molto malato. Aveva una cicatrice sulla guancia. I capelli erano bianchi, corti, tagliati male. Mi girai di scatto. I minuti passavano e l'ingorgo non migliorava. Cominciai a lanciare delle occhiate all'uomo sulla Simca. E ogni volta i suoi occhi erano su di me, il volto assolutamente immobile, gli occhi infossati nelle orbite. Mi convinsi sempre di più che era stato a Patin. Che c'era stato anche lui e che mi aveva riconosciuto.» Dussander si passò una mano sugli occhi. 
«Era inverno. L'uomo indossava un cappotto. Ma ero sicuro che se fossi sceso dalla macchina, se fossi andato da lui, se gli avessi tolto il cappotto e gli avessi rimboccato la manica, avrei trovato il numero sul suo braccio. 
«Alla fine, la coda cominciò a muoversi e persi di vista la Simca. Se l'ingorgo fosse durato per altri dieci minuti, credo che sarei sceso dalla macchina e avrei strappato fuori quell'uomo dalla sua. E gliele avrei date, numero o non numero. Gliele avrei date, perché non doveva guardarmi così. 
«Poco tempo dopo, lasciai la Germania per sempre.» «Per sua fortuna», disse Todd. 
Dussander alzò le spalle. «Ovunque andassi era lo stesso. L'Avana, Città del Messico, Roma. Rimasi a Roma tre anni, sai? E quando vedevo un uomo che mi guardava seduto in un bar davanti al suo cappuccino... o una donna in una hall di un hotel più interessata a me che alla sua rivista... o un cameriere in un ristorante che mi fissava anche quando serviva agli altri tavoli... mi convincevo che quelle persone mi scrutavano, e di notte ritornava lo stesso sogno: i rumori, la giungla, gli occhi. 
«Ma una volta arrivato in America, riuscii a dimenticare. Ora vado al cinema. Pranzo fuori una volta alla settimana; scelgo sempre un fast-food, così pulito e ben illuminato dalla luce al neon. Qui in casa mi dedico ai puzzle, alla lettura, quasi sempre romanzi scadenti, e guardo la televisione. La sera bevo finché non mi viene sonno. Non ho più avuto quei sogni. E se vedo una persona che mi fissa al supermercato, in biblioteca oppure dal tabaccaio, mi dico che forse assomiglio a un loro nonno... o a un loro vecchio professore... o a un ex vicino di casa.» Scosse la testa. «Quello che è accaduto a Patin, è accaduto a un altro uomo. Non a me.» 
«Bene!» disse Todd. «Ora voglio sapere tutto.» 
Dussander chiuse gli occhi per un attimo e li riaprì lentamente. «Tu non capisci. Io non ho voglia di parlarne.» 
«E invece lo farà. Altrimenti, racconto tutto.» 
Dussander lo guardò fisso, pallido in volto. «Lo sapevo», disse, «che l'estorsione sarebbe saltata fuori prima o poi.» 
«Oggi voglio che mi racconti dei forni a gas», disse Todd. «E di come arrostivate gli ebrei.» E sul suo viso spiccò un ampio sorriso radioso. «Però prima si metta la dentiera. Sta meglio con la dentiera.» 
Dussander fece quanto gli disse. Raccontò a Todd dei forni a gas fino all'ora di pranzo, quando Todd dovette ritornare a casa. Ogni volta che Dussander cercava di restare sul generico, Todd faceva una faccia scura e gli poneva delle domande specifiche in modo che entrasse nei dettagli. Durante questa conversazione, Dussander beveva molto. Non sorrideva mai. Sorrideva Todd. Sorrideva abbastanza per tutti e due. 


Agosto 1974 Erano seduti sulla veranda di Dussander sotto un cielo sereno è ridente. Todd indossava un paio di jeans, Keds, e una maglietta della sua squadra di baseball. Dussander indossava un'ampia camicia grigia e dei pantaloni da avvinazzato, pensò Todd con disgusto; sembravano appena tolti da uno scatolone di vestiti usati in uno dei negozi dell'Esercito della Salvezza. Certo che doveva escogitare qualche modo per fargli cambiare la maniera di vestire in casa. Gli rovinava il divertimento. 
I due stavano mangiando due hamburger che Todd aveva portato nel cestino della bicicletta, pedalando a più non posso in modo che non si raffreddassero. Todd sorseggiava una coca con una cannuccia. Dussander aveva un bicchiere di bourbon. 
La sua voce di uomo vecchio si alzava e si abbassava, fragile, titubante, a volte appena percettibile. I suoi occhi, di un azzurro spento, arrossati come sempre, non stavano mai fermi. A vederli così sembravano un nonno e un nipote, intenti nel rituale della trasmissione di un qualche segreto. 
«È tutto ciò che ricordo», concluse Dussander e diede un grosso morso all'hamburger. La salsa gli colò sul mento. 
«Possibile che sia tutto qui?» chiese Todd sommessamente. 
Dussander bevve un lungo sorso dal bicchiere. «Le uniformi erano fatte di carta», si decise a dire in tono ostile. «Quando un prigioniero moriva, se l'uniforme non era troppo rovinata la si riutilizzava. A volte un'uniforme di carta poteva servire per quaranta prigionieri. Sono stato lodato per la mia parsimonia.» 
«Da Gluecks?» 
«Da Himmler.» 
«Ma esisteva una fabbrica di vestiti a Patin. Me l'ha detto la settimana scorsa. Perché non le faceva fare lì le uniformi? Poteva farci lavorare i prigionieri stessi.» 
«Il compito della fabbrica di Patin era di confezionare le uniformi per i soldati tedeschi. E d'altra parte noi...» La voce di Dussander ebbe un attimo di incertezza, ma poi il vecchio si sforzò di continuare. «Noi non ci occupavamo della riabilitazione», concluse. 
Todd fece un largo sorriso. 
«Basta oggi, per favore. Mi fa male la gola.» 
«Allora dovrebbe fumare di meno», disse Todd, sempre sorridente. «Mi racconti ancora delle uniformi.» 
«Quali? Quelle per i prigionieri o per le SS?» domandò Dussander con voce rassegnata. 
Sorridendo, Todd disse: «Tutte e due». 


Settembre 1974  Todd era nella cucina di casa sua a prepararsi un sandwich con burro di arachidi e marmellata. Si accedeva alla cucina salendo sei gradini ricoperti di legno che portavano a un piano rialzato che brillava di cromo e acciaio inossidabile. La macchina da scrivere elettrica di sua madre non aveva ancora smesso un momento da quando Todd era rientrato da scuola. Stava battendo la tesi di un universitario. Il laureando aveva i capelli corti, portava degli occhiali spessi e sembrava una creatura proveniente da un altro pianeta, secondo la modesta opinione di Todd. La tesi verteva sull'effetto dei moscerini della frutta nella Salinas Valley dopo la seconda guerra mondiale, o un'altra stronzata del genere. La macchina da scrivere cessò di battere e sua madre uscì dallo studio. 
«Ciao, piccolo Todd», lo salutò. 
«Ciao, piccola Monica», le rispose con sufficiente affabilità. 
Sua madre non era poi così male per avere trentasei anni, pensò Todd; capelli biondi con qualche ciocca grigia, alta, benfatta, quel giorno indossava dei pantaloncini rosso scuro con una camicia color whisky annodata con disinvoltura sotto il seno che lasciava scoperto lo stomaco piatto e senza rughe. Tra i capelli, una gomma per la macchina da scrivere fissata con disinvoltura con una molletta color turchese. 
«Come va a scuola?» gli domandò, mentre saliva i gradini della cucina. Gli sfiorò le labbra con un bacio e si accomodò su uno degli sgabelli del bancone. 
«Va bene.» 
«Metteranno ancora il tuo nome sull'albo d'onore?» 
«Certo.» A dir la verità, si aspettava un calo della media dei voti per quel trimestre. Aveva passato un sacco di tempo con Dussander, e anche quando non stava in compagnia del vecchio crucco continuava a pensare alle cose che gli raccontava. Un paio di volte quei racconti gli avevano fatto fare dei brutti sogni. Niente di grave, però. 
«Un alunno sveglio», disse la madre arruffandogli i capelli biondi. «È buono quel sandwich?» «Sì», rispose. 
«Me ne faresti uno e me lo porti nello studio?» 
«Non posso», rispose alzandosi. «Ho promesso al signor Denker che sarei passato da lui per leggergli qualche pagina del libro.» 
«Siete ancora a Robinson Crusoe?» 
«No.» Le mostrò il dorso di un libro voluminoso che aveva comprato da un rigattiere per venti cents. «Tom Jones.» 
«Ma santo cielo! Ci vorrà tutto l'anno scolastico per leggerglielo. Todd, non potevi almeno comprare un'edizione ridotta, come quella di Robinson 
Crusoe?» 
«È vero, ma lui vuole ascoltare la storia per intero. Me l'ha detto lui.» 
«Oh.» Lo guardò per un attimo e poi l'abbracciò. Raramente era così espansiva e Todd si sentiva un po' a disagio. «È davvero lodevole dedicare così tanto tempo libero per leggere libri ad un anziano. Tuo padre e io pensiamo che sia... straordinario.» 
Todd abbassò lo sguardo con modestia. 
«E in più non vuoi farlo sapere agli altri», disse. «Un'opera di bene che vuoi tenere nascosta.» 
«Oh, sai com'è, magari i miei amici incomincerebbero a prendermi in giro», disse Todd, sorridendo modestamente con gli occhi sul pavimento. «E a dire stronzate.» 
«Non si dicono quelle parole», lo ammonì distrattamente. «Credi che al signor Denker farebbe piacere se lo invitassimo a cena una sera di queste?» 
«Forse», disse Todd vagamente. «Be', ora devo proprio squagliarmela.» 
«Okay. Si cena alle sei e mezzo, mi raccomando.»  «D'accordo.» 
«Tuo padre lavora fino a tardi stasera quindi preparerò una cenetta per due, okay?» 
«Stupendo!» 
L'osservò andarsene con un sorriso sperando che Tom Jones fosse una lettura adatta per un ragazzo di soli tredici anni, cosa di cui era quasi sicura. Todd cresceva in una società dove riviste come Penthouse venivano vendute a chiunque disponesse di un dollaro e venticinque cents ed erano alla portata di qualsiasi bambino abbastanza alto da arrivare all'ultimo scaffale dell'edicola, afferrarlo e darci un'occhiata prima che il commesso gli urli di rimetterlo a posto e di uscire dal negozio. In una società che sembrava basata soprattutto sul principio dello «sfrutta il prossimo tuo», un libro vecchio di duecento anni, pensò, non potrebbe certo far venire delle strane idee al ragazzo, idea questa che magari poteva allettare il signor Denker. E come Richard era solito dire, il mondo per un ragazzo è come un laboratorio, ed è giusto che ci curiosi in giro. E se il ragazzo in questione ha alle spalle una sana vita familiare e due genitori che gli vogliono bene, sarà abbastanza forte da affrontare le sorprese che la vita gli riserva. 
Ed eccolo là, in sella alla sua bicicletta, il ragazzo più sano che conoscesse! Lo abbiamo cresciuto bene, pensò e incominciò a prepararsi un sandwich, altroché se l'abbiamo cresciuto bene. 


Ottobre 1974 Dussander era dimagrito. Erano seduti in cucina; sulla tovaglia plastificata, tra i due, la vecchia copia di Tom Jones (Todd, furbo come una volpe, aveva comprato, con parte della sua mancia settimanale, un libro con il riassunto della storia nel caso suo padre o sua madre gli facessero delle domande sulla trama). Todd stava mangiando una ciambella che aveva comprato al mercato. Ne aveva comprata una anche per Dussander, ma questi non l'aveva toccata. Si limitava a dargli di tanto in tanto un'occhiata imbronciata tra un sorso e l'altro di bourbon. Todd non sopportava l'idea che la ciambella finisse nella spazzatura. Se non l'avesse mangiata alla svelta, ci avrebbe pensato lui a farlo. 
«Allora, come arrivava la roba a Patin?» chiese a Dussander. 
«Dentro i vagoni ferroviari», rispose Dussander. «Sopra i quali veniva scritto FORNITURE MEDICHE. Ci arrivava in lunghe casse da imballaggio che sembravano delle bare. Forse perché erano le più adatte. I prigionieri scaricavano le casse e le ammucchiavano nell'infermeria. Poi i nostri uomini le portavano nel magazzino. Le spostavano di notte. Il magazzino stava proprio dietro le docce.» 
«Usavate sempre il Zyklon-B?» 
«No. A volte ci inviavano dell'altra roba. Dei gas sperimentali. L'Alto Comando cercava sempre di ridurre le spese. Una volta ci inviarono un gas chiamato PEGASUS. Un gas nervino. Meno male che non ce lo spedirono più. Era...» Dussander notò che Todd si era sporto in avanti, notò che gli occhi gli brillavano e si fermò di colpo facendo un gesto di indifferenza con il bicchiere-omaggio. «Non funzionava molto bene. Niente... d'interessante.» 
Ma a Todd non gliela dava a bere. «Che effetto aveva?» 
«Li uccideva, che ti credevi, che li facesse camminare sull'acqua? Li uccideva e basta.» 
«Mi dica tutto.» 
«No», disse Dussander, incapace ormai di nascondere il senso di orrore che provava. Non aveva pensato al PEGASUS da... da quanto? Dieci anni? Venti? «Non ti dico niente! Mi rifiuto!» 
«Mi dica tutto», ritornò a dire leccandosi le dita sporche di glassa al cioccolato. «Mi racconti, altrimenti...» 
Sì, pensò Dussander, altrimenti so cosa farai, piccolo mostro schifoso. «Li faceva ballare», disse con riluttanza. 
«Ballare?» 
«Veniva immesso nella camera tramite le docce, proprio come il ZyklonB. E... e loro cominciavano a ballare. Alcuni gridavano. Ma la maggior parte rideva. Poi si mettevano a vomitare e a... defecare in continuazione.» 
«Cavolo», disse Todd. «Si cacavano addosso, eh?» Indicò col dito la ciambella sul piatto di Dussander. La sua l'aveva già finita. «Non la mangia?» 
Dussander non rispose. I suoi occhi erano annebbiati dalla memoria. Il suo volto distante e freddo, come la faccia oscura di un pianeta senza rotazione. Dentro di lui, provava una stranissima combinazione di ripugnanza e — era mai possibile? — nostalgia. 
«Cominciavano a muoversi a scatti e dalla gola uscivano degli strani suoni acuti. I miei uomini... avevano soprannominato il PEGASUS: 'il gas Jodel'. Alla fine cadevano in terra e giacevano nel loro sudiciume, e rimanevano lì, sì, stesi sul cemento a urlare, quasi facessero lo jodel, con il naso sanguinante. Però ti ho mentito, ragazzo. Il gas non li uccideva, forse perché non era troppo forte o forse perché non ce la facevamo ad aspettare a sufficienza. Anzi, credo era proprio per questo. Conciati in quel modo, non potevano vivere a lungo. Così feci entrare cinque dei miei uomini armati di fucile per porre fine alla loro agonia. Mi avrebbero ripreso se i miei superiori ne fossero venuti a conoscenza, ne ero sicuro; l'avrebbero considerato uno spreco di pallottole in un periodo in cui il Führer aveva affermato che ogni pallottola era una risorsa nazionale. Ma di quei cinque mi fidavo. Ci furono momenti, ragazzo, in cui avevo la certezza che non avrei mai dimenticato quei suoni. Quello strano jodel. Quella risata.» 
«Sì, immagino», disse Todd. Finì la ciambella di Dussander in due bocconi. Il risparmio è il miglior guadagno, diceva la madre di Todd le rare volte che il ragazzo si lamentava di dover mangiare per cena gli avanzi del pranzo. «È stato proprio un bel racconto, signor Dussander. Dice sempre delle cose interessanti, se la sprono.» 
Todd gli sorrise. E incredibilmente — non certo perché lo volesse — Dussander si trovò a rispondergli con un sorriso. 


Novembre 1974  Dick Bowden, il padre di Todd, somigliava in maniera straordinaria ad un attore di nome Lloyd Bochner. Aveva trentotto anni — Bowden, non Bochner. Era di costituzione magra e amava vestire con camicie classiche e abiti in tinta unita, di solito scuri. Quando si recava in cantiere, metteva un vestito color cachi e un cappello in ricordo dei giorni in cui faceva parte dei corpi della pace, quando aveva aiutato a progettare e costruire due dighe in Africa. Quando lavorava nel suo studio, a casa, portava un paio di occhiali a mezza luna che avevano il vizio di scendergli sempre sulla punta del naso, il che gli conferiva un'aria da preside. Indossava proprio questi occhialini ora mentre tamburellava con le dita sulla pagella del primo trimestre di suo figlio, appoggiata sul vetro della scrivania. 
«Un buono. Quattro sufficienze. Un'insufficienza. Una insufficienza,
Cristo! Todd, tua madre non lo dà a vedere, ma è molto dispiaciuta.» 
Todd abbassò gli occhi. Non sorrideva. Se suo padre bestemmiava voleva dire che era proprio incavolato. 
«Ma insomma, non hai mai avuto una pagella così scarsa. Un'insufficienza in algebra? Cosa significa?» 
«Non lo so, papà.» Si guardava umilmente le ginocchia. 
«Tua madre ed io riteniamo che passi troppo tempo con il signor Denker. Non ti impegni abbastanza nello studio. D'ora in poi andrai a trovarlo soltanto durante i weekend, fannullone. Per lo meno finché non ti sarai rimesso in riga...» 
Todd alzò la testa, e per un secondo a Bowden parve di vedere negli occhi di suo figlio un'enorme rabbia soffocata. Sgranò gli occhi, le dita si aggrapparono alla pagella color giallo sbiadito... e poi ritornò ad essere il Todd di sempre, con lo sguardo aperto anche se non contento. C'era davvero stata la rabbia? No, certo che no. Però in quell'attimo si era sentito disorientato, non sapeva esattamente come comportarsi. Todd non si era arrabbiato, e Dick Bowden non voleva che si arrabbiasse. Loro due erano amici, lo erano sempre stati e Dick ci teneva che il rapporto rimanesse tale. Tra di loro non c'erano segreti, nemmeno uno (a parte qualche scappatella che Dick Bowden si prendeva di tanto in tanto con la sua segretaria, ma non era certo il genere di confidenza da fare al proprio figlio tredicenne, no?... oltre tutto, la cosa non aveva niente a che vedere con la sua vita familiare). Ed era giusto che fosse così, anzi doveva essere così in questo mondo assurdo, in cui gli assassini venivano lasciati in libertà, gli studenti delle scuole superiori si iniettavano eroina e i ragazzini delle scuole medie, coetanei di Todd, si beccavano le malattie veneree. 
«No, papà, questo non puoi farlo. Voglio dire, non è giusto punire il signor Denker quando la colpa è mia. Senza di me, si sentirà solo. Mi impegnerò. Te lo prometto. È che non avevo capito bene le prime lezioni di algebra. Ma poi Ben Tremaine mi ha dato una mano, ci trovavamo il pomeriggio a ripassare, e adesso vado meglio. È che... non so, mi sembrava troppo difficile all'inizio.» 
«Io penso che dedichi troppo tempo al signor Denker», disse Bowden, ma sapeva che avrebbe ceduto. Era difficile dire di no a Todd, era difficile deluderlo, e quella storia di punire il vecchio per un errore suo... accidenti, aveva ragione. Il signor Denker era così felice quando il ragazzo andava a trovarlo. 
«Il professore di algebra, il signor Storrman, è di manica stretta», disse
Todd. «Ha dato un sacco di insufficienze. Anche tre o quattro insufficienze gravi.»  Bowden annuì con aria pensosa. 
«Rinuncio ad andarci il mercoledì. Per lo meno finché non miglioro la media.» Aveva letto il pensiero negli occhi di suo padre. «E invece di andarmene a spasso finite le lezioni, tornerò subito a casa a studiare. Te lo prometto.» 
«Ci tieni molto a quel vecchietto, vero?» «Sì, molto», rispose, dicendo la verità. 
«Be'... d'accordo. Proviamo a fare così, fannullone. Ma guarda che voglio vedere un bel miglioramento entro gennaio, siamo intesi? Mi preoccupo per il tuo futuro. Penserai che è troppo presto preoccuparci del futuro quando si fa ancora la scuola media, ma non è vero. Nella maniera più assoluta.» Se sua madre aveva l'abitudine di dire Il risparmio è il miglior guadagno, la frase forte di suo padre era Nella maniera più assoluta. 
«Intesi, papà», disse Todd in modo grave che ben si adattava ad un discorso da uomo a uomo. 
«Ora sparisci, e ricordati di dare una bella ripassata ai libri di algebra.» Si spinse gli occhialini sul naso e diede a Todd un colpetto sulla spalla. 
Il viso di Todd si accese di un ampio sorriso luminoso. «Subito, papà!» 
Bowden lo osservò uscire e sorrise con orgoglio. Proprio un ragazzo d'oro. E quello che aveva visto sul volto di Todd non era rabbia. Ne era sicuro. Risentimento, forse... ma non certo quell'espressione di stizza che per un attimo gli era sembrato di vedere. Se Todd si fosse davvero arrabbiato, se ne sarebbe accorto; per lui suo figlio era un libro aperto. Lo era sempre stato. 
Il dovere di padre adempiuto, Dick Bowden si mise a fischiettare, spiegò sul tavolo una cianografia e incominciò a esaminarla. 


Dicembre 1974 All'insistente scampanellata di Todd, si presentò un volto smunto e giallognolo. I capelli, così rigogliosi in luglio, avevano cominciato a recedere sulla fronte ossuta ed erano diventati opachi e fragili. Il corpo di Dussander, se prima era magro, ora era scheletrico... certo, pensò Todd, mai come i corpi dei prigionieri che erano passati sotto le sue mani.  Quando Dussander apparve sulla porta, Todd teneva la mano sinistra nascosta dietro la schiena. Ma ora la tendeva verso Dussander porgendogli un pacco avvolto nella carta regalo. «Buon Natale!» esclamò. 
Davanti alla scatola, Dussander si irrigidì; poi la prese senza mostrare né piacere né sorpresa. La reggeva con circospezione quasi contenesse dell'esplosivo. Oltre la veranda, pioveva. Il tempo era stato incerto quasi tutta la settimana, e Todd aveva protetto il pacco coprendolo con il suo cappotto. Era impacchettato in carta lucida e aveva tanto di nastro. 
«Che cos'è?» chiese Dussander senza entusiasmo mentre procedevano in cucina. 
«Lo apra e vedrà.» 
Todd sfilò una lattina di coca-cola dalla tasca del cappotto e la mise sulla tovaglia plastificata a scacchi bianchi e rossi che ricopriva il tavolo. «Sarà meglio abbassare le persiane», disse in tono confidenziale. 
Il viso di Dussander fece trasparire un'immediata diffidenza. «Oh. Perché?» 
«Ecco... ci potrebbe essere in giro qualche curioso», disse Todd con un sorriso. «E in tutti questi anni ha sempre cercato di evitare i curiosi. Di riconoscerli ed evitarli.» 
Dussander abbassò le persiane della cucina. Poi si versò del bourbon. Poi strappò il fiocco dalla scatola. Era evidente che il regalo era stato impacchettato da un ragazzo, perché un ragazzo ha cose più importanti per la testa, come il football, o l'hockey, o i film dell'orrore del venerdì sera che si guardano con un amico, ridendo, avvolti nella coperta, uno accanto all'altro sul divano. Gli angoli erano imperfetti, c'erano numerose pieghe e abbondante nastro adesivo. Traspariva tutta l'impazienza di dover fare un lavoro da donna. 
Nonostante tutto, Dussander era un po' commosso. Ma dopo, quando l'orrore aveva lasciato spazio ad altri pensieri, disse fra sé e sé: Avrei dovuto aspettarmelo. 
Era un'uniforme. Un'uniforme delle SS. Con tanto di stivali. 
Come intontito, passò lo sguardo dall'uniforme alla scritta sulla scatola: I
COSTUMI DI PETER — IL NEGOZIO AL VOSTRO SERVIZIO DAL 
1951! 
«No», disse sottovoce. «Non la indosserò. Questo è troppo, ragazzo.
Toglitelo dalla testa.» 
«Si ricordi della fine che ha fatto Eichmann», disse Todd con voce solenne. «Era un uomo vecchio, non si occupava di politica. Non è stato lei a dirlo? Inoltre, ho risparmiato durante tutto l'autunno per comprarla. Mi è costata più di ottanta dollari, stivali compresi. Nel 1944 non le dispiaceva indossarla, anzi!» 
«Piccolo bastardo!» Dussander lo minacciò col pugno. Todd non fece una piega. Rimase dov'era con gli occhi che gli brillavano. 
«Avanti», disse con voce bassa. «Mi metta le mani addosso. Ha solo da provarci.» 
Dussander abbassò la mano. Le labbra gli tremavano. «Sei un demonio», mormorò. 
«Se la metta», lo incoraggiò Todd. 
Dussander si portò le mani alla cintura della vestaglia, poi si fermò. Fissò Todd con occhi supplichevoli. «Per favore», disse. «Sono un vecchio. 
Basta.» 
Todd scosse lentamente la testa ma con decisione. Gli occhi continuavano a brillare. Ci provava gusto quando Dussander lo supplicava. Ci provava gusto a pensare che, una volta, erano gli altri a supplicare lui. I prigionieri di Patin. 
La vestaglia cadde sul pavimento e Dussander rimase nudo a parte le pantofole e i boxer. Aveva il petto infossato e il ventre leggermente gonfio. Aveva le braccia magre di un vecchio. Ma con l'uniforme, pensò Todd, con l'uniforme sembrerà diverso. 
Lentamente, Dussander tirò fuori la casacca dalla scatola e incominciò a vestirsi. 

Dieci minuti più tardi, eccolo completamente vestito con l'uniforme delle SS. Il berretto era un po' storto, le spalle gli cadevano un poco, ma nonostante ciò il distintivo col teschio risaltava per benino. Dussander acquistò un misterioso decoro, per lo meno agli occhi di Todd, che non aveva mai avuto prima. Nonostante il corpo ricurvo, nonostante la posizione storta dei piedi, Todd era soddisfatto. Per la prima volta Dussander appariva a Todd proprio come Todd pensava dovesse apparire. Era vecchio, sì. Un vinto, d'accordo. Ma con indosso ancora la sua uniforme. Non un vecchio qualsiasi che si rovina gli occhi a guardare Lawrence Welk su uno scassato televisore in bianco e nero con la punta dell'antenna ricoperta da un pezzetto di foglio d'alluminio, ma Kurt Dussander, il Sanguinario di Patin. 
Dussander provava un senso di disgusto, di disagio... e di sollievo lieve e subdolo. Sentimento questo che disprezzava in parte, perché si rendeva conto di quanto fosse indicativo del potere psicologico che il ragazzo era riuscito a imporre su di lui. Era prigioniero del ragazzo e, ogni volta che si scopriva di superare un'ulteriore umiliazione, ogni volta che provava quella leggera sensazione di sollievo, aumentava il potere del ragazzo. Comunque si sentiva davvero sollevato. Aveva di fronte stoffa, bottoni e fibbie... un'uniforme finta. I pantaloni si chiudevano con una cerniera lampo invece che con i bottoni. I gradi erano sbagliati, le rifiniture inesistenti, gli stivali in finta pelle di bassa qualità. Dopo tutto si trattava di una scadente imitazione di un'uniforme, non era la fine del mondo, no? No, non... 
«Si raddrizzi il berretto!» gli ordinò Todd ad alta voce. 
Dussander lo fissò sbigottito. 
«Si raddrizzi il berretto, soldato!» 
Dussander obbedì e inconsciamente lo raddrizzò con quel gesto un po' insolente che era stato il biglietto da visita dei suoi Oberleutenants — e, guarda caso, aveva proprio indosso un'uniforme da Oberleutenant.  «Unisca quei piedi!» 
Obbedì battendo i tacchi con un bel colpo secco, rispondendo all'ordine senza pensarci, come se gli anni che lo dividevano dal suo passato di uomo d'armi fossero caduti insieme alla vestaglia. 
«Achtung!» 
Lo richiamò all'attenzione e per un attimo Todd ebbe paura, ebbe molta paura. Si sentiva come un apprendista stregone che era riuscito a dare vita alle scope ma, ora che si muovevano, non era capace di fermarle. Il vecchio che viveva in una povertà decorosa era scomparso. Al suo posto c'era Dussander. 
Poi la paura fece posto a un fremente senso del potere.  «Dietro front!» 
Dussander ruotò senza esitazioni, dimenticandosi del bourbon, dimenticandosi degli ultimi quattro mesi di tormento. Mentre si girava verso la stufa coperta di macchie d'unto, batté di nuovo i tacchi. Oltre la stufa, gli parve di vedere la polverosa piazza d'armi dell'accademia militare dove aveva imparato il mestiere del soldato. 
«Dietro front!» 
Si voltò di scatto, ma stavolta fu imperfetto nell'eseguire l'ordine e perse un po' l'equilibrio. Ai suoi tempi ciò avrebbe comportato dieci note di biasimo e l'impugnatura della canna da ufficiale premuta così forte nello stomaco da fargli uscire il fiato dal dolore. Sorrise dentro di sé. Il ragazzo non li conosceva questi particolari. Non li conosceva affatto. 
«Avanti, marc'!» gridò Todd. Gli occhi erano rossi, incandescenti. 
Le spalle di Dussander persero la loro rigidità rilassandosi. «No», disse. «Per favore...» 
«Marc'! Marc'! Marc', ho detto!» 
Con un suono soffocato, Dussander cominciò a marciare col passo dell'oca sul pavimento di linoleum sbiadito della cucina. Fece «front a destr» per evitare il tavolo, lo rifece una volta arrivato al muro. Marciava impassibile con lo sguardo in alto. Tendeva la gamba ben in avanti per farla poi ricadere con forza facendo tintinnare le tazze nell'armadietto sopra il lavandino. Le braccia cadenzavano il ritmo. 
L'immagine delle scope che camminano si ripresentò alla mente di Todd e contemporaneamente si ripresentò la paura. Tutt'a un tratto si rese conto che non voleva affatto che Dussander ci provasse gusto, e che forse (semplice ipotesi) dietro a quella messinscena c'era più il desiderio di renderlo ridicolo che di farlo apparire come un vero SS. Eppure, nonostante l'età e nonostante l'arredamento da grandi magazzini della cucina, Dussander era tutt'altro che ridicolo. Incuteva paura. Per la prima volta i cadaveri nelle fosse e nei forni crematori acquistavano uno spessore di realtà agli occhi di Todd. Le fotografie di quel groviglio di braccia, gambe, corpi, bianchi come la pancia di un pesce, sotto la fredda pioggia primaverile della Germania, non erano più elementi di allestimento per la scena di un film dell'orrore — una pila di corpi ricavati magari da manichini per negozi che i trovarobe e i macchinisti sgombrano a scena ultimata — ma semplicemente una realtà, enorme, inspiegabile e perversa. Per un istante gli sembrò di sentire il blando odore acre della decomposizione. 
Il terrore si impadronì di lui. 
«Basta!» urlò. 
Dussander continuò a marciare, lo sguardo vuoto e distante. Teneva la testa ancora più ritta tirando la pelle flaccida sotto il mento che aveva assunto un'aria arrogante. Il naso affilato risaltava in maniera assurda. 
Todd sentì scorrere il sudore sotto le ascelle. «Alt!» gridò. 
Dussander si fermò, piede destro in avanti, sinistro alzato poi abbassato accanto al destro battendolo con un colpo sul pavimento. Per un attimo, quella fredda, distaccata espressione da robot gli rimase sul viso, poi comparve la confusione. Alla confusione fece seguito la sconfitta. E si lasciò andare. 
Todd emise un silenzioso sospiro di sollievo e se la prese con se stesso. Ma allora, chi comanda qui dentro? Poi ritornò sicuro di sé. Sono io che comando. E farebbe bene a ricordarselo. 
Riprese a sorridere. «È andata bene. Penso che con un po' di pratica, diventerà ancora più bravo.» 
Dussander stava in piedi, senza dire nulla, la testa a penzoloni. 
«Se la può togliere ora», disse Todd con generosità... e gli venne da chiedersi se voleva veramente far indossare un'altra volta l'uniforme a Dussander. Per un attimo si domandò... 


Gennaio 1975  Suonata la campanella, Todd uscì dalla scuola, inforcò la bicicletta e si diresse verso il parco. Trovò una panchina vuota, mise la bici sul cavalietto, ed estrasse dalla tasca posteriore la pagella. Si guardò in giro per vedere se c'era qualcuno che conosceva, ma vide solamente una coppietta che pomiciava vicino al laghetto e un paio di ubriaconi che si passavano la bottiglia nascosta in un sacchetto di carta. Ubriaconi bastardi, pensò, ma non erano loro a metterlo di malumore. Aprì la pagèlla. 
Inglese: Sufficiente. Storia Americana: Sufficiente. Scienze: Insufficiente. Educazione civica: Buono. Francese: Gravemente insufficiente. Algebra: Gravemente insufficiente. 
Rilesse incredulo i giudizi. Se l'aspettava una pagella brutta, ma non un disastro simile. 
Forse è meglio così, disse improvvisamente una voce interna. Forse l'hai fatto anche apposta, perché una parte di te vuole che questa storia finisca.
Ha bisogno che questa storia finisca. Prima che succeda qualcosa di brutto. 
Respinse subito quest'ultimo pensiero. Non accadrà niente di brutto. Dussander era in suo potere. Lo teneva in pugno. Gli aveva fatto credere di aver consegnato una lettera a un suo amico, ma il vecchio non sapeva di che amico si trattasse. Se a Todd succedeva qualcosa, qualsiasi cosa, la lettera sarebbe stata recapitata alla polizia. Forse un tempo avrebbe provato a fuggire, ma ormai era troppo vecchio; anche se fosse scappato con un bel margine di vantaggio, non ce l'avrebbe fatta. 
«Ormai lo tengo in pugno, cavolo», sussurrò Todd, e si picchiò la coscia con tanta forza da far irrigidire il muscolo. È un brutto segno quando si parla da soli; i pazzi parlano da soli. Era da sei settimane che aveva preso questa brutta abitudine e a quanto pare non riusciva a smettere. Ogni tanto le persone lo guardavano in modo strano perché parlava da solo. Gli era successo anche di fronte a un paio di insegnanti. E quello stronzo di Bernie Everson un giorno gli aveva chiesto se non stesse rimbecillendo. Todd era stato sul punto di sferrare un cazzotto su quella faccia da finocchio, ma era meglio evitare sia liti che scazzottamenti. In quel modo non si fa che attirare di più l'attenzione. Parlare da soli è da scemi, d'accordo, ma... 
«Anche i sogni vanno male», sussurrò. Questa volta non riuscì a trattenersi. 
Ultimamente faceva dei sogni strani. Sognava sempre di indossare un'uniforme, anche se questa cambiava a seconda dei sogni. A volte era in uniforme di carta e faceva la fila insieme a centinaia di uomini magri; nell'aria c'era odore di bruciato e sentiva il rombo irregolare del motore dei bulldozer. Poi Dussander passava in rassegna la fila, indicando col dito alcuni prigionieri, quelli che potevano restare, gli altri venivano portati nei forni crematori. Alcuni si dibattevano e scalciavano, ma i più erano troppo denutriti, troppo esausti. Poi Dussander giungeva davanti a Todd. I loro occhi si incrociavano per un lungo, eterno istante, e poi Dussander gli puntava contro un ombrello sbiadito. 
«Portate questo al laboratorio», diceva Dussander nel sogno. E storceva le labbra rivelando così la dentiera. «Prendete questo ragazzo americano.» 
A volte sognava di indossare un'uniforme delle SS. Gli stivali erano così lucidi da sembrare uno specchio. Il distintivo col teschio brillava. Però camminava in mezzo al Santo Donato Boulevard e tutti lo guardavano. E incominciavano ad additarlo. Alcuni ridevano. Altri erano stupiti, o arrabbiati o disgustati. Nel sogno si sentiva uno stridere di freni e da un finestrino di una vecchia automobile scorgeva il volto di Dussander che lo fissava; un Dussander che sembrava avere duecento anni, quasi una mummia, la pelle incartapecorita. 
«Io ti conosco!» esclamava gridando Dussander in sogno. Guardava la gente intorno e poi si voltava verso Todd. «Tu comandavi Patin! Guardatelo tutti! Questo è il Sanguinario di Patin! Il campione di efficienza di Himmler! Ti denuncio, assassino! Ti denuncio, macellaio! Ti denuncio, assassino di bambini! Ti denuncio!» 
In un altro sogno, portava un'uniforme a righe da prigioniero e veniva scortato lungo un corridoio in pietra da due guardie che assomigliavano ai suoi genitori. Indossavano entrambi una fascia gialla ben visibile al braccio con la stella di David. Dietro di loro c'era un prete che leggeva il Libro del Deuteronomio. Todd si guardava alle spalle e si accorgeva che il prete era Dussander con indosso la casacca nera da ufficiale delle SS. 
In fondo al corridoio di pietra, si apriva una doppia porta che dava su una stanza ottagonale con le pareti di vetro. In mezzo c'era un patibolo. Dietro le pareti di vetro c'era una folla di uomini e di donne emaciati, completamente nudi; guardavano tutti con la stessa espressione scura, piatta. Sulle braccia di ognuno c'era un numero blu.  «Va tutto bene», sussurrava a se stesso Todd. «Va tutto bene, certo, è tutto sotto controllo.» 
I due che stavano pomiciando cominciarono a guardarlo. Todd rispose allo sguardo con espressione di sfida. Quelli si girarono dall'altra parte. Il ragazzo aveva sorriso? 
Todd si alzò, si infilò la pagella nella tasca posteriore e montò in bicicletta. Pedalò fino a un emporio a due isolati di distanza. Comperò una bottiglietta di scolorina e una penna a punta fine con inchiostro blu. Tornò al parco (la coppia di pomicioni se ne era andata, ma gli ubriaconi erano ancora là e insudiciavano il posto) e cambiò il giudizio di inglese in Buono, Storia Americana Ottimo, Scienze Buono, Francese Sufficiente e Algebra Buono. Cancellò Educazione Civica, l'avrebbe riscritto in un secondo tempo per dare un aspetto uniforme alla pagella. 
Uniforme, esatto. 
«Non preoccuparti», si disse a bassa voce. «La berranno. La berranno di sicuro.» 

Una notte di quel mese, qualche minuto dopo le due, Kurt Dussander si svegliò lottando con il pigiama, annaspando e lamentandosi nell'oscurità soffocante e terrorizzante. Faceva fatica a respirare e si sentiva paralizzato dalla paura. Gli sembrava di avere una pesante pietra sul petto, e si domandò se per caso non gli stesse arrivando un attacco di cuore. Annaspò nell'oscurità alla ricerca dell'abat-jour e per poco non lo rovesciò per terra, accendendolo. 
Sono nella mia camera, pensò, nel mio letto, qui a Santo Donato, qui in California, qui in America. Vedi, le solite tende marroni sulla solita finestra, i soliti scaffali pieni di libri tascabili comperati nella libreria di Soren Street, il solito tappeto grigio, la solita tappezzeria blu. Nessun attacco di cuore.
Nessuna giungla. Niente occhi. 
Ma la paura continuava a restargli addosso come la puzza di fritto e il cuore continuava a correre. Aveva rifatto quel sogno. Lo sapeva che prima o poi sarebbe successo se il ragazzo avesse continuato. Quel dannato ragazzo. Pensò che la storia della lettera non fosse altro che un bluff e nemmeno molto intelligente; qualcosa che aveva copiato dai telefilm gialli della TV. Di che amico poteva fidarsi il ragazzo che non resistesse alla tentazione di aprire una lettera così importante? Nessun amico, questa era la verità. O, almeno, così pensava. Se solo avesse potuto esserne sicuro... 
Chiuse le mani con un colpo artritico, doloroso e poi le riaprì lentamente. 
Prese dal tavolo il pacchetto di sigarette e ne accese una, incendiando il fiammifero di legno sulla colonna del letto. Le lancette dell'orologio segnavano le 2.41. Quella notte non avrebbe più ripreso sonno. Aspirò il fumo e venne sorpreso da un attacco di tosse impressionante. Aveva chiuso con il sonno, a meno che non fosse sceso a bere un paio di bicchierini. Anche tre. E aveva già bevuto parecchio nelle ultime sei settimane. Non era più un giovanotto in grado di berne uno dopo l'altro, come faceva quando era ufficiale a Berlino nel '39 e si sentiva odore di vittoria nell'aria e la voce del Führer era dappertutto, con i suoi occhi autoritari e fiammeggianti...  Il ragazzo... il maledetto ragazzo! 
«Sii sincero», esclamò, e il suono della sua stessa voce nella stanza silenziosa lo fece trasalire leggermente. Non era sua abitudine parlare da solo, ma non era nemmeno la prima volta che gli capitava. Gli era successo di frequente nelle ultime settimane a Patin quando i sogni di gloria erano crollati e a est il rumore del fulmine russo diventava, ogni giorno, ogni ora che passava sempre più forte. Allora era diventato naturale parlare da solo. Era sotto tensione, e chi si trova sotto tensione fa sempre strane cose — si tocca i testicoli dalle tasche dei pantaloni, fa scattare i denti... Wolf era stato un grande scattatore di denti. Sorrideva quando lo vedeva in azione. Huffmann faceva schioccare le dita e si batteva le cosce, creando ritmi veloci e intricati di cui nemmeno si rendeva conto. Lui, Kurt Dussander, a volte parlava da solo. Ma ormai... 
«Sei ancora sotto tensione», disse ad alta voce. Si rese conto di aver parlato in tedesco, questa volta. Era da anni che non parlava in tedesco, ma in quel momento la lingua sembrava calda e confortevole. Lo cullava, lo metteva a suo agio. Era dolce e oscura. 
«Sì. Sei sotto tensione. Per via del ragazzo. Ma sii sincero con te stesso. È troppo presto per mentire. Non ti sei mai pentito completamente di aver parlato. Inizialmente avevi il terrore che il ragazzo non potesse o non volesse mantenere il segreto. Temevi che l'avrebbe raccontato a un amico che, a sua volta, l'avrebbe detto a un altro amico, e quell'amico l'avrebbe riferito ad altri due. Ma se l'ha mantenuto finora, lo manterrà anche più a lungo. Se io vengo arrestato, lui perde il suo... il suo libro parlante. Sono questo io per lui? Credo di sì.» 
Rimase silenzioso, ma vagava col pensiero. Era stato solo — nessuno poteva immaginarsi quanto. C'erano state volte in cui aveva pensato seriamente al suicidio. Non sapeva fare l'eremita. Le uniche persone che vedeva erano quelli che abitavano di fronte alla sua finestra sudicia. Era un vecchio, e anche se aveva paura della morte, aveva più paura di essere un uomo vecchio e solo. 
A volte la vescica gli faceva qualche scherzetto e a metà strada verso il bagno si accorgeva di una macchia scura che si allargava sui pantaloni. Con l'umidità le articolazioni vibravano per poi iniziare a lamentarsi, e c'erano stati giorni in cui aveva dovuto ingerire una bottiglietta intera di pillole contro l'artrite... ormai l'aspirina attutiva leggermente i dolori, e anche movimenti come prendere un libro dallo scaffale o cambiare canale della televisione diventavano uno sforzo di dolore. Non vedeva più bene: a volte inciampava in qualcosa, picchiava gli stinchi, sbatteva la testa. Viveva nel terrore di rompersi qualcosa e di non riuscire a raggiungere il telefono, e viveva nel terrore di incontrare qualche dottore che scoprisse il suo passato, dal momento che non esisteva nessun precedente medico a nome di Denker. 
Il ragazzo aveva in parte migliorato la situazione. Quando il ragazzo era con lui, poteva ricordare i vecchi tempi. La memoria di quei giorni era chiara in modo perverso; forniva una serie apparentemente senza fine di nomi e di avvenimenti, persino le condizioni atmosferiche di particolari giornate. Si ricordava di Henreid, che aveva installato una mitragliatrice sulla torre nordorientale, e della cisti che aveva tra gli occhi. Qualcuno lo chiamava Treocchi, oppure Vecchio Ciclopc Ricordava Kessel che teneva una foto della sua ragazza nuda, distesa su un divano con le mani dietro la testa. Kessel la faceva vedere dietro pagamento. Ricordava i nomi dei dottori e i loro esperimenti — i limiti del dolore, onde cerebrali di uomini e donne in punto di morte, ritardo fisiologico, effetti di tipi diversi di radiazione, e molti altri. Centinaia d'altri. 
Pensava di parlare con il ragazzo come fanno i vecchi, ma credeva di essere più fortunato della maggior parte dei vecchi, che sono impazienti, disinteressati, o estremamente arroganti nei confronti del pubblico. Il suo pubblico era sempre affascinato. 
Gli costava poi tanto fare quegli incubi? 
Spense la sigaretta, rimase a fissare il soffitto per qualche minuto e poi mise i piedi per terra. Lui e il ragazzo erano esseri spregevoli, pensò, si nutrivano a vicenda... si mangiavano a vicenda. Se a lui, a volte, veniva l'acidità di stomaco per tutti gli strani racconti che gli narrava nei pomeriggi nella sua cucina, come poteva sentirsi il ragazzo? Riusciva a dormire? Forse no. Da un po' di tempo Dussander pensava che il ragazzo fosse più pallido e magro di quando si erano conosciuti. 
Attraversò la stanza e aprì l'anta dell'armadio. Spostò le grucce sulla destra, tastò nell'ombra e prese l'uniforme finta. Cascava dalle mani come pelle di avvoltoio. La toccò. La toccò... e poi la scrollò. 
Molto più tardi, la portò da basso e la indossò, vestendosi lentamente, senza guardarsi allo specchio prima di aver abbottonato per bene l'uniforme e la cintura (e allacciato la finta cerniera). 
Poi si guardò allo specchio e annuì col capo. 
Tornò a letto, si sdraiò e fumò un'altra sigaretta. Dopodiché gli ritornò il sonno. Spense l'abat-jour, incredulo di quanto fosse facile. Ma cinque minuti dopo era già addormentato, e questa volta il sonno fu privo di sogni. 


Febbraio 1975 Dopo cena, Dick Bowden offrì un cognac che Dussander giudicò mentalmente terribile. Ma chiaramente, sorrise per educazione e lo apprezzò moltissimo. La moglie di Bowden servì al ragazzo del cioccolato caldo. Il ragazzo era stato insolitamente silenzioso per tutta la durata della cena. Era a disagio? Sì. Chissà per quale ragione il ragazzo poteva essere molto a disagio. 
Dussander aveva affascinato Dick e Monica Bowden fin dal suo arrivo. Il ragazzo aveva detto ai genitori che la vista del signor Denker era peggiorata rispetto a una volta (e il povero signor Denker aveva bisogno di un cane per ciechi, pensò cinicamente Dussander) per giustificare il fatto che andasse a leggergli i libri. Dussander era stato molto attento e credeva di non aver commesso nessuna gaffe. 
Si era messo il vestito migliore e, anche se la serata era umida, la sua artrite non si era fatta sentire molto — solo qualche fitta occasionale. Chissà per quale assurdo motivo il ragazzo aveva voluto che lasciasse a casa l'ombrello, ma Dussander aveva insistito. Tutto sommato, aveva trascorso una piacevole serata, piuttosto brillante, in tutti i sensi. A parte il cognac imbevibile, erano nove anni che non riceveva un invito a cena. 
A tavola aveva parlato dell'industria automobilistica di Essen, della ricostruzione della Germania nel dopoguerra — Bowden aveva fatto molte domande intelligenti al proposito, e sembrava impressionato dalle risposte di Dussander — e degli scrittori tedeschi. Monica Bowden gli aveva domandato come mai si fosse stabilito in America così avanti negli anni e
Dussander, assumendo la tipica espressione di dolore, aveva raccontato della morte della presunta moglie. Monica Bowden si era sciolta di compassione.  E adesso, dopo l'assurdo cognac, Dick Bowden disse: «Se è troppo personale, signor Denker, la prego di non rispondere... ma non posso fare a meno di domandarmi che cosa ha fatto in guerra». 
Il ragazzo si irrigidì leggermente. 
Dussander sorrise e cercò le sigarette. Poteva capirli molto bene, ma era importante non commettere errori di nessun tipo. Monica gliele passò. 
«Grazie, signora. La cena è stata superba. Lei è un'ottima cuoca.
Nemmeno mia moglie era così brava.» 
Monica lo ringraziò e sembrava agitata. Todd la guardò irritato. 
«Non è niente di personale», disse Dussander, accendendosi una sigaretta e voltandosi verso Bowden. «Sono stato nelle riserve dal 1943 in poi, come lo erano tutti gli abili troppo vecchi per essere messi in servizio attivo. Ormai il presagio per il Terzo Reich era dei peggiori, come anche per i pazzi che lo avevano creato. Un pazzo in particolare, naturalmente.» Spense il fiammifero e la sua espressione si fece solenne. 
«Fu un sollievo generale quando Hitler cominciò a vacillare. Un grande sollievo. Naturalmente», e fu qui che guardò Bowden in modo disarmante, da uomo a uomo, «non si poteva esprimere il proprio pensiero. Non ad alta voce.» 
«Me lo immagino», disse Dick Bowden pieno di rispetto. 
«No», disse Dussander seriamente. «Non ad alta voce. Mi ricordo di una sera quando quattro o cinque di noi, tutti amici, ci siamo fermati in un locale, il Ratskeller, a bere qualcosa dopo il lavoro — allora non si trovava sempre Schnaps, e nemmeno la birra, ma quella sera c'erano tutte e due. Ci conoscevamo tutti da una ventina di anni. Uno di noi, Hans Hassler, disse casualmente che forse il Führer era stato consigliato male nell'aprire un secondo fronte contro i russi. Io risposi: 'Hans, per l'amor del cielo, attento a come parli!' Il povero Hans impallidì e cambiò immediatamente discorso. Tre giorni dopo sparì. Non l'ho più rivisto, e nemmeno gli altri, per quanto ne sappia io, che stavano allo stesso tavolo quella sera.» 
«Terribile!» disse Monica con affanno. «Ancora cognac, signor Denker?» 
«No, grazie», le sorrise. «Mia moglie aveva ereditato un detto da sua madre: 'Non si deve esagerare coi piaceri.'» 
La piccola fronte di Todd preoccupata si corruccio leggermente. 
«Pensa che sia stato deportato in qualche campo di concentramento?» domandò Dick. «Il suo amico Hessler?» 
«Hassler», lo corresse Dussander gentilmente. Si fece serio. «Molti sono stati deportati. I campi di concentramento... resteranno la vergogna del popolo tedesco per un altro millennio. Questa è l'unica eredità di Hitler.» 
«Oh, credo che lei sia esagerato», disse Bowden, accendendosi la pipa e sbuffando una nuvoletta di Cherry Blend. «Secondo quanto ho letto, la maggioranza dei tedeschi non aveva la più pallida idea di quello che stava succedendo. La gente che viveva vicino ad Auschwitz pensava si trattasse di una fabbrica di salsicce.» 
«Uh, terribile», disse Monica e rivolse al marito un'espressione come per dirgli di smetterla. Poi si voltò verso Dussander, sorridendo. «Adoro l'aroma della pipa, signor Denker, lei no?» 
«Ma certo, signora», disse Dussander. Aveva appena trattenuto il bisogno impellente di starnutire. 
Improvvisamente Bowden diede un colpo sulla spalla di suo figlio dall'altra parte del tavolo. Todd fece un sobbalzo. «Sei molto silenzioso questa sera, figliolo. Ti senti bene?» 
Todd fece un sorriso strano diviso tra il padre e Dussander. «Mi sento bene.
Ma la maggior parte di queste storie le conosco.» 
«Todd!» disse Monica. «Non è...» 
«Il ragazzo è solo sincero», disse Dussander. «Un privilegio dei giovani a cui spesso gli uomini devono rinunciare. Vero, signor Bowden?» Dick si mise a ridere e annuì col capo. 
«Forse è il caso che Todd mi riaccompagni a casa», disse Dussander. «Dovrà fare i compiti.» 
«Todd è uno studente molto sveglio», disse Monica, ma aveva parlato quasi automaticamente, guardando Todd in modo perplesso. «Prende sempre Buono e Ottimo. Ha preso una sufficienza nell'ultimo trimestre, ma ha promesso di migliorare in francese per la pagella di marzo. Vero, piccolo Todd?» 
Todd rifece il sorrisetto strano e annuì col capo. 
«Non c'è bisogno che vada a piedi», disse Dick. «Sarò felice di riaccompagnarla a casa in macchina.» 
«L'aria pura e il movimento fanno bene», disse Dussander. «Davvero, non si disturbi... a meno che Todd non preferisca non venire con me.» «Oh no, mi piace camminare», disse Todd e i genitori si illuminarono. 
Erano quasi arrivati da Dussander, quando quest'ultimo ruppe il silenzio. Piovigginava e aprì l'ombrello. Eppure la sua artrite continuava a non dare problemi, sonnecchiava. Era incredibile. 
«Sei come la mia artrite», gli disse.  Todd alzò il capo. «Eh?» 
«Non vi siete fatti sentire molto questa sera. Che cos'è successo alla tua lingua, ragazzo? È stato un gatto o un cormorano a rubartela?» 
«Niente», mormorò Todd. Intanto svoltarono sulla via di Dussander. 
«Forse riesco a indovinare», disse Dussander, non senza un tocco di malizia. «Quando sei venuto a prendermi, avevi paura che potessi fare qualche sbaglio... 'non svegliamo il can che dorme', pensavi. Eppure eri convinto di dover fare questa cena perché ormai non avevi più scuse per tenermi alla larga dai tuoi genitori. Adesso sei sconcertato perché è andato tutto bene. Non è così?» 
«Chi se ne importa?» disse Todd e alzò le spalle scontrosamente. 
«Perché non doveva andare bene?» domandò Dussander. «Ho iniziato a mentire prima che tu nascessi. Sai mantenere bene un segreto, te ne do atto. Te ne do atto volentieri. Ma mi hai visto questa sera? Li ho incantati. 
Incantati!» 
Improvvisamente Todd esplose: «Non doveva farlo». 
Dussander si fermò immediatamente, fissando Todd. 
«Non dovevo farlo? Non dovevo? Pensavo che tu lo desiderassi, ragazzo! Non faranno di certo obiezioni se continui a venire a 'leggere' da me.» 
«Lei dà troppe cose per scontate!» disse Todd con calore. «Forse ho già ottenuto tutto quello che volevo da lei. Crede che ci sia qualcuno che mi obbliga a venire nella sua casa puzzolente per vederla trangugiare bicchiere dopo bicchiere come quegli ubriaconi fetidi che girano nelle vecchie stazioni? Pensa che sia così?» La voce si era alzata per diventare un suono sottile, vacillante, isterico. «Ma non c'è nessuno che mi obbliga. Se voglio venire vengo, altrimenti no.» 
«Abbassa la voce. La gente sentirà.» 
«Chi se ne frega?» disse Todd, ma riprese a camminare volutamente scostato dall'ombrello. 
«No, nessuno ti obbliga a venire», disse Dussander. E poi scoccò un colpo calcolato: «Anzi, sei libero di non venire. Credimi, ragazzo. Non ho problemi a bere da solo. Per niente.» 
Todd lo guardò sdegnosamente. «Le piacerebbe, vero?» Dussander fece un sorriso indistinto. 
«Be', non ci conti.» Intanto avevano raggiunto il vialetto di cemento che conduceva al portico di Dussander. Dussander frugò nelle tasche alla ricerca del mazzo di chiavi. L'artrite scoccò una piccola fitta nelle articolazioni delle dita per poi tranquillizzarsi; aspettava. Improvvisamente Dussander capì che cosa aspettava: aspettava di sorprenderlo da solo. Poi poteva sfogarsi. 
«Le dirò una cosa», disse Todd. Sembrava stranamente a corto di fiato. «Se avessero saputo chi era, se glielo avessi detto io, le avrebbero sputato addosso e l'avrebbero buttato fuori a pedate su quel vecchio culo ossuto che ha.» 
Dussander si avvicinò a Todd nell'oscurità piovigginosa. Il viso del ragazzo era rivolto all'insù con fare da sfida, ma la pelle era pallida, le borse sotto gli occhi erano scure e leggermente scavate — i colori della pelle di chi ha vagato a lungo mentre gli altri dormivano. 
«Sono certo che proverebbero solo schifo nei miei confronti», disse Dussander, anche se dentro di sé pensava che Bowden-padre avrebbe messo da parte lo schifo per fargli le stesse domande del figlio. «Soltanto schifo. Ma come la prenderebbero nei tuoi confronti, ragazzo, se gli raccontassi che tu sai del mio passato da ormai otto mesi... e non hai detto niente?» Todd lo fissò nell'oscurità, senza parlare. 
«Vieni a trovarmi se ti fa piacere», disse Dussander con indifferenza, «e resta a casa se non ne hai voglia. Buonanotte, ragazzo.» 
Percorse il vialetto fino alla porta d'ingresso, lasciando Todd sotto la pioggia che lo guardava con la bocca leggermente aperta. 

Il mattino dopo, a colazione, Monica disse: «Al papà è piaciuto molto il signor Denker, Todd. Ha detto che gli ricorda il nonno». 
Todd farfugliò qualcosa di incomprensibile mentre mangiava una fetta di pane tostato. Monica guardò il figlio, domandandosi se aveva dormito bene. Era pallido. E i giudizi scolastici si erano abbassati inspiegabilmente. Todd non aveva mai preso una sufficienza. 
«Ti senti bene in questi giorni, Todd?» 
La guardò con sguardo vacuo per un momento, e poi il viso si illuminò di un sorriso radioso, che l'affascinò... la confortò. Aveva una macchietta di marmellata di fragole sulla guancia. «Certo», disse Todd. «Certo.» «Piccolo Todd», disse lei. 
«Piccola Monica», rispose lui e si misero tutti e due a ridere. 


Marzo 1975  «Micio micio», chiamò Dussander. «Qui, micio micio, pussy pussy, pussy pussy.» 
Era seduto sul retro del portico con una ciotola di plastica rosa ai piedi. La ciotola era piena di latte. Era la una e mezzo del pomeriggio, c'era foschia e faceva caldo. Alcuni incendi lontani, ad occidente tingevano l'aria dal sapore autunnale che smuoveva le pagine del calendario. Se il ragazzo fosse venuto, sarebbe arrivato nel giro di un'ora. Ma ormai non veniva più tutti i giorni. Invece di sette giorni alla settimana, andava a trovarlo quattro o cinque. Poco a poco aveva avuto l'intuizione che il ragazzo avesse qualche problema.  «Micio, micio.» Il gatto randagio si trovava nel punto più distante del giardino, seduto sul margine frastagliato del prato vicino alla siepe. Era enorme, e aveva il pelo tanto sparuto quanto l'erba sulla quale sedeva. Ogni volta che l'uomo parlava, il gatto drizzava le orecchie. Gli occhi non si staccavano dalla ciotola rosa piena di latte. 
Forse, pensò Dussander, il ragazzo aveva qualche problema con la scuola — o qualche incubo — o forse tutti e due. Questo lo fece sorridere. 
«Micio micio», chiamò a bassa voce. Il gatto drizzò nuovamente le orecchie. Non si mosse, non ancora, ma continuò a osservare il latte. 
Dussander aveva avuto sicuramente parecchi problemi. Per circa tre settimane aveva indossato l'uniforme delle SS per andare a letto, un pigiama grottesco, e l'uniforme aveva tenuto lontani gli incubi e l'insonnia. All'inizio, dormiva come un ghiro. Poi erano ritornati i sogni, ma non poco a poco, no, erano tornati all'improvviso, e peggiori di quelli di un tempo. Sognava di correre, ma sognava anche gli occhi. Una corsa attraverso una giungla umida e misteriosa, mentre foglie e fronde grondanti di pioggia gli colpivano la faccia: le gocce sembravano linfa... o sangue. Correva, correva, mentre gli occhi luminosi continuavano ad inseguirlo, osservandolo crudelmente, fino ad arrivare ad una radura. Nell'oscurità gli parve di avvertire, più che di vedere realmente, la ripida salita sul lato opposto della radura. In cima a quella salita c'era Patin, con le sue costruzioni in cemento ed i suoi cortili circondati da filo spinato e cavi elettrici, con le sue torri di sentinella che si stagliavano come dreadnoughts venuti da Marte, direttamente da Guerre stellari. E nel mezzo, nubi di fumo si levavano contro il cielo da immensi camini; sotto queste colonne di mattoni c'erano i forni, ben alimentati e pronti per essere usati, splendenti nella notte come occhi di démoni feroci. Agli abitanti della zona era stato detto che i detenuti di Patin confezionavano abiti e candele: la gente del luogo ci aveva creduto, non più di quanto gli abitanti della zona di Auschwitz avevano creduto che il campo fosse una fabbrica di salsicce. Non importava. 
Nel sogno, guardandosi dietro le spalle, li vedeva uscire dai nascondigli, loro, i morti senza pace, gli Juden, che barcollavano dietro di lui, con i numeri blu in risalto sulla carne livida delle braccia tese, con le mani simili ad artigli, non più con i volti inespressivi, ma pieni di odio, desiderosi di vendetta, bramosi di morte. I bambini trotterellavano dietro le loro madri e i nonni erano sostenuti dai nipoti di mezza età. L'espressione dominante su tutti i loro volti era la disperazione. 
Disperazione? Sì. Perché nel sogno sapeva (e lo sapevano anche loro) che se avesse potuto salire in cima alla collina sarebbe stato salvo. Invece in questa pianura umida e paludosa, in questa giungla dove le piante della notte trasudavano sangue invece di linfa, non era altro che un animale braccato... una preda. Ma lassù, aveva il comando. Se questa era una giungla, il campo in cima alla collina era uno zoo, pieno di animali selvaggi chiusi in gabbia ed egli era il guardiano, il cui compito consisteva nel decidere chi sarebbe stato nutrito, chi sarebbe stato mantenuto in vita, chi sarebbe stato consegnato ai vivisezionisti, chi sarebbe stato portato al macello con il camion per i traslochi. 
Avrebbe cominciato a correre su per la collina, correndo con la lentezza tipica degli incubi. Avrebbe avvertito le prime mani scheletriche stringersi attorno al collo, avrebbe sentito il freddo respiro ripugnante, avrebbe fiutato la loro decomposizione, avrebbe udito le loro urla di trionfo simili a grida di uccelli mentre lo buttavano giù e la salvezza era vicina, a portata di mano. 
«Micio micio», chiamò Dussander. «Eccoti il latte. È buono.» 
Finalmente il gatto si mosse. Attraversò il cortile e poi si sedette nuovamente, ma con cautela, facendo oscillare la coda in modo nervoso. Non si fidava di lui, no. Ma Dussander sapeva che il gatto avrebbe fiutato il latte ed era quindi fiducioso. Prima o poi sarebbe arrivato. 
A Patin non c'erano mai stati problemi di contrabbando. Alcuni prigionieri arrivavano con sacchettini di camoscio pieni di oggetti preziosi nascosti dappertutto, persino nel culo (e molto spesso questi oggetti risultavano essere privi di qualsiasi valore — fotografie, ciocche di capelli, gioielli falsi), spesso spinti tanto in fondo da non poter essere raggiunti nemmeno dalle lunghe dita puzzolenti di quel fedele detenuto che essi chiamavano Ditalone. Si ricordava di una donna che possedeva un piccolo brillante, con qualche difetto e nemmeno ben fissato, assolutamente privo di valore — ma apparteneva alla sua famiglia da sei generazioni, passando di madre in figlia (o almeno così diceva la donna, ma era ebrea e tutti gli ebrei mentono). Lo ingoiò prima di arrivare a Patin. Ogni volta che lo espelleva, lo ingoiava di nuovo. Continuò a farlo fino a quando il brillante iniziò a ferirle la pancia e la donna morì dissanguata. 
Erano stati usati altri stratagemmi, ma la maggior parte di essi erano legati ad oggetti assolutamente insignificanti: un po' di tabacco o un nastro per i capelli. Niente di importante. Nella stanza che Dussander usava per interrogare i prigionieri c'erano un fornelletto ed un tavolo da cucina coperto con una tovaglia a scacchi rossi, molto simile a quella della sua cucina. Sul fornelletto c'era sempre un succulento stufato d'agnello che bolliva in pentola. Quando si sospettavano traffici di contrabbando (e quando non si sospettava?) uno dei presunti appartenenti alla banda veniva portato in quella stanza. Dussander stava in piedi, vicino al fornelletto, dal quale si alzava un odorino delizioso di stufato. Gentilmente, chiedeva loro chi è stato? Chi nasconde dell'oro? Chi nasconde dei gioielli? Chi ha del tabacco? Chi ha dato alla Givenet la pillola per il suo bambino? Chi? Lo stufato non veniva mai promesso in modo specifico, ma il solo aroma bastava per sciogliere le lingue, alla fine. È chiaro che un manganello avrebbe ottenuto lo stesso risultato, come pure una pistola puntata sui coglioni, ma lo stufato era... era elegante. Senza dubbio. 
«Micio micio», chiamò Dussander. Il gatto drizzò le orecchie. Si alzò per metà, poi si ricordò vagamente di qualche calcio ricevuto tempo prima, o forse di una zuffa durante la quale si era bruciato i baffi e si sdraiò nuovamente su un fianco. Ma presto si sarebbe mosso. 
Aveva trovato il modo di placare i suoi incubi. In fin dei conti, si trattava solo di indossare l'uniforme delle SS... ma aveva acquistato un potere maggiore. Dussander era soddisfatto di se stesso, solo gli spiaceva non averci pensato prima. Pensava fosse necessario ringraziare il ragazzo per questo nuovo sistema di auto-rilassamento, per avergli mostrato che la soluzione alle paure del passato non stava nel rifiuto ma nella riflessione o anche in qualcosa simile all'abbraccio di un amico. Era vero che prima dell'inaspettato arrivo del ragazzo, l'estate precedente, non aveva avuto incubi per molto tempo, ma si era reso conto di essere soltanto giunto ad un accordo civile con il suo passato. Era stato obbligato a rinunciare ad una parte di se stesso. Ora ne aveva richiesta la restituzione. 
«Micio micio», chiamò Dussander, ed un sorriso gli apparve sul volto, un sorriso cordiale, un sorriso rassicurante, il sorriso di tutti i vecchi che hanno in qualche modo superato le crudeli avversità della vita e sono giunti ad un porto sicuro, ancora relativamente in forma e con un po' di saggezza in più. 
Il gatto si alzò, esitando per un attimo soltanto, poi attraversò rapidamente il cortile, con grazia felina. Salì i gradini, gettò un'ultima occhiata diffidente a Dussander tirando indietro le orecchie malconce, poi iniziò a bere il latte. 
«Che buono questo latte», disse Dussander, infilandosi un paio di guanti di gomma che aveva tenuto in grembo per tutto il tempo. «Del buon latte per un buon micio.» Aveva comprato quei guanti al supermercato. Si era messo in coda alla «cassa veloce» ed una signora anziana lo aveva guardato con aria d'approvazione, facendo strane congetture. Quei guanti erano reclamizzati in televisione. Avevano anche il risvolto. Erano così elastici che si poteva raccogliere una monetina senza bisogno di sfilarli. 
Con un dito verde accarezzò il gatto e gli parlò con dolcezza. La schiena del gatto iniziò ad inarcarsi al ritmo delle carezze. 
Lo afferrò prima che svuotasse completamente la ciotola. 
Nella morsa delle mani, risultò essere pieno di vita, torcendosi ed agitandosi in modo convulso, aggrappandosi alla gomma con gli artigli. Il corpo agile si dimenava violentemente e Dussander era convinto che se solo l'animale gli avesse potuto affondare i denti e gli artigli nella carne, ne sarebbe uscito vincitore. Era un veterano. Ma fra veterani ci si intende, pensò Dussander, sorridendo. 
Tenendo prudentemente il gatto ad una certa distanza dal corpo, e con una smorfia di dolore stampata sul viso, Dussander spalancò la porta di servizio con un piede ed entrò in cucina. Il gatto miagolava, si dimenava e lacerava i guanti di gomma. La sua testa selvatica e triangolare si voltò di scatto e si avventò sul pollice ricoperto di gomma verde. 
«Brutto micio», disse Dussander con aria di rimprovero. 
Il forno era aperto. Dussander buttò dentro il gatto. Gli artigli fecero uno strano rumore mentre si staccavano dai guanti. Dussander chiuse la porta del forno sbattendola con un ginocchio ed avvertì subito una fitta di dolore dovuta alla sua artrite. Nonostante questo continuò a sorridere con il suo solito ghigno. Respirando a fatica, quasi ansimando, si appoggiò per un attimo alla cucina, con la testa abbassata. Era una cucina a gas. La usava raramente e solo per preparare qualche cenetta davanti alla TV e per uccidere i gatti randagi. 
Dai fornelli si sentivano appena i lamenti del gatto, che tentava disperatamente di uscire. 
Dussander alzò la temperatura del forno a 500°. Si udì chiaramente pop! quando si accese la spia del forno, indicando che le due file doppie di gas si erano accese. Il gatto smise di miagolare ed iniziò a urlare. Sembrava... sì... sembrava un ragazzino. Un ragazzino in preda ad atroci sofferenze. Questo pensiero fece sorridere ancora di più Dussander. Il cuore gli batteva con violenza nel petto. Nel forno il gatto annaspava e si contorceva impazzito, continuando a urlare. Ben presto un caldo odore di pelo bruciato iniziò a diffondersi nella stanza. 

Mezz'ora dopo tolse i resti del gatto, raschiando il forno con una forchetta da barbecue, acquistata per due dollari e 98 centesimi da Grant, il grande magazzino vicino a casa. 
La carcassa arrostita del gatto finì in un sacchetto di farina vuoto. Portò il sacchetto in cantina. Il pavimento della cantina non era mai stato cementato. Dussander tornò immediatamente di sopra. Spruzzò un po' di deodorante Giade in cucina finché si sprigionò un odore artificiale di pino. Aprì tutte le finestre. Lavò la forchetta da barbecue e la rimise al solito posto. Poi si sedette e aspettò di vedere se il ragazzo sarebbe venuto. Continuò a sorridere. 
Todd arrivò cinque minuti dopo che Dussander aveva rinunciato all'idea di vederlo quel pomeriggio. Indossava un pesante giubbotto con i colori della scuola, portava anche il cappellino da baseball della squadra dei San Diego Padres. Teneva i libri sotto il braccio. 
«Accidenti», disse, entrando in cucina ed arricciando il naso. «Cos'è questa puzza? È terribile!» 
«Ho provato il forno», disse Dussander accendendosi una sigaretta. «Ho bruciato la cena. L'ho dovuta buttare via.» 

Un giorno di quello stesso mese, il ragazzo arrivò a casa con molto anticipo rispetto al solito, molto prima della fine delle lezioni. Dussander era seduto in cucina, e stava bevendo del bourbon Ancient Age da una tazza scolorita e scheggiata che riportava le parole «ECCO IL TUO CAFFÈ! SVEGLIA! SVEGLIA! SVEGLIA!» scritte sull'orlo. Aveva messo la sedia a dondolo in cucina e non faceva altro che bere e dondolarsi, dondolarsi e bere, sbattendo le pantofole sul pavimento di linoleum sbiadito. Era piacevolmente brillo. Non aveva più avuto incubi fino alla notte prima. Non ne aveva più avuti dal giorno del gatto con le orecchie malconce. Ma l'incubo della notte prima era stato particolarmente orribile. Era impossibile dimenticarlo. Lo avevano trascinato giù dalla collina quando ormai era a metà strada ed avevano iniziato a fargli cose indicibili prima che riuscisse a svegliarsi. Comunque, dopo il suo iniziale ritorno da sconfitto al mondo delle cose reali, si era mostrato fiducioso. Era in grado di interrompere i sogni in qualsiasi momento lo desiderasse. Forse questa volta non sarebbe bastato un gatto. Ma c'era sempre il canile municipale. Già. Restava il canile. 
Todd entrò improvvisamente in cucina. Aveva il viso pallido, lucido ed affaticato. Era dimagrito, d'accordo, pensò Dussander. E negli occhi c'era uno strano sguardo bianco che a Dussander non piacque per niente. 
«Mi devi aiutare», disse improvvisamente Todd con aria di sfida. 
«Davvero?» rispose gentilmente Dussander, ma sentì un'improvvisa inquietudine dentro di sé. Non lasciò che il suo viso cambiasse espressione quando Todd gettò i libri sul tavolo con un improvviso e violento gesto del braccio. Ne cadde uno per terra, scivolando sulla tela cerata, e finì contro una tenda, vicino al piede di Dussander. 
«Già, esattamente!» disse Todd con voce stridula. «Farai meglio a crederci. Perché è colpa tua! È solo colpa tua!» Le sue guance divennero color porpora. «Ma dovrai aiutarmi perché so molte cose sul tuo conto! Farai esattamente quello che vorrò io!» 
«Ti aiuterò per quanto mi sarà possibile», rispose Dussander con calma. Si accorse di aver congiunto le mani di fronte a sé, senza nemmeno rendersene conto — esattamente come faceva una volta. Si sporse in avanti, sulla sedia a dondolo, e appoggiò il mento sulle mani piegate — come faceva una volta. Il suo viso era calmo, amichevole ed indagatore; nessuna traccia dell'inquietudine che stava crescendo dentro di lui. Seduto in quel modo, riusciva ad immaginare di avere una pentola di stufato di agnello sul fuoco alle spalle. «Dimmi qual è il problema.» 
«Eccolo, il maledetto problema!» esclamò Todd con cattiveria, lanciando a Dussander una cartelletta che gli rimbalzò sul petto, cadendogli in grembo. Rimase sorpreso per un attimo, avvertendo la rabbia che lo stava assalendo, il desiderio di alzarsi e di dare una sberla al ragazzo. Ma l'espressione del suo viso rimase calma. Era la pagella del ragazzo, anche se la scuola l'aveva denominata in un altro modo, ridicolo. Invece di pagella o Rapporto Scolastico, veniva chiamata «Progressi Trimestrali». Aprì la cartelletta, brontolando. 
Ne uscì un foglio di carta battuto a macchina. Dussander lo mise da parte, per poterlo esaminare più tardi, e rivolse la sua attenzione ai giudizi del ragazzo. 
«Mi sembra ti sia andata piuttosto male, ragazzo», commentò Dussander non senza una punta di soddisfazione. Il ragazzo aveva avuto la sufficienza solo in Inglese ed in Storia americana. Nelle altre materie era gravemente insufficiente. 
«Non è colpa mia», lo zittì Todd. «È colpa tua. Tutte quelle storie. Me le sogno sempre di notte, lo sai? Mi siedo e apro i libri, poi inizio a pensare a tutto quello che mi racconti e poi arriva mia madre per dirmi che è ora di andare a letto. Be', non è colpa mia! NO! Mi ascolti? Non è colpa mia!» 
«Ti sto ascoltando», rispose Dussander, mettendosi a leggere il foglio dattiloscritto che era stato infilato nella pagella di Todd. 

Gentili signori Bowden,  con la presente, desidereremmo convocarvi per discutere i risultati ot-
tenuti da Todd nel secondo e nel terzo trimestre. Considerando i buoni risultati finora ottenuti da Todd in questa scuola, è ovvio che i giudizi ora riportati rappresentano un serio problema che potrebbe ripercuotersi in senso negativo sull'esito scolastico. Questi problemi, tuttavia, possono essere risolti spesso con una discussione chiara e sincera. 
Vorrei sottolineare che sebbene Todd abbia superato la metà dell'anno, potrebbe risultare bocciato a fine corso a meno che il suo operato migliorasse sostanzialmente nell'ultimo trimestre. I voti insufficienti potrebbero rendere inevitabile l'iscrizione ad una scuola estiva, causando una serie di gravi problemi organizzativi. 
Devo anche ricordarvi che Todd si sta preparando per l'ingresso al college, ma i risultati da lui ottenuti sono nettamente inferiori alla media richiesta da questo tipo di scuola. Tali risultati sono anche inferiori a quelli previsti dai test di ammissione per la scuola superiore. 
Sono certo che riusciremo a fissarvi un colloquio in base alle diverse esigenze. In questo caso ricordate che la questione va risolta al più presto.  Cordiali saluti 
Edward French 

«Chi è questo Edward French?» chiese Dussander, infilando il foglio nella pagella (continuava a meravigliarsi per l'amore degli americani per il linguaggio forbito: una lettera tanto pomposa per informare i genitori che il loro figlio stava per essere bocciato!) e ricongiungendo le mani. Avvertiva più forte che mai il presagio di un disastro, ma si rifiutava di arrendersi. Un anno prima lo avrebbe fatto, un anno prima sarebbe stato pronto per il disastro. Adesso non lo era, anche se evidentemente quel maledetto ragazzo
gli stava ripresentando l'eventualità. «È il tuo preside?» 
«Ed Caloscia? Diamine, no. È il responsabile dell'orientamento.» 
«Responsabile dell'orientamento? E che cos'è?» 
«Non te lo immagini?» esclamò Todd. Era quasi isterico. «Eppure hai letto quel dannato foglio!» Camminava nervosamente su e giù per la stanza, lanciando rapide occhiate di fuoco a Dussander. «Bene, non mi farò rovinare da una cazzata come questa. No davvero. Non mi iscriverò a nessun corso estivo. Quest'estate i miei andranno alle Hawaii ed io andrò con loro.» Indicò la pagella sul tavolo. «Sai cosa succede se la vede mio padre?» Dussander scosse la testa. 
«Mi farà sputare tutto. Tutto. Verrà a sapere che è colpa tua. Non c'è nessun altro motivo, perché non è cambiato nient'altro. Mi prenderà a sberle e continuerà a fare domande ed alla fine mi farà sputare tutto. E poi... poi io sarò nella merda.» 
Fissò Dussander con sguardo risentito. 
«Mi terranno d'occhio. Maledizione, forse mi manderanno da un dottore, chi lo sa? E come faccio io a saperlo? Ma io non voglio casini. E non frequenterò nessun corso estivo del cazzo!» 
«O il riformatorio», disse Dussander. E lo disse con voce pacata. 
Todd smise di girare per la stanza. Il suo viso era assolutamente immobile. Le guance e la fronte, già pallide, divennero cadaveriche. Fissò Dussander e dovette fare due tentativi prima di riuscire a parlare. «Cosa? Cosa hai detto?» 
«Ragazzo mio», rispose Dussander, assumendo un'aria estremamente paziente, «sono cinque minuti che ascolto le tue lamentele e i tuoi piagnistei, e a cosa sono serviti? Ti trovi nei guai. Potresti essere scoperto. Potresti trovarti in situazioni spiacevoli.» Vedendo che aveva ottenuto la completa attenzione da parte del ragazzo — finalmente — Dussander bevve un sorso dalla tazza, riflettendo. 
«Ragazzo mio», continuò, «questo tuo atteggiamento è molto pericoloso. Ed è pericoloso anche per me. Il danno potenziale è maggiore per me. Tu, ti preoccupi della pagella. Puah! Tutto questo casino per una pagella.» La fece cadere sul pavimento con un colpo delle dita giallastre. 
«Io mi preoccupo per la mia vita!» 
Todd non rispose, ma continuò a fissare Dussander con uno sguardo vacuo, un po' stralunato. 
«Gli israeliani non si faranno scrupoli per il fatto che ho sessantasei anni. La pena di morte laggiù è ancora ben vista, sai, soprattutto se l'uomo sul banco degli imputati è un criminale di guerra nazista legato ai campi di concentramento.» 
«Tu sei un cittadino americano», disse Todd, «l'America non lascerà che ti prendano. L'ho studiato a fondo. Io.» 
«Tu studi ma non ascolti! Io non sono un cittadino americano. I miei documenti sono stati procurati da cosa nostra. Sarei deportato e troverei agenti di Mossad ad aspettarmi ovunque.» 
«Vorrei che ti impiccassero», mormorò Todd, stringendo le mani in un pugno. «Sono stato veramente un pazzo ad immischiarmi in questa faccenda.» 
«Senza dubbio», annuì Dussander sorridendo sottilmente. «Ma ormai sei immischiato. Dobbiamo vivere nel presente, ragazzo, non nel passato dei 'non-avrei-mai-dovuto'. Devi convincerti che il tuo destino ed il mio sono legati indissolubilmente. Se 'vuoterai il sacco' sul mio conto, come si suol dire, pensi che io esiterei nel fare lo stesso? A Patin sono morti in 700.000. Per il mondo intero io sono un criminale, un mostro; persino il tuo macellaio pettegolo vorrebbe mettermi le mani addosso. In tutta questa storia tu non sei altro che una semplice pedina, ragazzo mio. Tu conosci un criminale clandestino, ma non l'hai detto a nessuno. E se mi prendono, racconterò a tutti di te. Quando i giornalisti mi sbatteranno in faccia i microfoni, sarà il tuo nome che continuerò a ripetere. Todd Bowden, sì, il nome è esatto... Da quanto tempo? Quasi un anno. Voleva sapere tutto... tutti i particolari raccapriccianti. Sì, li chiamava proprio così: tutti i particolari raccapriccianti.» 
A Todd si bloccò il respiro. La pelle si fece trasparente. Dussander gli sorrise, e bevve un sorso di bourbon. 
«Credo che ti manderanno in prigione. Magari la chiameranno riformatorio, o casa di correzione — sicuramente hanno un modo strano per chiamarla, come 'Progressi Trimestrali'», disse, storcendo le labbra, «ma comunque la chiamino, stai pur certo che avrà delle sbarre alle finestre.» 
Todd si inumidì le labbra. «Dirò che sei un bugiardo. Dirò che l'ho appena scoperto. E crederanno a me, non a te. Farai meglio a ricordartelo.» 
Dussander non si scompose, e continuò a sorridere. «Mi sembrava di aver capito che tuo padre ti avrebbe fatto sputare tutto.» 
Todd parlò lentamente, come succede quando la percezione e la verbalizzazione hanno luogo simultaneamente. «Forse no. Forse questa volta no. Non è come rompere un vetro con un sasso.» 
Dussander trasalì dentro di sé. Aveva l'impressione che il ragazzo avesse ragione — con la posta che c'era in gioco, forse sarebbe riuscito a convincere suo padre. In fin dei conti, quale genitore non si lascerebbe convincere di fronte ad una verità così terribile? 
«Forse sì. Forse no. Ma che cosa dirai a proposito di tutti quei libri che hai dovuto leggere perché il povero signor Denker è mezzo cieco? La mia vista non è più quella di una volta, ma con un paio di occhiali riesco ancora a
leggere di tutto. E sono in grado di dimostrarlo.» 
«Potrei dire che mi hai ingannato.» 
«Davvero? E perché mai avrei dovuto ingannarti?» 
«Be'... avevi bisogno di amici. Ti sentivi solo.» 
Dussander pensò che questa spiegazione era abbastanza vicina alla realtà da apparire credibile. All'inizio probabilmente il ragazzo sarebbe riuscito a renderlo plausibile. Ma ormai era a pezzi: si stava lasciando andare, come un cappotto ormai sfilacciato che non può più essere indossato. 
Se un bambino avesse sparato con una pistola giocattolo in mezzo alla strada, il ragazzo avrebbe sicuramente fatto un salto, strillando come una fanciulla. 
«La tua pagella è una prova che quanto dico è vero», disse Dussander. «Ragazzo mio, non è stata la lettura di Robinson Crusoe che ti ha fatto prendere tutte quelle insufficienze, o sbaglio?» 
«Chiudi il becco, vuoi? Chiudi il becco una buona volta!» 
«No», rispose Dussander, «non la smetto.» Si accese una sigaretta sfregando il fiammifero sullo sportello del forno. «Non la smetto fino a quando non ti sarai reso conto di come stanno in realtà le cose. Ci siamo dentro tutti e due, volenti o nolenti.» Gettò un'occhiata a Todd attraverso il fumo della sigaretta: non sorrideva più, con la sua faccia da rettile. «Ti trascinerò molto in basso, ragazzo, te lo prometto. Se solo salta fuori
qualcosa, salterà fuori anche il resto. Te lo giuro.»  Todd lo fissò con aria accigliata e non rispose. 
«Ora», disse animatamente Dussander, con l'aria di chi ha appena terminato una spiacevole ma necessaria discussione, «il problema è questo: cosa possiamo fare? Hai qualche idea?» 
«Con questa sistemiamo la pagella», disse Todd tirando fuori dalla tasca una boccetta di scolorina. «Ma non so cosa fare per quella fottuta lettera.» 
Dussander guardò la scolorina con approvazione. Ai suoi tempi, anche lui aveva corretto qualche pagella in questo modo. In seguito si era lasciato sempre più trasportare dalla fantasia... sempre di più. Una situazione analoga a quella in cui si trovavano ora — c'era stata la storia delle fatture... quelle in cui venivano elencati i bottini di guerra. Ogni settimana aveva l'incarico di controllare le casse contenenti oggetti di valore che dovevano essere rispedite a Berlino con vagoni speciali, simili a grosse cassaforti su ruote. Sul lato di ogni cassa c'era una busta di carta manila con un elenco preciso del contenuto della cassa. Quanti anelli, quanti braccialetti, quanti girocolli, quanti grammi d'oro. Anche Dussander possedeva una sua cassa di oggetti preziosi — non oggetti di grande valore, ma nemmeno robaccia. Giade. Tormaline. Opali. Qualche perla un po' rovinata. Diamanti industriali. E quando vedeva un oggetto diretto a Berlino che gli piaceva particolarmente o che poteva risultare un buon investimento, lo prendeva, lo sostituiva con un oggetto della sua cassa personale e cambiava il nome dell'oggetto nell'elenco, usando la scolorina. Era diventato un discreto falsario... un'abilità che più di una volta si era rivelata utile dopo la fine della guerra. 
«Bene», disse a Todd. «Per quanto riguarda l'altro problema...» 
Dussander ricominciò a dondolarsi sulla sedia, bevendo dalla tazza. Todd trascinò una sedia fino al tavolo e cominciò a lavorare sulla sua pagella, che aveva raccolto da terra senza dire una parola. La calma esteriore di Dussander aveva ottenuto su di lui l'effetto sperato, e ora il ragazzo lavorava in silenzio, la testa piegata coscienziosamente sulla pagella, come un qualsiasi ragazzo americano che si fosse prefisso di fare del suo meglio, in qualsiasi situazione: seminando grano, giocando a baseball nel Campionato della Lega Giovanile oppure falsificando i giudizi sulla pagella. 
Dussander guardò la nuca del ragazzo, leggermente abbronzata e chiaramente visibile fra la fine dei capelli e lo scollo rotondo della maglietta. I suoi occhi si posarono poi sulla mensola in alto, dove teneva i coltelli da macellaio. Sarebbe bastato un attimo — sapeva bene dove colpire — e avrebbe rotto la spina dorsale del ragazzo. Avrebbe taciuto per sempre.  Dussander sorrise con rammarico. Se il ragazzo fosse scomparso, sarebbero andati in giro a fare domande. Troppe domande. Alcune anche rivolte a lui. Anche se non ne aveva parlato con nessuno, non avrebbe sopportato un'indagine minuziosa. Un vero peccato. 
«Questo signor French», disse, prendendo la lettera, «frequenta lo stesso ambiente dei tuoi genitori?» 
«Quello lì?» Todd pronunciò le parole con disprezzo. «Nei posti che frequentano mia madre e mio padre, non riuscirebbe mai ad entrare.» 
«Lo hanno mai incontrato a scopo professionale? Non ha mai mandato a chiamare i tuoi genitori prima d'ora?» 
«No, sono sempre stato uno dei migliori della classe. Fino ad ora.» 
«Quindi, cosa sa di loro?» domandò Dussander, guardando con aria distratta dentro la sua tazza, ormai quasi vuota. «Senza dubbio sa molto sul tuo conto. Sicuramente ha tutte le tue pagelle e può farle valere. Saprà anche delle litigate che facevi nel cortile dell'asilo. Ma cosa sa di loro?» 
Todd ripose la penna e la boccetta di scolorina. «Be', sa come si chiamano, è ovvio. E quanti anni hanno. Sa che siamo tutti Metodisti. Non sei obbligato a compilare quella parte, ma i miei lo fanno sempre. Non andiamo molto in chiesa, per lo meno sa di che religione siamo. Penso che sappia che lavoro fa mio padre, lo si deve scrivere sui moduli d'iscrizione. Tutti quei fogli che devono compilare ogni anno. Sono quasi sicuro che non ci sia altro.» 
«Pensi che se i tuoi genitori avessero problemi in casa, sarebbe venuto a saperlo?» 
«Che cosa intendi dire?» 
Dussander bevve tutto d'un fiato il bourbon rimasto nella tazza. «Discussioni. Litigi. Tuo padre che dorme sul divano. Tua madre che beve un po' troppo.» Gli luccicavano gli occhi. «Come se fosse imminente un divorzio.» 
Indignato, Todd esclamò: «Non sta succedendo nulla di tutto questo!
Assolutamente nulla!» 
«Non ho mai detto che sta succedendo davvero. Ma prova a pensarci, ragazzo. Immagina che a casa tua le cose stiano davvero andando in malora.» 
Todd si limitò a guardarlo, aggrottando le sopracciglia. 
«Saresti molto preoccupato per loro», disse Dussander. «Molto preoccupato. Perderesti l'appetito. Dormiresti male. E, cosa più importante, i tuoi risultati a scuola ne risentirebbero. Non ti pare? Quando ci sono problemi in casa, i bambini soffrono.» 
Era chiaro che il ragazzo cominciava a capire — sì, capiva, e sembrava gli fosse anche riconoscente. Dussander ne era compiaciuto. «È senza dubbio una situazione molto triste quella di una famiglia che sta per sfasciarsi», continuò Dussander in tono quasi solenne, versandosi ancora del bourbon.
Era già quasi ubriaco. «I film drammatici alla televisione ne sono un esempio. La tensione, le calunnie, le menzogne. Soprattutto molta sofferenza. Sofferenza, ragazzo mio. Non hai idea di quello che stanno passando i tuoi genitori. Sono così presi dai loro problemi che non hanno più tempo per quelli del proprio figlio. I suoi problemi sembrano bazzeccole in confronto ai loro, hein? Un giorno, forse, quando le ferite cominceranno a guarire, torneranno ad occuparsi maggiormente di lui. Ma per ora, l'unica cosa che possono fare è mandare il caro nonno del ragazzo a parlare con il signor
French.» 
Il ragazzo aveva spalancato sempre più gli occhi, che ora sembravano infuocati. «Potrebbe funzionare», mormorò. «Sì, potrebbe — potrebbe funzionare, potrebbe...» Tacque improvvisamente. Si oscurò in viso. «No, non funzionerà. Non mi assomigli per niente, neanche un po'. Ed Caloscia non ci cascherà.» 
«Himmel! Gott im Himmel!» urlò Dussander alzandosi in piedi, attraversando la cucina (un poco malfermo), aprendo la porta della cantina e prendendo una bottiglia nuova di Ancient Age. Tolse il tappo e se ne versò generosamente. «Per essere un ragazzo sveglio, sei un Dummkopf. Quando mai i nonni assomigliano ai nipoti? Eh? Io ho i capelli bianchi. E tu? Tu ce li hai i capelli bianchi?» 
Avvicinandosi di nuovo al tavolo, allungò una mano con una rapidità sorprendente, afferrò una grossa ciocca di capelli biondi del ragazzo e la tirò con violenza. 
«Smettila!» disse Todd bruscamente, ma con un leggero sorriso sulle labbra. 
«Oltre tutto», continuò Dussander ritornando sulla sua sedia a dondolo, «hai i capelli biondi e gli occhi azzurri. Anch'io ho gli occhi azzurri ed i miei capelli erano biondi, prima che diventassero bianchi. Dovresti raccontarmi la storia della tua famiglia. Zie e zii. I colleghi di lavoro di tuo padre. Le piccole manie di tua madre. Riuscirò a ricordarmeli. Li studierò e me li ricorderò. Dopo due giorni mi sarò dimenticato tutto di nuovo — in questo periodo la mia memoria è come un sacco di tela pieno d'acqua — ma me ne ricorderò per il tempo necessario.» Sorrise in modo cupo. «Ai miei tempi ho tenuto testa a Wiesenthal e sono riuscito ad infinocchiare persino Himmler in persona. Se non riuscirò ad ingannare un professorino americano, vorrà dire che mi avvolgerò nel mio sudario e striscerò nella tomba.» 
«Forse», disse Todd lentamente, e Dussander si rese conto che aveva già accettato. I suoi occhi apparivano risollevati. 
«Non forse — sicuramente!» gridò Dussander. 
Iniziò a ridacchiare, mentre la sedia a dondolo cigolava avanti e indietro. Todd lo guardò perplesso e un po' spaventato, ma subito dopo anche lui iniziò a ridere. Nella cucina di Dussander continuarono a ridere: Dussander vicino alla finestra aperta dalla quale entrava la tiepida brezza californiana, e Todd dondolandosi con la schiena al forno, il cui smalto bianco era segnato da strisce scure bruciacchiate prodotte dai fiammiferi che Dussander aveva acceso. 

Ed French Caloscia (Todd aveva spiegato a Dussander che gli era stato affibbiato questo soprannome perché aveva l'abitudine di mettersi sempre delle calosce sulle scarpe da tennis quando pioveva) era un ometto smilzo che aveva l'abitudine di portare sempre scarpe da tennis Keds a scuola. Era un tocco di informalità che pensava potesse renderlo simpatico ai centosei ragazzi di età compresa fra i dodici ed i quattordici anni posti sotto la sua responsabilità. Aveva cinque paia di Keds dai colorì più diversi: da blu notte a giallo canarino, ignaro del fatto che dietro le spalle era conosciuto non solo come Ed Caloscia, ma anche come «Pete-scarpe-da-tennis» e «Uomo-Ked» come in «Arriva l'Uomo Ked». Quando andava a scuola era conosciuto come Grinza: sarebbe stato il massimo dell'umiliazione se avesse saputo che era saltato fuori anche questo. 
Raramente portava la cravatta, preferiva i maglioni girocollo. Aveva iniziato a portarli a metà degli anni '60, quando Davi McCallum li aveva resi popolari in «The man from U.N.C.L.E.» Ai tempi del college i suoi compagni aspettavano che attraversasse il cortile e poi commentavano: «Ecco Grinza con il suo maglione U.N.C.L.E.». Si era specializzato in Pedagogia ed era segretamente convinto di essere l'unico responsabile dell'orientamento veramente in gamba che avesse mai conosciuto. Aveva un rapporto autentico con i suoi ragazzi. Ci sapeva veramente fare, poteva incazzarsi con loro ed essere indulgente se volevano sfogarsi o togliersi dai pasticci. Sapeva immedesimarsi benissimo nei loro casini perché sapeva bene quanto fosse difficile avere tredici anni con gli altri che ti rompono le palle e tu che non puoi fare un cazzo. 
Il problema stava nel fatto che era maledettamente difficile sapere che cosa significa avere tredici anni. Supponeva che fosse il prezzo da pagare per diventare adulto negli anni '50. 
Quando il nonno di Todd Bowden entrò nel suo ufficio, chiudendo la porta di vetro dietro di lui, Ed Caloscia si alzò in segno di rispetto ma si guardò bene dall'aggirare la scrivania per salutarlo. Sapeva di avere ai piedi le solite scarpe da tennis. A volte le persone di una certa età non capiscono che le scarpe da tennis non sono altro che un aiuto psicologico per i ragazzi che normalmente hanno paura dell'insegnante — questo equivaleva a dire che alcune persone anziane non sopportavano un responsabile dell'orientamento con le Keds ai piedi. 
Proprio un bel tipo elegante, pensò Ed Caloscia. Aveva i capelli bianchi ben spazzolati indietro ed indossava un impeccabile abito a tre pezzi. Il nodo della cravatta grigio perla era assolutamente perfetto. Nella mano sinistra reggeva un ombrello nero accuratamente chiuso (era ormai dal fine settimana che continua a piovere) con un comportamento quasi militare. Qualche anno prima Ed Caloscia e sua moglie erano letteralmente impazziti per Dorothy Sayers, ed avevano letto tutto quello che avevano trovato su quella distinta signora. Gli sembrava che questa fosse la copia esatta di Lord Peter Wimsey, il frutto della sua immaginazione. Era Wimsey all'età di settantacinque anni, parecchi anni dopo che Bunter e Harriet Vane se ne erano andati. Mentalmente pensò che avrebbe dovuto ricordarsi di raccontarlo a Sondra, una volta giunto a casa. 
«Signor Bowden», disse rispettosamente, offrendogli la mano. 
«Molto lieto», rispose Bowden, stringendola. Ed Caloscia si guardò bene dallo stringerla con la consueta forza e determinazione, come era solito fare con gli altri genitori che aveva incontrato: il modo cauto con cui il vecchietto gli aveva teso la mano indicava chiaramente che soffriva di artrite. 
«Sono lieto di conoscerla, signor French», ripeté Bowden, accomodandosi e prestando la massima attenzione nel sistemarsi i pantaloni. Mise l'ombrello fra le gambe e vi si appoggiò, con l'aria di un vecchio avvoltoio estremamente educato che era venuto ad appollaiarsi nell'ufficio di Ed French Caloscia. Aveva un leggerissimo accento, pensò Ed Caloscia, ma non la intonazione biascicata delle classi elevate inglesi che avrebbe avuto Wimsey; era un accento più marcato, più europeo. Comunque, la somiglianza con Todd era sorprendente. Specialmente il naso e gli occhi. 
«Sono felice che sia potuto venire», gli disse Ed Caloscia sedendosi di nuovo al suo posto, «anche se in questi casi aspetto il padre o la madre dello studente.» 
Era la mossa iniziale, naturalmente. Con dieci anni di esperienza in qualità di consulente, era convinto che quando si presentavano agli incontri zii, zie o nonni significava che c'erano problemi in casa — il tipo di problemi che alla fine risultavano essere invariabilmente la chiave di tutto. Ed Caloscia era sollevato. I problemi familiari erano spiacevoli, ma per un ragazzo intelligente come Todd, un'esperienza con la droga pesante sarebbe stata molto, molto più grave. 
«Certamente», annuì Bowden, cercando di mostrarsi dispiaciuto e seccato allo stesso tempo. «Mio figlio e sua moglie mi hanno chiesto di venire a discutere di questa triste faccenda con lei, signor French. Todd è un bravo ragazzo, mi creda. Questo problema dei voti a scuola è solo temporaneo.» 
«Molto bene, noi tutti speriamo che sia così, non è vero signor Bowden? La prego, fumi pure, se lo desidera. In teoria sarebbe vietato all'interno della scuola, ma non lo dirò a nessuno.» 
«La ringrazio.» 
Il signor Bowden tirò fuori dalla tasca interna un pacchetto schiacciato di Camel, mise in bocca una delle due ultime sigarette malconce, prese un fiammifero Diamond Blue-Tip, lo strofinò sul tacco nero della scarpa e accese finalmente la sigaretta. Tossì nel modo tipico con cui tossiscono le persone anziane dopo la prima boccata, spense il fiammifero scuotendolo e lo mise nel portacenere che Ed Caloscia gli aveva procurato. Ed Caloscia osservò affascinato tutto questo rituale, che sembrava formale quanto le scarpe del vecchio. 
«Da dove cominciamo?» chiese Bowden, guardando con viso afflitto Ed Caloscia attraverso una nuvola di fumo. 
«Dunque», iniziò Ed Caloscia in modo affabile, «il solo fatto che sia venuto lei al posto dei genitori di Todd mi sembra significativo, non le pare?» 
«Sì, credo che lo sia. Molto bene.» Intrecciò le mani. La Camel sporgeva fra il secondo ed il terzo dito della mano destra. Raddrizzò la schiena ed alzò il mento. C'era qualcosa di prussiano nel suo modo di affrontare il problema, pensò Ed Caloscia, qualcosa che gli ricordava tutti quei film di guerra che aveva visto quand'era ragazzo. 
«Mio figlio e mia nuora hanno qualche problema in casa», disse Bowden, scandendo bene ogni singola parola. «Penso si tratti di problemi piuttosto seri.» I suoi occhi, vecchi, ma straordinariamente vivaci, guardarono Ed Caloscia mentre apriva la cartelletta posta sulla carta assorbente al centro della scrivania. Dentro, c'erano alcuni fogli di carta, ma non molti. 
«E lei è convinto che questi problemi si ripercuotano sul rendimento scolastico di Todd?» 
Bowden si sporse in avanti di una quindicina di centimetri. I suoi occhi azzurri fissavano senza staccarsi quelli marroni di Ed Caloscia. Ci fu una lunga, significativa pausa, poi Bowden disse: «Sua madre beve». 
Si sistemò nuovamente in posizione eretta. 
«Oh!» disse Ed Caloscia. 
«Già», continuò Bowden, annuendo severamente. «Il ragazzo mi ha raccontato che l'ha trovata distesa sul tavolo della cucina in un paio di occasioni, tornando a casa. Sapendo come la pensa mio figlio riguardo al problema dell'alcolismo, il ragazzo si è preoccupato di preparare lui stesso la cena, mettendola nel forno, e ha fatto bere alla madre parecchio caffè affinché Richard la trovasse sveglia al suo ritorno.» 
«È orribile», esclamò Ed Caloscia, anche se aveva udito storie peggiori — madri eroinomani, padri che avevano deciso improvvisamente di iniziare a picchiare le proprie figlie... o i propri figli. «La signora Bowden ha pensato di iniziare una terapia per risolvere il suo problema?» 
«Il ragazzo ha cercato di convincerla che sarebbe la cosa migliore da farsi. Temo però che lei abbia molta vergogna. Forse se le dessimo un po' di tempo...» Fece un movimento con la sigaretta che lasciò un anello di fumo nell'aria. «Mi capisce?» 
«Certo, naturalmente», annuì Ed Caloscia, ammirando mentalmente il gesto che aveva prodotto l'anello di fumo. «Suo figlio... il padre di Todd...» 
«Anche lui ha le sue colpe», disse con tono severo. «Tutte quelle ore passate lavorando, i pasti saltati, le sue partenze improvvise, di notte... Le dirò una cosa, signor French, è più attaccato al suo lavoro che a Monica. Mi hanno insegnato che la famiglia viene prima di tutto. Non la pensa anche lei così?» 
«Sicuramente», rispose Ed Caloscia con convinzione. Suo padre era un guardiano notturno e lavorava in un grande magazzino di Los Angeles: 
praticamente lo vedeva solo durante i fine settimana e le vacanze. 
«È un altro aspetto del problema», disse Bowden. 
Ed Caloscia annuì, riflettendo per un attimo. «Cosa mi può dire dell'altro suo figlio, signor Bowden? Ehm...» consultò la sua cartelletta «Harold. Lo zio di Todd.» 
«Harry e Deborah vivono nel Minnesota, ora», spiegò Bowden in tutta sincerità. «Harry ha un buon posto all'Istituto di Medicina dell'Università. Sarebbe abbastanza difficile per lui abbandonarlo. E non sarebbe giusto chiederglielo.» Lo guardò con espressione decisa. «Harry e sua moglie sono felicemente sposati.»  «Capisco.» Ed Caloscia guardò ancora un attimo nel suo dossier, poi lo chiuse. «Signor Bowden, apprezzo la sua franchezza. Sarò altrettanto franco con lei.» 
«La ringrazio», disse Bowden con freddezza. 
«Noi della sezione orientamento non riusciamo a fare tutto quello che vorremmo. Ci sono sei assistenti ed ognuno di loro si deve occupare di più di cento studenti. Il mio nuovo collega, Hepburn, ne ha centoquindici. In questa epoca, nella nostra società, tutti i ragazzi avrebbero bisogno di aiuto.» 
«Naturalmente.» Bowden schiacciò con forza la sigaretta nel portacenere e intrecciò le mani per l'ennesima volta. 
«A volte, i problemi gravi ci sfuggono. Quelli legati all'ambiente familiare ed alla droga sono i più comuni. Almeno Todd non è immischiato con anfetamine, mescalina o eroina.» 
«Sia ringraziato Iddio!» 
«A volte», continuò Ed Caloscia, «non c'è niente che possiamo fare. È triste doverlo ammettere, ma è un dato di fatto. Di solito i primi ad essere schiacciati da questa nostra grande macchina sono i sobillatori delle classi, i ragazzi scontrosi ed incapaci di comunicare, quelli che si rifiutano persino di provare ad uscirne. Non sono altro che corpi in attesa di essere incoraggiati dal sistema attraverso i voti, oppure individui che aspettano solo di essere abbastanza grandi per andarsene senza il permesso dei genitori, entrando nell'Esercito, lavorando come lavamacchine, oppure sposando il ragazzo del cuore. Mi capisce? Sono stato fin troppo schietto. Il nostro
sistema non si è rivelato quello che si pensava potesse essere.» 
«Apprezzo la sua schiettezza.» 
«Ma è doloroso vedere questo sistema mentre schiaccia qualcuno come Todd. L'anno scorso ha avuto la media del 9,2 ed è stato perciò inserito nella classe dei migliori. La sua media in inglese è ancora più alta. Ha una particolare predisposizione per lo scritto, e questo è qualcosa di straordinario in una generazione di ragazzi convinti che la cultura inizi di fronte alla TV e termini nel teatro di quartiere. Ho parlato con l'insegnante di Todd del corso di composizione dello scorso anno. Mi ha detto che Todd aveva redatto la miglior composizione che avesse mai visto in vent'anni di insegnamento. Era sui campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli ha dato l'unico 'eccellente' che avesse mai dato a una composizione.» 
«L'ho letta», disse Bowden. «È fatta molto bene.» 
«Si è anche dimostrato al di sopra della media nelle scienze naturali ed in quelle sociali ed anche se non diventerà un grande genio della matematica di questo secolo, tutti i suoi voti indicano che ha fatto tutto quanto gli era possibile... fino a quest'anno. Fino a quest'anno. In poche parole, ecco tutta la storia.»  «Già.» 
«Mi dà veramente fastidio vedere Todd crollare in questo modo, signor Bowden. E la scuola estiva... be', le ho promesso che sarei stato franco. Spesso le scuole estive fanno più male che bene ai ragazzi come Todd. I corsi estivi di questo tipo di scuola sono normalmente paragonabili ad uno zoo. Praticamente un branco di scimmie e di iene ridanciane completate da un buon numero di struzzi. Certo una pessima compagnia per un ragazzo come Todd.» 
«Sicuramente.» 
«Ma veniamo al nocciolo della questione, le va bene? Suggerirei al signore e alla signora Bowden una serie di appuntamenti al Centro di Consulenza giù in città. Tutto nel più stretto riserbo, naturalmente. Il responsabile del Centro, Harry Ackerman, è un mio grande amico. E non penso che tocchi a Todd suggerire questa idea ai genitori. Penso sarebbe meglio se lo facesse lei.» Ed Caloscia sorrise amabilmente. «Forse riusciremo a rimettere tutti in carreggiata per il mese di giugno. Non è impossibile.» 
Ma Bowden sembrò sinceramente preoccupato all'udire questa idea. 
«Credo che potrebbero prendersela con il ragazzo se facessi loro questa proposta proprio adesso», disse. «La situazione è molto delicata. Potrebbe succedere di tutto. Il ragazzo mi ha promesso che studierà molto e che si impegnerà a fondo. È molto preoccupato per il suo calo di rendimento.» Sorrise in modo strano: un sorriso che Ed Caloscia non riuscì ad interpretare.
«Più preoccupato di quanto lei creda.» 
«Ma...» 
«E se la prenderebbero anche con me», si affrettò ad aggiungere Bowden. «Lo farebbero sicuramente! Monica mi considera già un impiccione. Io cerco di non esserlo, ma vede anche lei qual è la situazione. Credo sarebbe meglio lasciare andare le cose per il loro verso, senza immischiarsi... 
almeno per il momento.» 
«Ho una vasta esperienza per quanto riguarda queste questioni», disse Ed Caloscia a Bowden. Appoggiò le mani sul dossier di Todd e guardò gravemente il vecchio. «Penso davvero che una consulenza sia opportuna, in questo caso. Si renderà conto benissimo che il mio interesse per i problemi coniugali che stanno vivendo suo figlio e sua nuora è legato all'effetto che questi stanno avendo su Todd... ed attualmente questo effetto non mi sembra trascurabile.» 
«Lasci che le faccia una contro-proposta», disse Bowden. 
«Immagino che lei abbia un sistema per informare i genitori degli scarsi risultati scolastici.» 
«Certo», convenne Ed Caloscia, cautamente. «Schede Valutazione Progressi — Schede VP. Naturalmente i ragazzi le chiamano Schede Bocciatura. Vengono consegnate solo se il ragazzo scende sotto la media del 7,8 in una certa materia. In altre parole, diamo la scheda VP ai ragazzi che hanno voti scadenti in una certa materia.» 
«Molto bene», esclamò Bowden. «La mia proposta è questa: se il ragazzo dovesse ricevere una di queste schede... solamente una», levò un dito nodoso, «presenterò la vostra proposta a mio figlio ed a sua moglie. E farò ancora di più.» Pronunciò quest'ultima frase con uno strano accento. «Se il ragazzo riceverà una sola Scheda Bocciatura in aprile...» 
«Veramente, vengono consegnate in maggio.» 
«Sì? Bene, se ne riceverà anche una sola, vi garantisco che accetteranno la vostra proposta di aiuto. Sono preoccupati per loro figlio, signor French. Ma ora sono talmente presi dai loro problemi che...» Si strinse nelle spalle.  «Capisco.» 
«Così, concediamo loro questo periodo di tempo per cercare di risolvere i loro problemi. Lasciamo loro il tempo di risollevarsi da soli. È la maniera americana di procedere, non è vero?» 
«Suppongo di sì», disse Ed Caloscia dopo un attimo di riflessione... e dopo una rapida occhiata all'orologio, dalla quale risultò che dopo cinque minuti avrebbe avuto un altro colloquio. «Accetto.» 
Si alzò in piedi, e Bowden si alzò con lui. Si strinsero le mani, mentre Ed Caloscia prestò la solita attenzione all'artrite del vecchio. 
«Ma in tutta onestà, devo avvisarla che pochissimi studenti sono riusciti finora a recuperare in quattro settimane una situazione disastrosa protrattasi per diciotto. C'è molto terreno da recuperare — molto. Temo che dovrà tener fede alla sua promessa, signor Bowden.» 
Bowden sorrise di nuovo in quel suo strano, sconcertante modo. «Crede davvero?» fu tutto ciò che disse. 

C'era qualcosa che aveva preoccupato Ed Caloscia durante tutto il corso del loro colloquio: se ne rese conto al bar, all'ora di pranzo, un'ora dopo che «Lord Peter» se n'era andato, con il suo ombrello ben piegato sotto il braccio. 
Aveva parlato con il nonno di Todd per almeno un quarto d'ora, più probabilmente per venti minuti, eppure Ed non parve ricordarsi di avere mai udito il vecchio riferirsi al nipote chiamandolo per nome. 

Todd pedalò affannosamente fino al vialetto della casa di Dussander e appoggiò la bicicletta sul cavalietto. La scuola era finita solo da un quarto d'ora. Salì correndo i gradini dell'ingresso, aprì la porta con la sua chiave poi, attraversando l'anticamera, si diresse velocemente verso la cucina illuminata dal sole. Il suo viso era un paesaggio pieno di speranza, con sole splendente e nuvole minacciose. Per un attimo rimase in piedi sulla porta, con lo stomaco e le corde vocali annodati, guardando Dussander che si dondolava sulla sedia con una tazza piena di bourbon in grembo. Aveva ancora addosso il vestito elegante, anche se aveva allentato la cravatta di cinque centimetri e slacciato il primo bottone della camicia. Guardò Todd senza un'espressione precisa, con gli occhi da lucertola a mezz'aria. 
«Allora?» riuscì finalmente ad articolare Todd. 
Dussander lo lasciò sulle spine per un attimo, un attimo che a Todd sembrò durare dieci anni. Poi, volutamente, Dussander appoggiò la tazza sul tavolo, vicino alla bottiglia di Ancient Age e disse: «Lo stupido l'ha bevuta». 
Il respiro affannoso di Todd si trasformò in un grido di sollievo. 
Prima che potesse prendere fiato di nuovo, Dussander continuò: «Voleva che i tuoi poveri genitori pieni di problemi seguissero una terapia familiare da un suo amico in città. È stato abbastanza insistente». 
«Cristo! Hai... Cosa hai... Come te la sei cavata?» 
«Ho riflettuto velocemente», rispose Dussander. «Come la ragazzina nella favola di Saki: il dover inventare qualcosa senza preavviso è il mio forte. Gli ho promesso che i tuoi genitori avrebbero seguito la terapia consigliata se tu avessi ricevuto anche una sola Scheda Bocciatura in maggio.» Il viso di Todd divenne paonazzo. 
«Hai fatto cosa?» si mise quasi ad urlare. «Da quando hanno iniziato a dare i voti mi hanno già fregato in due questionari di algebra e in un compito di storia.» 
Entrò nella stanza, con il viso pallido, lucido e madido di sudore. «Questo pomeriggio avevo un questionario di francese, ma mi è andato male anche quello... ne sono sicuro. Pensavo solo a quel dannato Ed Caloscia e a come te la stavi cavando. L'hai sistemato, d'accordo», concluse amaramente. «Non prendere nemmeno una Scheda Bocciatura? Probabilmente ne avrò cinque o sei.» 
«Era la cosa migliore che potessi fare senza destare sospetti», disse Dussander. «Questo French, per quanto stupido, sta solo facendo il suo lavoro. 
Ora tocca a te fare il tuo.» 
«Che cosa intendi dire con questo?» Il viso di Todd era arrabbiato e minaccioso, la sua voce aggressiva. 
«Lavorerai sodo. Nelle prossime quattro settimane studierai come non hai mai studiato. Inoltre, lunedì andrai da tutti i tuoi insegnanti e ti scuserai per gli scarsi risultati ottenuti finora. Poi...» 
«È assolutamente impossibile», lo interruppe Todd. «Forse non hai capito, amico. È impossibile! In scienze e storia sono indietro di almeno cinque settimane. In algebra saranno più o meno dieci.» 
«Non importa», disse Dussander, versandosi ancora del bourbon. 
«Pensi di essere molto furbo, non è vero?» gli gridò Todd. «Bene, non prenderò certo ordini da te. Ormai sono finiti i tempi in cui eri tu a dare gli ordini. Sono stato chiaro?» Improvvisamente abbassò la voce. «La cosa più pericolosa che hai in casa è una striscia di carta moschicida. Ormai non sei altro che un vecchio decrepito che fa scoregge che puzzano di uova marce.
Scommetto anche che pisci a letto.» 
«Ascoltami moccioso», disse Dussander senza scomporsi. 
All'udire queste parole, Todd girò la testa con rabbia. 
«Fino ad oggi», disse Dussander con attenzione, «sarebbe stato possibile, altamente improbabile ma comunque possibile, che tu mi denunciassi e ne uscissi completamente pulito. Non credo che ce l'avresti fatta, considerando lo stato attuale dei tuoi nervi, ma questo non ha importanza. Tecnicamente sarebbe stato possibile. Ma ora le cose stanno diversamente. Oggi mi sono spacciato per tuo nonno, un certo Victor Bowden. Nessuno avrà il minimo dubbio circa la tua... come si chiama?... la tua connivenza. Se saltasse fuori adesso, ragazzo mio, saresti davvero nei guai. E non avresti modo di difenderti. Ho fatto in modo di occuparmene oggi.»  «Vorrei...» 
«Vorresti! Tu vorresti.» gridò Dussander. «Non me ne frega niente di quello che vorresti, le tue trovate mi fanno vomitare, non sono altro che stronzi di merda lasciati sul marciapiede. Voglio solo che ti renda conto della situazione in cui ci troviamo!» 
«Mi rendo conto», bisbigliò Todd. Aveva tenuto i pugni serrati mentre Dussander gli aveva urlato in quel modo — non era abituato a sentirsi insultare. Aprì le mani e notò con stupore le due ferite a mezza luna sanguinanti che si era fatto nel palmo. Le ferite avrebbero potuto essere anche peggiori, pensò, ma negli ultimi quattro mesi aveva ripreso a rosicchiarsi le unghie. 
«Bene. Allora andrai a scusarti da bravo e studierai molto. Studierai durante il tempo libero a scuola. Studierai durante l'ora di pranzo. Dopo la scuola verrai qui e studierai e durante i fine settimana verrai qui e farai esattamente lo stesso.» 
«Qui no», disse Todd con tono brusco. «A casa mia.» 
«No, a casa tua continueresti a ciondolare e a perdere tempo dietro le tue fantasie, come hai fatto finora. Se sei qui posso invece controllarti, se è necessario, e seguirti. Proteggerò così i miei interessi nell'intera faccenda. 
Posso interrogarti. Posso ascoltarti quando ripeti le lezioni.» 
«Se non voglio venire qui, non puoi obbligarmi.» 
Dussander bevve un sorso. «È vero. Le cose andranno come è giusto che vadano. Tu non ce la farai da solo. Questo responsabile, French, si aspetterà che mantenga la promessa fatta. Quando si accorgerà che non l'ho fatto, chiamerà i tuoi genitori. Scopriranno così che il gentilissimo signor Denker si è spacciato per tuo nonno dietro tua richiesta. Scopriranno anche che i voti sono stati falsificati. Poi...» 
«Oh, piantala! D'accordo, verrò!» 
«Sei già qui. Comincia con l'algebra.» 
«Non se ne parla nemmeno! È venerdì pomeriggio!» 
«Dovrai studiare tutti i pomeriggi, d'ora in poi», disse gentilmente Dussander. «Inizia con l'algebra.» 
Todd lo fissò — solo per un attimo, prima di abbassare gli occhi per prendere il libro di algebra dalla cartella — e Dussander scorse un lampo omicida negli occhi del ragazzo. Non un omicidio figurato, no: un vero e proprio omicidio. Erano anni ormai che non vedeva più un'occhiata così cupa, bruciante, profonda, ma era impossibile dimenticarla. Era la stessa espressione che probabilmente avrebbe visto nei suoi occhi se ci fosse stato uno specchio a portata di mano il giorno in cui aveva osservato la bianca nuca indifesa del ragazzo. 
Devo proteggere me stesso, pensò, un poco sorpreso. Ciascuno sottovaluta a suo proprio rischio. 
Bevve il bourbon, dondolandosi sulla sedia e guardando il ragazzo che studiava. 

Erano quasi le cinque quando Todd arrivò pedalando a casa. Era sfinito, stravolto, svuotato, arrabbiato ma rassegnato. Ogni volta che aveva alzato gli occhi dalla pagina stampata — da quel fottuto, stupido, incomprensibile ed esasperante mondo di insiemi, sotto-insiemi, coppie ordinate e coordinate Cartesiane — la voce tagliente del vecchio Dussander si era fatta sentire. Per il resto, era rimasto in assoluto silenzio... tranne per il nervoso movimento delle pantofole picchiate sul pavimento ed il cigolio della sedia a dondolo. Se ne stava lì seduto, come un avvoltoio che aspetta la morte della sua preda. Perché si era cacciato in questa storia? Come ci era finito? Era un casino, un vero casino. Aveva recuperato qualcosa, quel pomeriggio — qualcosa su quella teoria degli insiemi che lo aveva lasciato tanto perplesso poco prima che arrivassero le tanto sospirate vacanze di Natale — ma era impossibile recuperare abbastanza per riuscire a prendere almeno la sufficienza nel compito di algebra della settimana seguente. 
Mancavano quattro settimane alla fine del mondo. 
All'angolo del marciapiede vide una ghiandaia che apriva e chiudeva lentamente il becco. Cercava invano di rialzarsi sulle zampette esili per poter spiccare il volo. Aveva un'ala spezzata; Todd immaginò che una macchina di passaggio l'avesse colpita e l'avesse mandata a sbattere contro il marciapiede come fosse stata una pulce. Uno dei suoi occhietti luccicanti fissò il ragazzo. 
Todd la guardò a lungo, stringendo leggermente l'impugnatura del manubrio della bicicletta. La calura del giorno se n'era ormai andata e l'aria era fresca. Sicuramente i suoi amici avevano trascorso il pomeriggio ciondolando giù sul diamante di Babe Ruth in Walnut Street, magari provando doppi giochi e facendo qualche scivolata, oppure facendo un po' di lanci e facendo girare la mazza. Era il periodo in cui uno iniziava a prepararsi per il baseball. In giro si parlava di far giocare quest'anno la loro squadra nella lega giovanile, anche se in modo non ufficiale: c'erano parecchi papà disposti a portare in giro i ragazzi per farli giocare. Naturalmente Todd sarebbe stato il lanciatore. Era stato un ottimo lanciatore nella Lega Giovanile, poi era cresciuto ed era passato nella categoria superiore, l'anno precedente. Avrebbe lanciato. 
E allora? Doveva semplicemente dir loro di no. Doveva semplicemente dir loro: Ragazzi, mi sono trovato immischiato con un criminale di guerra. Ero convinto di averglielo messo nel culo, poi — ah! ah! questo vi farà morire dal ridere — ho scoperto che lui me l'aveva messo nel culo esattamente come avevo fatto io. Ho iniziato a fare strani sogni e a sudare freddo. I miei voti sono andati a farsi benedire, così li ho falsificati perché i miei non li vedessero, ma ora devo davvero darci sotto con i libri, per la prima volta in vita mia. Non ho paura di rimanere indietro. Ho paura di andare al riformatorio. Ed è per questo che non potrò giocare con voi quest'anno, ragazzi. Avete capito com'è la storia, vero? 
Sulle labbra gli apparve un sorriso sottile, molto simile a quello di Dussander e molto diverso dai larghi sorrisi che era solito fare. Non c'era allegria: era un sorriso triste. Non c'era gioia, non c'era speranza. Diceva solo: 
Avete capito com'è la storia, vero? 
Fece passare la bicicletta sopra la ghiandaia con una lentezza ben studiata, ascoltando lo scricchiolio delle sue penne simile a carta di giornale appallottolata, ed il rumore delle piccole ossa cave che si rompevano. Tornò indietro, ripassandoci sopra più volte. Si muoveva ancora. Ci passò sopra ancora, con una penna insanguinata attaccata alla ruota anteriore, andando avanti e indietro, avanti e indietro. L'uccello smise allora di muoversi, l'uccello aveva tirato le cuoia, l'uccello aveva timbrato il cartellino in uscita, l'uccello stava svolazzando nella grande voliera del cielo, ma Todd continuava lo stesso a passare avanti e indietro su quel corpo schiacciato. Continuò per cinque minuti, con quel sorriso sottile sempre sulle labbra. Avete capito com'è la storia, vero? 

10 

Aprile 1975 Il vecchio stava in piedi, in mezzo al vialetto del canile, sorridendo amabilmente, mentre Dave Klingerman gli andava incontro per salutarlo. L'abbaiare frenetico che riempiva l'aria sembrava non infastidirlo per niente, come pure l'odore di pelliccia e di urina, i cento cani randagi che guaivano e latravano nelle gabbie, muovendosi avanti e indietro, saltando contro le reti. Klingerman riconobbe in lui, senza esitare, un amante dei cani. Aveva un sorriso gioviale e simpatico. Porse a Dave una mano gonfia ed artritica, facendo molta attenzione e Klingerman la strinse con lo stesso spirito.  «Buongiorno!» disse, parlando a voce alta. «C'è molto baccano, non è
vero?» 
«Non importa», rispose il vecchio. «Non importa assolutamente. Mi chiamo Arthur Denker.» 
«Klingerman. Dave Klingerman.» 
«Sono felice di conoscerla. Ho letto sul giornale — non riuscivo a crederci — che qui date via i cani. Forse ho capito male. Penso proprio di aver capito male.» 
«No, no, è proprio vero, li diamo via», confermò Dave. «Se non ci riusciamo, dobbiamo eliminarli. Sessanta giorni, è il tempo che ci concede lo Stato. Una vera vergogna. Ma venga in ufficio. È più tranquillo. E puzza anche di meno.» 
In ufficio, Dave ascoltò una storia che gli era già familiare (ma comunque commovente): Arthur Denker era sulla settantina. Era venuto in California in seguito alla morte della moglie. Non era ricco, ma si occupava con la massima cura di ciò che possedeva. Era molto solo. Il suo unico amico era un ragazzo che andava ogni tanto a casa sua a leggergli qualcosa. In Germania aveva un bellissimo San Bernardo. Nella casa in cui viveva, a Santo Donato, c'era un bel giardino. Il giardino era recintato. Aveva letto sul giornale... forse avrebbe potuto... 
«Purtroppo non abbiamo cani San Bernardo», spiegò Dave. «Vanno via in fretta perché sono molto docili con i bambini.» 
«Capisco perfettamente. Ma non intendevo...» 
«Ma ho un bel cucciolotto di cane da pastore. Che ne dice?» 
Gli occhi del signor Denker iniziarono a luccicare, quasi fosse sul punto di piangere. «Perfetto», disse. «Andrebbe benissimo.» 
«Il cane non costa nulla, ma ci sono alcune piccole spese. Le vaccinazioni contro la rabbia e contro il cimurro. Una tassa municipale. Normalmente sono circa venticinque dollari, ma lo Stato paga circa la metà alle persone con più di sessantacinque anni — fa parte del programma californiano per la terza età.» 
«Terza età... ci sono dentro anch'io?» chiese il signor Denker, ridendo. 
Per un attimo — che cosa stupida — Dave avvertì una specie di brivido. 
«Ehm... immagino di sì!» 
«Mi sembra ragionevole.» 
«Certamente. Ne siamo convinti. In un negozio di animali lo stesso cane le verrebbe a costare centoventicinque dollari. Ma la gente preferisce andare in questi posti invece che venire qua. Qui naturalmente si pagano solo i documenti, non il cane.» Dave scosse la testa. «Se solo sapessero quanti begli animali vengono abbandonati ogni anno.» 
«E se non riuscite a trovare loro una sistemazione entro sessanta giorni, vengono eliminati, è così, vero?» 
«Li addormentiamo, sì.» 
«Li addor?... Mi scusi, il mio inglese...» 
«È un'ordinanza municipale», spiegò Dave. «Non sono ammessi branchi di cani che scorrazzano per le strade.» 
«Gli sparate, quindi.» 
«No, diamo loro del gas. È molto più umano. Non se ne accorgono nemmeno.» 
«È vero», disse il signor Denker. «Sono sicuro che non se ne accorgono nemmeno.» 

Alle lezioni di algebra, Todd era seduto al quarto banco della seconda fila. Stava seduto lì, cercando di non far trasparire nulla dall'espressione del viso, mentre il signor Storrman restituiva i compiti. Ma aveva di nuovo conficcato le unghie della mano nel palmo, e tutto il corpo sembrava coperto di sudore pungente. 
Non sperarci troppo. Non puoi essere così dannatamente stupido. Non puoi avercela fatta in nessun modo. Sai benissimo che non ce l'hai fatta. 
Nonostante tutto, però, non riusciva a far tacere in lui un barlume di speranza. Per la prima volta dopo parecchie settimane, gli sembrava di aver scritto un compito di algebra in una lingua che non fosse cinese. Era sicuro che nervoso com'era (nervosismo? No, chiamiamolo con il suo vero nome: autentico terrore) non era riuscito a farlo bene, ma forse... be', se solo non ci fosse stato Storrman ma qualcun altro, già, perché quello aveva un lucchetto Yale al posto del cuore... 
PIANTALA! ordinò a se stesso, e per un istante, per un terribile istante, rimase assolutamente convinto di aver gridato davvero quella parola in classe. Non ce l'hai fatta, lo sai benissimo, e niente al mondo potrà cambiare le cose. 
Storrman gli consegnò il foglio senza battere ciglio e andò avanti. Todd lo appoggiò capovolto sul banco inciso da tante iniziali. Per un attimo pensò di non avere il coraggio sufficiente per girarlo e vedere il risultato. Finalmente lo prese in mano, ma il movimento fu talmente brusco che il foglio si strappò.
La lingua rimase attaccata al palato mentre lo guardava. Il cuore sembrò cessare di battere per un attimo. 
In cima al foglio, c'era il voto numerico: 8,3. Più sotto era riportato il giudizio: quasi buono. Ancora più sotto, una breve nota: Ottimo miglioramento! Penso di essere due volte più sollevato di quanto non lo sia tu. Controlla bene gli errori. Ce ne sono almeno tre di tipo aritmetico più che concettuale. 
Il cuore riprese a battere, sembrava impazzito. Un brivido di sollievo lo attraversò da capo a piedi: non era freddo — no, era caldo, complicato e strano. Chiuse gli occhi, senza più udire il resto della classe che bisbigliava, commentando il compito: aveva iniziato la lotta per conquistare un voto più alto in questa o quella materia. Todd vide tutto rosso. Sentiva pulsare gli occhi al ritmo del battito cardiaco. In quel momento odiò Dussander più di quanto avesse mai fatto prima. Serrò strettamente i pugni e l'unica cosa che desiderava, desiderava veramente, era avere fra le mani il collo di Dussander, tutto pelle ed ossa come quello di una gallina. 

Dick e Monica Bowden avevano due letti gemelli separati da un comodino su cui si trovava una bella imitazione di lampada Tiffany. La loro stanza era in autentico legno di sequoia, e sulle pareti erano allineate in modo ordinato numerose file di libri. Sull'altro lato, incassata fra due fermalibri in avorio (due elefanti maschi seduti sulle zampe posteriori), c'era una televisione Sony rotonda. Dick stava guardando Johnny Carson con l'auricolare infilato nelle orecchie mentre Monica leggeva l'ultimo libro di Michael Crichton, che le era arrivato quello stesso giorno dal Club del Libro. 
«Dick?» Inserì il segnalibro (c'era scritto: QUESTA È LA PAGINA IN CUI MI SONO ADDORMENTATO) nel libro di Crichton e lo chiuse. 
Alla televisione, Buddy Hackett aveva appena terminato uno dei suoi esilaranti spettacoli. Dick stava sorridendo. 
«Dick?» chiamò a voce più alta. 
Dick si tolse l'auricolare dalle orecchie. «Cosa?» 
«Pensi che Todd stia bene?» 
La guardò per un attimo, aggrottando le sopracciglia, poi scosse un poco la testa. «Je ne comprends pas, chérie.» Spesso, per scherzo, le parlava in uno stentato francese. Quando stava per essere rimandato in francese, suo padre gli aveva mandato duecento dollari extra affinché potesse prendere lezioni private. Aveva scelto Monica Darrow, prendendo un nome a caso fra quelli appesi sulla bacheca del Circolo Universitario. Prima di Natale, lei aveva assaggiato il suo biscottino e lui era riuscito a prendere «buono» in francese. 
«Be'... è dimagrito.» 
«Mi sembra un po' deperito, a dire la verità», disse Dick. Mise sulle ginocchia l'auricolare della televisione, che continuò ad emettere deboli suoni rauchi. «Sta diventando grande, Monica.» «Di già?» chiese, con apprensione. 
Dick si mise a rìdere. «Di già. Da ragazzo sono cresciuto di colpo di diciotto centimetri — dalla mezza cartuccia dodicenne alta 1.65 alla stupenda massa di muscoli di 1.83 che hai di fronte. Mia madre diceva che quando avevo quattordici anni mi si sentiva crescere di notte.» 
«Meno male che non ti è cresciuto tutto a quel modo.» 
«Dipende tutto da come lo si usa.» 
«Vuoi usarlo stasera?» 
«La ragazzina si fa audace», disse Bowden; lanciando l'auricolare attraverso la stanza. 
Più tardi, mentre Dick si girava nel letto, cercando di dormire, aggiunse:  «Dick, fa anche dei brutti sogni». 
«Incubi?» mormorò. 
«Incubi. L'ho sentito gemere nel sonno due o tre volte di notte, mentre andavo in bagno. Non ho voluto svegliarlo. Sarà una cosa stupida, ma mia nonna mi ripeteva sempre che puoi fare impazzire una persona se la svegli nel bel mezzo di un brutto sogno.» 
«Era quella polacca, vero?» 
«Sì, la polacca, proprio lei. E parla bene!» 
«Sai benissimo cosa intendo dire. Perché non usi il bagno di sopra?» Lo aveva costruito lui stesso due anni prima. 
«Sai bene che ti svegli sempre quando tiro la corda», disse Monica. 
«E allora non tirarla!» «Dick, ma che schifo!» Egli sospirò. 
«A volte, quando entro, lo trovo tutto sudato. E le lenzuola sono bagnate.»  Dick fece un largo sorriso, nell'oscurità. «Chissà!» 
«Vuoi forse dire che... oh!» Gli diede una piccola sberla. «Anche questo è disgustoso. Oltre tutto ha solo tredici anni.» 
«Quattordici fra un mese. Non è poi troppo giovane. Forse un po' precoce, ma non troppo giovane.» 
«Tu quanti anni avevi?» 
«Quattordici o quindici. Non ricordo esattamente. Ma ricordo che mi svegliai convinto di essere morto e di essere andato in paradiso.»  «Ma eri più grande di Todd.» 
«Al giorno d'oggi queste cose accadono prima. Deve essere il latte... o le vitamine. Hai presente la scuola che abbiamo costruito in Jackson Park l'anno scorso? Ci sono alcuni distributori automatici di assorbenti igienici negli spogliatoi delle ragazze. Ed è una scuola elementare. Gli allievi dell'ultimo anno non hanno più di 10 anni. Quanti anni avevi tu, quando hai iniziato?» 
«Non mi ricordo», disse. «So solo che i sogni di Todd... be'... non sembra che sia morto e andato in paradiso.» 
«Gli hai chiesto qualcosa?» 
«Una volta sola. Circa sei settimane fa. Tu eri fuori a giocare a golf con quell'orribile Ernie Jacobs.» 
«Quell'orribile Ernie Jacobs mi prenderà come suo socio entro il 1977, sempre che prima di allora quella sua segretaria giallastra non lo sprema fino all'osso. Oltre tutto, paga sempre lui il campo. Cosa ti ha detto Todd?» 
«Che non si ricordava. Ma ho visto una specie di... ombra sul suo viso. Penso che in realtà si ricordasse benissimo.» 
«Monica, non ricordo tutti i particolari della mia adorata giovinezza, ma ricordo benissimo una cosa: i sogni bagnati non sono sempre piacevoli. 
Possono essere anche assolutamente spiacevoli.» 
«E perché mai?» 
«Sensi di colpa. Sensi di colpa di tutti i tipi. Alcuni risalgono probabilmente al periodo dell'infanzia, quando ti fanno capire che non sta bene bagnare il letto. Poi c'è il lato sessuale. Chi sa cosa dà origine ad un sogno bagnato? Una palpatina sull'autobus? Guardare sotto la gonna di una ragazza nella sala studio? Non lo so. L'unica cosa che ricordo bene è un tuffo dal trampolino più alto nella piscina dello YMCA durante il periodo di scuola mista: persi il costume da bagno quando toccai l'acqua.» 
«Ti è andata bene, comunque?» chiese lei, ridacchiando in modo sciocco.  «Oh, sì! Quindi se il ragazzo non vuole parlarti di questi problemi di tipo quotidiano, non forzarlo.» 
«Diamine, abbiamo fatto del nostro meglio per farlo crescere senza tutti quegli inutili sensi di colpa!» 
«Non puoi evitarli. Gli vengono trasmessi a scuola, come i raffreddori che si prendeva sempre quand'era in prima. Dai compagni, o dal modo in cui gli insegnanti trattano alcuni argomenti. Forse anche mio padre ha contribuito alla loro formazione. 'Non toccartelo di notte, Todd, o ti cresceranno i peli sulle mani e diventerai cieco, ed inizierai a perdere la memoria e dopo un po' il tuo affare diventerà tutto nero e ti si staccherà. Quindi stai molto attento, Todd'.» 
«Dick Bowden! Tuo padre non farebbe mai...» 
«Non lo farebbe? Caspita, l'ha già fatto. Esattamente come la tua nonna polacca ti ha raccontato che se svegli qualcuno durante un incubo, puoi farlo diventare matto. Mi ha anche raccomandato di pulire sempre l'asse del water nei gabinetti pubblici prima di sedermi, per evitare di prendermi 'i germi degli altri'. Credo fosse il suo modo di chiamare la sifilide. Scommetto che anche la tua nonna ti raccomandava le stesse cose.» 
«No, era mia madre», rispose in tono assente. «E mi diceva anche di tirare sempre l'acqua. Ecco perché vado sempre da basso.» «Mi svegli lo stesso», borbottò Dick. 
«Che cosa hai detto?» 
«Niente.» 
Questa volta era davvero entrato nel mondo dei sogni, quando udì chiamare di nuovo il suo nome. 
«Cosa?» chiese con voce impaziente. 
«Non credi che... oh, non importa. Torna pure a dormire.» 
«No, vai avanti, finisci. Sono di nuovo sveglio. Io non credo cosa?» 
«Quel vecchio. Il signor Denker. Tu non credi che Todd lo frequenti un po' troppo, vero? Forse sta... oh, non so... sta riempiendo Todd con un sacco di storie.» 
«Vere e proprie storie dell'orrore», disse Dick. «Come il fallimento della Industria Automobilistica di Essen», disse, ridendo sotto i baffi. 
«Era solo un'idea», continuò lei, leggermente offesa. Si udì il fruscio delle coperte mentre si girava su un fianco. «Mi spiace averti tenuto sveglio.»  Egli mise una mano sulla sua spalla nuda. «Ti dirò una cosa, bimba», disse, fermandosi poi un attimo a riflettere, scegliendo bene le parole. «A volte mi sono preoccupato anche io per Todd. Non per lo stesso motivo che adesso preoccupa te, ma quando si è preoccupati, si è preoccupati, giusto?» 
Si girò verso di lui. «E per che cosa lo eri?» 
«Be', sono cresciuto in modo molto diverso da lui. Mio padre aveva un negozio. Tutti lo chiamavano Vic il Droghiere. Aveva un libro dove segnava i nomi delle persone che gli dovevano dei soldi, e anche l'ammontare del debito. Sai come lo chiamava?» 
«No.» Dick parlava raramente della sua infanzia: Monica pensava fosse dovuto al fatto che non l'aveva goduta molto. Ascoltò molto attentamente. 
«Lo chiamava Libro della Mano Sinistra. Diceva che la mano destra era la mano degli affari, ma che la destra non doveva mai sapere cosa faceva la sinistra. Diceva che se la mano destra lo avesse saputo, avrebbe
probabilmente afferrato una mannaia e tagliato la mano sinistra.» 
«Non me lo avevi mai raccontato.» 
«È che quando ci siamo sposati, il vecchio non mi piaceva molto; la verità è che ancora oggi non mi è molto simpatico, non sempre almeno. Non riuscivo a capire perché mai dovessi portare i pantaloni di seconda mano mentre la signora Mazursky riusciva a farsi fare credito per comprare il prosciutto, raccontando la solita, vecchia storia del marito che presto avrebbe ripreso a lavorare. L'unico lavoro che avesse mai fatto quel fottuto ubriacone di Bill Mazursky era stato tenere saldamente in mano una bottiglia di acquavite da dodici cent, perché non volasse via. 
«La cosa che più desideravo a quell'epoca era andarmene via da quel quartiere, lontano dalla vita che conduceva il mio vecchio. Così ho seguito dei corsi e imparato degli sport che non mi piacevano per niente e ho vinto una borsa di studio per U.C.L.A. E ho sempre fatto di tutto per rimanere nei primi dieci della classe perché l'unico Libro della Mano Sinistra che le Università tenevano in quei giorni era per i soldati che combattevano in guerra. Mio padre mi mandava i soldi per i libri, ma a parte quelli, gli unici soldi extra che abbia mai ricevuto da lui furono quelli che mi spedì quando gli scrissi disperato perché mi stavano fregando in francese. Così ti ho incontrato. E scoprii più tardi dal Signor Halleck, nostro vicino, che mio padre aveva impegnato la macchina per far saltare fuori quei duecento dollari. 
«Ed ora ho te, e noi abbiamo Todd. Ho sempre pensato che fosse un ragazzo maledettamente in gamba, e ho sempre cercato di non fargli mancare nulla di cui potesse avere bisogno... nulla di ciò che lo avrebbe aiutato a diventare un ragazzo in gamba. Ho sempre scherzato su quel detto secondo il quale un padre vuole sempre che il figlio sia meglio di quanto sia stato lui, ma con il passare degli anni mi sembra sempre meno ridicolo e sempre più vero. Non vorrei mai che Todd fosse costretto ad indossare pantaloni di seconda mano perché la moglie di un ubriacone compera il prosciutto a credito. Mi capisci?» 
«Certo, naturalmente», rispose lei pacatamente. 
«Poi, circa dieci anni fa, poco prima che il mio vecchio si stancasse finalmente di lottare contro quelli che volevano rinnovare tutto e se ne andasse in pensione, ebbe un leggero infarto. Rimase in ospedale dieci giorni. E la gente del quartiere, inglesi e crucchi, persino qualche negro che aveva iniziato a trasferirsi verso il 1955... gli pagò il conto. Fino all'ultimo fottuto centesimo. Non riuscivo a crederci. E tennero anche aperto il negozio. Fiona Castellano chiamò quattro o cinque suoi amici disoccupati che lavorarono a turno. Quando il mio vecchio tornò a casa, i conti tornavano al centesimo.»  «Caspita!» disse lei, molto dolcemente. 
«Sai cosa mi disse allora? Sai cosa mi disse il mio vecchio? Che aveva sempre avuto paura di invecchiare — di avere paura e di invecchiare, e sempre da solo. Di dover andare in ospedale e di non riuscire più a far quadrare il bilancio. Di morire. Disse che dopo l'infarto non aveva più paura. Disse che pensava di riuscire a morire bene. 'Intendi dire morire contento, Papi?' gli chiesi. 'No', mi rispose. 'Penso che nessuno muoia contento, Dickie.' Mi chiamava sempre Dickie, e lo fa ancora adesso. È un'altra delle cose che non riuscirò mai a farmi piacere. Disse che non pensava si potesse morire contenti, ma che era possibile morire bene. Mi fece una grande impressione.» 
Rimase a lungo in silenzio, pensieroso. 
«Negli ultimi cinque o sei anni sono riuscito a comprendere un po' di più il mio vecchio. Forse perché se ne sta a San Remo ed è lontano da me. Ho iniziato a pensare che forse il Libro della Mano Sinistra non era poi un'idea così cattiva. È stato allora che ho iniziato a preoccuparmi per Todd. Avrei tanto voluto dirgli che nella vita c'è qualcos'altro oltre a me, anche se riesco a portarvi in vacanza alle Hawaii per un mese, anche se posso comprare a Todd dei pantaloni che non puzzano di naftalina come quelli che mettevo io. Ma non sapevo proprio come avrei potuto spiegargli queste cose. Penso che probabilmente le sappia già. E questo mi toglie un gran peso dalla testa.» 
«Intendi dire leggere al signor Denker?» 
«Sì. Non ci ricava niente facendolo. Denker non può pagarlo. Ecco il vecchio, lontano mille miglia da parenti ed amici, che è ancora in vita, ecco questo tipo che rappresenta tutto ciò di cui mio padre aveva paura. Ed ecco
Todd.» 
«Non ci avevo mai pensato in questo senso.» 
«Hai notato come si sente Todd quando gli parli del vecchio?»  «Si rilassa molto.» 
«Certo. È ammutolito e confuso, come se stesse facendo qualcosa di male. Esattamente come faceva il mio babbo quando qualcuno cercava di ringraziarlo per avergli fatto credito. Noi siamo la mano destra di Todd, ecco tutto. Io e te, e tutto il resto — la casa, le vacanze sulla neve a Tahoe, la Thunderbird nel garage, la sua TV a colori. Tutto questo rappresentano la sua mano destra. E lui non vuole farci sapere cosa sta facendo la mano sinistra.» 
«Quindi tu non credi che passi troppo del suo tempo con Denker?» 
«Tesoro, guarda i suoi voti! Se stessero peggiorando, sarei il primo a dire 'Va bene, adesso però basta, cerca di non esagerare'. Se ci fossero dei problemi, i voti sarebbero i primi a risentirne. E come stanno andando?» 
«Ottimamente, come sempre, a parte il primo scivolone.» 
«E allora di cosa ci stiamo preoccupando? Ascoltami, piccola, ho un appuntamento alle nove. Se non riesco a dormire un po', avrò un'aria trasandata.» 
«Certo, dormi pure», disse lei, benevola. Mentre lui si girava, lei lo baciò dolcemente sulla spalla. «Ti amo.» 
«Anch'io ti amo», disse lui, comodamente sdraiato, poi chiuse gli occhi. 
«Va tutto bene, Monica. Ti preoccupi troppo.» «Lo so. Buonanotte.» Si addormentarono. 

«Piantala di guardare fuori della finestra», disse Dussander. «Non c'è niente che ti possa interessare.» 
Todd lo guardò con aria accigliata. Sul tavolo aveva il libro di storia aperto sulla pagina in cui Teddy Roosevelt raggiungeva la cima della collina San Juan. I cubani indifesi facevano marcia indietro di fronte agli zoccoli del cavallo di Teddy. Teddy sogghignava con un tipico ghigno americano, il ghigno di chi sa che Dio sta dalla sua parte e che può quindi permettersi di essere prepotente. Todd Bowden non stava sogghignando. 
«Ti piace fare lo schiavista, non è vero?» chiese. 
«Mi piace fare l'uomo libero», rispose Dussander. «Studia.»  «Mi hai rotto il cazzo!» 
«Quand'ero ragazzo», disse Dussander, «mi avrebbero lavato la bocca con la liscivia per aver detto una cosa simile.» 
«I tempi cambiano.» 
«Sul serio?» Dussander bevve un sorso di bourbon. «Studia.» 
Todd fissò Dussander. «Non sei altro che un fottutissimo ubriacone, lo sai?» 
«Studia.» 
«Chiudi il becco!» Todd chiuse il libro con violenza. Fece uno strano rumore nella cucina di Dussander. «Non ce la farò comunque a recuperare. Non in tempo per il compito. Ho ancora cinquanta pagine di questa merda, tutto fino alla prima guerra mondiale. Domani, nell'aula 2, preparerò dei foglietti da cui copiare.» 
Con tono severo, Dussander disse: «Non farai mai una cosa del genere». 
«Perché no? Chi me lo impedirà? Tu?» 
«Ragazzo, forse non hai ancora capito bene qual è la posta in gioco. Pensi che mi diverta a far studiare un moccioso che continua a lagnarsi?» La sua voce crebbe di tono, sibilante, severa, dominante. «Pensi che mi diverta ad ascoltare le tue sfuriate, le tue bestemmie da asilo? 'Mi hai rotto il cazzo'», lo scimmiottò Dussander in modo feroce, con una voce acuta in falsetto che fece arrossire Todd. «Mi hai rotto il cazzo, chi se ne frega, lo farò domani, mi hai rotto il cazzo!» 
«Sì, sono convinto che ti diverta», gli urlò Todd. «Sì, ti diverti! L'unico momento in cui non ti senti uno zombie è quando ci sono qua io! Fammi respirare un attimo, dannazione!» 
«Se ti beccassero a copiare da quei foglietti, cosa credi che succederebbe? A chi pensi lo direbbero per primi?» 
Todd si guardò le mani, con le unghie malconce e tutte mordicchiate, ma non disse nulla. 
«A chi?» 
«Cristo, lo sai benissimo. A Ed Caloscia. Poi ai miei, immagino.» 
Dussander annuì. «Anch'io credo la stessa cosa. Studia. Ficcati bene in testa quei foglietti: è il loro posto.» 
«Ti odio», disse Todd con aria stupida. «Sul serio.» Ma riaprì il libro e vide la faccia di Teddy Roosevelt che gli sorrideva, Teddy che galoppava verso il ventesimo secolo con la sciabola in mano, mentre i cubani cadevano disordinatamente davanti a lui — o forse davanti alla forza del suo ghigno americano. 
Dussander ricominciò a dondolarsi sulla sedia. Aveva in mano la solita tazza di bourbon. «Bravo ragazzo», disse, quasi con tenerezza. 

Todd fece il primo sogno bagnato l'ultima notte di aprile, e si svegliò con il mormorio della pioggia che scendeva fra le foglie ed i rami dell'albero, fuori dalla finestra. 
Nel sogno, si era ritrovato in uno dei laboratori di Patin. Stava in piedi all'estremità di un tavolo lungo e basso. Una ragazza di straordinaria bellezza era stata legata sul tavolo con dei morsetti. Dussander lo stava aiutando. Dussander indossava un grembiule bianco da macellaio e nient'altro. Quando si girò per accendere le apparecchiature di controllo, Todd vide le scarne natiche di Dussander schiacciate una contro l'altra, come pietre bianche malfatte. 
Porse qualcosa a Todd, qualcosa che Todd riconobbe immediatamente, anche se in realtà non ne aveva mai visto uno. Era una specie di vibratore. La punta era in metallo lucido, e brillava sotto le luci fluorescenti come una cromatura crudele. Il vibratore era cavo. Da un'estremità usciva un filo elettrico nero che terminava con una sfera di gomma rossa. «Andiamo avanti», disse Dussander. «Il Führer dice che è tutto a posto. Dice che è la giusta ricompensa ai tuoi studi.» 
Todd abbassò lo sguardo e vide che era completamente nudo. Il suo piccolo pene era in erezione e sporgeva turgido dalla sottile apertura dei peli pubici. Si infilò il vibratore. Gli andava un po' stretto, ma all'interno c'era una sostanza lubrificante. Il contatto era piacevole. Anzi, più che piacevole. Era delizioso. 
Abbassò lo sguardo sulla ragazza e si accorse che i suoi pensieri erano cambiati... era come se fossero diventati assolutamente normali. Improvvisamente, sembrava tutto a posto. Le porte erano state aperte. Ci sarebbe passato in mezzo. Prese nella mano sinistra la sfera di gomma rossa, mise le ginocchia sul tavolo e si fermò un attimo, valutando con attenzione l'angolo mentre il suo cazzo formava un altro angolo partendo dallo snello corpo del ragazzo. 
In lontananza, sentiva Dussander che ripeteva: «Esperimento n. 84. Elettricità, stimolo sessuale, metabolismo. Basato sulla teoria del rafforzamento negativo di Thyssen. Il soggetto è una ragazza ebrea, di circa sedici anni, senza cicatrici, senza segni particolari, senza menomazioni conosciute». 
La ragazza lanciò un grido quando la punta del vibratore la toccò. Todd trovò il grido piacevole, come trovò piacevole il suo inutile tentativo di liberarsi o, almeno, di chiudere le gambe. 
Questo è quello che non possono far vedere in quelle riviste di guerra — pensò — ma comunque esiste anche questo. 
Improvvisamente glielo ficcò dentro, aprendola senza la minima grazia. 
La ragazza lanciò un urlo lancinante. 
Dopo essersi dibattuta nel tentativo di espellerlo, la ragazza rimase assolutamente immobile, paziente. L'interno lubrificato del vibratore tirava e scivolava sul rigonfiamento di Todd. Stupendo. Divino. Le sue dita giocherellavano con la sfera di gomma che teneva nella mano sinistra. 
Più lontano, Dussander registrava il polso, la pressione del sangue, la respirazione, le onde alfa, le onde beta ed il numero dei colpi. 
Quando sentì giungere l'orgasmo, Todd rimase assolutamente immobile e schiacciò la sfera. Gli occhi della ragazza, che erano rimasti chiusi fino ad allora, si spalancarono, gonfiandosi. La lingua iniziò a sbattere nella cavità rosea della bocca. Le braccia e le gambe si agitavano convulsamente. Ma il movimento vero e proprio stava nel busto, che si alzava e si abbassava, facendo vibrare ogni singolo muscolo 
(sì... ogni muscolo ogni muscolo si muove stringe si chiude ogni) ogni singolo muscolo e la sensazione all'orgasmo era  (estasi) oh!
era, era 
(fuori c'era la fine del mondo con lampi e tuoni). 
Si svegliò con quel rumore e con il rumore della pioggia. Si era raggomitolato da una parte ed il cuore gli batteva come quello di un velocista.
La parte inferiore della pancia era coperta da un liquido caldo e appiccicoso.
Provò un attimo di terrore incontrollato, per la paura di morire dissanguato... poi si rese conto di che cosa fosse in realtà, e avvertì un profondo senso di disgusto, di nausea. Orgasmo. Liquido Seminale. Sperma. Sborra. Parole prese dai muri o dagli spogliatoi o dai gabinetti delle stazioni di servizio. Non l'aveva fatto apposta. 
Le mani si serrarono inutilmente in due pugni. Il sogno-orgasmo gli ritornò alla memoria, sbiadito, ora, senza senso, spaventoso. Ma le terminazioni nervose continuavano a pizzicare, ritornando alla normalità dopo aver raggiunto il culmine. La scena finale, che andava via via offuscandosi, era disgustosa, eppure in qualche modo trascinante, come un morso improvviso dato a un frutto tropicale che ti accorgi essere (con un attimo di ritardo) estremamente dolce solo perché marcio. 
Poi capì, finalmente. Quello che avrebbe dovuto fare. 
C'era solo un modo per tornare indietro. Avrebbe dovuto uccidere Dussander. Era l'unico modo. I giochi erano finiti, l'epoca delle favole se n'era andata. Si trattava ora di sopravvivere. 
«Ammazzalo e sarà tutto finito», bisbigliò nell'oscurità, mentre fuori la pioggia cadeva sopra l'albero e lo sperma si asciugava sulla pancia. Bisbigliarlo lo faceva sembrare più reale. 
Dussander teneva sempre tre o quattro bottiglie di Ancient Age su una mensola in cima alla ripida scala della cantina. Andava fino alla porta, la apriva (era già mezza sfasciata) e scendeva due gradini. Poi bastava sporgersi un po', mettere una mano sulla mensola e afferrare il collo della bottiglia con l'altra. Il pavimento della cantina non era lastricato, ma lo sporco veniva sempre raccolto e Dussander, con un'efficienza che a Todd pareva più prussiana che tedesca, lo cospargeva di petrolio una volta ogni due mesi, per evitare che gli insetti potessero riprodursi. Cemento o non cemento, le ossa vecchie si rompono facilmente. E spesso i vecchi hanno degli incidenti. Il referto dell'autopsia avrebbe concluso che il «signor Denker» era ubriaco fradicio al momento della «caduta». 
Che cosa è successo, Todd? 
Non rispondeva alla porta, così ho usato la chiave che mi aveva fatto fare. Capitava che si addormentasse. Sono andato in cucina e ho visto che la porta della cantina era aperta. Sono sceso per le scale e lui... lui... 
Poi, naturalmente, le lacrime. 
Poteva funzionare. 
E lui sarebbe tornato indietro. 
Todd rimase sveglio a lungo, nell'oscurità, ascoltando il tuono che si allontanava verso ponente, verso il Pacifico; ascoltando il rumore segreto della pioggia. Pensò che sarebbe rimasto sveglio per il resto della notte, rimuginando ancora sopra l'intera faccenda. Ma si addormentò qualche minuto più tardi e dormì senza più sognare, con un pugno appoggiato sotto il mento. Si svegliò il primo di maggio completamente riposato, per la prima volta dopo tanti mesi. 

11 

Maggio 1975 Per Todd, quel venerdì fu il giorno più lungo della sua vita. Aveva seguito lezione su lezione, senza ascoltare niente, aspettando gli ultimi cinque minuti quando il professore avrebbe tirato fuori il suo mucchio di Schede Bocciatura e le avrebbe distribuite. Ogni volta che un professore si avvicinava al suo banco con il mucchio di schede, Todd si sentiva gelare. Ogni volta che il professore passava senza fermarsi, avvertiva una sensazione di vertigini e di semi-isteria. 
In algebra era dove andava peggio. Storrman si avvicinò... esitò... e men- tre Todd si convinceva che sarebbe passato oltre lasciò cadere una Scheda Bocciatura coperta sul banco di Todd. Todd la guardò con aria gelida, senza provare assolutamente nulla. Ora che tutto si era concluso, aveva solo molto freddo. Bene, ecco fatto, pensò. Punto, gioco, partita e incontro. A meno che Dussander non riesca ad escogitare qualcos'altro. E ho i miei dubbi che ci riesca. 
Senza mostrare molto interesse, girò la Scheda Bocciatura per vedere quanto gli mancava per arrivare al «buono». Doveva esserci andato molto vicino, ma il vecchio Storrman era solito non concedere mai niente a nessuno. Vide che gli spazi destinati ai voti erano stati lasciati in bianco — sia per quanto riguardava i voti numerici che i giudizi. Nello spazio destinato al COMMENTO, era riportato un messaggio: Sono estremamente felice di non dovertene dare una SUL SERIO! Chas. Storrman. 
Ritornò la sensazione di vertigini, sempre più forte, ruggendo nella sua testa, facendolo sentire come un palloncino gonfiato con elio. Afferrò i bordi del banco con tutta la forza che aveva, con in testa un solo, ossessionante pensiero: Non devi svenire, non devi svenire, non devi. A poco a poco il senso di vertigine scomparve: a questo punto dovette controllare l'impulso di correre dietro a Storrman, nel corridoio, di farlo girare e di cavargli gli occhi con la matita appena temperata che aveva in mano. Il suo viso rimase comunque assolutamente impassibile. L'unico indizio rivelatore di qualcosa che si stava verificando dentro di lui fu un leggero tic ad un occhio. 
La scuola chiuse per il fine settimana con quindici minuti di ritardo. Todd si incamminò lentamente verso il retro dell'edificio, dove venivano posteggiate le biciclette: aveva la testa bassa, le mani ficcate in tasca, i libri infilati sotto il braccio, incurante degli altri studenti che correvano urlando.
Buttò i libri nel cestino della bicicletta, tolse il lucchetto e si mise a pedalare.
Verso la casa di Dussander. 
Oggi, pensò. Oggi è il tuo gran giorno, vecchio. 

«E così», disse Dussander versandosi del bourbon nella tazza, mentre Todd entrava in cucina, «l'accusato ritorna dal banco degli imputati. Qual è stato il verdetto, prigioniero?» Indossava l'accappatoio e un paio di calze di lana pelosa che gli arrivavano a mezza gamba. Con queste calze, pensò Todd, è facile scivolare. Gettò un'occhiata alla bottiglia di Ancient Age con la quale stava armeggiando Dussander. Non ne rimanevano più di tre dita. 
«Nessuna insufficienza. Nessuna Scheda Bocciatura», disse Todd. «Devo ancora migliorare qualche voto a giugno, per portare la media al massimo. Ci riuscirò questo trimestre se continuerò a lavorare così.» 
«Oh, certo che continuerai!» esclamò Dussander. «Vedremo bene quello che c'è da fare.» Bevve, poi si versò dell'altro bourbon nella tazza. «Questo merita un brindisi.» La sua voce era un po' confusa — anche se era abbastanza difficile notarlo, eppure Todd sapeva che il dannato vecchio era ubriaco come sempre. Sì, oggi. Doveva essere fatto assolutamente oggi. 
Ma era calmo. 
«Non celebriamo un cazzo», disse a Dussander. 
«Mi spiace che il ragazzo delle consegne non sia ancora arrivato con il salmone ed i tartufi», continuò Dussander senza nemmeno ascoltarlo. «Il servizio non dà proprio affidamento in questi tempi. Che ne dici di qualche crackers Ritz e di un po' di Philadelphia, mentre aspettiamo?» 
«D'accordo», esclamò Todd. «Al diavolo.» 
Dussander si alzò in piedi (con un ginocchio urtò il tavolo e fece un sobbalzo) e attraversò la stanza, dirigendosi verso il frigorifero. Tirò fuori il formaggio, prese un coltello dal cassetto, un piatto dalla credenza ed una scatola di Ritz dal cesto del pane. 
«Tutti accuratamente ripieni di acido prussico», spiegò a Todd, mentre appoggiava formaggio e crackers sul tavolo. Fece una smorfia e Todd notò che nemmeno quel giorno si era messo la dentiera. Nonostante questo, Todd sorrise in risposta al vecchio. 
«Sei così tranquillo oggi!» esclamò Dussander. «Mi sarei aspettato di vederti arrivare facendo capriole in anticamera.» Vuotò l'ultimo bourbon nella tazza, ne bevve un sorso e fece schioccare le labbra. 
«Penso di essere ancora un po' stordito», disse Todd. Addentò un cracker. Da molto tempo aveva smesso di rifiutare il cibo offertogli da Dussander. Dussander pensava ci fosse qualcosa di scritto fra Todd ed un amico — naturalmente non era vero; certo, aveva qualche amico, ma nessuno di cui si fidasse così tanto. Sapeva che Dussander lo aveva intuito da parecchio, ma sapeva anche che Dussander non avrebbe mai osato giungere ad un omicidio per mettere alla prova una semplice intuizione. 
«Di che cosa possiamo parlare oggi?» chiese Dussander, buttando giù l'ultimo sorso. «Oggi ti do il permesso di non studiare. Che te ne pare? Eh? Eh?» Quando beveva, il suo accento diventava più marcato. Era un accento che Todd era arrivato ad odiare. Ora si sentiva assolutamente tranquillo. Si guardò le mani, le mani che avrebbero dato la spinta, e notò che erano uguali a quelle di sempre. Non stavano tremando, erano fredde. 
«Non me ne importa niente», disse. «Racconta quello che vuoi.» 
«Posso raccontarti dello speciale sapone che facevamo? I nostri esperimenti con l'omosessualità forzata? O forse vorresti sapere come ho fatto a scappare da Berlino dopo essere stato tanto stupido da volerci ritornare. È stato proprio divertente, te lo posso assicurare.» Mimò un uomo irsuto che si radeva e rise. 
«Qualsiasi cosa», ripeté Todd. «Davvero.» Guardò Dussander esaminare la bottiglia ormai vuota e poi alzarsi con quella in mano. Dussander arrivò fino al cestino della carta straccia e la lasciò cadere. 
«No, niente di tutto questo, penso», disse Dussander. «Non mi sembri dell'umore adatto.» Rimase per un attimo in piedi, vicino al cestino, probabilmente riflettendo, poi attraversò la cucina e si diresse verso la porta della cantina. Le calze di lana facevano un leggero rumore sul linoleum irregolare. «Penso che oggi ti racconterò invece la storia di un vecchio che aveva paura.» 
Dussander aprì la porta della cantina. Era girato con le spalle verso il tavolo. Todd si alzò senza far rumore. 
«Aveva paura», continuò Dussander, «di un certo ragazzo che era, in uno strano modo, suo amico. Un ragazzo in gamba. Sua madre lo chiamava 'ragazzo sveglio' ed il vecchio aveva già scoperto che era un ragazzo sveglio... anche se forse non nel senso che intendeva sua madre.» 
Dussander cercò a tastoni il vecchio interruttore elettrico sulla parete, cercando di accendere la luce con le dita artritiche e deformate. Todd camminò — quasi scivolò — sul linoleum, senza passare su quei punti che sapeva scricchiolare o fare rumore. Conosceva quella cucina come conosceva la sua. Forse anche meglio. 
«All'inizio, il ragazzo non era amico del vecchio», continuò Dussander. Finalmente riuscì ad accendere la luce. Scese qualche gradino con l'attenzione tipica di un vecchio ubriacone. «All'inizio quel ragazzo non piaceva molto al vecchio. Poi, poco alla volta... iniziò ad apprezzare la sua compagnia, anche se rimaneva comunque un forte sentimento di avversione.» Stava guardando lo scaffale, ora, ma si teneva ancora alla ringhiera. Todd, freddo — no, adesso era gelido — fece un passo alle sue spalle, calcolando le possibilità che aveva di far mollare la presa a Dussander con una forte spinta. Decise di aspettare fino a quando Dussander si fosse sporto. 
«Parte del divertimento del vecchio veniva da una sensazione di uguaglianza», continuò Dussander, con tono pensieroso. «Vedi, il ragazzo ed il vecchio erano legati l'un l'altro da un reciproco patto di morte. Ognuno dei due sapeva qualcosa che l'altro voleva tenere nascosto. Poi... ah, poi divenne chiaro al vecchio che le cose stavano cambiando. Sì. Stava perdendo il suo potere — almeno in parte, o forse tutto, dipendeva da quanto fosse disperato il ragazzo, e da quanto fosse intelligente. Il vecchio ne divenne consapevole durante una lunga notte insonne: sarebbe stato un bene per lui acquisire un nuovo potere sul ragazzo. Ne andava della sua sopravvivenza.» 
Dussander si staccò dalla ringhiera e si sporse verso la scala ripida della cantina, ma Todd rimase assolutamente immobile. Il gelo che aveva avvertito fin nelle ossa sembrava essere sul punto di sciogliersi, sostituito da un'ondata di rabbia e di confusione. Mentre Dussander afferrava una bottiglia nuova, Todd pensò con cattiveria che la cantina del vecchio era la più puzzolente dell'intera città, col petrolio o senza. Puzzava come se ci fosse morto dentro qualcuno. 
«Il vecchio decise allora di alzarsi dal letto. Quanto può dormire un vecchio? Molto poco. Così si sedette alla scrivania, pensando al modo intelligente con cui era riuscito ad invischiare il ragazzo negli stessi crimini con i quali il ragazzo pensava adesso di ricattarlo. Rimase seduto, pensando a quanto duramente avesse lavorato il ragazzo, davvero molto, per recuperare i voti a scuola. E pensò anche che, una volta recuperati i voti, il ragazzo non avrebbe più avuto bisogno del vecchio vivo. E che se il vecchio fosse morto, il ragazzo sarebbe stato libero.» 
Si girò, tenendo in mano il collo di una bottiglia nuova di Ancient Age. 
«Ti ho sentito sai», disse, con aria gentile. «Da quando hai spostato indietro la sedia e ti sei alzato. Non sei silenzioso come credi, ragazzo mio. 
Non ancora, almeno.» Todd non disse nulla. 
«Dunque!» esclamò Dussander ritornando in cucina e chiudendo bene la porta della cantina dietro di lui. «Il vecchio mise tutto per iscritto, nicht war? Lasciò tutto per iscritto, dalla prima parola all'ultima. Quando finalmente ebbe finito, era quasi l'alba e le mani gli facevano male a causa dell'artrite — la verdammt artrite — ma si sentiva finalmente bene, per la prima volta dopo tante settimane. Si sentiva al sicuro. Ritornò poi a letto e dormì fino a metà pomeriggio. In realtà se avesse dormito di più avrebbe perso il suo telefilm preferito — General Hospital.» 
Si era seduto di nuovo sulla sedia a dondolo. Una volta seduto, tirò fuori un vecchio coltello a serramanico, con l'impugnatura giallo avorio, ed iniziò a tagliare scrupolosamente il sigillo del tappo della bottiglia di bourbon. 
«Il giorno seguente il vecchio indossò il suo vestito migliore ed andò nella banca dove teneva i suoi risparmi ed il conto corrente. Parlò con uno degli impiegati, che rispose in maniera dettagliata a tutte le domande del vecchio. Affittò allora una cassetta di sicurezza. L'impiegato della banca spiegò al vecchio che gli sarebbe stata consegnata una chiave, e che la banca ne avrebbe custodita un'altra. Per aprire la cassetta erano necessarie le due chiavi. Nessun altro all'infuori del vecchio avrebbe potuto usare la sua chiave senza una lettera di autorizzazione firmata ed autenticata. Con una sola eccezione.» 
Dussander rise con la sua bocca sdentata direttamente sulla faccia bianca ed inebetita di Todd Bowden. 
«Tale eccezione è contemplata in caso di morte del possessore della cassetta», disse. Sempre guardando Todd, e sempre sorridendo, Dussander rimise nella tasca dell'accappatoio il coltello a serramanico, tolse il tappo alla bottiglia di bourbon e si versò un'abbondante dose nella tazza. 
«E cosa succede in tal caso?» chiese Todd con voce rauca. 
«La cassetta viene aperta in presenza di un impiegato della banca e di un responsabile dell'Ufficio Imposte. Si procede all'inventario di quanto contenuto nella cassetta. In questo caso troverebbero solo un documento di dodici pagine. Non tassabile... ma estremamente interessante.» 
Le dita di Todd si strinsero con rabbia una contro l'altra. «Non puoi fare questo», disse con voce sbigottita ed incredula. Era la voce di una persona che osservava qualcuno camminare sul soffitto. «Non puoi... non puoi fare questo!» 
«Ragazzo mio», disse Dussander dolcemente, «l'ho già fatto.» 
«Ma... Io... Tu...» La sua voce si era trasformata improvvisamente in un grido straziante. «Tu sei vecchio! Non ti rendi conto che sei vecchio? Potresti morire! Potresti morire da un momento all'altro!» 
Dussander si alzò. Andò verso un armadietto della cucina e tirò fuori un bicchiere. Quel bicchiere era stato usato una volta per la marmellata. Alcuni personaggi dei fumetti danzavano attorno al bordo. Todd li riconobbe tutti — Fred e Wilma Flintstone, Barney e Betty Rubble, gli Antenati e BamBam. Era cresciuto con loro. Osservò Dussander mentre puliva il bicchiere con un tovagliolo e con aria cerimoniosa. Osservò Dussander mentre lo appoggiava di fronte a lui. Osservò Dussander mentre ci versava dentro un dito di bourbon. 
«Perché l'hai fatto?» mormorò Todd. «Io non bevo. Solo i barboni da quattro soldi come te bevono.» 
«Leva il tuo bicchiere, ragazzo mio. Questa è un'occasione speciale. Oggi tu berrai.» 
Todd lo guardò a lungo, poi prese in mano il bicchiere. Dussander fece sbattere la sua tazza di ceramica da quattro soldi contro il bicchiere. 
«Facciamo un brindisi, ragazzo — lunga vita! Lunga vita a noi! Prosit!»  Bevve il bourbon tutto d'un fiato e poi scoppiò a ridere. Si dondolava avanti e indietro, ed i piedi con le calze di lana picchiavano sul pavimento, mentre lui continuava a ridere. Todd pensò che non aveva mai visto nessuno tanto simile ad un avvoltoio, un avvoltoio con l'accappatoio, una disgustosa bestiaccia che si ciba di carogne. 
«Ti odio», bisbigliò, poi Dussander iniziò a soffocare per il troppo ridere. La faccia gli diventò di uno strano colore mattone: sembrava che stesse tossendo, ridendo e strangolandosi contemporaneamente. Spaventato, Todd si alzò di scatto e gli diede dei colpetti sulla schiena fino a quando smise di tossire. 
«Danke schön!» disse. «Bevi quello che hai nel bicchiere. Ti farà bene!» 
Todd bevve. Aveva lo stesso sapore di una disgustosa medicina per il raffreddore e gli accese un fuoco nelle budella. 
«Non posso credere che tu beva questa porcheria tutti i giorni», esclamò, appoggiando il bicchiere sul tavolo e rabbrividendo. «Faresti meglio a smettere. Smettila di bere e di fumare.» 
«Questo tuo preoccuparti per la mia salute è commovente», disse Todd. Tirò fuori un pacchetto schiacciato di sigarette dalla stessa tasca dell'accappatoio nella quale aveva riposto prima il coltello a serramanico. «Anch'io sono molto preoccupato per la tua salute, ragazzo. Praticamente tutti i giorni si legge sul giornale di qualche ciclista ucciso a qualche incrocio pieno di traffico. Dovresti smetterla. Dovresti andare a piedi. Oppure prendere l'autobus, come faccio io.» 
«Perché non vai a farti fottere?» urlò Todd. 
«Ragazzo mio», disse Dussander versandosi dell'altro bourbon e ricominciando a ridere, «ci stiamo fottendo l'un l'altro — non te n'eri accorto?» 

Circa una settimana più tardi, Todd era seduto sul binario della vecchia stazione abbandonata. Tirava fuori, uno alla volta, dei pezzetti di metallo dai binari arrugginiti e coperti di erbacce. 
Perché non dovrei ucciderlo lo stesso? 
Perché sono un ragazzo logico, fu la prima risposta logica. Al diavolo la logica. Presto o tardi, Dussander sarebbe comunque morto e, considerando le abitudini di Dussander, sarebbe probabilmente successo presto. Sia che avesse ucciso il vecchio, sia che Dussander fosse morto di infarto nella vasca da bagno, sarebbe comunque saltato fuori tutto. Almeno avrebbe avuto la soddisfazione di torcere il collo al vecchio avvoltoio. 
Presto o tardi — questa frase sfuggiva a qualsiasi logica. 
Forse succederà tardi, pensò Todd. Con o senza le sigarette, con o senza gli alcolici. È un vecchio bastardo coriaceo. È campato fino ad ora, magari...
magari succederà tardi. 
Da sotto di lui, sembrava provenire un rumore confuso, come una sbuffata. 
Todd si levò in piedi, lasciando cadere la manciata di pezzetti di metallo che aveva in mano. Lo strano rumore ricominciò. 
Si fermò, era sul punto di scappare, ma il rumore non si sentiva più. Ottocento metri più in là, un'autostrada a otto corsie correva verso l'orizzonte, oltre questo vicolo cieco pieno di erbacce e di rottami, con le sue costruzioni abbandonate, i cancelli arruginiti ed i binari deformati e pieni di schegge. Sull'autostrada le macchine brillavano sotto il sole come esotici scarabei dal guscio duro. Lassù, otto corsie piene di traffico, quaggiù assolutamente niente, ad eccezione di Todd, di qualche uccello... e di qualcosa che aveva sbuffato. 
Con molta attenzione, si curvò verso terra, le mani appoggiate sulle ginocchia e lanciò un'occhiata sotto i binari. C'era un ubriacone disteso in mezzo alle erbacce, alle lattine vuote e alle vecchie bottiglie polverose. Era impossibile determinare quanti anni avesse: Todd lo collocò nella fascia che va dai trenta ai quattrocento. Aveva indosso una maglietta lacera, tutta incrostata di vomito rappreso, un paio di pantaloni verdi decisamente troppo larghi per lui ed un paio di scarpe grigie di cuoio rotte in un centinaio di punti. Le fessure assomigliavano a tante bocche agonizzanti. Todd pensò che puzzava come la cantina di Dussander. 
L'ubriacone aprì lentamente gli occhi cerchiati di rosso e fissò Todd con uno sguardo annebbiato e privo di stupore. Nel frattempo, Todd pensò al coltellino svizzero modello Angler che aveva in tasca. L'aveva comprato quasi un anno prima in un negozio di articoli sportivi di Redondo Beach. Aveva ancora in mente le parole del commesso che lo aveva servito: Non potevi scegliere un coltello migliore di questo, ragazzo — un giorno un coltello come questo potrà salvarti la vita. Vendiamo millecinquecento coltelli svizzeri ogni anno. 
Millecinquecento all'anno. 
Mise la mano in tasca ed afferrò il coltello. Gli venne in mente Dussander, mentre lavorava lentamente con il suo coltello a serramanico attorno al collo della bottiglia di bourbon, togliendo il sigillo. Un attimo più tardi si accorse che aveva avuto un'erezione. 
Un terrore gelido si impadronì di lui. 
L'ubriacone si portò una mano sulle labbra screpolate, poi se le leccò con la lingua che la nicotina aveva reso di un colore giallognolo. «Hai dieci cent, ragazzo?» 
Todd lo guardò con occhi privi di espressione. 
«Devo andare a Los Angeles. Mi mancano dieci cent per l'autobus. Ho un appuntamento, io. Una proposta di lavoro. Un bel ragazzo come te deve avere dieci cent, magari anche venti.» 
Sissignore, con un coltello come questo puoi far fuori un dannato vagabondo, diamine, puoi far fuori anche un delinquente se è necessario. Ne vendiamo millecinquecento all'anno. In America qualsiasi negozio di articoli sportivi e di materiale proveniente dall'Esercito o dalla Marina li vende, e se tu decidessi di usarlo per far fuori qualche sporco, vecchio ubriacone merdoso, nessuno potrebbe risalire fino a te, assolutamente NESSUNO. 
L'ubriacone abbassò la voce: parlò con un bisbiglio lugubre e confidenziale: «Per un dollaro potrei succhiartelo come non te l'ha mai succhiato nessuno. Ti farei esplodere il cervello, ragazzo, tu...» 
Todd estrasse la mano dalla tasca. Non sapeva quello che vi avrebbe trovato. Due quarti di dollaro. Due nichelini. Un cent. Qualche penny. Li gettò al barbone e scappò via. 

12 

Giugno 1975  Todd Bowden, ora quattordicenne, arrivò pedalando su per il sentiero che portava alla casa di Dussander e parcheggiò la bici sul suo cavalietto. Il Los Angeles Times era sull'ultimo scalino; lo raccolse. Guardò al campanello sotto al quale resistevano ancora le scritte ARTHUR DENKER e NIENTE VENDITORI AMBULANTI, COMMESSI VIAGGIATORI O 
PIAZZISTI. Non aveva bisogno di suonare il campanello ora, naturalmente aveva la sua chiave. 
Da qualche parte lì vicino proveniva il suono scoppiettante e brontolante di una falciatrice. Guardò il prato di Dussander e vide che una tagliatina gli avrebbe fatto bene; avrebbe dovuto dire al vecchio di cercarsi un ragazzino con una falciatrice. Dussander dimenticava sempre più spesso queste piccole cose. Forse era la senilità; forse si trattava semplicemente dell'influenza dell'Ancient Age Bourbon sul suo cervello sottoaceto. Quello era un pensiero da adulto per un ragazzino di quattordici anni, ma questi pensieri non meravigliavano più Todd, e non li considerava singolari. In questi giorni ne aveva avuti parecchi di pensieri da adulto. La maggior parte di questi però non era nulla di speciale.  Entrò. 
Ebbe il solito istante di gelido terrore quando entrò in cucina e vide Dussander leggermente crollato di lato sulla sua sedia a dondolo, la tazza sul tavolo, ed una bottiglia di bourbon mezza vuota lì accanto. Una sigaretta si era consumata in tutta la sua lunghezza tramutandosi in un merletto di grigia cenere adagiato su un coperchio di maionese dove erano stati spenti vari altri mozziconi. La bocca di Dussander si spalancò. Il suo viso era giallo. Le sue grandi mani ciondolavano mollemente dai poggioli della sedia a dondolo. Non sembrava che stesse respirando. 
«Dussander», disse, forse un po' troppo aspramente. «Elevati e risplendi,
Dussander.» 
Avvertì un'ondata di sollievo quando il vecchio si contrasse, sbatté gli occhi e finalmente si raddrizzò. 
«Sei tu? E così presto?» 
«Ci lasciano uscire prima l'ultimo giorno di scuola», rispose Todd. Indicò i resti della sigaretta nel coperchio della maionese. 
«Un giorno darai fuoco alla casa in quel modo.» 
«Forse», Dussander disse con indifferenza. Armeggiò alla ricerca delle sigarette, ne fece partire una dal pacchetto (stava quasi per rotolare giù dal tavolo prima che Dussander fosse in grado di afferrarla), ed infine riuscì ad accenderla. Ne seguì un protratto accesso di tosse e Todd trasalì di disgusto. Quando finalmente il vecchio riuscì a fumare, Todd si aspettava quasi che iniziasse a sputar fuori pezzi nero-grigiastri di tessuto polmonare sul tavolo... e lui probabilmente avrebbe sogghignato mentre il vecchio lo faceva. Infine la tosse si calmò in modo da permettere a Dussander di chiedere: «Che cos'hai lì?» 
«Pagella.» 
Dussander la prese, la aprì e la tenne lontano, a lunghezza di braccio, per poterla leggere. «Inglese... ottimo. Storia americana... ottimo. Scienze...
più che buono. Educazione civica... ottimo. Francese... discreto. Algebra... buono.» La posò. «Molto bene. Com'è che dite voi giovani? L'abbiamo fatta franca, ragazzo. Hai intenzione di cambiare qualcuno di questi giudizi?» 
«Francese ed algebra, ma non più di otto, nove punti in tutto. Non penso che tutto ciò venga mai a galla. E devo ammettere che lo devo a te. Non ne sono orgoglioso, ma è la verità. Quindi grazie.» 
«Che discorso commovente», disse Dussander, e cominciò nuovamente a tossire. 
«Credo che d'ora in avanti non ti vedrò tanto in giro», riprese Todd, e Dussander smise improvvisamente di tossire. 
«No?» chiese con sufficiente cortesia. 
«No», Todd disse. «Andremo alle Hawaii per un mesetto ad iniziare dal 25 di giugno. In settembre poi andrò in una scuola dall'altra parte della città. Dovrò prendere gli autobus di merda.» 
«Ah già, incontrerai gli Schwarzen», disse Dussander, seguendo pigramente con lo sguardo una mosca mentre roteava sopra gli scacchi rossi e bianchi dell'incerata. «Per vent'anni questo paese si è preoccupato e lamentato degli Schwarzen. Ma noi conosciamo la soluzione, non è così, ragazzo?» Fece un sorriso sdentato a Todd e Todd abbassò gli occhi, sentendo il vecchio odioso vuoto allo stomaco. Terrore, odio ed un desiderio di commettere un'azione così tremenda che poteva solo essere immaginata nella sua fervida fantasia. 
«Guarda, io ho intenzione di andare al college, in caso tu non lo sapessi», disse Todd. «Lo so che è ancora molto lontano, ma io già ci penso. So già in che cosa mi laureerò. Storia.» 
«Ammirevole. Colui che non imparerà dalla storia è...» «Oh, sta' zitto», disse Todd. 
Dussander tacque, abbastanza garbatamente. Sapeva che il ragazzo non era ancora pronto... non ancora. Sedeva con le braccia incrociate e lo osservava. 
«Potrei farmi restituire la lettera dal mio amico», Todd sbottò improvvisamente. «Lo sai? Potrei fartela leggere, e poi tu potresti osservarmi mentre la brucio. Se...» 
«...se io prelevassi un certo documento dalla mia cassetta di sicurezza.» «Be'... Sì.» 
Dussander emise un ampolloso singhiozzo pietoso. «Ragazzo mio», iniziò. «Continui a non capire la situazione. Non l'hai mai fatto, fin dall'inizio. In parte perché sei solo un ragazzo, ma non solo... anche allora, già fin dall'inizio, tu eri un ragazzino molto vecchio. No, la vera cattiva era, ed è tuttora, la tua assurda eccessiva sicurezza in te, tipicamente americana, che non ti ha mai permesso di considerare le possibili conseguenze di ciò che stavi facendo... e che non te lo permette ancora adesso.» 
Todd cominciò a parlare ma Dussander alzò la mano indurita, ed improvvisamente fu il poliziotto più antico del mondo. 
«No, non contraddirmi. È la verità. Vai pure se vuoi. Abbandona questa casa, vattene via di qui, non tornare mai più. Posso vietartelo? No. Ovviamente no. Divertiti alle Hawaii mentre io me ne starò qui seduto in questa afosa cucina con la puzza di grasso, ad aspettare che gli Schwarzen di Watts decidano anche quest'anno di cominciare ad uccidere poliziotti e a dar fuoco alle loro merdose dimore. Non posso fermarti come non posso evitare di invecchiare ogni giorno un po' di più.» 
Fissò Todd con insistenza, ma con tale insistenza che Todd dovette distogliere lo sguardo. 
«Dentro di me, nel profondo, so che tu non mi piaci. Niente potrebbe renderti accettabile. Tu ti sei imposto con la forza su di me. Tu sei come un ospite indesiderato in casa mia. Tu mi hai fatto aprire cripte che forse sarebbe stato meglio lasciare chiuse, perché ho potuto scoprire che alcuni dei corpi vi sono stati gettati ancora in vita, e che alcuni di essi hanno ancora dell'aria dentro. 
«Tu stesso ne sei rimasto avviluppato, ma devo provare pietà per questo? Gott im Himmel! Tu ti sei scelto il letto; e dovrei provare pena per te se non riesci a dormirci comodo? No... non mi fai pena, ma sono riuscito a provare almeno un po' di rispetto per te. Quindi adesso non mettere a dura prova la mia pazienza chiedendomi di spiegarti tutto una seconda volta. Potremmo recuperare i nostri documenti e distruggerli qui, nella mia cucina. E non sarebbe ancora una partita chiusa. Infatti non avremmo risolto niente di più di adesso.» 
«Non ti capisco.» 
«No, perché non hai mai pensato alle conseguenze di tutto quello che hai messo in piedi. Ma segui il mio ragionamento, ragazzo. Se noi bruciassimo le nostre lettere qui, in questo coperchio, come potrei mai sapere con sicurezza che tu non ne hai fatta una copia? O due? O tre? Giù in biblioteca c'è una Xerox, con un cent chiunque può farsi una fotocopia. Con un dollaro potresti imbucare la mia condanna a morte ad ogni angolo di strada per una ventina di isolati. Cinque chilometri di condanne a morte, ragazzo!  Pensaci! Puoi dirmi come farei a sapere se hai fatto una cosa del genere?» 
«Io... be',... io... io...» Todd si rese conto che si stava impappinando e si impose di tacere. All'improvviso sentì un caldo eccessivo, e senza che ci fosse alcuna ragione si sorprese a ricordare qualcosa che gli era accaduta quando aveva sette o otto anni. Lui ed un suo amico stavano strisciando in un canale sotterraneo che si trovava proprio sotto la Freight Bypass Road, appena fuori città. L'amico, più magrolino di Todd, non aveva avuto alcun problema ad avanzare... ma Todd era rimasto incastrato. Fu consapevole all'improvviso del metro e più di roccia e terra che gli stava sopra la testa, tutto quel peso così buio; e quando un semi-articolato diretto a Los Angeles passò sulla strada, sopra di lui, scuotendo la terra e facendo vibrare la tubatura già corrugata con una nota bassa e stonata, in un certo senso quasi minacciosa, lui aveva iniziato a piangere ed a lottare all'impazzata, spingendosi in avanti, puntando continuamente i piedi come fossero i pistoni di un motore, urlando aiuto. Infine era riuscito a muoversi di nuovo e quando finalmente ce l'aveva fatta ad uscire dal canale, era svenuto. 
Dussander aveva appena evidenziato una possibilità di doppio gioco talmente fondamentale ed a cui non aveva mai pensato. Sentiva la pelle che gli diventava sempre più bollente e pensava: non piangerò. 
«E come faresti a sapere che io non ne abbia un duplicato nella mia cassetta di sicurezza... e che quindi ne abbia bruciata una copia e ne conservi un'altra?» 
Intrappolato. Sei in trappola, proprio come quella volta nel canale sotterraneo, ed ora a chi griderai di aiutarti? 
Il cuore gli galoppava nel petto. Sentiva il sudore che gli allagava il palmo delle mani e la nuca. Ricordava come era stato in quella tubatura, la puzza dell'acqua stagnante, il contatto con il freddo metallo ondulato, il modo in cui tutto tremava quando il camion gli era passato sopra. Ricordava com'erano state calde e disperate le sue lacrime. 
«Anche se ci fosse un terzo imparziale a cui ci potremmo rivolgere, ci sarebbero sempre dei dubbi. Il problema non è risolvibile, ragazzo. Credimi.» 
Intrappolato. Intrappolato nel canale sotterraneo. Nessuna via d'uscita questa volta. 
Vide il mondo cambiare colore. Non piangerò. Non sverrò. Si sforzò di tornare in sé. 
Dussander bevve un lungo sorso dalla sua tazza e guardò Todd da sopra l'orlo. 
«Adesso ti dirò altre due cose. Prima: se per caso venisse a galla la tua parte in questa storia, la tua punizione sarebbe molto lieve. È anche possibile — no, anzi di più, presumibile — che non verrebbe nemmeno resa pubblica dai giornali. Una volta ti ho spaventato con la minaccia del riformatorio, quando temevo che tu potessi crollare e spifferare tutto. Ma ci credo? No, l'ho usato come un padre potrebbe usare il lupo cattivo, come spauracchio per il proprio bimbo che deve tornare a casa prima che faccia buio. No, non credo che ti ci manderebbero, non in questo paese dove agli assassini danno una bacchettata sulle mani e li rimettono in libertà dopo averli lasciati per un paio d'anni in un penitenziario a guardare la TV a colori. Ma potrebbe ugualmente rovinarti la vita. Ci sono i documenti... e la gente parla. Parla sempre. Uno scandalo così succulento non se lo fa scappare, viene imbottigliato come il vino. E, ovviamente, più passeranno gli anni e più la tua colpevolezza crescerà con te. Il tuo silenzio diventerà sempre più una dannazione. Se la verità venisse fuori oggi, la gente direbbe, 'Ma è solo un ragazzo!'... non sapendo, come invece so io, che ragazzo vecchio tu sia. Ma cosa direbbe, ragazzo, se la verità su di me, insieme al fatto che tu eri a conoscenza di tutto fin dal 1974 ed hai taciuto tutto, venisse a galla quando sarai alle superiori? Sarebbe un male. E se venisse a galla mentre sei al college sarebbe un vero e proprio disastro. Il giovanotto che si affaccia al mondo del lavoro... e trova le porte chiuse. Capisci questo primo punto?» 
Todd rimase in silenzio, ma Dussander sembrava essere soddisfatto. Annuì. 
Continuando ad annuire disse: «Seconda cosa: io non credo che tu abbia una lettera». 
Todd si sforzò di mantenere un viso sfingeo, ma temeva fortemente di aver spalancato gli occhi per lo shock. Dussander lo stava studiando avidamente, e sentendosi improvvisamente nudo, Todd si rese conto che quell'uomo, quel vecchio, aveva interrogato centinaia, forse migliaia di persone. Era un esperto. Todd ebbe l'impressione che il suo cervello fosse diventato trasparente come un'enorme vetrina e tutti i suoi pensieri ne balenavano all'interno a lettere maiuscole. 
«In chi può aver riposto tanta fiducia, mi sono chiesto. Chi sono i tuoi amici... Chi sono i tuoi complici? Con chi va questo ragazzino, questo ragazzino così autosufficiente, così freddo e controllato, in chi ripone tutta questa lealtà? La risposta è: nessuno.» 
Gli occhi di Dussander ebbero un luccichio giallognolo. 
«Ti ho studiato molto a lungo ed ho calcolato tutte le probabilità. Ti conosco e conosco anche molti aspetti del tuo carattere — no, non tutto, perché un essere umano non può mai sapere tutto quello che c'è nel cuore di un altro essere umano — ma so molto poco di quello che fai e chi vedi fuori da questa casa. Perciò ho pensato, 'Dussander, c'è una possibilità che tu ti sbagli. Dopo tutti questi anni vuoi essere preso e forse ucciso, perché hai valutato male un ragazzino?' Forse quando ero più giovane avrei seguito quest'unica possibilità — le probabilità sono delle buone probabilità, e la possibilità è una piccola possibilità. Per me è molto strano, sai — più si diventa vecchi e meno cose ci sono da perdere nel calcolo vita-morte... ma  nonostante questo, si diventa sempre più conservatori.» Lo sguardo che rivolse al viso di Todd fu durissimo. 
«Ho ancora una cosa da dire, e dopo potrai andartene quando vorrai. Quello che voglio dire è che, mentre io dubito dell'esistenza della tua lettera, tu non dovrai mai dubitare dell'esistenza della mia. Il documento che ti ho descritto, esiste. Se io oggi muoio... domani... tutto sarà reso noto. Tutto.» 
«Allora per me non c'è scampo», Todd disse. Emise una risatina di sbalordimento. «Non te ne rendi conto?» 
«Invece c'è. Gli anni passeranno. E mentre passeranno, il tuo potere su di me sarà sempre meno forte, perché per quanto la mia vita e la mia libertà possano sembrarmi importanti, gli americani e — sì, anche gli israeliani 
— avranno sempre meno interesse a privarmene.» 
«Sì? Ed allora perché non lasciano libero quel Hess?» 
«Se fossero solo gli americani ad avere la sua custodia — gli americani che rimettono in libertà gli assassini con una bacchettata sulle mani — l'avrebbero lasciato andare», Dussander disse. «Gli americani faranno estradare un uomo ottuagenario così gli israeliani potranno impiccarlo come hanno impiccato Eichmann? Io credo di no. Non in un paese dove mettono le foto dei pompieri che salvano dei micetti sugli alberi in prima pagina sui quotidiani cittadini. 
«No, il tuo potere su di me s'indebolirà sempre più, mentre il mio su di te crescerà smisuratamente. Nessuna situazione è mai statica. E verrà un giorno — se vivrò abbastanza a lungo — in cui deciderò che quello che sai non ha più importanza. Ed allora distruggerò il documento.» 
«Ma tante cose potrebbero capitarti nel frattempo! Incidenti, malattie, malori...» 
Dussander scrollò le spalle. «'Ci sarà acqua se Dio vorrà, e noi la troveremo se Dio vorrà, e noi la berremo se Dio vorrà'. Quel che accade non dipende da noi.»  Todd osservò il vecchio a lungo — molto a lungo. C'erano degli errori nelle ragioni di Dussander, dovevano esserci. Una via d'uscita, un varco, una scappatoia per tutti e due o solamente per Todd. Un modo per ritirarsi — arimo, ragazzi, mi sono fatto male al piede, tocco terra e sospendo il gioco. Una latente previsione degli anni bui che lo aspettavano gli si visualizzò da qualche parte dietro agli occhi; riusciva a sentirla lì, che aspettava di nascere in pensiero consapevole. Dovunque andasse, qualunque cosa facesse... 
Gli venne in mente un personaggio dei cartoni animati con un'incudine sospesa sul capo. Quando avesse finito il liceo, Dussander avrebbe avuto ottantun anni, e non sarebbe stata la fine; e quando si fosse laureato, Dussander ne avrebbe avuti ottantacinque ed avrebbe ancora creduto di non essere ancora abbastanza vecchio, avrebbe finito la tesi di dottorato e concluso gli studi nell'anno in cui Dussander avrebbe compiuto ottantasette anni... e Dussander poteva ancora non sentirsi al sicuro. 
«No», rispose Todd seccamente. «Quello che stai dicendo... non posso affrontarlo.» 
«Ragazzo mio», disse Dussander dolcemente, e Todd sentì per la prima volta con orrore crescente il leggero accento che il vecchio aveva posto sulla seconda parola. «Ragazzo mio... tu devi.» 
Todd lo fissò, la lingua gonfia ed impastata nella bocca cresceva quasi a riempirgli il palato e strozzarlo. Poi si girò ed annaspò per uscire dalla casa. 
Dussander osservò tutta la scena senza alcuna espressione, e quando la porta fu sbattuta e i passi del ragazzo che correva non furono più udibili, chiaro significato del fatto che era salito sulla bici, si accese una sigaretta. Non c'era, ovviamente, nessuna cassetta di sicurezza, nessun documento. Ma il ragazzo aveva creduto nell'esistenza di quelle cose; aveva creduto a tutto. Era salvo. Era tutto finito. 

Ma non era finito. 

Quella notte sognarono tutti e due degli assassinii, e tutti e due si svegliarono con una sensazione mista di terrore ed estasi. 
Todd si svegliò con l'oramai familiare appiccicaticcio al basso ventre. Dussander, troppo vecchio per quelle cose, indossò l'uniforme delle SS e poi si stese di nuovo aspettando che il suo cuore in corsa rallentasse. L'uniforme era stata cucita per pochi dollari ed era già lisa. 
Nel suo sogno, Dussander era finalmente riuscito a raggiungere il campo in cima alla collina. Il grosso cancello si era aperto scorrevolmente e poi si era richiuso brontolando sui binari di acciaio dopo la sua entrata all'interno. Sia il cancello che il recinto erano elettrificati. I suoi inseguitori, nudi e scarni, si erano gettati contro il recinto ondata dopo ondata; Dussander gli aveva riso in faccia e camminava pavoneggiandosi avanti e indietro, con il petto in fuori ed il cappello perfettamente sulle ventitré. L'intenso odore melenso di carne bruciata aveva riempito l'aria nera e lui s'era svegliato nel sud della California pensando alle lanterne fatte con le zucche svuotate ed alla notte in cui i vampiri vanno alla ricerca della fiamma azzurra. 

Due giorni prima della data programmata per la partenza dei Bowden per le Hawaii, Todd tornò al cantiere ferroviario abbandonato dove una volta la gentaglia montava sui treni diretti a San Francisco, Seattle e Las Vegas; dove altra gente, più vecchia, una volta soleva montare sui carri  merce per Los Angeles. 
Era quasi il crepuscolo quando ci arrivò. Sulla curva dell'autostrada, quasi ad un chilometro di distanza, si potevano vedere già i fanalini di coda accesi delle automobili. Nonostante facesse caldo, Todd indossava una giacca leggera. Nascosto nella cintura, sotto la giacchetta, c'era un coltellaccio da macellaio avvolto in un vecchio strofinaccio. Aveva acquistato il coltello in un enorme grande magazzino, uno di quelli circondato da acri di parcheggio. Guardò sotto la piattaforma dove il mese precedente aveva visto il barbone.
La testa gli girava e girava ma non faceva perno su nulla; tutto dentro di lui non era altro che un'ombra nera su uno sfondo nero. Quello che trovò era lo stesso barbone, o forse un altro; più o meno si assomigliavano tutti. 
«Ehi!» chiamò Todd. «Ehi! Vuoi dei soldi?» 
Il barbone si girò, ammiccando. Vide il largo sorriso di Todd e cominciò a restituirgli il sorriso. Un secondo più tardi il coltello da macellaio discese, un risolino, quasi un nitrito, il luccichio bianco, cromatico ed il colpo abile e preciso a fendere l'irsuta guancia destra. Il sangue zampillò. Todd riusciva a vedere la lama nella bocca spalancata del barbone... e poi per un breve istante la punta del coltello catturò l'angolo sinistro delle labbra del barbone, squarciandogli la bocca in un folle ghigno; Todd stava intagliando il barbone come fosse una zucca di Halloween. 
Pugnalò il barbone trentasette volte. Tenne il conto. Trentasette, contando il primo colpo che gli aveva trapassato la guancia e tramutato il sorriso appena accennato in un enorme ghigno orribile. Il barbone aveva cessato ogni tentativo di urlare alla quarta pugnalata. Smise i tentativi di lottare alla sesta. Todd infine strisciò fin sotto la piattaforma e concluse il lavoro. 
Sulla via di casa, gettò il coltello nel fiume. I suoi pantaloni si erano macchiati di sangue. Li gettò nella lavatrice ed impostò il lavaggio a freddo. Erano rimaste ancora leggere ombre sui calzoni quando li tirò fuori, ma Todd non se ne preoccupò. Sarebbero sbiadite col tempo. Il giorno dopo si accorse di poter alzare a malapena il braccio destro oltre la spalla. Disse a suo padre che doveva trattarsi di uno strappo che si era fatto tirando il pepe nel parco con alcuni suoi amici. 
«Andrà meglio alle Hawaii», Dick Bowden disse, accarezzando i capelli di Todd, e fu così; quando tornarono a casa, il braccio fu come nuovo. 

13 

Era nuovamente luglio. Dussander, vestito ordinatamente con uno dei suoi tre completi (non il migliore), era in piedi alla fermata dell'autobus in attesa dell'ultimo locale giornaliero che lo avrebbe portato a casa. Erano le 22.45. Era stato al cinema, una commedia leggera e frivola che si era davvero gustato. Era di buon umore già dalla mattina quando aveva ricevuto la posta. C'era una cartolina del ragazzo, una foto a colori sbiaditi della spiaggia di Waikiki con una serie di altissimi hotel perlacei che sorgevano sullo sfondo. Dietro c'era un breve messaggio. 

Caro signor Denker, 
Caspita, questo sì che è paradiso. Nuoto tutti i giorni. Mio padre ha preso un pesce enorme e mia madre ci ha preso gusto con la lettura (sto scherzando). Domani andremo su un vulcano. Cercherò di non cascarci dentro. Spero che tu stia bene. 
Todd 

Stava ancora sorridendo debolmente pensando al significato di quell'ultimo augurio quando sentì una mano toccargli il gomito. 
«Signore?» 
«Sì?» 
Si voltò, sempre sul chi vive — anche a Santo Donato gli scippatori si davano da fare — e poi trasalì all'odore. Sembrava un cocktail di birra, alito cattivo, sudore acre e probabilmente anche Musterole. Era un ubriacone con i calzoni cascanti. Lui — il barbone — indossava una camicia di flanella e delle vecchissime Keds che teneva assieme con degli strati di nastro adesivo lerci. Il viso che spuntava da questo abbigliamento così arlecchinesco sembrava quello della morte di Cristo. 
«Ha qualche spicciolo, signore? Devo portarmi a Los Angeles. Ho l'opportunità di lavorare. Ho bisogno solo di un altro centesimo per il biglietto dell'autobus espresso. Non lo chiederei se non fosse una grande botta per me.» 
Dussander aveva accennato un'espressione di disapprovazione, ma ora il sorriso stava riguadagnandosi la precedente postazione. «È veramente il biglietto dell'autobus che vuoi?» Il barbone sorrise malamente, non capendo. 
«Supponiamo che tu venga in autobus a casa con me», propose Dussander. «Posso offrirti da bere, un pasto, un bagno e un letto. Tutto quel che ti chiedo in cambio è solo un po' di conversazione. Io sono un vecchio. Vivo solo. A volte un po' di compagnia ci vuole.» 
Il sorriso dell'ubriacone divenne sempre più largo man mano che gli si chiariva la situazione. Ecco un vecchio rimbambito con la voglia di fare una buona azione. 
«Sei tutto da solo! Ci si sente di merda, vero?» 
Dussander rispose con un sorriso molto gentile al largo ghigno d'insinuazione. «L'unica cosa che ti chiedo è di non sederti vicino a me sull'autobus. La tua puzza è insopportabile.» 
«Forse non vuole neppure che le porti la mia puzza in casa sua, allora», ribatté l'ubriacone con un'improvvisa dignità da alticcio. 
«Dai, l'autobus sta per arrivare. Scendi una fermata dopo la mia e poi torna indietro di due isolati, io ti aspetterò all'angolo. E domattina vedrò cosa potrò darti. Forse due dollari.» 
«Magari anche cinque», accennò con vigore l'ubriacone. La sua dignità, alticcia o no, se l'era completamente dimenticata. 
«Forse, forse», disse con impazienza Dussander. Riusciva già a sentire il basso brontolio del motore diesel dell'autobus che stava arrivando. Mise un quarto di dollaro, l'esatto ammontare del biglietto dell'autobus, nella mano sudicia del pezzente, e si allontanò di alcuni passi senza volgersi indietro. 
Il barbone stava in piedi, impalato ed indeciso, mentre la luce dei fari dell'autobus locale illuminava la strada. Era ancora lì, impalato, ad osservare con cipiglio il quarto di dollaro mentre il vecchio rimbambito stava già salendo sull'autobus senza guardarsi indietro. L'ubriacone cominciò ad allontanarsi e poi — nell'ultimo secondo — cambiò direzione e montò sull'autobus proprio prima che le porte si richiudessero. Inserì il quarto di dollaro nella macchinetta con l'espressione di chi stava gettando cento dollari giù da uno scarico. Oltrepassò Dussander senza neanche degnarlo di più di un'occhiata sfuggente e si sedette proprio in fondo all'autobus. Sonnecchiò un po' e quando si risvegliò, il vecchio riccone rimbambito era scomparso. Scese alla prima fermata, non sapendo se si trattasse di quella giusta o meno, e senza neanche preoccuparsene eccessivamente. Ritornò indietro di due isolati e vide una figura sfocata sotto il lampione. Sì, era proprio il vecchio riccone rimbambito. Il vecchio lo stava osservando arrivare ed era ritto come fosse sull'attenti. Per un brevissimo istante il barbone sentì un brivido di apprensione, un impulso di voltarsi e dimenticarsi tutta la faccenda. 
Poi il vecchio lo aveva già afferrato per il braccio... e la sua presa era sorprendentemente forte. 
«Bene», disse il vecchio. «Sono molto contento che tu sia venuto. Casa mia è di qua. Non è lontana.» 
«Forse anche dieci», disse il barbone, permettendogli di trascinarlo. 
«Forse anche dieci», accettò il vecchio riccone rimbambito, e poi rise. «Chissà?» 

14 

Era l'anno del Bicentenario. Todd passò a salutare Dussander una mezza dozzina di volte fra il suo ritorno dalle Hawaii nell'estate del 1975 ed il viaggio a Roma che lui ed i suoi genitori avevano intrapreso proprio quando giungevano al culmine i festeggiamenti: il rullio dei tamburi, lo sventolio delle bandiere e tutto il resto. Il primo di giugno Todd ottenne un permesso speciale per lasciare la scuola in anticipo e tornarono tre giorni prima del quattro. 
Queste visite a Dussander erano tranquille ed in nessun modo spiacevoli; i due scoprirono di poter trascorrere il tempo abbastanza civilmente. I loro silenzi erano più eloquenti di qualsiasi parola e le loro effettive conversazioni avrebbero fatto sonnecchiare persino un agente dell'FBI. Todd raccontò al vecchio che frequentava una ragazza chiamata Angela Farrow di tanto in tanto. Non è che lui fosse pazzo di lei, ma era la figlia di uno degli amici di sua madre. Il vecchio invece raccontò a Todd che aveva iniziato ad intrecciare tappeti perché quest'attività, aveva letto, faceva bene per l'artrite. Mostrò a Todd vari campioni del suo lavoro e Todd li ammirò com'era suo dovere. 
Il ragazzo era cresciuto un bel po', non era vero forse? (Be', cinque centimetri.) Dussander aveva smesso di fumare? (No, ma era stato obbligato a diminuire drasticamente il numero di sigarette; lo facevano tossire troppo adesso.) E come procedeva il suo andamento scolastico? (Stimolante ma emozionante. Aveva tutti ottimi giudizi, era arrivato agli esami finali di stato con la sua ricerca di scienze pure sull'energia solare, ed ora stava pensando di laurearsi in antropologia invece che in storia, una volta entrato al college.) Chi stava falciando il prato di Dussander quest'anno? (Randy Chambers che abitava proprio in fondo alla strada — un bravo ragazzo, ma piuttosto lento e grasso.) 
Nel corso di quell'anno Dussander aveva ucciso tre barboni nella sua cucina. Era stato avvicinato alla fermata dell'autobus giù in centro una ventina di volte, aveva fatto l'offerta del sorso da bere, di un buon pasto, il bagno caldo ed un comodo letto sette volte. Due volte avevano rifiutato ed altre due volte i barboni se ne erano semplicemente andati via con il quarto di dollaro che Dussander aveva dato loro per fare il biglietto. Dopo averci riflettuto un po', aveva escogitato un sistema per evitare quest'eventualità. Acquistava semplicemente un blocchetto di biglietti. Erano due dollari e cinquanta centesimi, validi per quindici corse, e non negoziabili presso il locale venditore di liquori. 
Ultimamente, nei giorni veramente caldi, Dussander aveva notato uno spiacevole lezzo che saliva dalla cantina. Teneva le porte e le finestre perfettamente sigillate in quei giorni. 
Todd Bowden aveva trovato un barbone che dormiva in un canale di drenaggio abbandonato sulla Cienaga Way. Questo era accaduto in dicembre, durante le vacanze di Natale. Era stato lì per un po' di tempo, con le mani ficcate nelle tasche, a osservare il barbone, tremando. Era tornato al lotto sei volte nelle ultime cinque settimane, sempre indossando la sua giacchetta leggera chiusa fino a metà dalla zip per nascondere il martello infilato nella cintura. Finalmente aveva ritrovato il barbone — quello stesso o forse un altro, tanto non gliene fregava niente a nessuno — il primo giorno di marzo. Aveva cominciato con la parte a martello dell'utensile, e poi, a un certo punto (non si ricordava effettivamente quando; ogni cosa fluttuava in una marea rossa), era passato a utilizzare la parte uncinata, massacrando il viso del barbone. 
Per Kurt Dussander i barboni rappresentavano un sacrificio semicinico di propiziazione agli dei che egli aveva finalmente accettato... o riapplicato. Ed era divertente con i barboni. Lo facevano sentire vivo. Stava cominciando a pensare che gli anni che aveva trascorso a Santo Donato — gli anni precedenti al suo incontro con il ragazzo sullo scalino di casa con i suoi grandi occhi azzurri ed il suo largo sorriso americano — erano stati anni passati ad invecchiare prima del tempo. Aveva appena passato i sessantacinque quando era venuto qui. Ed ora si sentiva molto più giovane di allora. L'idea di propiziare gli dei all'inizio avrebbe impressionato Todd — ma dopotutto avrebbe anche potuto accettarla. Dopo aver pugnalato il barbone sotto la piattaforma ferroviaria, si era aspettato un intensificarsi dei suoi incubi — forse si era aspettato perfino di diventare pazzo. Si era aspettato ondate di sensi di colpa paralizzanti che potevano benissimo finire con una confessione oppure con il suo suicidio. 
Ma non provò nessuna di queste cose, se ne era andato alle Hawaii con i suoi genitori e si era goduto la più bella vacanza della sua vita. 
Aveva iniziato il liceo in settembre sentendosi stranamente nuovo e rinfrescato, come se un'altra persona fosse entrata nella pelle di Todd Bowden. Le cose che non l'avevano più impressionato particolarmente dalla tenera infanzia — la luce del sole appena dopo l'alba, la veduta dell'oceano dal Fish Pier, la vista delle persone che si affannavano giù per le vie del centro nell'esatto momento del crepuscolo, quando venivano accesi i lampioni delle strade — queste cose ora si forgiavano di nuovo nella sua mente in una serie di splendenti immagini, talmente chiare da sembrargli patinate. Si assaporava la vita sul palato come un sorso di vino bevuto direttamente dalla bottiglia. 
Dopo aver visto il barbone nel canale, gli incubi erano ricominciati. Quello più ricorrente concerneva il barbone che aveva pugnalato a morte nel cantiere ferroviario abbandonato. Tornato da scuola, piombava in casa, un allegro Ciao, piccola-Monica! sulle labbra. Ma gli moriva lì appena vedeva il barbone morto nell'angolo da pranzo. Era seduto, accasciato sul loro tavolo con il blocco di marmo da macelleria, con la sua camicia ed i suoi pantaloni maleodoranti di vomito. Il sangue era colato sulle mattonelle bianche splendenti; si stava già asciugando sul lavello di acciaio inossidabile. C'erano manate di sangue sugli armadietti in legno di pino naturale. 
Sulla lavagnetta, accanto al frigo, era stato attaccato un messaggio di sua madre: Todd — Sono al super. Torno per le 15.30. Le lancette dell'orologio stilizzato del Sol Levante, sopra il grill, indicavano le 15.20 ed il barbone era lì morto stecchito nell'angolo, come un orrido trasudante relitto dello scantinato di un rigattiere e c'era sangue dappertutto, e Todd cominciò a cercare di pulirlo, strofinando tutte le superfici esposte, e per tutto il tempo continuando ad urlare al barbone morto che se ne doveva andare, che doveva lasciarlo in pace, ed il barbone invece continuava a ciondolare e stava lì morto, sogghignando al soffitto, e zampilli di sangue fresco continuavano a fuoruscire dalle pugnalate nella sua pelle sporca. Todd afferrò lo spazzolone dall'armadietto e cominciò a passarlo all'impazzata su e giù per il pavimento, consapevole del fatto che non stava effettivamente tirando su il sangue, ma lo stava solo diluendo, spargendolo tutt'intorno, incapace però di arrestarsi. E proprio quando sentì la giardinetta di sua madre infilare il loro vialetto, si rese conto che il barbone era Dussander. Si risvegliava tutto sudato da questi sogni ed annaspava, aggrappato con tutte e due le mani alle coperte. 
Ma poi trovò di nuovo il barbone nel canale di drenaggio, finalmente — quello stesso, oppure un altro — ed usò il martello contro di lui, e questi sogni scomparvero. Supponeva che avrebbe dovuto uccidere ancora, e forse più di una sola volta. Era un peccato, ma ovviamente il periodo della loro utilità in qualità di esseri umani era scaduta. A parte la loro utilità per Todd, ovviamente. E Todd, come qualunque altra persona che conosceva stava solo tagliandosi su misura il proprio stile di vita perché andasse a pennello con i suoi particolari bisogni di ragazzo che cresceva. In effetti non era molto diverso dagli altri. Dovevi guadagnarti il tuo futuro nel mondo; se volevi farcela, dovevi conquistarti tutto da solo. 

15 

Nell'autunno del primo anno di ginnasio, Todd giocò in posizione di attaccante posteriore per una squadra universitaria, la Santo Donato Cougars e fu nominato Capitano. E nel secondo trimestre di quell'anno, il trimestre che terminò nel gennaio inoltrato del 1977, vinse il Concorso di Composizione Patriottica della Legione Americana. Questo concorso era aperto a tutti gli studenti di istituti superiori secondari della città che avevano scelto di partecipare a seminari di storia americana. L'elaborato di Todd era intitolato «La responsabilità di un americano». Durante la stagione di baseball di quell'anno fu il miglior lanciatore della scuola, vincendone quattro e non perdendo mai. La sua media di battuta era di .361. Fu nominato Atleta dell'Anno nella riunione scolastica dei riconoscimenti, in giugno, e gli fu consegnata una targa dall'allenatore Haines (l'allenatore Haines che una volta lo aveva preso in disparte e gli aveva detto di continuare ad allenarsi sulla curva «perché nessuno di questi negri sa veramente lanciare una pallacurva, Bowden, nemmeno uno di loro»). Monica Bowden era scoppiata a piangere quando Todd l'aveva chiamata da scuola dicendole che avrebbe ricevuto il premio. Dick Bowden camminò con il petto in fuori per due settimane dopo la cerimonia, cercando di non darsi delle arie. Quell'estate presero in affitto un bungalow a Big Sur e vi trascorsero due settimane e Todd s'immergeva sott'acqua sino a farsi scoppiare i polmoni. Sempre nel corso di quell'anno, Todd aveva ucciso quattro derelitti. Due li aveva pugnalati e gli altri due li aveva uccisi a bastonate. Aveva preso l'abitudine di indossare due paia di pantaloni, per quelle che oramai considerava spedizioni di caccia. A volte se ne andava in giro sugli autobus cittadini in cerca di luoghi adatti. I due che giudicava i migliori erano la Missione di Santo Donato per gli Indigenti sulla Douglas Street e dietro l'angolo dell'Esercito della Salvezza sulla Euclid. Si metteva a camminare lentamente per questi due quartieri, aspettando richieste di elemosina. Quando un mendicante lo avvicinava, Todd gli raccontava che lui, Todd, voleva una bottiglia di whisky e se gliela andava a comprare il barbone, se la sarebbero scolata insieme. Lui conosceva il posto, diceva, dove potevano andare. Era un posto diverso ogni volta, naturalmente. Resistette ad un fortissimo desiderio di tornare sia al cantiere ferroviario che al canale di drenaggio dietro al lotto in affitto sulla Cienaga Way. Tornare sul luogo di un precedente delitto non sarebbe stato saggio. 
Durante lo stesso anno, Dussander fumò con parsimonia, beveva il suo Ancient Age Bourbon e guardò la TV. Todd passava ogni tanto ma la loro conversazione divenne sempre più arida. Si stavano allontanando. Dussander celebrava quell'anno il suo settantanovesimo compleanno, ed era lo stesso anno in cui Todd ne compì sedici. Dussander sottolineò che sedici anni era l'anno più bello nella vita di un ragazzo, quarantuno l'anno migliore per un uomo di mezza età e settantanove il migliore per un vecchio. Todd annuì cortesemente. Dussander era abbastanza ubriaco e ciarlava in un modo che metteva Todd decisamente a disagio. 
Dussander aveva liquidato altri due barboni durante l'anno accademico 1976-77 di Todd. Il secondo si era rivelato assai più vivace di quel che sembrava; anche dopo averlo ubriacato ben bene, se ne era andato passeggiando per la cucina con il manico di un coltello da bistecca che gli emergeva dalla base del collo, ed il sangue che gli sgorgava giù sul davanti della camicia e sul pavimento. Il barbone aveva ritrovato l'ingresso principale dopo due giri traballanti della cucina ed era quasi riuscito a scappare di casa. 
Dussander era rimasto ritto in cucina, gli occhi spalancati per l'incredulità, a osservare il barbone che affannato e sbuffando, si guadagnava la via fino alla porta, sbattendo da una parete del corridoio all'altra e buttando a terra produzioni economiche di Currier & Ives. Non si riprese dalla paralisi che quando il barbone stava effettivamente annaspando con la maniglia. Allora Dussander era balzato dall'altra parte della stanza, aveva spalancato il cassetto degli utensili, ed aveva estratto la forcella per l'arrosto. Era corso giù per il corridoio con la forcella per l'arrosto diritta davanti a sé e l'aveva spìnta nella schiena del barbone. Dussander gli stava sopra, ansimando, il suo vecchio cuore correva all'impazzata... correva come il cuore di una vittima di infarto in quel programma del sabato sera che tanto gli piaceva, Emergency! Ma finalmente era rallentato tornando al suo ritmo normale, e sapeva che sarebbe stato benissimo. 
C'era stato un bel po' di sangue da pulire. 
Questo era successo quattro mesi fa, e da allora non aveva più fatto la sua offerta alla fermata dell'autobus giù in centro. Era spaventato dal modo in cui aveva quasi ceduto l'ultima volta... ma quando ripensava a come aveva risolto le cose all'ultimo momento, si sentì orgoglioso di sé. Alla fine il barbone non ce l'aveva fatta ad uscir dalla porta, e quella era la cosa importante. 

16 

Nell'autunno del 1977, durante il primo trimestre del suo ultimo anno di liceo, Todd divenne membro del Club di Tiro. A giugno del 1978 si era qualificato come tiratore scelto. Fu nuovamente nominato Capitano per il football; nella stagione di baseball ne vinse cinque e ne perse una (la sconfitta derivante da due errori e da un mancato rientro alla base) e si qualificò con il terzo miglior punteggio per le borse di studio per merito nella storia della scuola. Fece domanda di ammissione a Berkeley e fu immediatamente accettato. Già ad aprile sapeva che per la serata dei diplomi avrebbe tenuto o il discorso di commiato o quello di apertura. Voleva assolutamente tenere quello di commiato. 
Nel corso dell'ultima metà di quest'anno conclusivo, uno strano impulso  lo assalì — impulso particolarmente spaventoso per Todd perché era irrazionale. Sembrava tenerlo chiaramente e decisamente sotto controllo, ed almeno questo era confortante, ma quel che lo impauriva era che questo pensiero gli era passato per la testa. Aveva già fatto tutti i suoi programmi per la vita. Si era calcolato tutte le sue cose. La sua vita era, per molti aspetti, molto simile alla bella cucina pulita e splendente di sua madre, dove tutte le superfici erano cromate, rivestite di formica o di acciaio inossidabile — un posto dove tutto funzionava quando premevi un bottone. Naturalmente c'erano armadi profondi e scuri in questa cucina, ma molte cose vi potevano essere riposte e le ante potevano ancora venir chiuse. Questo nuovo impulso gli fece ricordare il sogno in cui tornava a casa e scopriva il corpo del barbone morto e sanguinante nel luogo lindo e pinto di sua madre. Era come se, nell'attento e luminoso programma che si era costruito, in quella cucina con un-posto-per-tutto-e-tutto-al-suo-posto della sua mente, si fosse imboscato un losco e sanguinoso intruso barcollante e vacillante in cerca di un posto per morire vistosamente... 
A un mezzo chilometro dalla casa dei Bowden c'era l'autostrada, con le sue ben otto corsie. Una ripida scarpata cespugliosa conduceva là. C'erano un buon numero di nascondigli sul pendio. Suo padre gli aveva regalato un Winchester .30-.30 per Natale, ed aveva un mirino telescopico staccabile. Durante l'ora di punta, quando tutte le otto corsie erano intasate, avrebbe potuto scegliere un posticino su quella pendenza e... be'; avrebbe facilmente potuto... 
Fare che cosa?  Suicidarsi? 
Distruggere tutto quello per cui aveva lavorato in quegli ultimi quattro anni? 
Dire che cosa? 
No, signore, no, signora, non c'è modo. 
È veramente, come si dice, da ridere. 
Certo, lo era... Ma l'impulso restava. 
Un sabato, qualche settimana prima della maturità, Todd mise nella custodia il .30-.30 dopo aver attentamente svuotato il caricatore. Mise il fucile sul sedile posteriore del nuovo giocattolino di suo padre — una Porsche usata. Guidò fino al punto dove il pendio cespuglioso scoscendeva ripidamente fino all'autostrada. Sua madre e suo padre avevano preso la giardinetta e se ne erano andati a Los Angeles per il fine settimana. Dick, oramai socio a tutti gli effetti, stava sicuramente tenendo banco con la gente di Hyatt per un nuovo albergo a Reno. 
Il cuore gli batteva forte nel petto e la bocca era piena di saliva amara nello scendere giù per la scarpata con la custodia del fucile nelle mani. Arrivò ad un albero abbattuto e gli si sedette dietro a gambe incrociate. Prese il fucile dalla custodia e lo appoggiò sul tronco liscio e morto dell'albero. Un ramo che sporgeva ad angolo si offriva come ottimo appoggio per la canna. Si strinse la piastra di fondo nell'incavo della spalla destra e spiò dal mirino telescopico. 
Stupido! gli urlava dietro la sua stessa mente. Cristo, questa è veramente da stupido! Se qualcuno ti vede, non avrà alcuna importanza se il fucile è carico o no! Ti ficcherai in un sacco di guai, potresti anche finire con un figlio di puttana che ti spara addosso. Era metà mattina ed il traffico quel sabato non era intenso. Puntò la croce di collimazione su una donna al volante di una Toyota azzurra. Il finestrino della donna era semi-aperto ed il girocollo della camicetta senza maniche le ondeggiava. Todd centrò la croce di collimazione alla sua tempia e sparò a vuoto. Non era certo un bene per il percussore, ma chi se ne frega. 
«Pum», bisbigliò mentre la Toyota scompariva nel sottopassaggio ad un chilometro dal pendio dove sedeva Todd. Mandò giù un groppo che gli sembrava più grande di una manciata di spiccioli. 
Ecco che arrivava un uomo al volante di un furgoncino Subaru. L'uomo aveva una barba grigia simile al pizzetto di una capra ed indossava un cappellino da baseball della San Diego Padres. 
«Tu... tu sei quel maledetto bastardo... il maledetto bastardo che ha ucciso mio fratello», bisbigliò Todd, ridendo leggermente, e nuovamente sparò a vuoto con il .30-.30. 
Sparò contro altri cinque, il tac impotente del cane che rompeva l'illusione alla fine di ogni «uccisione». Poi rimise il fucile nella custodia. La riportò su per il pendio, curvandosi per evitare di essere visto. La mise nel baule della Porsche. Avvertiva un secco e bollente martellamento alle tempie. Guidò fino a casa. Salì in camera sua. Si masturbò. 

17 

Il barbone indossava una maglietta stracciata di renna disfatta che era talmente impressionante da sembrare quasi surreale qui nel Sud della California. Indossava anche un paio di blue jeans da marinaio fino al ginocchio che lasciavano in vista la carne bianca e pelosa ed una serie di croste causate da sbucciature. Alzò il barattolo della marmellata — Fred e Wilma, Barney e Betty danzavano attorno all'orlo in quel che poteva rappresentare un grottesco rito di fertilità — e si tracannò in un unico sorso la mitragliata di Ancient Age. Schioccò le labbra per l'ultima volta in vita sua. 
«Signore, questo colpisce il punto giusto. E non mi dispiace dirlo.» 
«Mi faccio sempre una bella bevuta la sera», convenne Dussander da dietro di lui, e poi gli conficcò il coltellaccio da macellaio nella nuca. Si udì un suono di cartilagine squarciata, un suono come un'ala che viene strappata con entusiasmo da un pollo appena finito di arrostire. Il barattolo di marmellata cadde di mano al barbone finendo sul tavolo. Rotolò fino all'angolo, ed il suo movimento incoraggiò l'illusione che i personaggi dei cartoni animati su di esso stavano effettivamente danzando. 
Il barbone tirò indietro la testa e tentò di urlare. Non ne uscì nulla a parte un ripulsivo suono sibilante. Spalancò gli occhi, sempre di più... e poi la testa gli piombò pesantemente sull'incerata a quadretti bianchi e rossi che ricopriva il tavolo da cucina di Dussander. La dentiera superiore del barbone scivolò per metà dalla bocca come un ghigno semi staccabile. Dussander tirò con violenza per liberare il coltello — dovette usare tutte e due le mani per farcela — e si diresse al lavandino della cucina. Era pieno di acqua calda, di detersivo al limone e dei piatti sporchi della cena. Il coltello scomparve nei flutti di bolle al cedro, come un minuscolo cacciabombardiere tuffatosi in una nuvola. 
Si portò nuovamente verso il tavolo e si fermò lì, posando una mano sulla spalla del barbone morto mentre uno spasmo di tosse lo attraversò. Tirò fuori il fazzoletto dalla tasca posteriore e vi espettorò un muco marroncino giallognolo. Aveva fumato un po' troppo ultimamente. Gli succedeva sempre quando stava per decidere di farne fuori un altro. Ma questa gli era andata liscia; aveva temuto, dopo il macello che aveva creato con l'ultimo, di star gravemente sfidando il fato provandoci ancora. 
Ora, se si si fosse sbrigato, avrebbe ancora avuto la possibilità di vedere la seconda metà di Lawrence Welk. 
Velocemente attraversò la cucina, aprì la porta della cantina e girò l'interruttore della luce. Ritornò al lavello e prese il pacchetto dei sacchi verdi per la spazzatura dall'armadietto lì sotto. Ne aprì uno, sbattendolo, mentre ritornava verso il corpo ricurvo. Il sangue si era versato sull'incerata in tutte le direzioni. Se ne era formata una pozzetta nel grembo del barbone e sul linoleum sbiadito e in dislivello. Ne era finito anche sulla sedia, ma tutte quelle cose si potevano pulire. 
Dussander afferrò il barbone per i capelli e tirò su violentemente la testa, che seguì il movimento con fiacca facilità, ed un istante più tardi il barbone si stava dondolando all'indietro, come un uomo che stava aspettando lo shampoo prima del taglio. Dussander infilò il sacchetto della spazzatura sulla testa del barbone, lo srotolò oltre le spalle, giù fino alle braccia, arrivando ai gomiti. Non andava più giù. Slacciò la cintura del suo povero ospite e la liberò dagli oramai lisi passanti. Avvolse la cintura attorno al sacchetto della spazzatura cinque o sei centimetri sopra ai gomiti e la strinse chiudendola. La plastica frusciò. Dussander cominciò a canticchiare «Lili Marlene» sottovoce. 
I piedi del barbone calzavano sporche pantofole con cagnolini di peluche tutti consumati. Composero una molle V sul pavimento mentre Dussander afferrò la cintura e trascinò il cadavere verso la porta della cantina. Qualcosa di bianco tombolò dal sacchetto di plastica e risuonò sul pavimento. Era la dentiera superiore del barbone, notò Dussander. La raccolse e la ficcò in una delle tasche davanti del barbone. 
Appoggiò il corpo nell'entrata della cantina con la testa che ora gli dondolava all'indietro sul secondo scalino. Dussander fece il giro del corpo e gli diede tre calci fortissimi. Con i primi due il corpo si mosse leggermente, ma il terzo lo smosse facendolo scivolare mollemente giù per le scale. A metà del percorso, i piedi si elevarono al di sopra della testa ed il cadavere eseguì una capriola acrobatica. Spanciò sulla sporcizia pressata del terreno della cantina con un solido tonfo. Una pantofola con il cane di peluche gli volò via e Dussander si fece un appunto nel cervello per ricordarsi di raccoglierla. 
Scese giù per le scale, rasentò il corpo e si diresse verso il banco degli utensili. A sinistra del banco, poggiavano contro il muro in ordinata rassegna, una pala, un rastrello ed una zappa. Dussander scelse la pala. Un po' di esercizio faceva bene ad un uomo anziano. Un po' di esercizio poteva farti sentire più giovane. L'odore quaggiù non era dei migliori, ma non lo disturbava particolarmente. Ci dava una mano di calce una volta al mese (una volta ogni tre giorni dopo che aveva «sistemato» uno dei suoi barboni) e si era comprato un ventilatore che metteva in funzione di sopra per evitare che la puzza trapelasse dalle mura di casa nei giorni molto caldi e senza vento. Josef Kramer, si ricordava, aveva sempre amato ripetere che i morti parlano, ma noi li sentiamo con il naso. 
Dussander scelse un punto a nord della cantina e si mise al lavoro. Le dimensioni della tomba erano di un metro per due. Era arrivato ad una profondità di mezzo metro, quasi a metà del lavoro, quando lo colpì la prima fitta paralizzante al petto, come una pallottola che gli scoppiava dentro. Si raddrizzò, gli occhi spalancati e sfolgoranti. Il dolore passava giù al braccio... un dolore incredibile, come se una mano invisibile avesse afferrato tutti i vasi sanguigni lì dentro ed ora li stesse strappando via. Osservò la pala cadere di lato e si sentì mancare alle ginocchia. Per un terribile istante pensò che sarebbe stato lui a cadere in quella tomba. 
In qualche modo vacillò all'indietro facendo tre passi e lasciandosi cadere a sedere sul banchetto degli utensili. Aveva una stupida espressione di stupore disegnata sul volto — se la sentiva — e pensò che doveva sembrare come uno di quei commedianti dei film muti dopo che erano stati colpiti da una porta girevole oppure dopo aver pestato una cacca di mucca. Mise la testa fra le ginocchia e respirò affannosamente. 
Quindici minuti passarono lentissimamente. In un certo senso il dolore aveva cominciato a diminuire un po', ma non credeva che sarebbe riuscito a reggersi in piedi. Per la prima volta comprese tutte quelle verità sull'età senile che finora gli erano state risparmiate. Era terrorizzato quasi fino al punto di mettersi a piagnucolare. La morte gli si era strusciata addosso in questa cantina umida e puzzolente; e aveva toccato Dussander con l'orlo della sua veste. Ma poteva sempre tornare a prenderlo. Lui però non sarebbe morto laggiù; non se poteva evitarlo. 
Si alzò con le mani ancora incrociate sul petto, come per mantenere insieme i pezzi del fragile macchinario. Barcollando attraversò lo spazio aperto tra il banco di lavoro e le scale. Il piede sinistro inciampò nella gamba stesa del barbone morto e cadde in ginocchio con un sottile grido. Ci fu un cupo scoppio di dolore nel petto. Guardò su per gli scalini — gli scalini così ripidi, così ripidi. Ce n'erano dodici. Il quadrato di luce in cima era beffardamente lontano. 
«Ein», disse Kurt Dussander, e si portò con determinazione su al primo scalino. «Zwei, Drei, Vier.» 
Gli ci vollero venti minuti per arrivare al pavimento di linoleum della cucina. Due volte, sulle scale, il dolore aveva minacciato di riattaccarlo, ed ambedue le volte Dussander aveva atteso ad occhi chiusi per vedere che cosa sarebbe successo, perfettamente consapevole che se gli fosse tornato così forte come gli era venuto laggiù, ne sarebbe probabilmente morto. Tutte e due le volte il dolore si era dissipato. 
Strisciò per il pavimento della cucina fino al tavolo, evitando le pozze e le strisciate di sangue, che si stavano oramai condensando. Prese la bottiglia di Ancient Age, ne buttò giù un sorso, e chiuse gli occhi. Qualcosa che era stato stretto fortemente nel suo petto sembrò allentarsi leggermente. Il dolore scomparve un po' di più. Dopo altri cinque minuti iniziò a cercarsi lentamente la strada giù per il corridoio. Il telefono stava su di un tavolinetto a metà strada. 

Erano le nove e un quarto quando squillò il telefono in casa Bowden. Todd era seduto a gambe incrociate sul divano ripassandosi gli appunti per l'esame finale di trigonometria. La trigonometria era un osso duro per lui, come lo era tutta la matematica e come probabilmente lo sarebbe sempre stata. Suo padre era seduto dall'altra parte della stanza, impegnato a ricontrollare tutte le cedoline del libretto degli assegni con una calcolatrice portatile sulle ginocchia ed un'espressione di lieve incredulità sulla faccia. Monica, la più vicina al telefono, stava guardando il film di James Bond che Todd aveva registrato dall'HBO due sere prima. 
«Pronto?» ascoltò. Un leggero velo di corruccio le apparì sul viso e tenne alto il ricevitore per Todd. «È il signor Denker. Sembra eccitato per qualcosa.
O dispiaciuto.» 
Il cuore gli saltò in gola, ma l'espressione che Todd aveva sul viso non era quasi mutata. «Davvero?» Andò al telefono e prese il ricevitore dalle sue mani. «Salve signor Denker.» 
La voce di Dussander era roca e fulminea. «Vieni qui immediatamente, ragazzo. Ho avuto un attacco di cuore. Uno abbastanza brutto, credo.» 
«Caspita», disse Todd, cercando di ricomporre i suoi pensieri saettanti per cercare di evitare il senso di paura che ora gli stava bloccando la mente. «È interessante, va bene, ma è molto tardi ed io stavo studiando...» 
«Capisco che tu non possa parlare», prese a dire Dussander con quella voce aspra, quasi abbaiante. «Ma puoi ascoltare. Non posso chiamare un'ambulanza né comporre il due-due-due, ragazzo... per lo meno, non ancora. Qui c'è un macello. Ho bisogno di aiuto... e questo significa che tu hai bisogno di aiuto.» 
«Be'.... se la mette su questo piano...» Il battito cardiaco di Todd aveva raggiunto i centoventi battiti al minuto, ma il suo viso era calmo, quasi sereno. Non l'aveva sempre saputo fin dall'inizio che una notte così sarebbe arrivata? Sì, ovviamente l'aveva sempre saputo. 
«Di' ai tuoi genitori che mi è arrivata una lettera», gli disse Dussander. 
«Una lettera importante. Hai capito?» «Sì, okay», Todd rispose. 
«Adesso vedremo, ragazzo. Vedremo di che pasta sei fatto.» 
«Certamente», disse Todd. Improvvisamente si accorse che sua madre stava guardando lui anziché il film, e si sforzò di incollarsi un rigido sorriso sulle labbra. «Arrivederci.» 
Dussander stava dicendo qualcos'altro ora, ma Todd agganciò. 
«Vado un po' dal signor Denker», disse, parlando a tutti e due ma fissando sua madre — quella flebile espressione di preoccupazione ancora appiccicata sul viso. «Vi serve niente che posso prendervi al drugstore?» 
«Nettapipe per me ed un pacchetto di responsabilità amministrativa per tua madre», disse Dick. 
«Molto divertente», rispose Monica. «Todd, ma il signor Denker...» 
«Ma, nel nome di Dio, che cos'è che hai comperato da Fielding's?» l'interruppe Dick. 
«Quel gingillo di scaffale nell'armadietto. Te l'avevo già detto. Non c'è niente che non va con il signor Denker, eh Todd? Mi è sembrato un po' strano.» 
«Ma esistono davvero quei gingilli di scaffali pieghevoli? Pensavo che quelle pazze che scrivono gialli inglesi se li fossero inventati così ci potesse sempre essere un posto dove l'assassino poteva trovare un arnese smussato.» 
«Dick, per caso posso parlare fra una frecciatina e l'altra?» 
«Certo, fai pure. Vedo che non ti colpisco!» 
«Sta bene, credo.» Rispose Todd. Indossò la giacca di pelle e chiuse la cerniera. «Ma era effettivamente eccitato. Ha ricevuto una lettera da un suo nipote di Amburgo o Diisseldorf o di chissà dove. Non aveva avuto notizie dai suoi parenti da anni, ed ora ha ricevuto questa lettera ed i suoi occhi non vedono bene a sufficienza per leggerla.» 
«Bene, ci mancava anche questa!» disse Dick. «Vai pure, Todd. Vai da lui e tranquillizzalo.» 
«Pensavo che avesse qualcuno che gli leggesse», disse Monica. «Un nuovo ragazzo.» 
«È vero», rispose Todd, improvvisamente odiando sua madre, odiando l'intuizione appena abbozzata che le vedeva guizzare negli occhi. «Forse  non era in casa, o forse non è potuto andare da lui così tardi.» 
«Oh, be'... vai allora. Ma stai attento.» 
«Lo sarò. Non hai bisogno di nulla dal drugstore?» 
«No. Come sta andando lo studio per quell'esame di matematica?»  «È trigonometria», disse Todd. «Okay, credo. Ci stavo solo dando un'occhiata per ripassare.» Questa era una bugia grossa. 
«Vuoi prenderti la Porsche?» gli chiese Dick. 
«No, ci andrò in bici.» Voleva i cinque minuti extra per raccogliere i propri pensieri e rimettere le sue emozioni sotto controllo — almeno, tentarci. E poi, in quello stato, probabilmente se ne sarebbe andato a finire dritto contro un palo. 
«Attaccati l'adesivo rifrangente sul ginocchio», disse Monica, «e saluta il signor Denker da parte nostra.» 
«Okay.» 
Quel dubbio era ancora negli occhi di sua madre, ma era meno evidente ora. Le mandò un bacio e poi uscì, diretto al garage dove teneva la bicicletta — ora aveva una bici da corsa italiana e non più la Schwinn. Il cuore gli batteva ancora all'impazzata nel petto, e sentiva un impulso pazzoide di riportare il .30-.30 in casa e sparare a tutti e due i suoi genitori e dopo di andarsene giù per il pendio che dava sull'autostrada. Non più incubi, non più barboni. Avrebbe sparato, e sparato e sparato, tenendosi un solo proiettile per la fine. Poi il senno gli ritornò, e si allontanò per andare da Dussander, l'adesivo rifrangente mulinava su e giù sopra il ginocchio, i lunghi capelli biondi fluttuavano all'indietro scoprendogli la fronte. 

«Gesù Cristo!» Todd aveva quasi urlato. 
Era in piedi, sulla porta della cucina. Dussander era crollato sui gomiti, la tazzina cinese lì in mezzo. Enormi gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Ma Todd non stava guardando Dussander. Era il sangue. Sembrava esserci sangue ovunque — era in pozze sulla tavola, sulla sedia vuota della cucina, sul pavimento. 
«Dov'è che stai sanguinando?» gli gridò Todd, finalmente tornato in grado di muovere i piedi congelati — gli sembrava di esser lì sulla porta di quella cucina da mille anni almeno. Questa è la fine, pensava, questa è la fine assoluta di tutto. Il palloncino se ne sta salendo sempre più in alto nel cielo, baby, ed è pot-pot-pollastrella, addio. Ma ugualmente fece attenzione per non camminare sulle macchie di sangue. «Pensavo che mi avessi detto d'aver avuto un fottuto attacco di cuore!» «Non è il mio sangue», balbettò Dussander. 
«Cosa?» Todd fu fulminato. «Che cosa hai detto?» 
«Vai di sotto. Vedrai quel che c'è da fare.» 
«Ma che diavolo è questa storia?» Todd chiese. Un'idea improvvisa e terribile gli aveva invaso la mente. 
«Non sprecare il tuo tempo, ragazzo. Credo che non sarai tanto sorpreso di quel che troverai in cantina. Credo che tu abbia già avuto esperienze in questioni come quella là sotto. Esperienza diretta.» 
Todd lo osservò incredulo, ancora per un altro momento e poi si buttò a due a due giù per le scale della cantina. Il primo sguardo nella flebile luce giallastra dell'unica fonte luminosa dell'interrato gli fece pensare che Dussander vi aveva gettato una busta di spazzatura. Solo dopo vide le gambe che ne fuoriuscivano e le mani sporche tenute giù lungo i fianchi dalla stretta della cintura. 
«Gesù Cristo», ripeté, ma questa volta le parole non avevano alcuna forza — furono emesse con un lieve mormorio scheletrico. Premette il dorso della mano destra contro labbra che erano secche come carta vetrata. Chiuse gli occhi per un istante... e quando li riaprì, si sentì finalmente sotto il proprio dominio. Todd cominciò a darsi da fare. 
Vide il manico della pala che sporgeva da un buco poco profondo e comprese immediatamente che cosa stava facendo Dussander quando la macchinetta gli si era ingrippata. Un attimo più tardi fu pienamente conscio dell'aroma fetido della cantina — una puzza come di pomodori che marcivano. L'aveva già odorato altre volte, ma di sopra era molto più debole — e, naturalmente, non era più venuto qui tanto spesso negli ultimi anni. Ora comprese esattamente che cos'era quell'odore e per lunghi minuti dovette combattere con la propria gola. Gli vennero una serie di conati soffocati, repressi dalla mano che si era portato a coprire la bocca ed il naso. 
Lentamente tornò in possesso del suo autocontrollo. 
Afferrò le gambe del barbone e lo trascinò fino all'orlo della buca. Le lasciò andare, si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano sinistra, e per un minuto stette in assoluto silenzio, spremendosi le meningi come non mai nella sua vita. Poi afferrò la pala ed iniziò a scavare più in profondità. Quando fu di un metro, ne uscì e ci spinse il corpo del poveraccio con il piede. Todd stette sull'orlo della tomba, e vi guardò dentro. Blue jeans tutti strappati. Mani lerce, incrostate di sporco. Era un barbone, di sicuro. L'ironia era quasi buffa. Tanto buffa che una persona poteva mettersi a gridare dal ridere. 
Corse di sopra. 
«Come stai?» chiese a Dussander. 
«Me la caverò. Te ne sei occupato?» 
«Lo sto facendo, okay?» 
«Sbrigati. C'è ancora tutto questo.» 
«Mi piacerebbe trovare dei porci e darti in pasto a loro», Todd disse, e ritornò in cantina prima che Dussander potesse rispondere. 
Aveva quasi ricoperto completamente il barbone quando cominciò a capire che c'era qualcosa che non funzionava. Fissò a lungo la tomba, afferrando il manico della pala con una mano. Le gambe del barbone spuntavano dalla montagna di sporcizia, come anche le punte dei piedi — una vecchia scarpa, forse una pantofola, con un cane di peluche, ed una calza rozza da atletica che poteva essere stata bianca ai tempi della presidenza Taft.
Una pantofola con il cane? Una? 
Todd saltò quasi attorno alla fornace fino alle scale. Si guardò attorno selvaggiamente. Un mal di testa stava cominciando a martellargli le tempie. Punte di trapano che cercavano di uscirgli dalla testa. Vide la scarpa vecchia ad un metro di distanza, rovesciata nell'ombra di alcuni scaffali abbandonati. Todd la afferrò, e con essa tornò di corsa verso la tomba, e ve la gettò dentro.
Poi ricominciò a ricoprire con il terriccio. Ricoprì la scarpa, le gambe, tutto. 
Quando tutta la sporcizia fu ributtata nel buco, sbatté la pala ripetutamente sul terreno per appiattirlo. Poi afferrò il rastrello e lo fece passare su e giù, cercando di dissimulare che lì la terra era stata mossa. Non di molta utilità; senza una buona mimetizzazione, una buca appena scavata e poi riempita sembra proprio una buca appena scavata e poi riempita. Comunque nessuno avrebbe dovuto avere qualche ragione per scendere quaggiù, non è così? Lui e Dussander dovevano proprio sperare che non ce ne fossero. 
Todd tornò di corsa al piano superiore. Cominciava ad ansimare. 
I gomiti di Dussander erano scivolati ed il capo vi era crollato nel mezzo, adagiato sul tavolo. I suoi occhi erano chiusi, le palpebre di un violaceo quasi luminoso — il colore degli aster. 
«Dussander!» Todd urlò. In bocca aveva un sapore dolciastro e caldo — il sapore della paura mista ad adrenalina e sangue bollente pulsante. «Non osare morirmi addosso, brutto figlio di puttana!» 
«Tieni la voce bassa», gli disse Dussander senza aprire gli occhi. «Farai venire qui tutto il quartiere.» 
«Dov'è il detersivo? Lisoformio... candeggina... qualcosa del genere. E stracci. Ho bisogno di stracci.» 
«È tutto sotto il lavandino.» 
Molto sangue oramai si era asciugato. Dussander alzò la testa e guardò Todd mentre si trascinava sul pavimento, strofinando prima la pozzanghera sul linoleum e poi le sgocciolature che avevano rigato le gambe della sedia dove era stato seduto il barbone. Il ragazzo si stava mordendo forzatamente le labbra, quasi se le masticava, come un cavallo con il morso. Infine il lavoro fu finito. L'odore astringente del detersivo riempiva la stanza. 
«C'è una scatola di vecchi stracci nel sottoscala», disse Dussander. «Metti quelli insanguinati sotto tutti gli altri. Non dimenticarti di lavare le mani.» 
«Non ho bisogno dei tuoi consigli. Tu mi hai coinvolto in tutto questo.» 
«Davvero, io? Devo dire che te ne sei incaricato bene.» Per un istante la vecchia aria beffarda gli velò la voce, e poi un'aspra smorfia diede una nuova espressione al suo viso. «Sbrigati.» 
Todd si occupò degli stracci e poi salì velocemente le scale della cantina per l'ultima volta. Fissò nervosamente la scena dalle scale per un attimo, poi spense la luce e chiuse la porta. Andò al lavandino, si tirò su le maniche e si lavò con l'acqua più bollente che avesse mai sopportato. Annegò le mani nella schiuma... e ne emerse tenendo in mano il coltello da macellaio che aveva usato Dussander. «Mi piacerebbe tagliartici la gola con questo», Todd affermò con severità. 
«Sì, e poi darmi in pasto ai porci. Non metto in dubbio.» 
Todd lavò il coltello, lo asciugò e lo mise a posto. Fece velocemente anche gli altri piatti, svuotò il lavandino e lo pulì. Guardò l'orologio mentre si asciugava le mani e vide che erano le dieci e venti. 
Andò al telefono nel corridoio, alzò il ricevitore e lo guardò pensieroso. L'idea che si fosse dimenticato di qualcosa — qualcosa di potenzialmente incriminante come la scarpa del barbone — gli infastidiva continuamente i pensieri. Che cosa? Non lo sapeva. Se solo non avesse avuto il mal di testa, ce l'avrebbe fatta ad arrivarci. Il maledetto, stramaledettissimo mal di testa. Non era da lui dimenticarsi le cose, ed era pericoloso. 
Compose il 222 e dopo un unico squillo, una voce rispose: «Qui la guardia medica di Santo Donato. Qualche problema?» 
«Mi chiamo Todd Bowden. Sono in Claremont Street 963. Ho bisogno di un'ambulanza.» 
«Qual è il problema, ragazzo?»» 
«È il mio amico, il signor D...» Si morse le labbra con tanta forza che ne colò il sangue, e per un attimo fu perduto, annegato nel pulsare del dolore derivante dalle tempie. Dussander. Aveva quasi dato a quell'anonima voce della guardia medica il vero nome di Dussander. 
«Calmati, ragazzo», gli raccomandò la voce. «Prendila con calma e andrà tutto bene.»  «Il mio amico, il signor Denker», disse Todd. «Penso che sia stato vittima di un infarto.» 
«I sintomi?» 
Todd cominciò ad elencarli, ma la voce ne aveva sentiti abbastanza appena Todd ebbe descritto il dolore al petto che era passato al braccio sinistro. Disse a Todd che l'ambulanza sarebbe arrivata entro dieci, venti minuti, a seconda del traffico. Todd agganciò e si premette le palme delle mani contro gli occhi. 
«L'hai chiamata?» Dussander domandò flebilmente. 
«Sì!» Todd gridò. «Sì, l'ho chiamata! Sì maledizione, sì! Sì sì sì! Devi solo tacere!» 
Si premette le mani ancora più fortemente contro gli occhi, prima creando dei flash di luci stellari e dopo creando un campo lucido rosso lacca.
Rimettiti insieme, Piccolo-Todd. Calma, mettiti calmo, rilassati. Ce la farai. 
Aprì gli occhi e alzò nuovamente la cornetta. Adesso la parte più difficile. Adesso doveva telefonare a casa. 
«Pronto?» la dolce voce di Monica gli accarezzò l'orecchio. Per un attimo — solo per un attimo — si vide ficcare il muso del .30-.30 nel naso della madre e premere il grilletto ed il primo fluire di sangue. 
«Sono Todd, mami. Passami immediatamente papà, svelta.» 
Non la chiamava più mami. Sapeva che avrebbe afferrato subito quel segnale, prima di qualunque altra spiegazione, e fu così. «Che succede? C'è qualcosa che non va, Todd?» 
«Fammi solo parlare con lui!» 
«Ma che...» 
Il telefono sbatté e crocchiò. Sentì sua madre dire qualcosa a suo padre. 
Todd si preparò. 
«Todd? Qual è il problema?» 
«È il signor Denker, papà. Lui... ha avuto un infarto, credo. Sono abbastanza sicuro che lo sia.» 
«Cristo!» La voce di suo padre si allontanò un momento e lo sentì ripetere l'informazione alla moglie. Poi tornò. «È ancora vivo? Per quello che puoi giudicare tu?» 
«È vivo. È cosciente.» 
«Benissimo, grazie al cielo, almeno quello. Chiama un'ambulanza.» «L'ho appena fatto.» 
«Due-due-due?» 
«Sì.» 
«Bravo ragazzo. È molto grave secondo te?» 
(Non fottutamente grave abbastanza!) 
«Non lo so, papà. Hanno detto che l'ambulanza arriverà presto, ma... ho, come, paura. Puoi venire qui ad aspettare con me?» 
«Puoi scommetterci. Dammi quattro minuti.» 
Todd riuscì a sentire sua madre dire qualcos'altro mentre suo padre riappendeva il ricevitore, interrompendo la comunicazione.  Quattro minuti. 
Quattro minuti per fare qualunque cosa fosse stata tralasciata. Quattro minuti per ricordare quello che era stato dimenticato. Ma aveva dimenticato qualcosa? Forse si trattava soltanto dei suoi nervi. Dio, non avrebbe voluto chiamare suo padre. Ma era la cosa più naturale che doveva essere fatta, non è così? Certo. Ma c'era un qualche cosa di naturale che non aveva fatto? Qualche cosa...? 
«Oh, brutto-cervello-di-merda!» gemette improvvisamente, e si catapultò in cucina. La testa di Dussander giaceva sul tavolo, gli occhi semiaperti, fiacco. 
«Dussander!» esclamò Todd. Scosse Dussander violentemente, ed il vecchio si lamentò. «Sveglia! Svegliati, brutto bastardo puzzolente!»  «Che c'è? È l'ambulanza?» 
«La lettera! Mio padre sta per venire qui, sarà qui a momenti. Dov'è la fottutissima lettera?» 
«Che... che lettera?» 
«Mi hai detto di dire loro che avevi ricevuto una lettera importantissima. Io gli ho detto...» Il cuore lo abbandonò. «Gli ho detto che veniva dal continente... dalla Germania. Cristo!» Todd si scorse le mani fra i capelli. 
«Una lettera.» Dussander alzò il capo con una lenta difficoltà. Le sue guance solcate erano di un malato pallore giallognolo, le labbra erano viola. «Da Willi, credo. Willi Frankel. Caro... caro Willi.» 
Todd guardò l'orologio e vide che erano già trascorsi due minuti da quando aveva agganciato la cornetta. Suo padre non ce l'avrebbe fatta, non avrebbe potuto farcela in quattro minuti da casa loro fino da Dussander, ma sarebbe stato maledettamente veloce con la Porsche. Veloce, ecco che cos'era. Tutto stava accadendo troppo velocemente. E c'era ancora qualcosa che non andava qui; lo sentiva. Ma non c'era il tempo per fermarsi e cercarsi intorno per la scappatoia. 
«Sì, okay, te la stavo leggendo, e tu ti sei eccitato e ti è venuto l'attacco di cuore. Bene. Dov'è?» 
Dussander lo guardò con assenza. 
«La lettera! Dov'è?» 
«Che lettera?» Dussander chiese vagamente, e le mani di Todd morivano dalla voglia di strozzare questo vecchio mostro ubriacone. 
«Quella che ti stavo leggendo! Quella di Willi come-diavolo-si-chiama! Dov'è?» 
Tutti e due diressero lo sguardo sul tavolo come se si aspettassero che la lettera si materializzasse lì. 
«Di sopra», pronunciò infine Dussander. «Cerca nel mio comò. Il terzo cassetto. C'è una piccola scatola di legno in fondo a quel cassetto. Dovrai forzarla per aprirla. Ho perso la chiave tantissimo tempo fa. Ci sono delle vecchissime lettere di un mio amico. Nessuna è firmata. Nessuna è datata. Tutte in tedesco. Una pagina o due faranno da tappabuchi, come diresti tu. Se ti sbrighi...» 
«Ma sei pazzo?» s'infuriò Todd. «Io non lo so il tedesco! Come potrei leggerti una lettera scritta in tedesco, brutto rimbambito?» 
«E perché mai Willi dovrebbe scrivermi in inglese?» contrappose stancamente Dussander. «Se tu mi leggessi la lettera in tedesco, io la capirei anche se tu il tedesco non lo sai. Certamente la tua pronuncia sarebbe un macello, ma in ogni caso, potrei sempre...» 
Dussander aveva ragione — aveva ragione di nuovo e Todd non si fermò a sentire altro. Anche dopo un infarto, il vecchio era sempre un passo più avanti. Todd corse lungo il corridoio fino alle scale, fermandosi solo brevemente davanti alla porta principale per sentire se per caso non stesse già per arrivare la Porsche del padre. No, non stava per arrivare, ma l'orologio gli diceva quanto poco tempo gli rimanesse, erano già trascorsi cinque minuti. 
Volò su per le scale a due a due e irruppe nella camera da letto di Dussander. Non era mai venuto quassù, non ne era mai stato curioso, e per un attimo si guardò attorno selvaggiamente nel nuovo territorio. Poi vide il comò, un mobile dozzinale costruito in stile Moderno Sconto di Magazzino, come li chiamava suo padre. Gli cadde davanti in ginocchio ed assalì il terzo cassetto. Venne fuori solo per metà, poi lo oscillò traballandolo ai lati della scanalatura ma si bloccò. 
«Maledizione a te!» gli sussurrò. Il suo viso era di un pallore mortale eccetto le macchie scure, il colore sanguigno che gli scoppiava sulle guance ed i suoi occhi azzurri, che erano scuri come le nuvole in tempesta sull'Atlantico. «Maledetto cassetto fottuto, vieni fuori!» 
Tirò a sé con tale violenza che tutto il comò gli trottò addosso, quasi cadendogli sopra, prima di ristabilirsi nella sua posizione iniziale. Il cassetto partì dal suo abitacolo ed atterrò sul grembo di Todd. I calzini e la biancheria di Dussander, i fazzoletti, ne volarono fuori, tutto attorno a lui. Tastò fra le cose che ancora erano rimaste nel cassetto e trovò una scatola in legno di circa venti centimetri di lunghezza e di otto centimetri di profondità. Cercò di tirare via il coperchio. Non successe nulla. Chiusa a chiave proprio come aveva detto Dussander. Nulla era facile stanotte. 
Stipò tutte le cose che si erano rovesciate nel cassetto e poi ficcò il cassetto nella sua scanalatura oblunga. Si bloccò di nuovo. Todd cercò di liberarlo, dimenandolo avanti e indietro, con il sudore che gli colava lungo il viso.
Infine riuscì a chiuderlo violentemente. Si alzò con la scatola. Ed ora quanto tempo era trascorso? 
Il letto di Dussander era del tipo con i pilastri ai piedi e Todd sbatté il lato della scatola con la serratura contro uno di questi pilastri con tutta la forza che aveva in corpo, facendo una smorfia alla scarica di dolore che gli vibrò nelle mani arrivando fino ai gomiti. Guardò la serratura! La serratura sembrava un po' intaccata ma era intatta. La sbatté ancora contro il pilastro, ancora più forte questa volta, senza badare al dolore. Questa volta una scheggia di legno partì dalla colonna del letto, ma la serratura non aveva ancora ceduto. Todd emise uno stridente risolino di nervi e si diresse all'altra colonnina ai piedi del letto. Alzò la scatola in alto, oltre il proprio capo, e la sbatté con tutta la forza che aveva. Questa volta la serratura si ruppe. 
Mentre diede un colpo al coperchio, facendolo volare, luci di fari attraversarono i vetri delle finestre di Dussander. 
Frugò sfrenatamente nella scatola. Cartoline. Un medaglione. Una fotografia piegata in quattro di una donna che indossava solo delle giarrettiere nere con i fronzoli e nient'altro. Un vecchio portafoglio. Varie vecchie carte d'identità. Un vecchio porta passaporto in pelle vuoto. In fondo le lettere. 
Le luci diventavano più chiare, ed ora riusciva a distinguere l'inconfondibile ruggito del motore della Porsche. Diventò più rumoroso... e poi più nulla. 
Todd afferrò tre pagine di carta da lettera, tipo via aerea, fittamente scritte in tedesco su tutti e due i lati e corse nuovamente fuori dalla stanza. Era quasi già sulle scale quando si ricordò di avere lasciato la scatola che aveva forzato sul letto di Dussander. Tornò indietro, l'afferrò ed aprì il terzo cassetto del comò. Si bloccò di nuovo, questa volta con uno stridio del legno strofinato contro il legno. 
Fuori, dal davanti della casa, poté sentire il dente d'arresto del freno a mano della Porsche, la portiera del guidatore che si apriva, e lo sportello sbattuto. Todd poté sentirsi emettere deboli gemiti. Mise la scatola nel cassetto bloccato di sghimbescio, si alzò, e gli sferrò un calcio con il piede. Il cassetto si chiuse perfettamente. Rimase ritto ad osservarlo per un istante con gli occhi baluginanti e poi volò giù, diretto al corridoio. Corse giù per le scale. A metà scalinata udì il rapido scalpiccio delle scarpe di suo padre sul selciato del vialetto di Dussander. Todd volteggiò oltre la balaustra ed atterrò dolcemente, correndo velocemente in cucina, le pagine leggerissime della via aerea fluttuandogli fra le dita. 
Un martellare sulla porta. «Todd? Todd, sono io!» 
E poté sentire anche la sirena di un'ambulanza che ululava in lontananza. Dussander era ripiombato ancora in una semi incoscienza. «Sto venendo, papà!» urlò Todd. 
Mise le pagine di via aerea sul tavolo, rovistandole un po' come se fossero state fatte cadere all'improvviso, poi tornò nel corridoio e fece entrare suo padre. 
«Dov'è?» chiese Dick Bowden, spingendo Todd da parte.  «In cucina.» 
«Hai fatto tutto nel modo migliore, Todd», gli disse suo padre e poi lo strinse a sé con un certo imbarazzo. 
«Spero solo di essermi ricordato tutto», Todd rispose con modestia, e poi seguì suo padre lungo il corridoio fino alla cucina. 
Nell'attività febbrile di far uscire Dussander da casa, la lettera fu quasi ignorata. Il padre di Todd la prese in mano brevemente, posandola subito all'ingresso degli infermieri con la barella. Todd e suo padre seguirono l'ambulanza e la spiegazione di quel che era accaduto fu accettata senza ulteriori domande da parte del dottore responsabile del caso di Dussander. «Il signor Denker», dopo tutto, era pur sempre ottantenne e le sue abitudini non erano le migliori. Il dottore lodò con un brusco encomio il rapido intervento e l'azione di Todd. Quest'ultimo lo ringraziò debolmente e poi chiese al padre se potevano tornare a casa. 
Sulla strada, Dick gli ripeté ancora quanto fosse orgoglioso di lui. Todd lo sentiva a malapena. Stava pensando di nuovo al suo .30-.30. 

18 

In quello stesso giorno Morris Heisel si ruppe la schiena. 
Morris non aveva nessuna intenzione di rompersi la schiena; l'unica intenzione che aveva era quella di ficcare l'angolo della grondaia sul lato occidentale della casa. L'ultima cosa che gli passava per la mente era quella di rompersi la schiena, aveva già avuto abbastanza guai in vita sua, senza dover aggiungere anche questo, grazie mille. La sua prima moglie era morta all'età di venticinque anni e anche le sue due figlie erano morte. I suoi fratelli erano rimasti uccisi in un tragico incidente stradale nei pressi di Disneyland nel 1971. Lo stesso Morris stava avvicinandosi alla sessantina e soffriva di una forma di artrite che peggiorava sempre più velocemente. Aveva anche le verruche sulle mani che sembravano riformarsi con la stessa velocità con cui il dottore le bruciava. Era anche soggetto ad emicranie e, negli utlimi due anni, quel cretino di Rogan, il vicino di casa, aveva preso l'abitudine di chiamarlo «Morris il Gatto». Morris si era chiesto in presenza di Lydia, la sua seconda moglie, come l'avrebbe presa Rogan se avesse iniziato a chiamarlo «Rogan l'Emorroidale». 
«Smettila, Morris», diceva Lydia in questi casi. «Non sai stare allo scherzo, non hai mai saputo stare allo scherzo, a volte mi domando come ho potuto sposare un uomo senza senso dell'humour. Decidiamo di andare a Las Vegas», aveva detto Lydia, indicando la cucina vuota, come se un'invisibile folla di spettatori, che solo lei riusciva a vedere, stesse ad ascoltare, «decidiamo di andare a vedere Buddy Hackett, ma Morris non fa nemmeno l'ombra di una risata.» 
Oltre all'artrite, alle verruche e alle emicranie, Morris aveva anche Lydia, che, Dio la protegga, negli ultimi cinque anni si era trasformata in una specie di brontolio vivente... dall'isterectomia in poi. Insomma aveva già tanti dolori e tanti problemi, senza dover aggiungere una schiena rotta. 
«Morris!» gridò Lydia, affacciata alla porta di servizio mentre toglieva il sapone dalle mani con l'asciugapiatti. «Morris, scendi immediatamente da quella scala!» 
«Che cosa?» e voltò il capo per vederla. Si trovava quasi in cima alla scala di alluminio. Su quel piolo c'era un adesivo giallo brillante che diceva:
PERICOLO! OLTRE QUESTO PIOLO VARIAZIONI DI EQUILIBRIO SENZA PREAVVISO! Morris indossava la sua tuta da carpentiere dalle tasche spaziose, una delle quali era piena di chiodi e l'altra piena di pesanti staffe. Il terreno sotto la scala era leggermente irregolare e, quando si voltò, la scala oscillò impercettibilmente. La nuca recitava il triste preludio a una delle solite emicranie. Era fuori di sé. «Che cosa c'è?» 
«Scendi da lì, ho detto, prima di romperti la schiena.» 
«Ho quasi finito.» 
«Quella scala dondola come una barca, Morris. Scendi da lì.» 
«Scenderò quando avrò finito», rispose con rabbia. «Lasciami in pace.» «Ti romperai la schiena», ripeté con tristezza e rientrò in casa. 
Dieci minuti dopo, stava mettendo l'ultimo chiodo nella grondaia, spostandosi all'indietro al limite dell'equilibrio, quando sentì un lamento felino seguito da una feroce abbaiata. 
«Che cosa diavolo sta?...» 
Si guardò intorno e la scala dondolò pericolosamente. Nello stesso momento, il loro gatto — si chiamava Lover Boy, non Morris — svoltò l'angolo del garage, con il pelo ritto sulla schiena e con gli occhi verdi lampeggianti. Il cucciolo di collie dei Rogan era in pieno inseguimento, con la lingua penzolante e il guinzaglio sventolante alle spalle. 
Lover Boy, evidentemente poco superstizioso, passò sotto la scala. Il cucciolo di collie subito dietro. 
«Attento, attento, stupido cagnaccio!» gridò Morris. 
La scala vacillò. Il cucciolo svoltò strisciando il fianco per terra. La scala si sbilanciò, trascinando con sé Morris che urlava pieno di sgomento. I chiodi e le staffe volarono dalle tasche della tuta. Atterrò di traverso sul vialetto di cemento e sentì una fitta di dolore attraversargli la schiena. Non si ricordò tanto del rumore dell'osso che si rompeva quanto di quella fitta. Poi sul mondo calò il buio. 
Quando riuscì a rimettere a fuoco le cose, si trovava ancora di traverso sul vialetto d'ingresso, disteso su un letto di chiodi e staffe. Lydia era in ginocchio accanto a lui e piangeva. Anche Rogan, il vicino di casa, era accorso al suo fianco, con il viso bianco come un lenzuolo. 
«Te l'avevo detto!» balbettò Lydia «Ti avevo detto di scendere da quella scala! Adesso guarda! Guarda che cos'hai combinato!» 
Morris si accorse di non avere nessuna voglia di guardare. Una fitta di dolore soffocante gli stava cingendo il busto, quasi fosse una cintura, e gli faceva male, ma c'era di peggio: non riusciva a sentire niente dalla cinta di dolore in giù — assolutamente niente. 
«Risparmiati i rimproveri», le rispose aspramente. «Adesso chiama il dottore.» 
«Lo faccio io», disse Rogan e corse verso casa sua. 
«Lydia», disse Morris, inumidendosi le labbra. 
«Dimmi, che cosa c'è, Morris?» Si inchinò facendo cadere una lacrima sulla guancia di lui. Commovente, pensò, ma gli venne una contrazione che gli fece aumentare il dolore. 
«Lydia, mi sta venendo una delle solite emicranie.» 
«Oh, povero caro! Povero Morris! Ma te l'avevo detto...» 
«Mi sta venendo il mal di testa perché quello stupido cane dei Rogan ha abbaiato per tutta la notte e mi ha tenuto sveglio. Oggi il cane insegue il mio gatto e inciampa nella mia scala e io credo di essermi rotto la schiena.»  Lydia strillò. Il suono vibrò nel cervello di Morris. 
«Lydia», disse, inumidendosi nuovamente le labbra. 
«Dimmi, caro.» 
«È da anni che sospetto una cosa. Ma adesso ne ho la certezza.» 
«Povero Morris! Che cosa?» 
«Dio non esiste», disse Morris, poi svenne. 
Lo portarono a Santo Donato e, più o meno alla stessa ora in cui avrebbe dovuto sedersi davanti a una delle misere cenette di Lydia, il dottore gli comunicò che non sarebbe stato più in grado di camminare. Poi gli misero il busto. Gli prelevarono campioni di sangue e di urina. Il dr. Kemmelman gli esaminò gli occhi e gli colpì le ginocchia con il martelletto di gomma — ma, ai colpi, non rispose nessuna contrazione delle gambe. Ogni volta che si voltava, vedeva Lydia, con gli occhi bagnati da fiumi di lacrime, che prendeva un fazzoletto dopo l'altro. Lydia, che avrebbe benissimo potuto sposare chiunque altro, era sempre ben fornita di fazzoletti orlati di pizzo, nel caso in cui si fosse verificata una prolungata crisi di pianto. Aveva telefonato a sua madre, che sarebbe arrivata immediatamente («Che bello, Lydia» — sebbene l'unica persona al mondo che Morris detestasse veramente era la madre di Lydia). Aveva chiamato il rabbino e anche lui sarebbe arrivato immediatamente («Che bello, Lydia» — anche se erano cinque anni che non metteva piede nella sinagoga e non si ricordava nemmeno più il nome del rabbino). Aveva telefonato al suo capo, e anche se non sarebbe arrivato immediatamente, le aveva espresso la sua più sentita vicinanza morale («Che bello, Lydia» — anche se, dopotutto, quell'insignificante Mangiasigari di Frank Haskell poteva benissimo essere messo allo stesso livello della madre di Lydia). Infine somministrarono a Morris un Valium e portarono via Lydia. Morris si appisolò subito dopo — basta preoccupazioni, basta mal di testa, basta tutto. Se avessero continuato a dargli quelle pilloline blu, fu il suo ultimo pensiero, sarebbe risalito immediatamente su quella scala per rompersi di nuovo la schiena. 

Quando si svegliò — forse sarebbe meglio dire che riprese conoscenza — stava giusto spuntando l'alba e l'ospedale era calmo come, Morris supponeva, non lo fosse mai stato. Si sentiva molto tranquillo... quasi sereno. Non gli faceva male niente; si sentiva il corpo fasciato e senza peso. Il suo letto era stato sbarrato da una strana struttura che assomigliava a una gabbia per scoiattoli — un aggeggio con sbarre d'acciaio inossidabile, cavi di trazione e carrucole. Le gambe erano sollevate da cavi attaccati a questo strumento. Gli sembrava che la schiena fosse incurvata da qualcosa, ma era difficile a dirsi — poteva valutare la situazione da un unico punto di vista. 
C'è chi sta peggio, pensò. Nel mondo, c'è chi sta peggio di me. In Israele, i palestinesi assalgono gli autobus pieni di contadini che hanno commesso il crimine politico di andare in città a vedere un film. Gli israeliani rispondono a questa ingiustizia bombardando i palestinesi e uccidendo i bambini che, per caso, si trovano vicino a qualche terrorista. C'è chi sta peggio di me... questo non significa che io stia bene, non fraintendiamo, ma c'è chi sta peggio di me. 
Sforzandosi, alzò una mano — sentì un dolore in un punto indistinto del corpo, ma era molto attutito — e chiuse un pugno davanti a sé. Bene. Le mani funzionavano. Anche le braccia funzionavano bene. Però non sentiva niente dalla vita in giù, e allora? Al mondo, ci sono persone paralizzate dal collo in giù. C'è gente con la lebbra. C'è gente che muore di sifilide. In quel medesimo istante, poteva esserci gente intenta a prendere un aereo destinato a cadere. No, lui non stava bene, ma c'era chi stava peggio. 
E, una volta, ci furono cose anche peggiori. 
Alzò il braccio sinistro. Sembrava librarsi senza corpo davanti ai suoi occhi — il braccio ossuto di un vecchio con i muscoli sfibrati. Indossava il pigiama dell'ospedale a maniche corte e ancora si riusciva a leggere il numero sull'avambraccio tatuato con inchiostro blu scolorito. P499965214. C'era di peggio, sì, c'era di peggio che cadere da una scala suburbana e rompersi la schiena, che essere portato in un ospedale metropolitano pulito e sterilizzato, che prendere un Valium capace di liberarti la mente dai guai. 
C'erano state le docce, quelle erano peggio. La sua prima moglie, Ruth, era morta per una di quelle sporche docce. C'erano state le trincee che si erano trasformate in tombe — chiudendo gli occhi, riusciva ancora a vedere gli uomini allineati lungo il lato opposto delle trincee, riusciva ancora a sentire le scariche dei fucili, riusciva ancora a ricordare il modo in cui cadevano all'indietro, come fantocci fatti male. C'erano stati i forni crematori, quelli erano anche peggio, i forni crematori che riempivano l'aria di un odore sgradevole di ebrei bruciati come torce che nessuno poteva vedere. I volti atterriti dall'orrore di vecchi, amici e parenti... volti che si scioglievano come candele colanti, volti che sembravano scomparire davanti agli occhi — magri, più magri, magrissimi. Poi un giorno sparivano del tutto. Dove? Dove va la fiamma di una torcia in fiamme quando il vento freddo la spegne? In Paradiso? All'Inferno? Luci nell'oscurità, candele nel vento. Quando Giobbe non ce la faceva più, iniziava a fare domande e Dio gli domandava: Dov'eri quando ho fatto il mondo? Se Morris fosse stato Giobbe, gli avrebbe risposto: Dov'eri tu quando la mia Ruth stava morendo, stronzo, eh? Stavi proteggendo gli yankees e i senatori? Se non riesci a fare bene il tuo dovere, sparisci. 

Sì, c'era di peggio che rompersi la schiena, su questo non c'era dubbio. Ma che razza di Dio aveva permesso che si rompesse la schiena e diventasse paralitico a vita dopo aver visto morire la moglie, le figlie e gli amici?  Nessun Dio, questa era la verità. 
Dall'angolo dell'occhio sgorgò una lacrima che colò lentamente sulla tempia, fino all'orecchio. Fuori della stanza, il suono dolce di un campanello. Un'infermiera si affrettò, facendo uno stridulo rumore con le scarpe bianche suolate di para. La sua porta era socchiusa e sulla parete opposta del corridoio si leggevano le lettere RA NSIVA e dedusse che l'intera scritta doveva essere CURA INTENSIVA. 
C'era movimento nella stanza — un fruscio di lenzuola. 
Muovendosi con cautela, Morris si voltò a destra, distogliendo lo sguardo dalla porta. Accanto a lui notò un comodino con una brocca d'acqua. Sempre sul comodino c'erano due pulsanti di chiamata. Più in là, c'era un altro letto occupato da un uomo che sembrava persino più vecchio e malridotto di Morris. Non era imprigionato in quella specie di ruota gigante per criceti come Morris, ma accanto al letto c'era il sostegno per le flebo e in fondo c'era qualcosa che assomigliava a una consolle di monitor. La pelle del vecchio era rugosa e ingiallita. Le rughe intorno alla bocca e agli occhi si erano fatte profonde. I capelli erano bianco-giallastri, secchi e privi di vita. Le palpebre sottili gli conferivano uno sguardo oscuro e spento e Morris notò che nel naso erano affiorati i capillari, indice di chi beve da una vita. 
Morris distolse lo sguardo... per poi riguardarlo di nuovo. Mentre la luce dell'alba diventava più forte e l'ospedale cominciava a risvegliarsi, ebbe la stranissima sensazione di aver già conosciuto il suo compagno di stanza. Poteva essere? L'uomo sembrava tra i 75 e gli 80 anni e Morris non pensava di conoscere nessuno di quell'età — a parte la madre di Lydia, un mostro che richiamava alla mente di Morris la Sfinge, alla quale la donna assomigliava notevolmente. 
Forse aveva conosciuto quell'uomo in passato, forse anche prima di venire in America. Forse sì, forse no. E perché, tutt'a un tratto, sembrava avere tanta importanza? E, a prescindere dal collegamento, perché quella notte gli erano tornati alla mente tutti i ricordi del campo di concentramento, di Patin, quando aveva sempre cercato — e quasi sempre ci era riuscito — di seppellire per sempre quelle cose? 
Si sentì invadere da un'improvvisa ondata di pelle d'oca, come se fosse appena entrato in una casa piena di fantasmi, dove si aggiravano vecchi cadaveri e dove passeggiavano vecchie presenze — come poteva essere successo, persino in quell'ospedale così pulito, trent'anni dopo la conclusione di quell'incubo? 
Distolse nuovamente lo sguardo dall'uomo che stava nell'altro letto e immediatamente gli venne voglia di assopirsi. 
È uno scherzo della mente che rende il volto di quell'uomo familiare. E solo la tua mente, che si prende gioco di te, come meglio può, che si prende gioco di te come quando eri a... 
Ma non voleva pensarci. Non se lo sarebbe permesso. 
Scivolando nel sonno, pensò alle sbruffonate che faceva con Ruth (non le aveva mai fatte con Lydia; non valeva la pena vantarsi con Lydia; non era come Ruth che sorrideva sempre delle sue bonarie adulazioni e delle sue vanterie): non ho mai dimenticato una faccia. Ecco un'occasione per provare che veramente era così. Se veramente aveva conosciuto l'uomo del letto accanto in passato, forse sarebbe anche riuscito a ricordare quando... e dove. 
Prossimo ad addormentarsi, sulla soglia del sonno più profondo, Morris pensò: Forse l'ho conosciuto in campo di concentramento. 
Sarebbe stata l'ironia della sorte — quello che si dice «un segno di Dio». Che Dio? Si domandò nuovamente Morris Heisel e poi si addormentò.  19 

Todd si diplomò brillantemente nonostante il voto finale di trigonometria, per cui stava studiando la notte dell'attacco cardiaco di Dussander. La media finale venne così abbassata a 8,9, un punto in meno del massimo raggiungibile. 
Una settimana dopo il diploma i Bowden andarono a trovare il signor Denker all'ospedale Santo Donato General. Todd si dilungò per più di un quarto d'ora in banalità, in ringraziamenti, informandosi continuamente sul suo stato di salute e fu grato dell'interruzione quando l'uomo dell'altro letto gli domandò se potesse stare in silenzio per qualche minuto. 
«Scusami», gli disse l'uomo. Era imprigionato in un'enorme ingessatura e, chissà per quale ragione, era attaccato ad un sistema di carrucole e fili metallici. «Mi chiamo Morris Heisel. Mi sono rotto la schiena.» «Chissà che male!» rispose con tono grave Todd. 
«Oh, chissà che male, dici?! Ragazzo, hai il dono di fare affermazioni fuori luogo.» 
Todd stava per scusarsi, ma Heisel alzò la mano, sorridendo. Aveva il volto pallido e stanco, il volto di qualsiasi vecchio che si trova in ospedale e che conduce una vita piena di cambiamenti radicali — e sicuramente, non si tratta di cambiamenti in meglio. In questo senso, pensò Todd, lui e Dussander erano uguali. 
«Non è necessario», disse Morris. «Non è necessario rispondere aspramente. Sei uno sconosciuto. Che bisogno ha uno sconosciuto di affliggersi dei miei problemi?» 
«Nessun uomo è un'isola a se stante», esordì Todd e Morris si mise a ridere. 
«Accidenti, fai anche citazioni! Un ragazzo istruito! Il tuo amico, lì, è molto grave?» 
«Be', i medici dicono che sta migliorando, in considerazione dell'età che ha. Ottant'anni.» 
«Così vecchio!» esclamò Morris «Non parla molto con me, sai. Ma da ciò che ha detto, ho capito che è un naturalizzato. Come me. Io sono polacco, lo sai. Autentico, davvero. Vengo da Radom.» «Oh?» disse Todd cortesemente. 
«Lo sai come vengono chiamati gli americani a Radom?» «No», rispose Todd, sorridendo. 
«Visi pallidi», rispose Morris, ridendo. Anche Todd rideva. Dussander lanciò loro un'occhiata, trasalendo al suono delle risate e aggrottando leggermente le ciglia. Poi Monica disse qualcosa ed egli volse lo sguardo verso di lei. 
«È naturalizzato il tuo amico?» 
«Oh, sì», disse Todd «È tedesco. Di Essen. Conosce quella città?» 
«No», disse Morris. «Ma ci sono stato solo una volta in Germania. Mi domando se ha fatto la guerra.» 
«Veramente non saprei», gli occhi di Todd erano distanti. 
«No? Be', non ha importanza. È stato tanto tempo fa. Tra altri tre anni in questo paese ci saranno persone che potranno essere regolarmente elette presidente — Presidente! — persone nate dopo la fine della guerra. Per loro non ci sarà nessuna differenza tra il miracolo di Dunkerque e la traversata delle Alpi con gli elefanti di Annibale.» «Lei ha fatto la guerra?» domandò Todd. 
«Credo di sì. In un certo senso. Sei un bravo ragazzo a venire a visitare un vecchio... due vecchi, contando anche me.» Todd sorrise con modestia.  «Adesso sono stanco», disse Morris. «Forse dormirò.» «Spero che guarisca presto», augurò Todd. 
Morris annuì con il capo, sorrise e chiuse gli occhi. Todd tornò al letto di Dussander, dove i suoi genitori stavano preparandosi ad andarsene — suo padre continuava a guardare l'orologio e ripeteva con falsa cordialità che si stava facendo tardi. Ma Morris Heisel non si era addormentato, e non riuscì a dormire — per molto tempo. 
Due giorni dopo, Todd tornò in ospedale da solo. Questa volta Morris Heisel, racchiuso nella sua ingessatura, dormiva profondamente nell'altro letto. 
«Hai fatto bene», gli disse sommessamente Dussander. «Sei tornato in casa mia, poi?» 
«Sì. Ho rimesso a posto la scatola e ho bruciato quella dannata lettera, e avevo tanta paura... non lo so.» Si strinse nelle spalle, incapace di dire a Dussander che, quasi per scaramanzia, aveva avuto paura di quella lettera — paura che qualcuno, in grado di leggere il tedesco, potesse entrare in quella casa, qualcuno che avrebbe potuto notare che i riferimenti di quella lettera risalivano a quasi vent'anni prima. 
«La prossima volta che vieni, portami di nascosto qualche cosa da bere», disse Dussander «Non sento la mancanza delle sigarette, ma...» 
«Non tornerò più a trovarti», rispose Todd senza tono. «Basta. È finita.»  «È finita?» Dussander unì le mani sul petto, sorridendo. Non era un sorriso gentile... ma forse quello era il massimo che Dussander era in grado di offrire. «Dopotutto, potevo prevederlo. Mi faranno uscire da questo mortorio la settimana prossima... almeno, così hanno promesso. Il dottore dice che mi sono rimasti pochi anni da vivere. Se gli chiedo quanti si mette a ridere. Credo che questo significhi non più di tre, forse non più di due. Eppure credo di potergli fare qualche sorpresa.» Todd non rispose. 
«Ma detto tra noi, ragazzo, io ho quasi perso le speranze di vedere il cambio di secolo.» 
«Voglio domandarti una cosa», disse Todd, guardando fermamente Dussander. «È questo il motivo per cui sono venuto oggi. Riguarda una cosa che mi hai detto una volta.» 
Todd lanciò un'occhiata alle spalle verso l'uomo nell'altro letto e poi trascinò la sedia vicino al letto di Dussander. Riusciva a sentire l'odore di Dussander, secco quanto la stanza Egizia del museo. 
«Forza, domanda.» 
«Quell'ubriacone. Mi avevi detto qualcosa riguardo al fatto di fare un'esperienza — un'esperienza di prima mano. Che cosa volevi dire?» 
Il sorriso di Dussander si allargò leggermente: «Io leggo i giornali, ragazzo. I vecchi leggono sempre i giornali; ma in modo diverso dai giovani. Le poiane sono famose per raggrupparsi in fondo alle piste degli aeroporti del Sud America quando i venti incrociati si fanno insidiosi, lo sapevi questo? Ecco come legge il giornale un vecchio. Un mese fa c'era una storia sull'edizione della domenica. Non era in prima pagina, a nessuno interessa niente di vagabondi e alcolizzati, tanto da metterli in prima pagina, ma era la storia principale dei servizi di cronaca. QUALCUNO STA ALLE COSTOLE DEI VAGABONDI DI SANTO DONATO? Era intitolato così. 
Realistico. Giornalismo giallo. Voi americani siete famosi per questo». 
Le mani di Todd erano chiuse a pugno, nascondendo così le unghie mangiucchiate. Non leggeva mai l'edizione della domenica, aveva cose migliori da fare per passare il tempo. Ovviamente, aveva consultato i giornali tutti i giorni per almeno una settimana, dopo ognuna delle sue piccole avventure, e nessuno dei suoi vagabondi era mai finito prima della terza pagina. L'idea che qualcuno potesse fare delle congetture alle sue spalle lo faceva infuriare. 
«La storia menzionava omicidi. Omicidi molto brutali. Accoltellamenti, randellate. 'Brutalità disumana', così l'aveva chiamata l'autore, ma tu sai come sono i giornalisti. Lo scrittore di questo lamentevole pezzo affermava che il tasso di mortalità tra questi sfortunati è piuttosto alto e che Santo Donato ha registrato una media in rialzo in questi ultimi anni. Questi uomini non sono morti tutti di morte naturale o per indigenza. Ci sono stati frequenti omicidi. Nella maggior parte dei casi, l'assassino è un altro diseredato e il motivo non è mai più grave di una discussione per una vincita a carte o per una bottiglia di moscato. Di solito l'assassino è ben felice di confessare. Perché preso dal rimorso. 
«Ma gli ultimi omicidi non sono stati risolti. Ancora più inquietante, per questo giornalista di cronaca — qualsiasi cosa gli passi per la testa — è l'alta percentuale di persone scomparse negli ultimi anni. Naturalmente, affermava in continuazione, non si tratta altro che di vagabondi del giorno d'oggi. Vanno e vengono. Ma alcuni di loro sono spariti, senza prelevare la pensione o la cassa di integrazione, che paga soltanto il venerdì. E il giornalista di cronaca si domandava se qualcuno di questi poteva essere stato vittima del 'Killer degli ubriaconi'. Vittime che non sono mai state ritrovate? Mah!» 
Dussander agitò la mano per aria come per allontanare una simile sconsiderata irresponsabilità. 
«È solo un palliativo, ovviamente. Offriamo alla gente un po' di giusto terrore. Fa tornare in vita vecchi fantasmi, fuori moda, ma sempre efficaci — il mostro di Cleveland, Zodiaco, il misterioso Mr. X, che aveva ammazzato Black Dahlia, Jack lo Squartatore. E sciocchezze del genere. Ma questo mi fa pensare. Che cos'altro può fare un vecchio se i suoi amici non vengono più a trovarlo?» 
Todd si strinse nelle spalle. 
«Ho pensato: 'Se volessi aiutare quello sporco segugio di un giornalista, e di sicuro non lo farò, potrei spiegargli alcune di queste sparizioni. Non i cadaveri trovati accoltellati o presi a randellate, quelli no, che Dio faccia riposare le loro anime abbrutite, ma qualche sparizione sì. Perché, dopotutto, qualcuno di questi vagabondi scomparsi si trova nella mia cantina.» «Quanti ce ne sono?» domandò Todd con un filo di voce. 
«Sei», rispose tranquillamente Dussander. «Contando anche quello che mi hai aiutato a seppellire tu.» 
«Sei un vero pazzo», disse Todd. La pelle sotto gli occhi si era fatta bianca e smorta. «Ad un certo punto ti sei fatto prendere la mano.» 
«'Ti sei fatto prendere la mano!' Che modo di dire elegante! Forse hai ragione. Ma poi mi sono detto: 'Questo giornalista tirapiedi vorrebbe appioppare le sparizioni e gli omicidi alla stessa persona — il suo ipotetico "Killer di Ubriaconi". Ma io non credo che la realtà sia questa'. Poi mi sono detto: 'Conosco qualcuno che potrebbe compiere atti del genere? Qualcuno che è stato sotto tensione come lo sono stato io in questi ultimi anni? Qualcuno che è stato ad ascoltare il suono di vecchi fantasmi risvegliati?' E la risposta è sì. Conosco te, ragazzo.» 
«Non ho mai ammazzato nessuno, io.» 
L'immagine che gli apparve non fu quella degli ubriaconi, quelli non erano persone, non erano vere persone. L'immagine che gli apparve in mente era la sua, lui accovacciato sotto l'albero morto, intento a scrutare nel mirino del suo .30-.30, con la croce dell'obiettivo fissa sull'uomo con la barba da capretta, l'uomo che stava guidando il furgoncino. 
«Forse no», disse Dussander abbastanza amichevolmente. «Eppure quella sera hai retto benissimo la situazione. La tua sorpresa era più la rabbia di esserti fatto mettere in una posizione tanto pericolosa dal malessere di un vecchio, credo. Ho torto?» 
«No, non hai torto», rispose Todd. «Ero incazzato con te e lo sono ancora. Ti ho aiutato a nascondere tutto perché hai qualcosa nella cassetta di sicurezza che potrebbe distruggermi la vita.» 
«No. Non è vero.» 
«Che cosa? Che cosa stai dicendo?» 
«È stato un bluff, come lo è stato il tuo 'ho lasciato una lettera a un amico'. Non hai mai scritto quella lettera, non c'è mai stato un amico e io non ho mai scritto una parola sulla nostra... associazione, la vogliamo chiamare così? Adesso metto le carte in tavola. Mi hai salvato la vita. Non importa se hai agito per proteggere te stesso; questo non cambia la velocità e l'efficienza con cui ti sei comportato. Non posso farti del male, ragazzo. Te lo dico sinceramente. Ho visto la morte in faccia e mi ha spaventato, ma non come pensavo. Non c'è nessun documento. È come dici tu. È finita.» 
Todd sorrise: fece uno strano movimento accigliato con le labbra. Negli occhi ondeggiò una strana luce sardonica. 
«Herr Dussander», disse. «Se solo potessi crederle.» 
Quella sera, Todd si incamminò verso la collina che dava sull'autostrada, in direzione dell'albero morto, dove andò a sedersi. Era il tramonto inoltrato. La serata era tiepida. Nell'oscurità si stagliavano i fari delle macchine, come ghirlande di margherite gialle. 
Non c'è nessun documento. 
Non si era reso conto di quanto fosse irreparabile la situazione, fino alla discussione che ne era seguita. Dussander aveva suggerito a Todd di cercare in casa sua la chiave della cassetta di sicurezza e, se non l'avesse trovata, quella sarebbe stata la prova che non esisteva nessuna cassetta di sicurezza e, quindi, nessun documento. Ma una chiave poteva essere nascosta ovunque — poteva essere stata messa in una lattina per bibite e poi seppellita, poteva essere stata messa in una bottiglietta di sottoli e fatta scivolare dietro un'assicella che si era allentata ed era stata sostituita; avrebbe anche potuto essere andato in autobus a San Diego per metterla dietro uno dei sassi del muro di pietra che circonda decorativamente la zona ambientale degli orsi — per quanto potesse importare, continuò Todd, Dussander poteva anche aver buttato via la chiave. Perché no? Ne aveva avuto bisogno solo una volta per metterci dentro il documento scritto. Se fosse morto, l'avrebbe fatto saltar fuori qualcun altro. 
Dussander aveva annuito suo malgrado a quest'ipotesi, ma dopo aver riflettuto qualche minuto aveva dato un altro suggerimento. Quando fosse stato in grado di tornare a casa, gli avrebbe fatto telefonare a tutte le banche di Santo Donato — si sarebbe presentato ai funzionari come suo nipote. — Povero nonno, doveva dire, è diventato un vecchio brontolone negli ultimi due anni e adesso non si ricorda più dove ha messo la chiave della cassetta di sicurezza. Anzi, peggio, non riesce nemmeno a ricordare in che banca ha la cassetta di sicurezza. Potevano controllare nei loro registri il nome di Arthur Denker, senza altre iniziali? E se Todd non avesse avuto risposta affermativa da nessuna banca della città... 
Ancora una volta Todd aveva scosso il capo. Prima di tutto, una storia del genere avrebbe senza dubbio suscitato qualche sospetto. Troppo facile. Con tutta probabilità avrebbero sospettato un doppio gioco e si sarebbero messi in contatto con la polizia. E anche se avessero bevuto la storia, non sarebbe servito a niente. Se anche nessuna delle nove dozzine di banche di Santo Donato aveva una cassetta a nome di Denker, non significava che Dussander non ne avesse una a San Diego, Los Angeles o in qualsiasi altra città.  Infine Dussander aveva ceduto. 
«Hai tutte le risposte, ragazzo. Tutte, eccetto una. Che cosa ci guadagnerei mentendoti? Mi sono inventato quella storia per proteggermi contro di te. Questo è il motivo. Adesso sto cercando di dirti la verità. Che cosa potrei guadagnarci secondo te?» 
Dussander si era appoggiato con fatica su un gomito. 
«Per importante che sia, che bisogno avrei di un documento a questo punto? Potrei distruggerti la vita anche stando in questo letto, se solo volessi. Potrei aprire la bocca con il primo medico che passa, sono tutti ebrei, sanno tutti chi sono o, almeno, chi ero. Ma perché dovrei farlo? Sei un bravo studente. Hai una carriera brillante davanti a te... a patto che tu faccia più attenzione con gli ubriaconi.» 
Il viso di Todd si raggelò. «Non ti ho mai detto...» 
«Lo so. Non ne hai mai sentito parlare, non hai mai sfiorato uno solo di quei capelli sporchi e incrostati, d'accordo, va bene, sì. Non ne parlo più. Dimmi soltanto una cosa, ragazzo: perché dovrei mentirti? Non ci vedremo più, hai detto. Ma io ti dico che possiamo smettere di vederci solo se ci fidiamo l'uno dell'altro.» 
Ora, seduto sotto l'albero morto sulla collina che dava sull'autostrada, guardando i fari anonimi che sparivano continuamente come proiettili traccianti lenti, si rese conto di ciò che temeva. 
Dussander che parlava di fiducia. Questo gli faceva paura. 
L'idea che Dussander potesse nutrire una piccola fiamma d'odio nel profondo del cuore, anche questo gli faceva paura. Odio per Todd Bowden, un ragazzo, ben fatto, senza rughe; Todd Bowden, un ragazzo sveglio con un'intera vita davanti a sé. 
Ma ciò che lo spaventava di più era il rifiuto da parte di Dussander di usare il suo nome. 
Todd. Che cosa c'era di tanto difficile, anche per un vecchio crucco dai denti rifatti? Todd. Una sillaba. Facile da dire. Metti la lingua contro il palato, lascia cadere leggermente i denti, rimetti a posto la lingua, ecco fatto. Eppure
Dussander l'aveva sempre chiamato «ragazzo». E basta. Con sdegno.
Anonimo. Sì, ecco che cos'era. Anonimo, come un numero di serie dei campi di concentramento. 
Forse Dussander stava dicendo la verità. No, non solo forse; probabilmente. Ma c'erano quelle paure... e la peggiore di tutte era il rifiuto da parte di Dussander di usare il suo nome. 
E alla base di tutto quanto, c'era la sua incapacità di prendere una netta decisione determinante. Alla base di tutto quanto, c'era una triste verità, anche dopo quattro anni di visite a Dussander, ancora non sapeva che cosa passava nella testa del vecchio. Forse, dopotutto, non era un ragazzo tanto sveglio. 
Auto, e auto, e auto. Le dita si serrarono per afferrare il fucile. Quanti ne avrebbe potuti ammazzare? Tre? Sei? O forse anche una dozzina? Quanti chilometri c'erano per Babilonia? 
Si mosse con agitazione e ansia. 
Solo la morte di Dussander avrebbe potuto fornirgli la verità decisiva, forse. Nei prossimi cinque anni, forse anche prima. Da tre a cinque... sembrava una sentenza di prigionia. Todd Bowden, questa corte la condanna da tre a cinque anni per associazione a delinquere con un famoso criminale di guerra. Da tre a cinque anni di incubi e di sudori freddi. 
Prima o poi Dussander sarebbe morto. Poi sarebbe iniziata l'attesa. Il nodo allo stomaco ogni qualvolta suonava il telefono o il campanello.  Non era sicuro di poter reggere. 
Le dita si serrarono per afferrare il fucile e Todd strinse i pugni e li picchiò contro i testicoli. Sentì un dolore soffocante diffondersi nel ventre e rimase disteso per terra, raggomitolato, in posizione di palla, con le labbra distorte dall'urlo soffocato. Il dolore era tremendo, ma coprì l'interminabile serie di pensieri. 
Almeno per un po' di tempo. 

20 

Per Morris Heisel, quella domenica fu una giornata di miracoli. Gli Atlanta Braves, la sua squadra di baseball preferita, vinsero due partite in un giorno solo contro i giganti e i forti del Cincinnati per 7 a 1 e 8 a 0. Lydia, che si era sempre vantata con compiacimento di aver avuto cura di se stessa e il cui motto preferito era «un grammo di prevenzione vale un chilo di cure», era scivolata sul pavimento bagnato della cucina della sua amica Janet e si era distorta un fianco. Era a casa, a letto. Non era grave, per niente, e ringraziamo Dio (quale Dio?) per questo, ma non sarebbe stata in grado di andare a trovarlo per almeno due giorni, forse anche quattro. 
Quattro giorni senza Lydia! Quattro giorni durante i quali non l'avrebbe sentita ripetere che lei l'aveva avvisato che la scala a pioli era poco sicura e che lui era andato troppo in alto. Quattro giorni durante i quali non l'avrebbe sentita dire che lei l'aveva sempre saputo che il cucciolo dei Rogan avrebbe provocato qualche guaio, con quella mania che aveva di rincorrere sempre Lover Boy. Quattro giorni durante i quali Lydia non gli avrebbe domandato se adesso era felice che si era dovuta preoccupare lei di spedire la richiesta all'assicurazione, perché se non l'avesse fatto, si sarebbero presto trovati sulla via della povertà. Quattro giorni durante i quali Lydia non gli avrebbe detto che c'è gente che conduce una vita perfettamente normale — almeno, quasi normale — anche se paralizzata dal busto in giù; perché, altrimenti, ci sarebbero le rampe per sedie a rotelle di fianco alle scalinate delle gallerie e dei musei della città, perché ci sarebbero persino autobus speciali? Dopo quell'osservazione, di solito Lydia sorrideva coraggiosamente e scoppiava inevitabilmente a piangere. 
Morris riuscì persino a fare un meritato riposo nel pomeriggio. 
Quando si svegliò erano già le cinque e trenta. Il suo compagno di stanza dormiva ancora. Non era ancora riuscito a mettere a fuoco Denker, ma continuava ad essere sicuro di aver già conosciuto quell'uomo una volta. Aveva tentato di far parlare di sé Denker una volta o due, ma c'era sempre stato qualcosa che gli aveva impedito di oltrepassare la soglia di una banale conversazione — il tempo, l'ultimo terremoto, il prossimo terremoto e, sì, la guida ai programmi televisivi dice che Myron Floren tornerà a fare un'apparizione speciale nello show del sabato sera. 
Morris si disse che non riusciva ad andare oltre perché per lui era diventato un gioco mentale e quando ti trovi imprigionato in un'ingessatura dalle spalle ai fianchi, i giochi mentali possono prenderti la mano. Se si ha un piccolo contesto mentale, non c'è alcun bisogno di domandarsi continuamente come andrà la vita, continuando a pisciare in un catetere. 
Se l'avesse semplicemente chiesto a Denker, il gioco mentale si sarebbe concluso molto probabilmente in modo brusco e insoddisfacente. Avrebbero ricordato i loro passati fino ad arrivare a un'esperienza comune — un viaggio in treno, una gita in barca, forse anche il campo di concentramento. Denker avrebbe potuto trovarsi a Patin; c'erano molti tedeschi ebrei là dentro. 
D'altra parte, una delle infermiere gli aveva detto che Denker sarebbe tornato a casa con tutta probabilità entro una o due settimane di tempo. Se Morris non fosse riuscito a ricordare per allora, avrebbe mentalmente dichiarato di essere sconfitto e avrebbe domandato all'uomo direttamente: Dimmi, ho la sensazione di averti già conosciuto... 
Ma dovette ammettere con se stesso che c'era qualcosa in più. Qualcosa nelle sue percezioni, una specie di risucchio maledetto, che lo faceva pensare a una storia che aveva letto, in cui ogni desiderio era stato accordato in conseguenza a un cambiamento tragico del destino. La vecchia coppia protagonista della storia desiderava avere cento dollari e li ricevette come dono di condoglianze, dopo la morte del loro unico figlio rimasto ucciso in un brutto incidente al mulino. Poi la madre desiderava che il figlio tornasse da loro. Immediatamente dopo, sentirono dei passi sul loro vialetto; poi sentirono bussare alla porta, una scarica di colpi. La madre, impazzita dalla gioia, si era precipitata giù dalle scale per far entrare il figlio. Il padre, impazzito di paura, cercò a tastoni nell'oscurità la zampa della scimmia, suo portafortuna, lo trovò e pregò che suo figlio fosse morto, davvero. La madre aveva aperto la porta e non aveva trovato nessuno sul portico, solo un vortice di vento notturno. 
In qualche modo, Morris sapeva che lui e Denker si erano già conosciuti, ma quella sua sicurezza era come il figlio della vecchia coppia della storia — proveniva dalla tomba, ma non come avrebbe voluto sua madre; anzi, ritornava macilento e a pezzetti per via della caduta che aveva fatto tra gli ingranaggi in funzione della macchina. Gli sembrava che la conoscenza di Denker fosse qualcosa di subconscio, sulla soglia che sta tra quella zona della mente e quella della razionalità e del riconoscimento, pronta a fare il suo ingresso... mentre l'altra parte di lui stava cercando freneticamente la zampetta della scimmia, o un equivalente psicologico; un talismano che potesse spazzare via quella conoscenza per sempre. 
Stava guardando Denker e sentì dei brividi. 
Denker, Denker, dove ti ho già conosciuto, Denker? È stato a Patin? È per questo che non voglio sapere? Ma, in questo senso, due sopravvissuti a quegli orrori non dovrebbero avere paura l'uno dell'altro. A meno che, naturalmente... 
Rabbrividì. Si sentiva molto vicino alla verità, tutt'a un tratto, ma aveva il formicolio ai piedi che gli ruppe la concentrazione, disturbandolo. Era lo stesso formicolio che si prova quando ci si addormenta con il peso su un braccio e la circolazione deve tornare normale; se non fosse stato per la maledetta ingessatura, si sarebbe alzato e si sarebbe grattato i piedi per far sparire quel formicolio. Avrebbe potuto... 
Gli occhi di Morris si spalancarono. 
Rimase a lungo disteso, dimentico di Lydia, dimentico di Denker, dimentico di Patin, dimentico di tutto eccetto il formicolio ai piedi. Sì, tutti e due i piedi, ma era più forte in quello destro. Quando si sente quel tipo di formicolio si dice mi si è addormentato il piede. 
Ma in effetti, quello che si dovrebbe dire è mi si sta risvegliando il piede. 
Morris cercò a tentoni il pulsante per la chiamata. Continuò a schiacciare finché non arrivò l'infermiera. 

L'infermiera cercò di non illuderlo — aveva avuto moki altri pazienti speranzosi prima d'allora. Il suo medico non era in ospedale e l'infermiera non voleva telefonargli a casa. Il dottor Kemmelman aveva la reputazione di un caratteraccio... specialmente quando veniva chiamato a casa. Morris non si diede per vinto. Era un uomo docile, ma in quel momento era pronto a fare storie; era pronto a fare una rivoluzione, se era questo ciò di cui c'era bisogno. I Braves avevano vinto due partite, Lydia si era slogata il fianco. Le belle notizie sono sempre tre alla volta, lo sanno tutti. 
Infine l'infermiera tornò accompagnata da un interno, un giovane che si chiamava dottor Timpnell i cui capelli sembravano essere stati tagliati da un potatore di siepi dotato di forbici male affilate. Il dottor Timpnell tolse dalla tasca dei pantaloni bianchi un coltellino svizzero, fece uscire il cacciavite e lo fece scorrere dalle dita dei piedi di Morris fino al tallone. Il piede non si mosse, ma le dita si contrassero — era stata una contrazione chiara, troppo definita per non notarla. Morris scoppiò in lacrime. 
Timpnell, con espressione di sorpresa, si sedette accanto a lui sul letto e gli picchiettò le mani. 
«Succede qualche volta», disse (relativamente al bagaglio della sua esperienza pratica che con tutta probabilità risaliva a sei mesi prima). «Nessun medico può prevederlo, ma succede. E sembra che sia successo a lei.» Morris annuiva tra le lacrime. 
«È ovvio che lei non è completamente paralizzato», Timpnell stava ancora picchiettandogli le mani. «Ma non mi azzarderei a dire se la sua guarigione potrà essere leggera, parziale o totale. Dubito che si azzarderà anche il dottor Kemmelman. Credo che dovrà sottoporsi a molta terapia fisica, e non sarà sempre divertente. Ma sarà sempre meglio di... lei lo sa.» 
«Sì», rispose Morris tra le lacrime. «Lo so. Grazie a Dio!» Si ricordò di aver detto a Lydia che Dio non esisteva e si sentì il viso rosso come il fuoco. 
«Vedrò di informare il dottor Kemmelman», disse Timpnell, dando un'ultima pacca sulla mano di Morris alzandosi. 
«Potreste telefonare a mia moglie?» domandò Morris. Perché, a parte le lacrime e le pacche sulla mano, provava qualcosa per lei. Forse si trattava anche di amore, un sentimento che non aveva molto a che fare con la voglia occasionale di storcere il collo a una persona. 
«Sì, mi assicurerò che venga fatto. Infermiera, vuole?...» 
«Naturalmente, dottore», disse l'infermiera e Timpnell non riuscì a trattenere un sorriso. 
«Grazie», disse Morris, asciugandosi gli occhi con un Kleenex della scatola sul comodino. «Grazie, mille.» 
Timpnell uscì dalla stanza. A un certo punto della conversazione, Denker si era svegliato. Morris stava pensando se scusarsi per tutto quel
trambusto, o anche per le sue lacrime, e poi decise che non c'era bisogno di nessuna scusa. 
«Devo farle le mie congratulazioni, davvero», disse il signor Denker. 
«Vedremo», rispose Morris, ma come Timpnell, non riuscì a trattenere un sorriso. «Vedremo.» 
«C'è sempre una soluzione per tutto», ribatté Denker con aria distante e poi accese la televisione con il telecomando. Erano ormai le sei meno un quarto e guardarono l'ultima puntata di Hee Haw. Poi il telegiornale. La disoccupazione stava aumentando. L'inflazione non andava tanto male. Billy Carter stava pensando di mettersi nel commercio della birra. Un sondaggio appena concluso provava che, se le elezioni si fossero tenute immediatamente, c'erano quattro candidati repubblicani in grado di battere il fratello di Billy, Jimmy. C'erano stati incidenti tra la folla subito dopo l'assassinio di un bambino di colore a Miami. «Una notte di violenza», la chiamò lo speaker. Sulla Statale 46, vicino alla città, era stato rinvenuto in un frutteto il corpo di un uomo non identificato, accoltellato e percosso. 
Lydia chiamò poco prima delle sei e trenta. L'aveva avvertita il dottor Kemmelman e, basandosi sul rapporto fatto dal giovane interno, era stato prudentemente ottimista. Lydia era prudentemente felice. Promise di andare a trovarlo il giorno dopo anche morta. Morris le disse che l'amava. Quella sera amava tutti — Lydia, il dottor Timpnell con i capelli tagliati dal potatore, il signor Denker, persino la ragazzina che aveva portato il vassoio della cena subito dopo che Morris aveva riagganciato. 
La cena consisteva di hamburger, pasticcio di patate, contorno di carote e piselli, e un piattino di gelato come dessert. L'infermiera volontaria che glielo servì era Felice, una ragazza bionda e timida di circa vent'anni. Anche lei aveva le sue belle novità — il suo ragazzo aveva trovato un posto di lavoro come programmatore di computer all'IBM e le aveva ufficialmente chiesto di sposarlo. 
Il signor Denker, che emanava un certo fascino raffinato al quale rispondevano tutte le ragazzine, si espresse con grande piacere. «È meraviglioso, davvero. Devi sederti a raccontarci tutto. Raccontaci tutto. Non omettere niente.» 
Felice arrossi e sorrise, poi disse che non poteva farlo: «Devo ancora servire tutta l'ala B e tutta l'ala G. E, guardate, sono già le sei e mezzo». 
«Allora, domani sera, prometti. Insistiamo... non è vero, signor Heisel?»  «Sì, certo», mormorò Morris, ma la sua mente era distante  (devi sederti a raccontarci tutto). 
Parole dette nello stesso tono scherzoso. Le aveva sentite prima; di questo non aveva alcun dubbio. Ma era stato Denker a pronunciarle? Era stato lui?  (raccontaci tutto) 
La voce di un uomo educato. Un uomo colto. Ma c'era una minaccia in quella voce. Una mano d'acciaio con un guanto di velluto. Sì. 
Dove? 
(raccontaci tutto. Non omettere niente) 
(?PATIN?) 
Morris Heisel guardò la sua cena. Il signor Denker stava già mangiando con appetito. L'incontro con Felice l'aveva messo di buon umore — come di solito succedeva anche dopo le visite del ragazzo con i capelli biondi. 
«Una ragazza carina», disse Denker, con la bocca piena di carote e piselli.  «Oh, sì...» 
(devi sederti) 
«...Felice, intende dire. È...» 
(raccontaci tutto) 
«...molto dolce.» 
(raccontaci tutto, non omettere niente) 
Volse lo sguardo sul suo vassoio, ricordandosi improvvisamente di com'era nei campi di concentramento, dopo qualche giorno di permanenza. Inizialmente, si poteva anche ammazzare per un pezzetto di carne, per quanto marcia e marrone potesse essere. Ma dopo un po', la fame spariva e restava la pancia pesante come una piccola pietra di granito. Era come se la fame non fosse più potuta tornare. 
Finché qualcuno ti faceva vedere del cibo. 
(raccontaci tutto, amico mio, non omettere niente, devi sederti a raccontarci TUUUUTTO) 
La portata principale del vassoio di plastica dell'ospedale di Morris era l'hamburger. Perché gli era venuto in mente l'agnello? Non era montone, non era una costata — il montone era spesso nervoso, le costate erano dure e una persona con denti rovinati come vecchie radici non sarebbe stata molto attratta da montone o da una costata. No, lui stava pensando a un saporito stufato di agnello, pieno di salsina e di verdura. Verdura succulenta e morbida. Perché pensava allo stufato di agnello? Perché, a meno che...  Si spalancò la porta. Era Lydia, con un viso roseo e sorridente. Si appoggiava il braccio su una stampella di alluminio e camminava come l'amico di Chester, Marshall Dillon. «Morris!» strillò. Dietro di lei, con la stessa espressione di gioia cauta, c'era Emma Rogan, la vicina di casa. 
Il signor Denker sobbalzò facendo cadere la forchetta. Imprecò tra i denti e si apprestò a raccoglierla dal pavimento con un sussulto. 
«È MERAVIGLIOSO», urlò Lydia dalla gioia. «Ho telefonato a Emma e le ho domandato se potevamo venire questa sera invece di domani, avevo già la stampella e le ho detto, 'Em', le ho detto, 'se non riesco a sopportare questo dolore per Morris, che razza di moglie sono?' Ho detto proprio così, vero Emma?» 
Emma Rogan, ricordandosi forse che il suo cucciolo di collie era stato in parte responsabile di quel problema, annuì vigorosamente con il capo. 
«Allora ho chiamato l'ospedale», disse Lydia scrollandosi di dosso il cappotto, e sistemandosi come se avesse l'intenzione di fermarsi a lungo, «e mi hanno detto che era già passato l'orario delle visite, ma che nel mio caso avrebbero fatto un'eccezione, se però non fossimo rimaste troppo, per non disturbare il signor Denker. Non la stiamo infastidendo, vero, signor 
Denker?» 
«No, signora cara», rispose rassegnato Denker. 
«Siediti, Emma, prendi la sedia del signor Denker, non la sta usando. Morris, basta con il gelato, te lo stai rovesciando tutto addosso, come un bambino. Non preoccuparti, ti riavremo presto in piedi. Ti imbocco io. Opop, ahm-ahm. Apri bene la bocca... lingua a posto, giù la saliva... prepara lo stomaco perché arriva!... No, non dire niente. La mamma sa che cosa deve fare. Guardalo, Emma, non ha quasi più capelli, e non mi meraviglia, ha rischiato di non poter più camminare. È una grazia del Signore. Gliel'avevo detto che quella scala non era sicura. Avevo detto 'Morris', avevo detto 'vieni giù di lì prima che...'» 
Gli diede il gelato e chiacchierò per un'altra oretta; quando si apprestò ad andarsene, zoppicando vistosamente sulla stampella mentre Emma la sosteneva per il braccio, lo stufato di agnello e le voci che gli ritornavano dal passato erano gli ultimi pensieri nella mente di Morris Heisel. Era esausto. Dire che era stata una giornata piena, era un eufemismo. Morris si addormentò profondamente. 
Si svegliò verso le tre o le quattro del mattino, soffocando in gola un grido. 
Adesso sapeva. Sapeva esattamente dove e quando aveva fatto la conoscenza dell'uomo nell'altro letto. Però il suo nome non era Denker. Oh, no, no davvero. 
Si era svegliato dal più brutto degli incubi di tutta la sua vita. Qualcuno aveva dato a lui e a Lydìa la zampa di una scimmia e loro avevano espresso il desiderio di avere dei soldi. Poi, chissà come, un ragazzo della Western Union con l'uniforme giovanile di Hitler si era trovato nella loro stessa stanza. Aveva dato a Morris un telegramma che diceva: CI DISPIACE 
COMUNICARLE CHE ENTRAMBE SUE FIGLIE DECEDUTE STOP 
CAMPO CONCENTRAMENTO PATIN STOP DISPIACIUTI PER
SOLUZIONE FINALE STOP SEGUE LETTERA COMANDANTE STOP 
RACCONTERÀ TUTTO SENZA OMETTERE NIENTE STOP PREGHIAMOLE ACCETTARE ASSEGNO 100 REICHMARKS DA DEPOSITARE PRESSO SUA BANCA DOMANI STOP FIRMATO IL CANCELLIERE ADOLF HITLER. 
Un urlo di Lydia che, anche se non aveva mai nemmeno visto le figlie di Morris, sventolava la zampa di scimmia nella speranza che ritornassero in vita. La stanza si era fatta buia. E, tutt'a un tratto, dall'esterno, si sentivano dei passi lenti, striscianti. 
Morris era inginocchiato con le mani per terra nell'oscurità che improvvisamente puzzava di fumo, di gas, di morte. Stava cercando la zampa. Un desiderio era stato espresso. Se fosse riuscito a trovare la zampa, avrebbe potuto esprimere il desiderio di allontanare per sempre gli incubi. Si sarebbe risparmiato la vista delle figlie, magre come spaventapasseri, con gli occhi infossati nelle cavità, con i numeri ancora fumanti nella poca carne delle braccia. 
Sulla porta si sentiva un'incredibile scarica di colpi. 
Nell'incubo, la ricerca della zampa diventava sempre più frenetica, ma senza risultato. Sembrava non avere mai fine. E poi, dietro di lui, la porta si era spalancata. No, aveva pensato, non voglio guardare, chiudo gli occhi. Le cancellerò dalla mia mente, se devo, ma non voglio guardare. 
Ma poi aveva guardato. Doveva guardare. Nel sogno, era come se due mani enormi gli avessero afferrato la testa per farlo voltare. 
Non c'erano le sue figlie sulla porta; c'era Denker. Un Denker molto più giovane, un Denker con l'uniforme nazista delle SS, sul cappello il distintivo della morte sistemato disinvoltamente su un lato. I bottoni luccicavano senza pietà, gli stivali brillavano di una vernice mortale. 
Ben salda in mano, teneva una coscia di stufato di agnello bollita lentamente. 
E Denker del sogno, aprendosi in un sorriso oscuro e soave, diceva: Devi sederti a raccontarci tutto — da amico ad amico, hein? Abbiamo sentito che è stato nascosto dell'oro. Che è stato rubato del tabacco. Che quello di Schneibel non è stato avvelenamento da cibo, ma polvere di vetro messa nella zuppa due sere fa. Non devi offendere la nostra intelligenza, facendo fìnta di non sapere niente. Tu sapevi TUTTO. Per cui racconta. Non omettere niente. 
E nell'oscurità, con l'odorino dello stufato che faceva impazzire, aveva raccontato tutto quanto. Lo stomaco, una piccola pietra di granito, stava diventando una tigre selvaggia. Le parole gli cadevano dalla bocca istintivamente. Gli scaturivano come il sermone senza senso di un matto, verità e menzogna tutto mischiato insieme. 
Brodin tiene la fede di sua madre attaccata sotto lo scroto!  («devi sederti») 
Laslo ad Herman Dorksy hanno pensato di abbattere la torre di guardia numero tre. 
(«a raccontarci tutto») 
Il marito di Rachel Tannenbaum ha del tabacco, ne ha dato un po' alla guardia che viene dopo Zeickert, quello che viene chiamato
''Mangiacapperi', perché sta sempre con un dito nel naso per poi metterselo in bocca, Tannenbaum ne ha dato un po' a Mangiacapperi perché non gli portasse via la perla dell'orecchino di sua moglie! 
(«Oh, ma non ha senso, non ha nessun senso, credo che tu abbia mischiato insieme due storie diverse, ma non fa niente, va bene lo stesso, preferiamo avere due storie mischiate piuttosto di saperne omessa una, non devi omettere NIENTE») 
C'è un uomo che risponde al nome del figlio morto per avere doppia razione! 
(«dicci il nome!») 
Non lo so ma posso indicarvelo, per favore, sì, posso farvelo vedere, lo farò, lo farò, lo farò, lo («dicci tutto quello che sai») farò, lo farò, lo farò, lo farò, lo farò, lo farò, lo farò, lo 
Finché non riprese conoscenza con un grido che gli bruciava in gola. 
Tremando senza controllo, si voltò verso la forma che dormiva nell'altro letto. Si accorse di fissare in modo particolare la bocca, raggrinzita e scavata. Vecchia tigre senza denti. Una vecchia canaglia viziosa, come un elefante senza più una zanna e con l'altra che balla nella cavità. Mostro di senilità. 
«Oh, mio Dio», mormorò Morris Heisel. La voce era alta e insicura, poteva sentirla solo lui. Le lacrime gli scorrevano sulle guance verso le orecchie. «Oh, mio Dio, l'uomo che ha ammazzato mia moglie e le mie figlie sta dormendo insieme con me, nella mia stessa stanza, Dio mio, oh, Dio mio, è qui, adesso, con me, in questa stanza.» 
Le lacrime cominciarono a scorrere più rapidamente — lacrime di rabbia e orrore bruciante; ustionante. 
Tremava e aspettava la mattina. E il mattino sembrava non arrivare mai. 

21 

Il giorno dopo, lunedì, Todd si era alzato alle sei di mattina e, mentre trangugiava un uovo strapazzato che si era preparato di persona, si accorse di suo padre che scendeva dalle scale in accappatoio e ciabatte. 
«Mhf», disse a Todd dirigendosi verso il frigorifero in cerca del succo di arancia. 
Todd rispose al grugnito senza staccare gli occhi dal libro, un giallo della serie 87esima Pattuglia. Era stato molto fortunato a trovare quel lavoro estivo con la società di ricerche che lavorava fuori da Pasadena. Sarebbe stato troppo lontano per andare regolarmente avanti e indietro anche se i genitori gli avessero prestato una macchina per tutta l'estate (e non ne avevano l'intenzione); però suo padre stava lavorando in un cantiere non lontano dal posto e poteva lasciare Todd alla fermata dell'autobus e riprenderlo sulla via del ritorno. Todd era infuriato per questo: non gli piaceva l'idea di tornare dal lavoro insieme con suo padre e detestava letteralmente doverci andare anche di mattina. Era proprio di mattina che si sentiva più vulnerabile, quando il divisorio tra ciò che era veramente e ciò che potenzialmente poteva essere era più sottile che mai. Era difficile dopo una notte di brutti sogni, ma anche se non ci fossero stati gli incubi, sarebbe stato difficile lo stesso. Una mattina si rese conto con un fremito di terrore improvviso che stava considerando seriamente l'idea di scavalcare la valigetta di suo padre, di afferrare il volante della Porsche e di buttarsi a spirale contro i binari ferroviari, contrassegnando la mattinata dei pendolari con un tragico evento. 
«Vuoi un altro uovo, Todd-bello?» 
«No, grazie, papà.» A Dick Bowden piacevano fritte. Come si possono mangiare uova fritte? Cotte solo dopo un paio di minuti sul grill. Poi nel piatto si presenta come un occhio gigantesco morto come sopra la cataratta, un uovo che sanguina arancio se lo si infilza con la forchetta. 
Scostò l'uovo strapazzato. L'aveva toccato appena. 
Fuori, il rumore del giornale che sbatteva contro i gradini. 
Suo padre finì di cucinare, spense il grill e tornò al tavolo: «Non hai fame questa mattina, Todd-bello?» 
Chiamami ancora una volta in quel modo e ti infilo il coltello su per il naso... papà-bello. 
«Credo di non avere molto appetito.» 
Dick sorrise a suo figlio con affetto; si vedeva una macchia di schiuma da barba sull'orecchio destro del ragazzo. «È stata Betty Trask a farti perdere l'appetito. Almeno, credo che sia così.» 
«Già, forse hai ragione.» Fece un debole sorriso che cancellò non appena suo padre scese le scale della cucina per andare a prendere il giornale. Ti sorprenderebbe se ti dicessi che razza di puttana è, papà-bello? Che cosa faresti se ti dicessi: «Oh, a proposito, lo sapevi che la figlia del tuo vecchio amicone Ray Trask è una delle più grandi troie di Santo Donato? Si bacerebbe la figa da sola se fosse contorsionista, papà-bello. È fatta così. Per due tirate di coca è tua per la notte. E se ti capita di restare senza coca, è tua ugualmente. Scoperebbe con un cane, se non riuscisse a trovare un uomo.» Credi che ti sorprenderebbe, papà-bello? Ti farebbe iniziare bene la giornata? 
Respinse quei pensieri con violenza, rendendosi conto che però non avrebbe raggiunto lo scopo. 
Suo padre tornò con in mano il giornale. Todd diede una rapida occhiata al titolo di testa: LO SPACE SHUTTLE NON PUÒ PARTIRE, DICONO GLI ESPERTI. 
Dick si sedette, dicendo «Betty è una gran bella ragazza», e proseguì: «Mi fa tornare in mente tua madre la prima volta che l'ho vista».  «Davvero?» 
«Carina... giovane... fresca...» Gli occhi di Dick Bowden si persero nel vuoto, per tornare immediatamente alla realtà, focalizzandosi su suo figlio. «Non intendo dire che tua madre non sia più una bella donna. Ma a quell'età una ragazza ha un fascino... particolare, credo si dica così. Permane per un po' di tempo, ma poi sparisce subito.» Alzò le spalle e aprì il giornale. 
«C'est la vie, credo.» 
È una puttanella in calore. Forse è proprio questo il suo fascino. 
«La stai trattando bene, vero, Todd-bello?» Suo padre stava dando la solita scorsa alle pagine sportive del giornale. «Non si sta raffreddando la colazione?» 
«È tutto freddo, papà.» 
(se non la smette alla svelta dovrò fare qualcosa: urlare, gettargli il caffè in faccia, qualcosa) 
«Ray dice che sei un bravo ragazzo», disse con noncuranza Dick. Finalmente era riuscito a trovare le pagine dello sport. Finalmente sulla tavola calò il silenzio. 
Betty Trask c'era stata subito, fin dalla prima volta che erano usciti insieme. Dopo il film l'aveva accompagnata sul viale delle coppiette, perché sapeva che era questo che ci si aspettava da lui; avrebbero potuto pomiciare per una mezzoretta per avere qualche cosa da raccontare ai rispettivi amici il giorno dopo. Avrebbe potuto alzare gli occhi al cielo, sostenendo di aver lottato di fronte alle sue avances — i ragazzi sono veramente noiosi, e lei non scopava mai al primo appuntamento, lei non era quel tipo di ragazza. Le sue amiche avrebbero approvato e poi sarebbero andate tutte alla toilette per fare quello che di solito fanno in quel posto — si truccano, si cambiano il Tampax o chissà che altro. 
E per un ragazzo... be', è tutta un'altra cosa. Bisogna sempre arrivare in area di rigore e tentare di fare goal. Dopotutto la reputazione è la reputazione. A Todd non era mai importato niente di avere una reputazione da stallone; l'unica cosa che gli interessava veramente era quella di apparire normale. Però, se almeno non si tentava, si sarebbe sparsa la voce. Avrebbero iniziato tutti a domandarsi se eri normale. 
Quindi le portava tutte sulla Jan's Hill, le baciava, giocherellava con i loro capezzoli e si spingeva un po' oltre se loro lo permettevano. Tutto qui. Lo avrebbero fermato in tempo, lui avrebbe intavolato un bel discorsetto qualunque e poi le avrebbe riaccompagnate a casa. Senza più preoccuparsi di quello che avrebbero potuto dire il giorno dopo nella toilette delle ragazze. Senza la preoccupazione di sentir dire da tutti che Todd Bowden era un ragazzo strano. Però... 
Però Betty Trask era il tipo di ragazza che scopa al primo appuntamento. A tutti gli appuntamenti. E anche tra un appuntamento e l'altro. 
La prima volta risaliva a un mesetto prima, ancor prima dell'attacco cardiaco di quel nazista maledetto e Todd aveva pensato di non essersela cavata niente male per essere vergine... forse sarebbe la stessa cosa per un portiere debuttante che viene fatto entrare in squadra senza essere preavvertito e che così riesce a parare il rigore più importante della stagione. Non aveva avuto tempo di pensarci, di sentirsi responsabile. 
Todd aveva sempre saputo percepire quando una ragazza aveva preso la decisione di concedersi all'appuntamento seguente. Si rendeva conto di piacere e di avere un aspetto e una posizione rispettabili. Il classico ragazzo che le madri puttane consideravano da marito. E quando capiva di essere vicino alla capitolazione fisica, iniziava ad uscire con qualcun'altra. E, a prescindere da quello che può significare, Todd aveva sempre ammesso a se stesso che se avesse iniziato a frequentare una ragazza veramente frigida, sarebbe forse stato in grado di vederla per anni. Forse poteva persino sposarla. 
Ma la prima volta con Betty era andata piuttosto bene — lei non era vergine, lui lo era. Aveva dovuto aiutarlo a infilare dentro di lei il cazzo e sembrava che la cosa le fosse del tutto familiare. E, nel bel mezzo dell'azione, balzò a sedere sul lenzuolo su cui erano sdraiati, dicendo: «Io adoro scopare». Con lo stesso tono di voce che una ragazza avrebbe usato per dire quanto adorava il gelato alla fragola. 
Le volte seguenti — ce n'erano state altre cinque (cinque e mezzo se vogliamo contare anche l'ultima notte) — non erano andate altrettanto bene. Anzi, erano andate sempre peggiorando, ad un tasso quasi esponenziale... anche se non pensava che Betty se ne fosse resa conto (almeno, non fino all'ultima notte). Anzi. Betty sembrava credere di aver trovato l'ariete dei suoi sogni. 
Todd non aveva provato nessuna delle sensazioni che avrebbe dovuto, in un frangente di quel genere. Quando la baciava aveva la sensazione di baciare fegato tiepido e crudo. Quando la lingua di lei gli si muoveva in bocca, pensava soltanto a quale tipo di germi avrebbe potuto trasmettergli e a volte credeva di sentire l'odore delle sue budella — una spiacevole puzza acre, come il cromo. I suoi seni erano borse di carne. Niente di più. 
Todd aveva fatto l'amore con lei altre due volte prima dell'attacco cardiaco di Dussander. E ogni volta i problemi di erezione erano aumentati. In entrambi i casi era comunque riuscito, grazie alla propria fantasia. Lei, nuda davanti a tutti i loro amici. Piangente. Todd che la obbligava a camminare davanti a loro, mentre gridava: Mostra i capezzoli! Fa' vedere bene la tua passera, brutta puttana! Allarga le gambe! Piegati e allarga le natiche! 
L'innamoramento di Betty non era stato una sorpresa. Era un bravo amante, nonostante i suoi problemi, anzi, grazie a questi. Il primo passo era diventare duro. Una volta raggiunta l'erezione, bisognava raggiungere l'orgasmo. La quarta volta che facevano l'amore — tre giorni dopo l'attacco cardiaco di
Dussander — l'aveva martellata per più di dieci minuti. Betty Trask credeva di morire e si sentiva in Paradiso; aveva raggiunto tre orgasmi e stava per arrivare al quarto quando Todd si ricordò di una vecchia fantasia... in effetti, si trattava della Prima Fantasia. La ragazza sul lettino, legata e inerme. L'enorme vibratore. Il rigonfiamento di gomma. Solo allora, disperato, sudato e quasi fuori di sé dal desiderio di superare quell'orrore, il viso della ragazza sul lettino divenne il viso di Betty. Questo gli procurò uno spasmo, senza piacere, che, però, tecnicamente gli fece pensare di aver raggiunto l'orgasmo. Un minuto più tardi Betty gli stava sussurrando all'orecchio, con alito caldo e odorante di chewing gum: «Tesoro, puoi avermi quando vuoi.
Telefonami». 
Todd aveva risposto con un grugnito. 
Il nocciolo della questione era questo: si sarebbe rovinato la sua reputazione se avesse rotto con una ragazza che aveva perso così chiaramente la testa per lui? La gente si sarebbe domandata perché? Una parte di lui diceva di no. Si ricordò di quando stava passeggiando nel corridoio della scuola, alle spalle di due veterani, durante il suo primo anno alle superiori e aveva sentito che uno diceva all'altro di avere l'intenzione di lasciare la sua ragazza. L'altro voleva sapere come mai. «L'ho scopata troppo». aveva risposto il primo e tutti e due si erano piegati dalle risate. 
Se qualcuno mi chiede perché l'ho lasciata, risponderò che l'ho scopata troppo. Ma che cosa succede se lei va in giro a raccontare che l'abbiamo fatto solo cinque volte? Non sono abbastanza? Che cosa?... Quanto?... Quante?... Che diranno?... Che cosa diranno? 
La sua mente continuava a correre senza sosta, come un topo affamato in un labirinto intricato. Si rendeva conto di ingigantire quello che poi non era un vero problema e che la sua incapacità di risolverlo era dovuta in parte al fatto di essere diventato nevrotico. Ma anche sapendolo, non riusciva proprio a cambiare atteggiamento e cadde in una profonda depressione. 
Il college. Il college era la risposta. Il college gli offriva la scusa di rompere con Betty, scusa che nessuno poteva contestargli. Ma settembre sembrava così lontano. 
La quinta volta c'erano voluti quasi venti minuti per diventare duro, ma l'esperienza aveva insegnato a Betty che valeva sempre la pena aspettare. E poi, l'altra sera, non era stato in grado di fare niente. 
«Be', che cosa ti prende?» gli aveva domandato Betty in modo petulante. Dopo venti minuti che gli aveva manipolato il cazzo, tutta scarmigliata e spazientita, disse: «Sei diventato come Boy George?» 
L'avrebbe strangolata lì, sul posto. Se solo avesse avuto il suo .30-.30... 

«Be', che mi prenda un colpo! Congratulazioni, figlio!» 
«Eh?» alzò lo sguardo, distogliendosi dai suoi macabri pensieri. 
«Sei uno degli eroi della Southern Cal High School», esclamò suo padre sorridendo dall'orgoglio e dal piacere. 
«Davvero?» Fece un po' di fatica a capire ciò di cui stava parlando suo padre; cercava di capire quello che voleva dire «Be', sì, Coach Haines mi aveva detto qualcosa del genere per la fine dell'anno. Aveva detto di voler inserire me e Billy DeLyons. Non mi aspettavo che sarebbe successo davvero.» 
«Be', Cristo, non mi sembri fare i salti dalla contentezza.» 
«Sto ancora cercando (chi cazzo se ne frega?) 
di abituarmi all'idea», e con grande sforzo, riuscì a sorridere. «Posso 
leggere l'articolo?» 
Suo padre gli allungò il giornale da sopra il tavolo e si alzò in piedi 
«Vado a svegliare Monica. Deve saperlo prima che noi ce ne andiamo.» No, Dio — non ce la faccio ad affrontarli tutti e due, questa mattina. 
«Oh, non farlo. Lo sai, che non sarà più capace di riaddormentarsi se la svegli. Lo lasceremo qui, sul tavolo.» 
«Sì, dopotutto, possiamo fare così. Sei un ragazzo davvero in gamba, Todd.» Gli diede una pacca sulle spalle e Todd strizzò gli occhi. Contemporaneamente strinse le spalle nel solito modo che faceva ridere il padre. Todd riaprì gli occhi e diede un'altra occhiata al giornale. 
4 RAGAZZI NOMINATI EROI DELLA SOUTHERN CAL, diceva il 
titolo. Sotto, c'erano anche le loro fotografie in divìsa — il catcher, l'esterno sinistro della Fairview High, il lanciatore mancino della Mountford e Todd all'estrema destra, che sorrideva apertamente al mondo da sotto il berretto da baseball. Lesse l'articolo e venne a sapere che Billy DeLyons era entrato nella seconda squadra. Questo, almeno, era qualcosa per cui si poteva essere felici. DeLyons poteva dichiararsi Metodista fino a farsi seccare la lingua, se gli faceva piacere, ma non gliela dava a bere a Todd. Sapeva benissimo che cos'era Billy DeLyons. Forse avrebbe dovuto presentarlo a Betty Trask, lei era un'altra impostora. Era da tempo che se lo domandava, e l'ultima sera non aveva avuto più dubbi. I Trask si stavano facendo passare per bianchi. Ma se si guardava bene il loro naso e la carnagione olivastra — il vecchio era il più chiaro di tutti — lo si capiva subito. Forse era proprio per questo che non ce l'aveva fatta. Era semplice: il suo cazzo aveva capito l'inganno ancora prima del suo cervello. Chi pensavano di prendere in giro, facendosi chiamare Trask? 
«Ancora congratulazioni, figliolo!» 
Alzò lo sguardo e vide la mano di suo padre che aspettava, poi il sorrisetto ebete sul viso felice. 
Il tuo amico Trask è un ebreo, voleva gridare in faccia a suo padre. È per questo che sono stato impotente con sua figlia l'altra sera! Ecco perché! Poi, subito, ecco la freddezza, che in momenti come questo, gli saliva dal  profondo e riusciva a spegnere il flusso dell'irrazionalità, quasi come 
(ADESSO CERCA DI CONTROLLARTI) cancelli d'acciaio. 
Prese la mano di suo padre e la strinse. Rispose con uno schietto sorriso all'espressione orgogliosa di suo padre, dicendo: «Be', grazie, papà». 
Lasciarono la pagina del giornale piegata al contrario con un'annotazione per Monica che Dick fece scrivere e firmare a Todd: Tuo figlio, l'Eroe, Todd. 

22 

Ed French, alias Grinza French, alias «Pete-Scarpe-da-Tennis» e UomoKed, alias Ed French Caloscia, si trovava nella piccola e ridente cittadina di mare di San Remo, per un congresso di responsabili per l'orientamento. Era una perdita di tempo, se mai ce ne era stata una — tutti i responsabili per l'orientamento erano sempre d'accordo, subito dal primo giorno, se c'era da disapprovare qualcosa — e si era annoiato in mezzo a tutti quei documenti, i seminari, e le discussioni. A metà della seconda giornata, scoprì di essersi annoiato anche di San Remo, e che, tra tutti gli aggettivi: piccola, ridente, marina, probabilmente il più adatto, era proprio il primo. Nonostante i panorami favolosi ed i viali alberati, San Remo non era nemmeno dotata di una sala cinematografica e di un bowling e a Ed non andava di andare nell'unico bar della zona — aveva un parcheggio sporco pieno di camion di passaggio, molti dei quali avevano adesivi di Reagan sui parafanghi arrugginiti e sulle porte posteriori. Non aveva paura di essere coinvolto in una rissa, ma non aveva voglia di passare la serata ad osservare uomini con capelli da cow-boy e ad ascoltare Loretta Lynn al juke box. 
Ed eccolo, alla terza giornata del congresso che stava per essere pericolosamente prolungata di un giorno: eccolo nella stanza 217 dell'Holiday Inn, moglie e figli a casa, con la TV rotta, con uno spiacevole odore del bagno. C'era una piscina ma il suo eczema quell'estate era tanto peggiorato che non si sarebbe mai fatto sorprendere in costume da bagno. Dalle ginocchia in giù sembrava un lebbroso. Gli restava ancora un'ora prima del seminario seguente (Aiuti Per I Bambini Con Problemi Vocali — si proponevano di fare qualcosa per i bambini che tartagliavano o che avevano il labbro leporino, ma non si poteva parlare liberamente, Cristo no, avrebbero potuto abbassar loro gli stipendi), aveva pranzato nell'unico ristorante di San Remo, non aveva voluto riposarsi, e l'unica stazione televisiva stava ritrasmettendo una puntata di «I Mostri». 
Allora si sedette con la rubrica telefonica in mano e cominciò a sfogliarla senza uno scopo, senza riflettere su quello che stava facendo, pensando distrattamente se conosceva qualcuno abbastanza pazzo da abitare in una piccola, ridente cittadina di mare come San Remo. Forse tutti i clienti annoiati dell'Holiday Inn del mondo finivano per comportarsi così — mettendosi alla ricerca di un vecchio amico o di un parente a cui telefonare. Ecco fatto, la puntata de «I Mostri», la Bibbia. E se per caso ti capita di trovare qualcuno, che cosa diavolo gli puoi dire? 
«Frank! Come te la passi? E, già che ci siamo, dimmi, come ti trovi nella piccola, ridente cittadina di mare?» Sicuro. Esatto. Gli fai qualche complimento e stai al telefono un'ora. 
Eppure, mentre stava sul letto a sfogliare il piccolo elenco telefonico di San Remo facendo scorrere le righe, gli sembrava di conoscere veramente qualcuno di San Remo. Un venditore di libri? Un nipote di Sondra, visto che se ne contavano a battaglioni? Un vecchio compagno di poker del liceo? Il parente di uno studente? Fu come un campanello, ma non riuscì a ricordare. Continuò a scartabellare, e si accorse di aver voglia di dormire. Stava quasi per addormentarsi, quando gli venne in mente, balzò a sedere, ormai completamente sveglio. 
Lord Peter! 
Stavano trasmettendo una puntata della serie «Wimsey» quella sera — Le Nuvole della Testimonianza, Pubblicità di un Omicidio, I Nove Sarti. Lui e
Sondra ne andavano matti. Ian Carmichael faceva la parte di Wimsey e Sondra era pazza di lui. Tanto pazza che Ed, che altrimenti non avrebbe mai notato la somiglianza di Carmichael con Lord Peter, si era arrabbiato davvero. 
«Sandy, ha i contorni del viso irregolari. E anche i denti falsi, per l'amor del cielo!» 
«Puah», aveva risposto Sondra evasivamente dal divano dove si era raggomitolata. «Sei soltanto geloso. È così interessante.» 
«Il papà è geloso; il papà è geloso», canterellava la piccola Norma saltellando per il salotto con il suo pigiamino da papera. 
«Tu avresti già dovuto essere a letto da un'ora», aveva detto Ed a sua figlia con sguardo avvelenato. «E se continui finirò per dimenticare che sei mia figlia.» 
La piccola Norma si era momentaneamente offesa. E si era rivolta nuovamente a Sondra. 
«Mi ricordo di tre o quattro anni fa. Avevo un ragazzo che si chiamava Todd Bowden, e suo nonno venne a parlare con me. Quell'uomo assomigliava a Wimsey. Un Wimsey molto vecchio, ma la forma del viso era proprio la stessa, e...» 
«Wim-sey, Wim-sey, Dim-sey, Jim-sey», canterellava la piccola Norma, «Wim-sey, Bim-sey, Du-du-duo-oh-oh.» 
«Silenzio, tutti e due», era esplosa Sondra. «Io credo che sia un uomo meraviglioso.» Che donna irritante! 
Ma il nonno di Todd Bowden non era andato in pensione a San Remo? Certo, era stato segnato sui moduli scolastici. Todd era stato uno degli alunni migliori dell'anno, poi, improvvisamente, i voti si erano abbassati vertiginosamente. Era arrivato il vecchio, aveva raccontato la vecchia storiella dei problemi in famiglia ed era riuscito a persuadere Ed a lasciar correre per un po' per vedere se le cose si riaggiustavano da sole. Ed pensava che la linea del laissez faire non avrebbe funzionato — se si dice a un ragazzo di mettersi sotto, di mettercela tutta o di morire, il ragazzo di solito preferisce morire. Ma il vecchio era stato particolarmente convincente (forse era stata la somiglianza con Wimsey) e allora Ed aveva acconsentito a lasciare in pace Todd fino alla fine del trimestre. E, caspita, Todd ce l'aveva fatta! Il vecchio doveva aver preso dei provvedimenti in famiglia e forse aveva rotto il culo a qualcuno, pensò Ed. Sembrava proprio il tipo adatto per farlo, anzi forse ci aveva persino provato gusto. Poi, due giorni fa, aveva visto la fotografia di Todd sul giornale — era diventato uno degli eroi del baseball della Southern Cal. Niente male, se si considera che solo 500 ragazzi vengono nominati ogni primavera. Forse non si sarebbe mai ricordato del nome del nonno se non avesse visto quella fotografia. Riprese a sfogliare l'elenco, finalmente, con uno scopo, facendo scorrere i nomi delle colonne con il dito, ed eccolo. BOWDEN VICTOR, 403 Ridge Lane. Compose il numero e dall'altra parte il telefono suonò a lungo. Stava quasi per riappendere quando rispose la voce di un vecchio. «Pronto?» 
«Pronto, signor Bowden? Sono Ed French. Della scuola di Santo Donato.» 
«Sì?» gentile, niente di più. Certamente non l'aveva riconosciuto. Be', il vecchio aveva tre anni in più (e non sono pochi!) e senza dubbio le cose, di tanto in tanto, gli scappavano dalla mente. 
«Si ricorda di me, signore?» 
«Dovrei?» La voce di Bowden era prudente ed Ed sorrise. Il vecchio si era dimenticato, ma non voleva darlo a vedere, se poteva evitarlo. Anche il suo vecchio aveva fatto così quando l'udito aveva incominciato a diminuire. 
«Io sono stato il responsabile per l'orientamento di suo nipote Todd alla scuola di Santo Donato. Le telefono per congratularmi con lei. Ce l'ha fatta davvero ad andare al college, eh? E adesso ha superato se stesso! Wow!» 
«Todd!» esclamò il vecchio, con voce immediatamente più allegra. «Sì, ha fatto davvero un ottimo lavoro, non è vero? Il secondo della classe! E la ragazza che lo ha preceduto ha scelto gli studi di economia», una sfumatura di sdegno nella voce del vecchio. «Mio figlio mi ha chiamato e mi ha offerto di accompagnare Todd alla cerimonia d'inaugurazione, ma adesso sto su una sedia a rotelle. Mi sono rotto il fianco il gennaio scorso. Non volevo finire su una sedia a rotelle. Ma ho messo la fotografia di diploma proprio nel corridoio. Todd ha riempito di orgoglio i suoi genitori. E anche me, naturalmente!» 
«Sì, credo che siamo riusciti a fargli superare i problemi», disse Ed. Stava sorridendo mentre lo diceva, ma il sorriso era leggermente imbarazzato — non sapeva come, ma il nonno di Todd non sembrava più lo stesso. Ma, ovviamente, era stato tanto tempo fa.  «Problemi? Quali problemi?» 
«Quel discorsetto che abbiamo fatto. Quando Todd aveva avuto quel brutto periodo. Alle medie.» 
«Non la capisco», disse lentamente il vecchio. «Non mi sarei mai sognato di parlare del figlio di Richard. Avrebbe causato dei problemi... oh-oh, non sa nemmeno quanti problemi avrebbe causato. Lei ha fatto un errore, amico mio.» 
«Ma...» 
«Ha fatto un errore. Si sta confondendo con un altro studente o con un altro nonno, forse.» 
Rimase di stucco. Per la prima o la seconda volta in vita sua, non riusciva a profferire parola. Se c'era stata un po' di confusione, non era certamente da parte sua. 
«Be'», disse Bowden con titubanza. «è stato gentile da parte sua telefonarmi, signor...» 
Ed ritrovò la lingua. «Mi trovo qui in città, signor Bowden. Per un congresso di responsabili per l'orientamento. Avrò finito per le dieci di domani mattina, subito dopo la lettura della relazione conclusiva. Potrei passare di lì...» consultò nuovamente l'elenco telefonico, «dalle parti di
Ridge Lane e vederla per un paio di minuti?» 
«E perché mai?» 
«Solo per curiosità, credo. Ormai ne è passata di acqua sotto i ponti! Ma circa tre anni fa, Todd aveva attraversato un brutto momento con la scuola. I voti erano talmente bassi che ho dovuto spedire una lettera a casa con allegata la sua pagella, chiedendo di vedere uno dei genitori o, meglio ancora, tutti e due. Ma da me arrivò il nonno, un uomo, alto piacevole, che si chiamava Victor Bowden.» 
«Ma gliel'ho già detto...» 
«Sì, lo so. Non fa niente, io ho parlato con qualcuno che dichiarava di essere il nonno di Todd. Non credo che abbia molta importanza adesso, ma forse devo toccare per credere. Le ruberò solo un paio di minuti. Non potrò trattenermi di più, perché mi aspettano a casa per cena.» 
«Il tempo è l'unica cosa che mi rimane», disse Bowden un po' triste. «Io starò qui tutto il giorno. Sarà il benvenuto.» 
Ed lo ringraziò, lo salutò e riappese. Si sedette in fondo al letto, fissando pensieroso il telefono. Dopo un po' andò a prendere un pacchetto di Phillies
Cheroots dal cappotto sportivo appoggiato sullo schienale della sedia della scrivania. Doveva andare: c'era un seminario e, se non ci fosse andato, avrebbe avuto dei guai. Si accese una Cheroot con un fiammifero dell'Holiday Inn e lo lasciò cadere in un portacenere dell'Holiday Inn. Si diresse alla finestra dell'Holiday Inn e guardò vagamente il giardino dell'Holiday Inn. 
Credo non abbia più molta importanza, aveva detto a Bowden, ma per lui ne aveva. Non era abituato a farsi prendere in giro dai suoi alunni, e questa notizia inattesa lo preoccupava. Tecnicamente, poteva essere un caso di senilità di un vecchio, ma Victor Bowden non gli aveva dato l'impressione di avere già un piede nella fossa. E, dannazione, non aveva la stessa voce.  Todd Bowden lo aveva per caso giocato? 
Decise che poteva anche essere. Teoricamente, almeno. Specialmente un ragazzo intelligente come Todd. Avrebbe potuto giocare chiunque, non solo Ed French. Avrebbe anche potuto imitare la firma di suo padre o di sua madre sulla pagella tanto disastrosa che aveva riportato a quei tempi. Molti ragazzi scoprono di avere un grande talento nell'imitare le firme degli altri quando ricevono brutti voti. Avrebbe anche potuto usare la scolorina per le pagelle del secondo e terzo trimestre, cambiando i giudizi per i genitori e riscrivendoli poi da capo di modo che il professore non avrebbe potuto notare niente di strano, dando un'occhiata alla pagella. La doppia applicazione della scolorina sarebbe stata visibile solo per qualcuno che guarda da vicino, ma i responsabili di sezione dovevano controllare una media di sessanta studenti. Potevano dirsi fortunati se riuscivano a ritirare tutte le pagelle prima della campanella, e controllare velocemente per assicurarsi che non ci fossero manomissioni. 
Per quanto riguarda la media finale di Todd, era forse calata di tre punti — due periodi negativi su un totale di dodici. I suoi voti erano abbastanza buoni da rialzare la media. E poi quanti genitori si fermano a scuola per dare un'occhiata alle pagelle tenute dal Dipartimento di Pubblica Istruzione della California? Specialmente i genitori di un ragazzo intelligente come Todd Bowden? 
La fronte generalmente liscia di Ed French cominciò a corrugarsi. 
Non credo abbia molta importanza adesso. E questa era la verità. Todd si era comportato benissimo a scuola; non c'era niente al mondo che potesse cancellare un 9,4 di media. Il ragazzo sarebbe andato a Berkeley, diceva l'articolo, e sicuramente, pensava Ed, i genitori erano maledettamente orgogliosi di lui — e avevano tutti i diritti di esserlo. E si convinceva sempre di più dell'esistenza di un aspetto vizioso nella vita americana, una viscida patina di opportunismo, di smussamenti, droghe facili, sesso facile, una moralità sempre più nera. Quando un ragazzo riesce a mantenere uno stile impeccabile, i genitori hanno il diritto di sentirsi orgogliosi. 
Non credo abbia molta importanza — ma chi era quel fottutissimo nonno? 
Gli rimaneva quel tarlo in testa. Chi era davvero? Todd Bowden era per caso andato all'ufficio di collocamento della zona per attori televisivi e aveva lasciato un annuncio in bacheca? GIOVANOTTO CON PROBLEMI DI SCUOLA CERCA VECCHIO PREFERIBILMENTE TRA I 70 E GLI 
80 ANNI. PER PRESTARE OPERA COME NONNO. PAGA SINDA-
CALE? Uh-uh. No davvero, amico. E poi che razza di adulto poteva essere stato consenziente in questa diabolica cospirazione, e per quale motivo? 
Ed French, alias Grinza, alias Ed Caloscia, non lo sapeva davvero. E, visto che non aveva più importanza, spense la sua Cheroot e andò al seminario. Ma la sua attenzione era in allerta. 

Il giorno seguente si diresse a Ridge Lane e fece una lunga chiacchierata con Victor Bowden. Discussero di uva; discussero della situazione dei grossisti e di come i grandi magazzini stavano uccidendo i piccoli negozianti; discussero del clima politico nella California del Sud. Il signor Bowden offrì a Ed un bicchiere di vino. Ed lo accettò con piacere. Sentiva di aver bisogno di un bicchiere di vino, anche se erano solo le dieci e quaranta del mattino. Victor Bowden assomigliava a Peter Wimsey come una mitragliatrice assomiglia a un elicottero. Victor Bowden non aveva più lo strano accento che Ed ricordava, ed era anche piuttosto grasso. L'uomo che si era presentato come il nonno di Todd era magro come un palo. Prima di andarsene, Ed gli disse: «La ringrazierei se non facesse parola di questa cosa con i signori Bowden. Ci potrebbe essere una spiegazione del tutto razionale anche per questo... e anche se non ce ne fosse, è passato tanto tempo». 
«Qualche volta», disse Bowden, alzando il suo bicchiere di vino verso il sole per ammirarne la ricchezza del colore scuro, «il passato non se ne resta tanto tranquillo. Perché mai la gente studierebbe la storia?» Ed sorrise a disagio e non rispose. 
«Ma non si preoccupi. Non mi sono mai immischiato negli affari di Richard. E Todd è un bravo ragazzo. Il capo della sua classe... deve essere un bravo ragazzo. Non ho ragione?» 
«Pienamente», rispose calorosamente Ed French e domandò un altro bicchiere di vino. 

23 

Dussander aveva dormito male: aveva avuto una serie di brutti sogni. 
Stavano per rompere il recinto. Migliaia, forse milioni di loro. Uscivano dalla giungla e si buttavano contro il cavo dell'alta tensione che ormai stava per cedere pericolosamente. Erano già cadute delle funi che si attorcigliavano sul terreno calpestato del campo di marcia, emettendo scintille blu. Non erano ancora morti, non ancora. Il Führer era un pazzo, come aveva dichiarato Rommel, se avesse pensato — se mai avesse pensato — di trovare in quel momento una soluzione definitiva. Ce n'erano miliardi; avevano riempito il mondo; e gli stavano tutti alle costole. 
«Vecchio. Svegliati, vecchio. Dussander. Svegliati, vecchio, svegliati.» 
In un primo momento pensò che si trattasse della voce del sogno. Parlava tedesco: doveva far parte del sogno. Ecco perché la voce lo terrorizzava tanto, ovviamente. Se si fosse svegliato, sarebbe fuggito, per cui cercò... 
L'uomo sedeva accanto al suo letto su una sedia messa al contrario — un vero uomo. «Svegliati, vecchio», stava dicendogli il visitatore. Era giovane — non aveva più di trent'anni. I suoi occhi erano scuri e indagatori dietro le lenti di un paio di occhiali di acciaio. Aveva capelli lunghi e castani, collo lungo e, in un momento di confusione, Dussander pensò che si trattasse del ragazzo con un travestimento. Ma non era il ragazzo, il clima californiano era troppo caldo per indossare un vestito fuori moda di color blu. Aveva una piccola spilla sul reverse del vestito. Argento: il metallo usato per ammazzare i vampiri e i lupi mannari. Era una stella ebraica. «Sta parlando con me?» domandò Dussander in tedesco. 
«Con chi altri? Il tuo compagno di stanza se n'è andato.» 
«Heisel? Sì, è andato a casa ieri.» 
«Sei sveglio, adesso?» 
«Certo. Ma credo che lei mi abbia confuso con qualcun altro. Il mio nome è Arthur Denker. Forse è entrato nella stanza sbagliata.» 
«Io mi chiamo Weiskopf. E tu Kurt Dussander.» 
Dussander aveva voglia di leccarsi le labbra, ma non lo fece. L'unica spiegazione era che tutto questo facesse parte del sogno — una nuova fase, niente di più. Portami un ubriaco e un coltello da macellaio, signor Stella Ebraica in Ghingheri, e ti faccio vedere io. 
«Non conosco nessun Dussander», rispose al giovanotto. «Non la capisco.
Devo chiamare l'infermiera?» 
«Capisci benissimo», disse Weiskopf. Cambiò leggermente posizione e si tolse un ricciolo dalla fronte. La prosaicità di questo gesto fece sparire l'ultima speranza di Dussander. 
«Heisel», Weiskopf disse e indicò il letto vuoto. 
«Heisel, Dussander, Weiskopf — nessuno di questi nomi mi dice niente.»  «Heisel è caduto da una scala mentre stava fissando la grondaia di casa sua», disse Weiskopf. «Si è rotto la schiena. Potrebbe anche non camminare più. Sfortunato. Ma non è stata l'unica tragedia della sua vita. Era internato a Patin, dove ha perso la moglie e le figlie. Patin, il posto che tu comandavi.» 
«Penso che lei sia pazzo», disse Dussander. «Io mi chiamo Arthur Denker. Sono venuto in questo paese dopo la morte di mia moglie. Prima d'allora ero...» 
«Risparmiami la storiella», disse Weiskopf, alzando una mano. «Lui non ha dimenticato la tua faccia. Questa faccia.» 
Weiskopf buttò sul viso di Dussander una fotografia, apparsa come per magia. Era una di quelle che il ragazzo gli aveva fatto vedere qualche anno prima. Un Dussander giovane con il cappello delle SS messo allegramente di traverso, seduto dietro una scrivania. 
Dussander iniziò a parlare lentamente, in inglese adesso, dicendo con attenzione: «Durante la guerra lavoravo in un'industria. Il mio compito consisteva nel supervisionare la produzione di montanti e di ingranaggi per autoblindo e camion. Poi collaborai alla costruzione dei carri armati Tiger. La mia unità di riserva era stata chiamata durante la battaglia di Berlino e io ho combattuto con onore, anche se poco. Dopo la guerra ho lavorato alla Menschler fino a...» 
«...fino a quando non si rese necessario scappare in Sud America. Con l'oro fuso dei denti degli ebrei e l'argento fuso dei gioielli degli ebrei e con il tuo conto corrente in Svizzera. Il signor Heisel è tornato a essere felice, sai? Oh, ha attraversato un brutto momento quando si è svegliato al buio e si è reso conto di chi fosse la persona con cui divideva la stanza. Ma adesso sta meglio. Pensa che Dio gli abbia concesso il sublime privilegio di rompersi la schiena così da diventare lo strumento per la cattura di uno dei più grandi macellai mai vissuti al mondo.» 
Dussander riprese a parlare lentamente, spiegando con attenzione. 
«Durante la guerra lavoravo in un'industria...» 
«Oh, perché non la smetti? I tuoi documenti non la passerebbero liscia, dopo un'attenta analisi. Io lo so e lo sai anche tu. Sei stato scoperto.» 
«Il mio compito era quello di supervisionare...» 
«I cadaveri! In un modo o nell'altro, sarai a Tel Aviv prima dell'anno nuovo. Le autorità coopereranno con noi questa volta, Dussander. Gli americani ci vogliono fare felici, e tu sei una delle cose che ci possono rendere felici.» 
«...la produzione di montanti e di ingranaggi per autoblindo e camion. 
Poi ho cooperato alla realizzazione dei carri armati Tiger.» 
«Perché sei tanto noioso? Perché non la smetti?» 
«La mia unità di riserva era stata chiamata...» 
«Molto bene, allora. Ci vediamo. A presto.» 
Weìskopf si alzò. Lasciò la stanza. Per qualche istante la sua ombra si stagliò sulle pareti e poi sparì anche quella. Dussander chiuse gli occhi. Si domandava se Weiskopf aveva detto la verità a proposito della cooperazione degli americani. Tre anni prima, quando il petrolio scarseggiava in America, non l'avrebbe mai creduto possibile. Ma con gli attuali disordini in Iran, era probabile che l'America appoggiasse Israele. Possibile? E che importanza aveva? In un modo o nell'altro, legale o illegale, Weiskopf e i suoi compagni l'avrebbero avuto. A proposito di nazisti erano intransigenti, e a proposito di campi di concentramento erano addirittura nevrotici. 
Stava tremando in tutto il corpo. Ma ormai sapeva quello che doveva fare. 

24 

I documenti scolastici degli alunni che avevano frequentato la Santo Donato High School venivano tenuti in un vecchio magazzino cadente, nella zona a nord della città. Non era molto lontano dalla stazione abbandonata. Era sicuro, rimbombava e odorava di cera, di detersivo e di disinfettante industriale — era anche il magazzino di custodia del dipartimento di pubblica istruzione. 
Ed French arrivò al magazzino verso le quattro del pomeriggio, con Norma al seguito. Li fece entrare un custode che gli spiegò dove trovare ciò che cercava e che li fece entrare nel magazzino tanto vecchio e cadente da far cadere Norma in un insolito silenzio di paura. 
Tornò vivace al quarto piano, dove trotterellò su e giù per i corridoi, tra gli scatoloni ammassati e gli archivi che Ed stava controllando e dove finalmente trovò il settore che conteneva le pagelle del 1975. Tirò la seconda scatola e iniziò a cercare fra la lettera B. BORK, BOSTWICH, BOSWELL, BOWDEN TODD. Estrasse il documento, scosse la testa con impazienza nell'oscurità dell'ambiente e lo portò alla luce di una grande finestra polverosa. 
«Non correre qui in mezzo, tesoro», consigliò senza voltarsi. 
«Perché, papà?» 
«Perché altrimenti ti vedono i folletti», disse e alzò i documenti di Todd verso la luce. 
Se ne accorse subito. Quella pagella, rimasta in quell'archivio per più di tre anni, era stata attentamente, quasi professionalmente contraffatta. 
«Gesù Cristo!» mormorò Ed French. 
«Folletti, folletti, folletti», canterellava Norma gioiosamente, mentre correva su e giù per i corridoi. 

25 

Dussander camminava con attenzione per il corridoio dell'ospedale. Non si sentiva ancora molto sicuro sulle gambe. Aveva indosso l'accappatoio blu sopra il pigiama dell'ospedale. Era notte, erano appena passate le otto, e le infermiere stavano cambiando di turno. La prossima mezz'ora sarebbe stata di confusione — si era accorto che tutti i cambi di turno erano confusi. Era il momento per scambiarsi le annotazioni, i pettegolezzi, per bere del caffè nella sala delle infermiere che si trovava proprio dietro l'angolo della fontanella per bere. Quello che lui cercava si trovava proprio di fronte alla fontanella. 
Non venne notato nel corridoio largo che, a quell'ora, gli ricordava una stazione ferroviaria lunga e rumorosa, qualche minuto prima della partenza dei treni. I malati passeggiavano lentamente su e giù, qualcuno in vestaglia e altri tenendosi stretti in vita il pigiama. Dei frammenti di musica provenivano da una mezza dozzina di radio transistor diverse che si trovavano in una mezza dozzina di camere diverse. I visitatori andavano e venivano. Un uomo rideva in una stanza e un altro sembrava voler fare pipì nel corridoio. Passò di lì anche un dottore con il naso immerso in un libro tascabile. 
Dussander si diresse verso la fontanella, prese da bere, si lavò la bocca con le mani messe a coppa e guardò in direzione della porta chiusa che stava di fronte. Quella porta era sempre chiusa a chiave — almeno, quella era la teoria. In pratica, aveva notato che qualche volta era rimasta aperta senza nessuno che la tenesse d'occhio. Molto spesso durante la caotica mezzoretta del cambio di turno, quando le infermiere si raggruppavano dietro l'angolo. Dussander aveva osservato tutto questo con l'occhio allenato e pignolo di un uomo che era stato in forma per molto, molto tempo. Sperava solo di poter osservare senza essere sorpreso la porta per un'altra settimana, alla ricerca di qualche pericolo incombente — avrebbe avuto a disposizione una sola possibilità. Ma non poteva aspettare tanto. Il suo stato di Lupo Mannaro in Casa poteva restare nascosto per altri due o tre giorni, ma poteva essere scoperto anche l'indomani. Non osava aspettare. Quando fosse stato scoperto, sarebbe anche stato sorvegliato in continuazione. 
Prese ancora da bere, si pulì ancora la bocca, poi guardò da tutte e due le parti. Poi, con casualità, senza sforzarsi di dover fingere, attraversò il corridoio, abbassò la maniglia ed entrò nello sgabuzzino delle medicine. Se l'infermiera di turno si fosse ancora trovata dietro la scrivania, avrebbe sicuramente scorto il signor Denker. Per cui, mi spiace, signora cara, pensavo fosse il bagno. Che stupido sono! 
Ma lo sgabuzzino dei medicinali era vuoto. 
Fece scorrere lo sguardo sullo scaffale a sinistra. Solo colliri e oftalmici. Sul secondo scaffale: lassativi, supposte. Sul terzo scaffale notò il Seconal e il Veronal. Fece scivolare una bottiglietta di Seconal nella tasca dell'accappatoio. Poi tornò alla porta e uscì senza guardarsi intorno, con un sorriso da ebete — non era il bagno, vero? Eccolo, proprio di fianco alla fontanella. Che stupido! 
Attraversò la porta UOMINI, entrò e si lavò le mani. Poi tornò nel corridoio, dirigendosi verso la camera semi-privata diventata ormai completamente privata dopo la partenza dell'illustre signor Heisel. Sul tavolino tra i due letti c'era un bicchiere e un contenitore di plastica pieno d'acqua. Peccato non ci fosse del bourbon: era davvero una vergogna. Ma le pillole sarebbero state ingoiate con facilità, lo stesso, a prescindere dal liquido che le avrebbe accompagnate. 
«Morris Heisel, salud», disse con uno strano sorriso, e si versò un bicchiere d'acqua. Dopo tutti quegli anni di terrore delle ombre, dei visi che sembravano familiari incontrati nei viali dei parchi, nei ristoranti, nelle stazioni degli autobus, era stato alla fine riconosciuto e smascherato da un uomo che non aveva mai conosciuto. Era piuttosto divertente. Aveva guardato Heisel a malapena due volte, Heisel e la sua schiena rotta da Dio. Ripensandoci bene, non era piuttosto divertente, era molto divertente. 
Si mise tre pillole in bocca, le ingoiò con l'acqua, ne prese altre tre, e poi ancora tre. Nella stanza dall'altra parte del corridoio vide due vecchi intorno a un tavolino, intenti a giocare a cribbage. Uno dei due soffriva d'ernia, sapeva Dussander. E l'altro che cosa aveva? Calcoli biliari? Calcoli ai reni? Tumore? La prostata? Gli orrori della terza età. Ce n'erano migliaia. 
Riempì il bicchiere d'acqua, ma non prese altre pillole. Una dose troppo alta avrebbe potuto rovinare il suo scopo. Avrebbe potuto vomitare e non sarebbe rimasto niente nello stomaco, risparmiandogli così la vita per affrontare chissà quali atrocità gli americani e gli israeliani potevano ideare. Non aveva intenzione di togliersi la vita stupidamente, come una Hausfrau piangente. Quando avrebbe cominciato a sentirsi intorpidito, ne avrebbe preso ancora. Era meglio così. 
La tremante voce di uno dei giocatori di cribbage arrivò alle sue orecchie, sottile e trionfante: «Due partite tre a otto... quindici a dodici... la puglia a tredici. Che ne dici di questo colpo?» 
«Non ti preoccupare», disse fiducioso l'uomo con l'ernia. «Ho fatto i miei conti. Ti farò fuori.» 
Ti farò fuori, pensò Dussander, ormai sul punto di addormentarsi. Una frase molto adatta — ma gli americani avevano una particolare predisposizione per i modi di dire. Non me ne frega un cazzo, mangia la minestra o salta la finestra, ficcatelo in culo. Splendide espressioni idiomatiche. 
Pensavano di averlo preso, ma lui si sarebbe fatto fuori davanti ai loro occhi. 
Si trovò a sperare, tra tutte le assurdità, di riuscire a lasciare uno scritto al ragazzo. Desiderava potergli dire di fare molta attenzione. Di ascoltare le parole di un povero vecchio che aveva finalmente deciso di fare l'ultimo passo. Desiderava dire al ragazzo che in fondo lui, Dussander, era riuscito a rispettarlo, anche se non gli era mai piaciuto, e che parlare con lui era stato meglio che restare ad ascoltare i propri pensieri. Ma qualsiasi scritto, per quanto innocente potesse essere, poteva far insorgere dei sospetti sul ragazzo e Dussander non voleva questo. Oh, avrebbe passato un paio di mesi di paura, in attesa di qualche agente governativo che gli chiedesse di un certo documento ritrovato in una cassetta di sicurezza affittata a Kurt Dussander, alias Arthur Denker... ma dopo un po' di tempo il ragazzo si sarebbe reso conto che gli aveva detto la verità. Non c'era motivo che il ragazzo venisse coinvolto da tutto questo, se manteneva la calma. 
Dussander allungò la mano per quello che gli sembrarono miglia di distanza, prese il bicchiere d'acqua e ingoiò altre tre pillole. Rimise a posto il bicchiere, chiuse gli occhi e si sistemò comodamente sul cuscino morbido, morbido. Non aveva mai avuto tanta voglia di dormire, e il suo sonno sarebbe stato lungo. Sarebbe stato riposante. 
A meno che non ci fossero stati sogni. 
Il pensiero lo colpì. Sogni? Per favore, Dio, no. Basta con i sogni. Basta per sempre, ormai non potrò più svegliarmi. Basta!... 
Con improvviso terrore, lottò per svegliarsi. Gli sembrava che delle mani stessero per raggiungerlo da sotto il letto per agguantarlo, mani con dita affamate. 
(!NO!) 
I pensieri si svilupparono in una vorticosa spirale di oscurità, e si sentì scivolare in quella spirale come se si trovasse su un piano oliato, sempre più giù, verso chissà quali sogni. 
La sua overdose venne scoperta all'1.35 di mattina e venne dichiarato morto quindici minuti più tardi. L'infermiera di turno era giovane ed era stata sensibile alla raffinatezza leggermente ironica del vecchio Denker. Scoppiò a piangere. Era cattolica e non riusciva a capire come un vecchio così dolce, che stava per guarire, avesse potuto fare una cosa del genere, dannando così la sua anima per sempre. 

26 

Il sabato mattina, in casa Bowden, non si alzava mai nessuno fino alle nove di mattina. Quella mattina, Todd e suo padre stavano leggendo a tavola e Monica, con le solite difficoltà del risveglio, servì loro delle uova strapazzate, del succo di frutta e del caffè senza parlare, immersa com'era nei sogni. 
Todd stava leggendo un romanzo tascabile di fantascienza e Dick era completamente immerso nell'Architectural Digest quando il giornale venne buttato contro la porta. 
«Vuoi che vada a prenderlo io, papà?» 
«Ci vado io.» 
Fece subito ritorno, iniziò a bere il suo caffè quando per poco non rimase soffocato dopo la prima occhiata alla prima pagina. 
«Dick, c'è qualcosa che non va?» domandò Monica affrettandosi verso di lui. 
Dick sputò il caffè che gli era andato di traverso e, mentre Todd lo guardava da sopra il libro tascabile con leggera sorpresa, Monica cominciò a dargli pacche sulla schiena. Al terzo colpo le caddero gli occhi sul titolo del giornale e si fermò all'improvviso, restando immobile come una statua. Spalancò tanto gli occhi da far credere che le sarebbero caduti sul tavolo da un momento all'altro. 
«Santo cielo!» riuscì a proferire Dick Bowden. 
«Ma non è... non posso crederci...» incominciò Monica e poi si fermò. 
Volse lo sguardo su Todd. «Oh, tesoro...» Anche suo padre lo stava guardando. 
Ormai allarmato, Todd si spostò dalla loro parte del tavolo. «Che cos'è successo?» 
«Il signor Denker», disse Dick — non riuscì a proseguire. 
Todd lesse il titolo e capì tutto. Le lettere in nero dicevano: EXNAZISTA SI SUICIDA NELL'OSPEDALE DI SANTO DONATO. Sotto, c'erano due foto, l'una vicina all'altra. Todd le aveva già viste prima. Una ritraeva Arthur Denker, più giovane di sei anni e pieno di vitalità. Todd sapeva che era stata scattata per strada da un fotografo dilettante e che il vecchio l'aveva comperata per evitare che andasse a finire nelle mani sbagliate. L'altra foto mostrava un ufficiale delle SS dal nome di Kurt Dussander, seduto dietro la sua scrivania di Patin, con il cappello messo di traverso. 
Se avevano trovato quella fotografia scattata per strada, allora erano stati in casa sua. 
Todd diede un scorsa all'articolo, con la mente che gli girava vorticosamente. Non si parlava dei vagabondi. Ma avrebbero trovato i corpi e poi la notizia avrebbe fatto il giro del mondo. IL COMANDANTE DI PATIN NON HA MAI PERSO IL VIZIO. ORRORE NELLA CANTINA DEL NAZISTA. NON HA MAI SMESSO DI UCCIDERE. 
Todd Bowden vacillò sui piedi. 
Molto distante, come fosse un'eco, sentì la voce di sua madre che strillava:
«Prendilo, Dick! Sta svenendo!»  La parola 
(svenendo, svenendo, svenendo)  si ripeteva continuamente nella mente. Sentì appena le braccia di suo padre che lo afferravano e poi, per un po', Todd non sentì più niente, non sentì più nessuno. 

27 

Ed French stava mangiando un pasticcino quando aprì il giornale. Iniziò a tossire, emise un suono soffocato e sputò pasta masticata sul tavolo. 
«Eddie!» esclamò allarmata Sondra French «Ti senti bene?» 
«Papà soffoca, papà soffoca», canterellò la piccola Norma di buon umore e si unì alla mamma per battere sulla schiena di Ed. Ed non sentiva nemmeno quei colpi. Stava ancora fissando il giornale. 
«Che cosa è successo, Eddie?» domandò nuovamente Sondra. 
«Lui! Lui!» esclamò Ed, puntando tanto forte il dito sul giornale da farlo trapassare fino all'inserto sull'economia. 
«Quell'uomo! Lord Peter!» 
«Di che cosa diavolo st...» 
«Quello è il nonno di Todd Bowden!» 
«Che cosa? Il criminale di guerra? Eddie, sei pazzo!» 
«Ma è lui!» quello di Ed era quasi un lamento. «Gesù Cristo, Dio
Onnipotente! È lui.» 
Sondra French fissò a lungo la fotografia. 
«Non assomiglia per niente a Peter Wimsey», disse poi. 

28 

Todd, pallido come un cencio, sedeva sul divano tra sua madre e suo padre. 
Davanti a loro, stava un detective della polizia brizzolato e gentile dal nome di Richler. Il padre di Todd si era offerto di chiamare la polizia, ma Todd l'aveva fatto di persona, con voce tremante, come faceva quando aveva quattordici anni. 
Portò a termine la recita. Non ci volle molto tempo. Parlò tanto meccanicamente da spaventare a morte Monica. Aveva diciassette anni, era vero, ma per molti versi era ancora un ragazzino. Questa esperienza l'avrebbe segnato per sempre. 
«Gli ho letto... oh, non so, il Tom Jones. Il Mulino sulla Floss. Un libro noiosissimo. Non credevo che l'avremmo mai finito. Qualche racconto di Hawthorne — ricordo che gli piaceva particolarmente 'La Grande Faccia di Pietra' e 'Il Maledetto Brown'. Avevamo iniziato il Circolo Pickwick, ma non gli piaceva. Diceva che Dickens riusciva ad essere divertente solo quando era serio e Pickwick era un po' infantile. Usava questa parola, infantile. Ci siamo divertiti di più leggendo il Tom Jones. Piacque molto a tutti e due.»  «E questo è stato tre anni fa», disse Richler. 
«Sì. Ho continuato ad andarlo a trovare quando avevo un po' di tempo, ma quando ho iniziato le superiori, dovevo attraversare la città... e poi avevamo organizzato una squadra di pallone... c'erano molti compiti da fare...  capisce... le solite cose.» 
«Ti rimaneva poco tempo.» 
«Poco tempo, esatto. Avevo molto da fare alle superiori... cercavo di ottenere la media necessaria per entrare in college.» 
«Ma Todd è un ragazzo molto sveglio», disse Monica automaticamente. 
«Ha fatto il discorso di inizio dell'anno. Eravamo così orgogliosi.» 
«Ne sono sicuro», disse Richler con un largo sorriso. «Io ho due figli alla Fairview, e sono a malapena in grado di mantenere la prestanza fisica con lo sport.» Si rivolse nuovamente a Todd. «Non gli hai letto più nessun libro dopo che hai iniziato le superiori?» 
«No. Una volta ogni tanto gli leggevo il giornale. Andavo da lui e mi chiedeva di leggergli i titoli. Era molto interessato al Watergate nel periodo in cui è scoppiato. Voleva sempre essere informato sull'andamento della borsa, e di solito quella pagina lo faceva incazzare come una belva — scusa, mamma.» 
Lei gli prese la mano. 
«Non so perché si interessasse tanto alla borsa, ma così era.» 
«Aveva qualche azione», disse Richler, «ecco come faceva a sopravvivere. Vuoi sapere una coincidenza veramente strana? L'uomo che faceva gli investimenti per lui è stato in prigione sotto l'accusa di assassinio negli anni '40. Dussander aveva cinque carte di identità diverse, sperse per casa. Era un furbo, d'accordo.» 
«Credo tenesse le azioni in una cassetta di sicurezza da qualche parte», sottolineò Todd. 
«Scusa?» Richler alzò le sopracciglia. 
«Le sue azioni», disse Todd. Suo padre, con espressione interdetta, annuiva a Richler. 
«I certificati delle sue azioni, le poche rimaste, si trovavano in un baule sotto il suo letto», disse Richler, «insieme a quella foto sotto le spoglie di Denker. Aveva una cassetta di sicurezza, ragazzo? Ha mai detto di averne una?» 
Todd rifletté e poi scosse la testa: «Ho solo pensato che quello è il posto dove si tengono le azioni. Non lo so. Questo... tutta questa storia... capisce... mi ha mandato in confusione». Scosse la testa sconsolatamente senza sforzarsi di fingere. Era veramente stordito. Eppure, poco a poco, sentiva riaffiorare l'istinto di autodifesa. Sentiva crescere dentro un certo allarme e i primi sintomi di fermezza. Se Dussander avesse avuto veramente una cassetta di sicurezza dove tenere i suoi documenti, non ci avrebbe messo anche i certificati azionari? E la fotografia? 
«Ci stiamo lavorando sopra con gli israeliani», disse Richler. «In modo molto ufficioso. Vi sarei grato se non faceste cenno di questo se doveste incontrarvi con la stampa. Sono veri professionisti. C'è un uomo, Weiskopf, che desidererebbe parlarti domani, Todd. Se sei d'accordo, e se lo sono anche i tuoi genitori.» 
«Credo di sì», disse Todd, ma provò una sensazione di panico atavistico al pensiero di venir interrogato dagli stessi segugi che avevano cacciato Dussander per l'ultima parte della sua vita. Dussander aveva avuto molto rispetto per loro e Todd sapeva di dover tenere ben presente questo.  «Signori Bowden? Avete obiezioni da fare riguardo all'incontro di Todd con il signor Weiskopf?» 
«No, se non ne ha Todd», disse Dick Bowden «Però vorrei essere presente anch'io. Ho sentito qualcosa a proposito di questi assistenti di Mossad...» 
«Weiskopf non è Mossad. È ciò che gli israeliani chiamano funzionario speciale. In effetti, ha insegnato letteratura Yiddish e grammatica inglese. 
Ha anche scritto due romanzi», disse Richler sorridendo. 
Dick alzò una mano, facendolo smettere. «Qualsiasi cosa sia, non ho intenzione di lasciare che assilli Todd. Da ciò che ho letto, questi tipi possono essere un po' troppo professionisti. Forse non è il suo caso. Ma voglio che lei e il signor Weiskopf vi ricordiate che Todd ha cercato di aiutare quel vecchio. Viveva sotto false spoglie, ma questo Todd non lo sapeva.» «Basta così, papà», disse Todd con un pallido sorriso. 
«Desidero solo che ci aiuti per quanto gli è possibile», disse Richler. «Capisco la sua preoccupazione, signor Bowden. Credo che anche lei troverà il signor Weiskopf un uomo intelligente e tranquillo. Ho finito con le domande, ma voglio rompere la tensione, spiegandovi quello a cui sono più interessati gli israeliani. Todd era insieme a Dussander quando gli è venuto l'attacco di cuore che lo ha fatto finire in ospedale...» 
«Mi aveva chiesto di andare da lui per leggergli una lettera», disse Todd. 
«Lo sappiamo», Richler si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, la cravatta gli penzolò fuori andando a formare un'ombra sul pavimento. «Gli israeliani vogliono sapere di quella lettera. Dussander era un pesce grosso, ma non era l'unico del fiume — almeno così dice Sam Weiskopf e io gli credo. Pensano che Dussander sapesse qualche cosa degli altri pesci. Molti di quelli viventi si trovano con tutta probabilità in Sud America, ma ce ne possono essere in chissà quanti altri paesi... inclusi gli Stati Uniti. Lo sapevate che è stato catturato un uomo, che era stato
Unterkommandant a Buchenwald, nella hall di un albergo di Tel Aviv?» «Davvero?» disse Monica, spalancando gli occhi. 
«Davvero!» annuì Richler. «Due anni fa. Il punto è che gli israeliani pensano che la lettera, che Dussander voleva farsi leggere da Todd, potesse essere di uno di questi pesci. Forse hanno ragione, forse hanno torto. In ogni modo, vogliono sapere.»  Todd, che era tornato a casa di Dussander per bruciare la lettera, disse:
«Vi aiuterei — aiuterei anche il signor Weiskopf — se potessi, tenente Richler, ma la lettera era scritta in tedesco. Era veramente difficile leggerla. Mi sentivo uno stupido. Il signor Denker... Dussander... era sempre più eccitato e continuava a chiedermi di sillabargli le parole che non riusciva a capire per via della mia pronuncia, capisce? Ma credo che lui capisse tutto molto bene. Ricordo di una volta che ha riso e mi ha detto 'Sì, sì, tu faresti questo, vero?' Poi ha detto qualche cosa in tedesco. È stato tre o quattro minuti prima dell'attacco cardiaco. Qualcosa di un Dummkopf. Credo significhi stupido in tedesco». 
Guardava Richler con incertezza, interamente soddisfatto di quella menzogna. 
Richler stava annuendo: «Sì, sappiamo che la lettera era in tedesco. Il medico che l'ha visitato ha sentito la tua storia e l'ha confermata. Ma la let- tera, Todd... ti ricordi che cosa ne è stato della lettera?» Eccolo, pensò Todd, il punto. 
«Credo si trovasse ancora sul tavolo quando è arrivata l'ambulanza. Quando ce ne siamo andati via tutti. Non potrei testimoniarlo in tribunale, ma...» 
«Credo che ci fosse una lettera sul tavolo», disse Dick. «Avevo preso in mano qualche cosa per guardarla meglio. Posta aerea, credo, ma non ho notato se fosse scritta in tedesco.» 
«Allora, dovrebbe trovarsi ancora là», disse Richler. «È questo che non riusciamo a capire.» 
«Non c'è più?» disse Dick «Cioè, non c'era più?» 
«Non c'era e non c'è più.» 
«Forse è entrato qualcuno in casa», suggerì Monica. 
«Non ci sarebbe stato bisogno di scassinare niente», disse Richler. «Nella confusione di portarlo via, la casa non è mai stata chiusa a chiave. Nemmeno Dussander ha mai chiesto a nessuno di andarla a chiudere. Così sembra. La sua casa è rimasta aperta fin dal momento in cui sono arrivati gli infermieri per portarlo fuori in barella fino a quando l'abbiamo sigillata noi questa mattina alle due e trenta,» «Be', ecco spiegato», disse Dick. 
«No», disse Todd. «Capisco quello che intende dire il tenente Richler», oh, sì, lo capiva molto bene. Bisognava essere ciechi per non capire. «Perché un ladro dovrebbe rubare soltanto una lettera? Specialmente se scritta in tedesco? Non ha senso. Il signor Denker non aveva molto da farsi rubare, ma chiunque fosse entrato poteva trovare qualcosa di meglio da sottrarre.»  «Hai capito benissimo», disse Richler. «Niente male.» 
«Todd aveva sempre sperato di diventare un detective, da ragazzino», disse Monica e arruffò leggermente i capelli di Todd. Da quando era ormai cresciuto, avrebbe fatto qualche obiezione a quella dichiarazione, ma in quel momento non se ne dispiacque. Dio, odiava vederlo così pallido. 
«Credo che ormai abbia optato per la storia.» 
«La storia è molto interessante», disse Richler «Potresti diventare un detective storico. Non hai mai letto Josephine Tey?»  «No, signore.» 
«Non ha importanza. Vorrei tanto che i miei figli avessero ambizioni più importanti di quella di vedere vincere il campionato dagli Angels.» Todd sorrise debolmente e non disse niente. 
Richler tornò ad essere serio. «Comunque, vi spiegherò la teoria che stiamo seguendo. Pensiamo che qualcuno, probabilmente di Santo Donato, sapesse chi era e che cos'era Dussander.» «Davvero?» disse Dick. 
«Oh, sì. Qualcuno sapeva la verità. Forse un altro ex nazista. So che sembra tanto materia di fantascienza, ma chi avrebbe mai pensato che c'era un solo ex nazista in una cittadina tranquilla come questa? E quando Dussander è stato portato in ospedale, pensiamo che il signor X si sia introdotto in casa, per impossessarsi della lettera. Ed è questo che adesso sta  scompigliando tutto il quadro della situazione.» 
«Anche questo non ha molto senso», disse Todd. 
«Perché no, Todd?» 
«Be', se il signor Denk... Dussander aveva un vecchio amico dei campi di concentramento, o soltanto un vecchio compagno nazista, perché si sarebbe tanto preoccupato da fare andare me a farsi leggere la lettera? Cioè, se aveste sentito come mi correggeva nella pronuncia... almeno il vecchio compagno nazista di cui state parlando, avrebbe saputo parlare tedesco.» 
«E vero anche questo. Però, forse, quell'amico sta su una sedia a rotelle, è cieco. Per quello che ne sappiamo noi, potrebbe trattarsi anche di Bormann. che non osa nemmeno uscire di casa.» 
«I ciechi e le persone che stanno sulle sedie a rotelle non sono molto adatti per irrompere in una casa e prendere una lettera», disse Todd. 
Richler mostrò ancora una volta un'espressione ammirata. «Vero. Ma un cieco potrebbe rubare una lettera anche se non può leggerla, comunque. O potrebbe farlo fare a qualcun altro». 
Todd ci pensò sopra e annuì — ma si strinse nelle spalle per far vedere quanto improbabile gli sembrasse l'idea. Richler aveva oltrepassato anche i limiti della fantascienza. Ma, per quanto l'idea fosse improbabile, che cazzo di importanza poteva avere, no? No. Il punto era che Richler stava annusando qualche cosa... quell'ebreo di Weiskopf, anche lui stava annusando. La lettera, la maledetta lettera! La dannatissima stupida idea di Dussander! E improvvisamente gli venne di pensare al suo .30-.30, riposto nella custodia sullo scaffale del garage freddo e buio. Distolse subito la mente da quell'immagine. I palmi delle mani erano diventati umidi. 
«Dussander aveva degli amici, che tu sapessi?» chiese Richler. 
«Amici? No. Una volta c'era una donna delle pulizie, ma si era trasferita e non credo che si sia preoccupato di cercarne un'altra. In estate, prendeva un ragazzo per tagliare la siepe, ma non credo che abbia preso qualcuno quest'anno. L'erba è alta, no?» 
«Sì. Abbiamo bussato a molte porte e non sembra che abbia preso nessuno. Riceveva telefonate?» 
«Certo», Todd disse senza farci caso... ecco uno spiraglio di luce, una scappatoia potenziale che avrebbe potuto salvargli la vita. Il telefono di Dussander in effetti aveva suonato solo una mezza dozzina di volte per tutto il tempo che Todd lo aveva frequentato — venditori, un'organizzazione che faceva domande sul modo di fare colazione, poi tutti sbagli. Teneva il telefono nel caso in cui si fosse sentito male... come poi successe, che possa marcire all'inferno. «Riceveva una media di due telefonate alla settimana.»  «Parlava in tedesco in queste occasioni?» domandò prontamente Richler. Sembrava eccitato. 
«No», rispose Todd, fattosi improvvisamente prudente. Non gli piaceva l'eccitazione di Richler — c'era qualche cosa che non andava, qualche cosa di pericoloso. Ne era sicuro e improvvisamente Todd dovette lottare a fondo per non farsi prendere da un'ondata di sudore. «Non parlava molto. Ricordo che un paio di volte aveva detto qualche cosa come: 'C'è qui il ragazzo che legge per me, in questo momento. Ti richiamo io'.» 
«Scommetto che ci siamo», esclamò Richler, dandosi una pacca sulle cosce. «Scommetto due settimane di paga che quello era il tizio che cerchiamo.» Chiuse di colpo il blocchetto delle annotazioni (per quanto avesse notato Todd, non aveva fatto altro che scarabocchiare) e si alzò. «Desidero ringraziarvi tutti e tre per il tempo che mi avete messo a disposizione. Tu in particolare, Todd. So che per te tutta questa storia è stata un vero choc, ma lo supererai in fretta. Abbiamo intenzione di perquisire tutta la casa oggi pomeriggio — dalla cantina all'attico. Porteremo tutte le squadre speciali. Potremmo trovare qualche traccia del compagno di telefono di 
Dussander.» 
«Lo spero», disse Todd. 
Richler strinse le mani a tutti e se ne andò. Dick domandò a Todd se se la sentiva di andare fuori sul retro a giocare a volano fino all'ora di pranzo. Todd rispose che non aveva voglia né di volano, né di pranzare, e se ne andò di sopra a testa china e con le spalle curve. I due genitori si scambiarono uno sguardo preoccupato. Todd si sdraiò sul letto fissando il soffitto e ripensò al suo .30-.30. Riusciva a vederlo molto bene nella sua mente. Pensava di infilare la sbarra di acciaio blu su per la figa ebrea e scarnificata di Betty Trash — era proprio quello di cui aveva bisogno, un cazzo che non avrebbe mai dimenticato. Ti piace, Betty? Sentiva già la sua voce mentre lo domandava. Dimmi quando ne hai avuto abbastanza, okay? Si immaginava già i suoi strilli e poi sul volto gli si disegnò un terribile sorriso freddo. Certo, dimmelo, puttana... okay? Okay? Okay?... 

«Allora, che cosa ne pensi?» domandò Weiskopf a Richler quando Richler gli portò qualche cosa da mangiare dopo essere uscito da casa Bowden. 
«Oh, penso che il ragazzo sia in qualche modo coinvolto», disse Richler. «In qualche modo, non so come, fino a che punto. Ma è freddissimo. Se gli versi dell'acqua calda in bocca usciranno solo cubetti di ghiaccio. L'ho messo sulla strada un paio di volte, ma non ne ho ricavato niente che si possa usare in tribunale. E se anche fossi andato oltre, basterebbe qualche avvocato in gamba a farlo restare in libertà vigilata per un paio di anni senza rinchiuderlo, anche se i sospetti collimassero. Cioè, i tribunali lo considerano ancora un caso da rinchiudere in un istituto per minorenni — il ragazzo ha solo 17 anni. Ma io credo che quel ragazzo abbia smesso di essere minorenne da quando aveva otto anni. È tremendo, ragazzi!» Richler si mise una sigaretta in bocca e rise — una risata che faceva scuotere. 
«Davvero, è veramente tremendo!» 
«In che cosa si è compromesso?» 
«Le telefonate. Questo è il punto più importante. Quando gli ho suggerito l'idea gli si sono riaccesi gli occhi come le luci di un biliardino», Richler svoltò la Chevy Nova verso la rampa di ingresso. Duecento metri alla loro destra c'era una cunetta e un albero morto dove Todd aveva scaricato a vuoto il suo fucile sul traffico un sabato mattina di non molto tempo prima. 
«Si starà dicendo 'Questo poliziotto è proprio matto se pensa che Dussander avesse un compagno nazista qui in città, ma se lo pensa veramente, io sono salvo'. Per cui dice che, si, Dussander riceveva una o due telefonate per settimana. Molto misteriose. 'Non posso parlare adesso, Zcinque, richiama più tardi' — cose di questo genere. Ma Dussander ha avuto bollette telefoniche molto basse negli ultimi sette anni. Non lo usava quasi mai, e nessuna chiamata interurbana. Non riceveva una o due telefonate alla settimana.» 
«Che altro?» 
«È subito saltato alla conclusione che la lettera era sparita, e solo quella. Sapeva che era l'unica cosa che mancava perché era stato lui a tornare a prenderla.» 
Richler schiacciò la sigaretta nel portacenere. 
«Pensiamo che la lettera sia solo una scusa. Pensiamo che Dussander sia stato preso dall'attacco di cuore mentre stava seppellendo il morto... l'ultimo morto. C'era dello sporco sulle scarpe e sui polsini, per cui non dovrebbe essere una deduzione sbagliata. Questo significa che ha chiamato il ragazzo dopo aver avuto l'attacco cardiaco, non prima. Arranca sulle scale e telefona al ragazzo. Il ragazzo si precipita — per quanto può precipitarsi, ovviamente — e sforna la storia della lettera nella confusione del momento. Non è la migliore, ma non è niente male, dopotutto... considerando le circostanze. Raggiunge la casa di Dussander e pulisce il disastro che trova. Ora il ragazzo è in un bel pasticcio. Sta arrivando l'autoambulanza e ha bisogno della lettera per far reggere la storia. Va di sopra e apre la cassetta...» 
«Hai trovato delle conferme?» domandò Weiskopf, accendendosi una sigaretta. Era una Player senza filtro e secondo Richler puzzava come la merda. Nessuna sorpresa se l'impero britannico è caduto, pensò, se hanno iniziato a fumare sigarette di quel tipo. 
«Sì, abbiamo avuto anche più conferme del necessario», rispose Richler. «Ci sono impronte digitali sulla cassetta uguali a quelle dei documenti scolastici. Ma le sue impronte sono praticamente dappertutto in quella maledetta casa!» 
«Ma se lo metti a confronto con tutto questo, potresti farlo crollare», disse Weiskopf. 
«Oh, senti, ehi, tu non conosci quel ragazzo. Quando ho detto che è un freddo, lo intendevo davvero. Direbbe che Dussander gli ha domandato di prendergli la scatola una volta o due per metterci dentro qualche cosa o per togliere qualche cosa.» 
«Ci sono le impronte digitali sul piccone.» 
«Direbbe che l'ha usato per piantare un cespuglio di rose nel giardino sul retro.» Richler prese una sigaretta, ma il pacchetto era vuoto. Weiskopf gli offrì una Player. Richler fece un tiro e iniziò a tossire. 
«Sono tanto cattive quanto puzzano», riuscì a proferire. 
«Come quegli hamburger che mi hai fatto mangiare a pranzo ieri», disse sorridendo Weiskopf «Quei Mac-Buger.» 
«Big Mac», corresse Richler e rise. «Okay. Si vede che lo scambio di culture non riesce sempre bene», gli sparì il sorriso. «Ha un aspetto così pulito, sai?» «Sì.» 
«Non si tratta di un ragazzino qualsiasi con i capelli lunghi fino al buco del culo e le catene sugli stivali da motocicletta.» 
«No», Weiskopf osservava il traffico che si svolgeva intorno a loro, felice di non dover guidare. «È solo un ragazzo. Un ragazzo bianco di buona famiglia. E trovo difficile credere che...» 
«Pensavo che voi li addestraste a maneggiare fucili e granate fin da piccoli.
In Israele.» 
«Sì. Ma lui aveva quattordici anni quando ha iniziato questa storia. Perché un ragazzino di quattordici anni dovrebbe coinvolgersi con una persona come Dussander? Ho cercato di capire questo, ma ancora non ci sono riuscito.» 
«Per adesso, basta così», disse Richler e buttò fuori dal finestrino la sigaretta. Gli stava facendo venire il mal di testa. 
«Forse, se è successo è stato solo per caso. Una coincidenza. Una scoperta.
Io credo che esistano scoperte piacevoli e scoperte spiacevoli.» 
«Non capisco quello di cui stai parlando», rispose Richler cupamente. «Io so solo che quel ragazzo ti fa venire i brividi più di quanti non te ne faccia venire un brutto scarafaggio.» 
«Quello che sto dicendo è molto semplice. Qualsiasi altro ragazzo sarebbe stato felice di dire ai propri genitori o alla polizia: 'Ho riconosciuto un ricercato. Abita a questo indirizzo. Sì. ne sono sicuro'. E allora entrano in campo le autorità. O pensi che abbia torto?» 
«No, non direi. Il ragazzo sarebbe stato famoso per qualche giorno. Molti ragazzi chissà che cosa farebbero solo per questo. Foto sui giornali, interviste al telegiornale della sera, forse anche un'assemblea a scuola che gli assegna il premio di cittadino esemplare», Richler stava ridendo. «Diavolo, il ragazzo arriverebbe ad ottenere persino un'intervista su Real
People.» 
«Che cosa c'è?» 
«Lascia perdere», disse Richler. Dovette alzare leggermente la voce perché in quel momento un camion gigantesco stava sorpassando la Nova dall'altra parte. Weiskopf guardava nervosamente da una parte all'altra. «Tu non vuoi capire. Hai ragione per la maggior parte dei ragazzi. Solo per la maggior parte.» 
«Ma non per questo ragazzo», disse Weiskopf. «Questo ragazzo, probabilmente fortunato ma stupido, scopre la copertura di Dussander. Però, invece di andare dai genitori o alla polizia... va da Dussander. Perché? Tu dici che non te ne importa, ma io credo di sì. Credo che anche tu sia alla ricerca di una risposta tanto quanto me.» 
«Non per ricatto», rispose Richler. «Questo è sicuro. Quel ragazzo ha tutto quello che si potrebbe desiderare alla sua età. C'era persino un DuneBuggey nel garage, per non parlare del fucile da caccia che stava sulla parete. E anche se avesse voluto distruggere Dussander solo per piacere di brivido, Dussander era praticamente inattaccabile. A parte qualche azioncina, non aveva altro da dare.» 
«Come fai ad essere sicuro che il ragazzo non sa che hai trovato i cadaveri?» 
«Ne sono sicuro. Forse tornerò da lui questo pomeriggio per dargli anche questo colpo. Per il momento sembra essere la nostra arma migliore.» Richler fece stridere leggermente le ruote. «Se tutto questo fosse saltato fuori anche un giorno prima, credo che avrei emesso un mandato di comparizione.» 
«E i vestiti che il ragazzo indossava quella notte?» 
«Già. Se potessimo trovare qualche traccia di terra sui suoi vestiti uguale allo sporco della cantina di Dussander, credo proprio che potremmo incastrarlo. Ma i vestiti che indossava quella sera saranno stati lavati almeno sei volte da allora.» 
«Che cosa ne è degli altri ubriaconi assassinati? Quelli che la polizia ha trovato in giro, sparsi per la città?» 
«Di quelli se ne sta occupando Dan Bozeman. Comunque non credo che  ci sia nessun collegamento. Dussander non aveva tutta quella forza... e poi, lui se la cavava benissimo nel suo piccolo. Prometteva loro da bere e mangiare, li portava in giro per la città pagando il biglietto dell'autobus — i maledetti autobus cittadini — e li faceva fuori nella sua cucina.» 
Weiskopf disse tranquillamente: «Non stavo pensando a Dussander, io». 
«Che cosa intendi dire con...» iniziò Richler e poi chiuse immediatamente la bocca. Ci fu un lungo momento di incredibile silenzio, rotto soltanto dal via vai del traffico intorno. Poi Richler disse sottovoce: «Ehi, ehi, ma andiamo! Dammi una dannata buo...» 
«Come agente del mio governo io devo interessarmi a Bowden solo per quanto sa, solo per questo, dei contatti che Dussander poteva avere con i nazisti nascosti qua e là. Ma come essere umano, mi sto interessando sempre di più al ragazzo, in se stesso. Mi piacerebbe sapere che cos'è che lo rende misterioso. Voglio sapere perché. E mentre mi sforzo di trovare una risposta per soddisfazione personale, mi ritrovo continuamente a chiedermi 'Che altro c'è?'» 
«Ma...» 
«Io mi domando, credi che le atrocità alle quali ha preso parte Dussander possano costituire una base di attrazione tra i due? È un'idea molto triste, continuo a ripetermi. Le cose che sono successe in quei campi hanno ancora il potere di far fare le capriole allo stomaco. Anch'io mi sento così, anche se l'unico parente stretto che era stato in campo di concentramento è stato mio nonno ed è morto quando io avevo tre anni. Ma forse tutti proviamo un certo fascino macabro nella nostra mente per ciò che hanno fatto quei tedeschi — qualche cosa che apre le catacombe dell'immaginazione. Forse una parte delle nostre paure e dei nostri orrori deriva proprio dalla conoscenza segreta che nelle giuste — o sbagliate — cricostanze anche noi saremmo stati in grado di costruire gli stessi posti con le nostre mani. Scoperta spiacevole. Forse sappiamo che nelle circostanze giuste ciò che si agita nelle catacombe sarebbe felicissimo di salire a galla. E come credi che sia tutto questo? Come tanti Führer pazzi dalle coppiglie e dai baffi stile spazzola per scarpe, salutando alla nazista dappertutto? Come diavoli rossi, o demoni, o come il drago che svolazza con le ali puzzolenti da rettile?» «Non lo so», rispose Richler. 
«Io credo che molti di loro assomiglierebbero a tanti ragionieri», disse Weiskopf. «Piccoli uomini con diagrammi e schemi volanti e calcolatori elettronici, tutti pronti a massimalizzare il tasso di assassinio cosicché la prossima volta saranno in grado di ammazzare 20 o 30 milioni di persone, invece di 6 soltanto. E qualcuno di loro potrebbe assomigliare a Todd Bowden.» 
«Mi fai venire i brividi come lui», disse Richler. 
Weiskopf annuì. «È un argomento da brivido. Trovare quegli animali e quegli uomini morti nella cantina di Dussander... mi ha fatto venire i brividi, no? Non ti è capitato di pensare che forse questo ragazzo ha iniziato tutto per un semplice e puro interesse per i campi di concentramento? Un interesse non tanto diverso da quelli dei ragazzi che fanno collezione di monete o di francobolli o di quelli che preferiscono leggere le storie di Tex Willer? E che lui è andato direttamente da Dussander a prendere informazioni dalla bocca del mostro?» 
«Bocca», rispose automaticamente Richler. «Ragazzi, a questo punto sono pronto a credere qualsiasi cosa.» 
«Forse», mormorò Weiskopf. La sua voce si perse con il rumore di un altro camion che li stava passando. BUDWEISER c'era stampato sul lato a caratteri giganteschi. Che strano paese, pensò Weiskopf, accendendosi una sigaretta. Non riescono a capire come facciamo a vivere circondati da arabi mezzi matti, ma se io vivessi qui per due anni di seguito mi verrebbe l'esaurimento nervoso. «Forse, forse è possibile vivere accanto a un assassinio dopo l'altro senza venirne coinvolti.» 

29 

Il ragazzo che entrò nella sala agenti si portò appresso una scia di fetore indescrivibile. Puzzava di banane marce, di olio di radice idratante, di sterco di uccello e di camion di rifiuti cittadino alla fine di una giornata lavorativa. Portava un paio di pantaloni a lisca di pesce fuori moda, una camicia classica grigia stracciata e una giacca pesante ormai sbiadita i cui bottoni penzolavano, per la maggior parte, come la cordicella che si usa per estrarre i denti. La parte alta delle scarpe era unita a quella bassa per mezzo di colla. Sulla testa portava un cappello pestifero. Sembrava la morte in persona. 
«Oh, Cristo, vai fuori di qui», gli urlò il sergente di turno. «Non sei in arresto, amico! Lo giuro su Dio! Lo giuro su mia madre! Fuori di qui! Voglio continuare a respirare!» 
«Voglio parlare con il tenente Bozeman.» 
«È morto, amico. È successo ieri. Siamo rimasti tutti senza parole. Per cui esci di qui e lasciaci piangere in pace.» 
«Voglio parlare con il tenente Bozeman!» ripeté Hap più ad alta voce. Dalla bocca gli esalò un'alitata puzzolente: un misto sugoso e fermentato di pizza, di pasticche Hall Mentolipto e di vino rosso dolce. 
«È dovuto partire per il Siam per un caso, Hap. Per cui che cosa aspetti a uscire di qui? Vattene da qualche parte a mangiare un boccone.» 
«Voglio parlare con il tenente Bozeman e non me ne andrò fino a quando non l'avrò fatto.» 
Il sergente di turno uscì dalla stanza. Cinque minuti dopo tornò in compagnia di Bozeman, un uomo magro un po' più vecchio dei suoi cinquant'anni. 
«Portalo nel tuo ufficio, va bene, Dan?» consigliò il sergente di servizio. «Non credi sia meglio?» 
«Andiamo, Hap», disse Bozeman e si trovarono subito dopo nella stanza divisa in tre parti che era l'ufficio di Bozeman. Bozeman aprì con cautela l'unica finestra e accese la ventola prima di sedersi. «Posso fare qualche cosa per te, Hap?» 
«State ancora indagando su quegli assassinii, tenente Bozeman?» «Gli ubriaconi? Sì, l'inchiesta è ancora mia.» «Be', io so chi li ha fatti fuori». 
«Davvero, Hap?» domandò Bozeman. Era impegnato ad accendersi la pipa. Fumava raramente la pipa, ma né la finestra aperta, né la ventola accesa erano sufficienti a coprire l'odore di Hap. Bozeman pensò che anche le pareti avrebbero presto iniziato a scrostarsi. Sospirò. 
«Si ricorda di quando le avevo raccontato di Sonny che stava parlando con un ragazzo proprio il giorno prima di averlo trovato accoltellato nella fogna? Si ricorda che gliel'avevo detto, tenente Bozeman?» 
«Mi ricordo.» Molti dei vagabondi che frequentavano l'Esercito della Salvezza e le cucine popolari della zona gli avevano raccontato una storia simile riguardo a due degli assassinati, Charles «Sonny» Brackett e Peter «Poley» Smith. Avevano notato un ragazzo, un giovincello, parlare con Sonny e Poley. Nessuno sapeva con sicurezza se Sonny se n'era andato con quel ragazzo, ma Hap e altri due avevano dichiarato di aver visto Poley Smith andarsene con lui. Avevano pensato che il «ragazzo» fosse minorenne e che voleva fare scambio di un succo di frutta per una bottiglia di moscato. Molti altri vagabondi avevano asserito di averlo visto gironzolare nella zona. La descrizione del «ragazzo» era chiara, adattissima per essere sostenuta in tribunale, in considerazione dell'impeccabilità delle fonti che l'avevano fornita. Giovane, biondo e di razza bianca. Di che altro si poteva aver bisogno per andare a colpo sicuro? 
«Be', l'altra sera mi trovavo nel parco», disse Hap, «e mi sono capitate in mano queste pagine di giornale...» 
«C'è una legge contro il vagabondaggio in questa città, Hap.» 
«Stavo solo raccogliendole», disse con prosopopea Hap. «È brutto che la gente sporchi dappertutto. Stavo ripulendo il suolo pubblico, tenente. Il dannatissimo suolo pubblico. Alcuni di quei giornali erano vecchi di una settimana.» 
«Sì, Hap», rispose Bozeman. Si accorse — casualmente — di aver fame e di desiderare fortemente il suo pranzo ma ormai era passato troppo tempo. 
«Be', quando mi sono svegliato, uno di quei giornali mi è arrivato in faccia e c'era l'immagine proprio di quel ragazzo. Ho fatto un salto, glielo giuro. Guardi. Ecco il ragazzo. Eccolo qui il ragazzo.» 
Hap estrasse dalla tasca del giaccone un foglio di giornale accartocciato, ingiallito e macchiato di acqua e lo spiegò. Bozeman si sporse in avanti leggermente interessato. Hap gli mise il giornale sulla scrivania in modo da fargli leggere il titolo: QUATTRO RAGAZZI NOMINATI EROI DELLA SOUTHERN CAL. Sotto il titolo c'erano quattro fotografie.  «Qual è, Hap?» 
Hap mise il dito sporco sulla fotografia di destra: «Lui. Qui c'è scritto che si chiama Todd Bowden». 
Bozeman spostò lo sguardo dalla foto a Hap domandandosi quante delle cellule cerebrali di Hap erano rimaste sane, in grado di lavorare normalmente, dopo vent'anni di sballottamento, come una bottiglia di vino stagionato e cattivo. 
«Come fai ad essere sicuro, Hap? In quella foto ha il berretto di baseball. 
Io non riesco a vedere se ha i capelli biondi.» 
«Il sorriso», disse Hap. «È il modo in cui sorride. Lo stesso sorriso di aria felice che aveva quando se n'è andato con Poley. Non potrei dimenticare quel sorriso nemmeno tra un milione di anni. È lui. È quel ragazzo.» 
Bozeman non sentì le ultime frasi; stava riflettendo. Todd Bowden. C'era qualcosa di familiare in quel nome. Qualcosa che lo preoccupava più del fatto che un eroe del liceo cittadino se ne andasse in giro ad ammazzare vagabondi. Credeva di aver sentito quel nome proprio quella mattina durante una conversazione. Tremò, cercando di ricordarsi dove. 
Hap se n'era andato e ancora Dan Bozeman stava cercando di ricordare, quando fecero il loro ingresso Richler e Weiskopf... e fu il suono delle loro voci, mentre prendevano il caffè nella stanza degli agenti, a fargli tornare tutto in mente. «Santo cielo», esclamò il tenente Bozeman e si alzò in tutta fretta. 

30 

I suoi genitori si erano offerti di cambiare i programmi del pomeriggio — Monica doveva andare al mercato e Dick a giocare a golf con colleghi di lavoro — per restare a casa con lui, ma Todd disse che preferiva restare da solo. Pensava di pulire il fucile e vedere di riflettere su tutta la storia. Voleva cercare di capirla fino in fondo. 
«Todd», disse Dick, però, all'improvviso, si rese conto di non avere altro da aggiungere. Forse suo padre, in un momento come quello, avrebbe iniziato a pregare. Ma le generazioni si trasformano e i Bowden non credevano più a quel genere di cose. «A volte, succedono queste cose», disse infine in modo poco convincente, mentre Todd lo stava fissando. «Cerca di non fartene troppo un cruccio.» «Passerà», disse Todd. 
Dopo che se ne furono andati, prese degli stracci, dell'olio di alpaca per fucili e portò tutto verso la panchina del roseto. Tornò in garage e prese il .30-.30. Lo portò alla panchina dove lo aprì in due, mentre il profumo dolciastro dei fiori si infilava piacevolmente nelle narici. Pulì per bene il fucile, mentre canticchiava un motivetto, interrompendolo ogni tanto con qualche fischio tra i denti. Poi rimise insieme il fucile. Avrebbe potuto farlo anche al buio con la stessa facilità. La sua mente vagava libera. Quando, qualche minuto più tardi, tornò in sé, si accorse di aver caricato il fucile. L'idea del tiro al bersaglio non lo attirava molto, soprattutto quel giorno, però lo aveva caricato. Si disse di non sapere il perché. 
Ecco fatto, piccolo-Todd. È arrivato il momento, per così dire. 
E in quel momento, la Saab giallo brillante svoltò nel vialetto d'ingresso. L'uomo che scese dall'auto risultava vagamente familiare a Todd, ma solo dopo che ebbe richiuso la portiera e iniziato a camminare Todd si accorse delle scarpe da tennis. Un paio di Ked a caviglia bassa, blu acceso. Calato dal passato, eccolo, mentre risaliva il vialetto dei Bowden, Ed French Caloscia, l'uomo Ked. 
«Ciao, Todd. È molto che non ci si vede.» 
Todd appoggiò il fucile contro la panchina e gli fece un largo sorriso accattivante. «Salve, signor French. Che cosa ci fa nel quartiere selvaggio della città?» 
«I tuoi genitori sono in casa?» 
«Accidenti, no. Aveva bisogno di parlare con loro?» 
«No», disse Ed French dopo una lunga pausa di riflessione. «No, credo di no, credo che forse sia meglio se parliamo da soli, noi due. Per adesso, almeno. Forse, sei in grado di darmi una spiegazione ragionevole di tutta la storia. Anche se ne dubito, e Dio sa quanto.» 
Si mise una mano nella tasca sul fianco e ne estrasse un pezzo di giornale. Todd aveva già capito di che cosa si trattava anche prima che Ed French Caloscia glielo facesse vedere, e per la seconda volta, quel giorno, si trovò di fronte alle due fotografie di Dussander. Quella fatta dal fotografo dilettante era stata cerchiata da inchiostro nero. Todd capì immediatamente che cosa significava: French aveva riconosciuto il «nonno» di Todd. E adesso voleva raccontarlo a tutti quanti. Voleva diffondere la bella notizia. Buon vecchio Ed French Caloscia, dalla parlata veloce, con quelle fottutissime scarpette da ginnastica. 
La polizia se ne sarebbe interessata subito — ma, ovviamente, già lo sapeva. Se ne rese conto immediatamente. La sensazione di affogare era iniziata dopo mezz'ora che Richler se n'era andato. Ora, era come volare in alto su un pallone gonfio di gas ilare. Poi una freccia aveva centrato la struttura del pallone e adesso stava cadendo con regolarità. 
Le telefonate, era stato quello il suo sbaglio. Il maledetto Richler l'aveva raggirato in modo tanto viscido quanto sterco di gufo. Certo, aveva detto, spezzandosi praticamente l'osso del collo, per cadere nella trappola, Riceveva una o due telefonate alla settimana. Lascia pure che striscino per tutto il Sud della California alla ricerca del geriatrico ex nazista. Bene. A meno che non abbiano avuto un'altra versione da Ma Bell. Todd non sapeva se la società telefonica era in grado di dire quante telefonate urbane si facevano... ma c'era stato uno strano sguardo negli occhi di Richler... 
Poi c'era stata la lettera. Aveva detto a Richler, senza riflettere, che la casa non era stata derubata, e l'unico modo, per Todd, di saperlo era di essere tornato... come in effetti aveva fatto, non solo una, ma ben tre volte, la prima per prendere la lettera e le altre due per cercare qualcos'altro di incriminante. Non aveva trovato niente: persino l'uniforme delle SS era sparita, se n'era sbarazzato Dussander in quegli ultimi quattro anni. 
E poi c'erano i cadaveri. Richler non aveva mai menzionato i cadaveri. 
Inizialmente, Todd aveva pensato che era un suo sogno. Bisognava che le ricerche proseguissero, mentre lui cercava di capire, oltre la sua storia, anche la sua morte. Nessun timore per la terra che gli aveva sporcato il vestito, mentre seppelliva il cadavere; era stato ripulito la notte stessa. Lo aveva fatto persino asciugare di persona, perfettamente cosciente del fatto che Dussander poteva morire e che sarebbe stato scoperto tutto. Non si fa mai troppa attenzione, ragazzo, come avrebbe detto anche Dussander. 
Poi, poco a poco, si era reso conto che non era andata bene. Il tempo era stato bello e il caldo aveva fatto puzzare la cantina; nell'ultima visita che aveva fatto in casa di Dussander aveva avvertito una presenza inconfondibile. Sicuramente la polizia aveva indagato su quell'odore ed era riuscita a trovarne la fonte. Allora, perché Richler aveva nascosto quell'informazione? Se la stava risparmiando per un momento più adatto? Brutta sorpresa? E se
Richler stava organizzando qualche brutta sorpresa, era perché sospettava di Todd. Todd alzò lo sguardo dal giornale e si accorse che Ed French Caloscia si era scostato. Stava guardando la strada, anche se non c'era molto da vedere. Richler poteva sospettare, ma il sospetto era il massimo che poteva avere. 
A meno che non ci fosse qualche prova concreta che collegasse Todd al vecchio. 
Proprio il tipo di prova che poteva fornire Ed French Caloscia. 
Un uomo ridicolo, in un ridicolo paio di scarpe da ginnastica. Un uomo così ridicolo non meritava molto di vivere. Todd toccò la canna del .30.30. 
Sì, Ed Caloscia era il collegamento di cui avevano bisogno. Non potevano mai provare che Todd era stato il complice di uno degli assassinii di Dussander. Ma con una testimonianza di Ed Caloscia potevano provare la cospirazione. E si sarebbero fermati a questo, allora? Oh, no. Avrebbero preso la sua fotografia del diploma e avrebbero iniziato a farla girare tra i luridi vagabondi nel distretto Mission. Ci voleva tempo, ma Richler poteva permettersi di giocare quella carta. Se non possiamo imputargli una parte degli assassinii dei vagabondi, forse riusciamo a farlo per l'altra parte.  E poi? Poi, il tribunale. 
Suo padre gli avrebbe, logicamente, procurato un bel gruppetto di avvocati. E, logicamente, gli avvocati lo avrebbero fatto uscire. Prova indiziaria indiretta. Avrebbe fatto un'impressione troppo favorevole sulla giuria. Ma, comunque, a quel punto la sua vita sarebbe stata rovinata. Sarebbe finito tutto quanto sui giornali, avrebbero scavato e riportato alla luce tutta la storia, come i cadaveri decomposti nella cantina di Dussander. 
«L'uomo di quella foto è l'uomo che è venuto a trovarmi in ufficio, quando facevi la terza media», disse improvvisamente Ed, voltandosi nuovamente verso Todd. «Sosteneva di essere tuo nonno. Adesso, salta fuori che era un criminale di guerra ricercato.»  «Sì», rispose Todd. Il volto si era fatto stranamente pallido. Era il volto di un manichino da grandi magazzini. La serenità, la vita, la vivacità erano state spazzate via. Ciò che era rimasto era terrificante nella sua blanda vuotezza. 
«Com'è successo?» domandò Ed e, forse, intendeva usare un tono di accusa ferrea, ma gli uscì un suono triste, perso, ingannevole. «Com'è successo, Todd?» 
«Oh, le cose succedono una dopo l'altra», disse Todd e prese il .30-.30. «Ecco che cos'è successo. Le cose succedono... una dopo l'altra.» Abbassò la sicura con il pollice e puntò il fucile su Ed Caloscia. «Per quanto stupido possa sembrare, è successo proprio così. Si limita tutto a questo.» 
«Todd», disse Ed, spalancando gli occhi e facendo un passo indietro. «Todd, non avrai l'intenzione... Ti prego, Todd. Possiamo parlarne un po'. Possiamo disc...» 
«Tu e il crucco di merda potete discutere all'inferno», disse Todd, e tirò il grilletto. 
Il suono dello sparo si sperse nella tranquillità del pomeriggio caldo e senza vento. Ed French venne scaraventato contro la sua Saab. La mano sbatté all'indietro andando a rompere uno dei tergicristalli. Lo fissò stupidamente, mentre il sangue cominciava a sporcargli il risvolto del colletto, poi si riebbe e si voltò verso Todd. 
«Norma», sussurrò. 
«Okay», disse Todd. «Puoi dire quello che vuoi, campione.» Sparò ancora su Ed Caloscia e metà della testa scomparve in un getto di sangue e di ossa. 
Ed si voltò vacillando e si diresse a tastoni verso la portiera della guida, ripetendo il nome della figlia con voce soffocata e tremante. Todd gli sparò ancora, mirando alla base della spina dorsale, poi Ed cadde. I piedi gli rimbalzarono brevemente per terra e poi si fermarono. 
Davvero una brutta morte per un responsabile dell'orientamento, pensò Todd, e gli scappò una risatina. Nello stesso momento sentì una fitta di dolore appuntita come un ghiacciolo nel cervello, e chiuse gli occhi. 
Quando li riaprì, si sentì come non si era sentito da mesi — forse da anni. Andava tutto bene. Era tutto a posto. Dal viso sparì il biancore per lasciare posto a una bellezza selvaggia. 
Tornò in garage e prese tutte le conchiglie che aveva, più di quattrocento pezzi. Le mise nel suo zaino e se lo mise in spalla. Quando tornò alla luce del sole, aveva un sorriso eccitato, gli occhi gli brillavano — il modo in cui sorridono i ragazzi nel giorno del loro compleanno, a Natale, al quattro di Luglio. Il sorriso che si fa davanti ai razzi spaziali, alle palafitte, ai segni segreti, ai luoghi di incontro misteriosi, il risultato del trionfo di un grande gioco, quando i giocatori vengono portati fuori dallo stadio, in città, sulle spalle dei fans esultanti. Il sorriso estatico dei ragazzi che partono per il fronte con elmetti, a forma di contenitori di carbone. 
«Sono il re del mondo!» gridò vigorosamente al cielo alzando il fucile due spanne sopra la testa per qualche momento. Poi, lo fece passare nella mano destra e si incamminò verso il posto sopra l'autostrada dove il terreno scivolava via e dove l'albero morto gli avrebbe offerto rifugio. 

Erano passate cinque ore, e stava facendosi buio, quando lo portarono via