martedì 18 settembre 2018


IL COMPROMESSO
Sergei Dovlatov

...E così rimasi senza lavoro. Magari - pensavo - potrei imparare a fare il sarto? Ho notato che i sarti sono sempre di buon umore...
Incontrai Loginov, uno della televisione.
-    Ciao. Come va?
-    Così, sai, cerco lavoro.
-    Al giornale «Na straže Rodiny» cercano un collaboratore. Scriviti il nome: Kaširin.
-    È mica uno pelato?
-    Kaširin è un giornalista esperto. Una persona piuttosto morbida...
-    Anche la merda è morbida - avevo osservato.
-    Perché, lo conosci?
-    No.
-    E allora cosa parli... Scriviti il nome.
Lo scrissi.
-    Se ti vestissi come si deve. Mia moglie dice che se tu ti vestissi come si deve...
A proposito, una volta sua moglie mi telefona... Alt! Qui si apre un capitolo troppo esteso e inquietante. Ci porterebbe troppo lontano...
-    Quando guadagnerò, mi vestirò. Mi comprerò un cilindro...
Tirai fuori i miei articoli di giornale. Scelsi i migliori. Kaširin non mi piacque. Un viso scialbo, un umorismo da caserma. Dopo avermi dato un’occhiata disse:
-    Lei, naturalmente, non è iscritto al partito?
Io annuii colpevolmente. Poi lui, con una sorta di ebete ingenuità, aggiunse:
-    Una ventina di persone si sono fatte avanti per questo posto. Parlano con me... e poi chi li vede più. Lei mi lasci almeno il telefono.
Per caso mi era rimasto impresso il telefono della tintoria e glielo diedi.
A casa aprii quei fogli di giornale. Rilessi qualcosa.
C’era da riflettere...
Dei fogli ingialliti. Dieci anni di menzogne e falsità. Eppure, dietro tutto questo, c’erano delle persone, dei discorsi, dei sentimenti, la realtà... Non nei fogli, ma laggiù, all’orizzonte...
È arduo il percorso dalla Verità alla verità.
Non si può entrare due volte nell’acqua dello stesso fiume. Tuttavia, attraverso lo spessore dell’acqua, si può distinguere il fondo disseminato di lattine. E dietro una pomposa scenografia teatrale si possono vedere delle corde, un muro di mattoni, una bombola antincendio e degli operai sbronzi. Cose note a chiunque sia stato almeno una volta dietro le quinte...
Cominciamo dall’informazione giornalistica spicciola.

Compromesso primo 

(«Sovetskaja Estonija», novembre 1973)
CONVEGNO SCIENTIFICO

Gli studiosi di otto stati sono giunti a Tallinn al settimo Convegno di studi su Scandinavia e Finlandia. Si tratta di specialisti dell'URSSdella Polonia, della Cecoslovacchia, della RDTdella Finlandia, della Svezia, della Danimarca e della Germania Federale. I lavori del Convegno prevedono sei sezioni. Piòùdi 130 studiosi, storici, archeologi, linguisti, esporranno le loro relazioni e comunicazioni. La Conferenza si protrarrà fino al 16 novembre.

Il convegno si teneva al Politecnico. Passai di là, parlai con qualcuno. Dopo cinque minuti la nota era pronta. La comunicai alla segreteria. Ma ecco arrivare il redattore capo Turonok, persona melliflua, stucchevole. Il classico mascalzone timido. Ma quella volta era proprio su di giri:
-    Lei si è lasciato sfuggire un madornale errore ideologico.
-    ?
-    Lei elenca i paesi...
-    Perché, non si può?
-    Si può e si deve. Il problema è come lei li elenca. In quale ordine. Prima la Cecoslovacchia, la Danimarca, la Germania Federale, poi la Polonia, la RDTLURSS.
-    Certo, sono in ordine alfabetico.
-    Questo è un approccio aclassistico - cominciò lamentoso Turonok, - esiste un ordine insindacabile. I paesi democratici per primi! Poi i paesi neutrali. E, alla fine, quelli del blocco.
-    Okay - feci io.
Riscrissi la nota e la comunicai alla segreteria. Il mattino dopo arrivò Turonok trafelato:
-    Lei mi sta prendendo in giro! Ma lo fa apposta?!
-    Che è successo?
-    Lei ha invertito le repubbliche popolari. Lei ha messo la RDT dopo la Cecoslovacchia. Ancora l’alfabeto?! Si scordi questa parola opportunistica! Lei è funzionario di un giornale di partito. La Cecoslovacchia al primo posto!? Là c’è stata un’insurrezione.1
-    E contro la Germania c’è stata una guerra.
-    Non discuta! Ma perché si ostina?! Quella è un’altra Germania, un’altra! Non capisco chi si sia fidato di lei?! Miopia politica! Infantilismo morale! Sottoporrò la questione...
Per la nota mi pagarono due rubli. Me ne aspettavo tre.

Compromesso secondo 

(«Sovetskaja Estonija», giugno 1974)
RIVALI DEL VENTO. L’ippodromo di Tallinn compie cinquant’anni.

I fantini più noti, idoli delpubblico, sono innanzitutto degli esperti zootecnici che, con dedizione e pazienza, perfezionano la razza, sviluppano nei loro «pupilli» preziosi caratteri ereditari. Inoltre, essi sono atleti altamente qualificati che, una volta alla settimana, rendono conto dei loro successi dinnanzi all’esigente pubblico di Tallinn. In cinquant’anni, questi atleti si sono guadagnati numerosi premi e attestati, e nel 1969 il campione ippico Anton Dukal'skij ha vinto sullo stallone Tal’nik il Gran Premio Pansovietico. Tra le star dell'ippodromo di Tallinn si distinguono esperti campioni: L. Jurgens, E. Il’ves, Ch. Nymniste. Promette bene il giovane A. Ivanov.
Per celebrare il giubileo, il 1o agosto si terrà all’ippodromo una festa ippica.

L’ippodromo di Tallinn costituisce di per sé uno scenario piuttosto pietoso. Pavimento discretamente sporco, tribune sghimbesce. Il terreno è disseminato di biglietti usati. Una folla eccitata e chiassosa si muove circolarmente dal bar alla barriera della pista.
L’ippodromo è l’unico luogo dove si può comprare vino sfuso da due soldi.
Alla cassa sono disponibili biglietti di due tipi: l’«espresso» e la «doppietta». Se si prende un «espresso», si devono indovinare i vincitori nell’ordine in cui giungono al traguardo. Con la «doppietta» si devono indovinare i due migliori finalisti in ordine libero, ma in proporzione la vincita è inferiore. Anche i favoriti vengono pagati poco. Su di loro scommette tutto l’ippodromo, tutti i novellini. Si vince bene con i cavalli peggiori che per un puro caso si ritrovano in testa. Azzeccare un favorito non è difficile, è più difficile pronosticare l’imprevisto, lo scatto di vitalità di un qualche rognoso moribondo. I fantini più bravi, dietro lauto compenso, sostengono i favoriti. Anche restare indietro con abilità è un’arte. Anzi, è più difficile che vincere. In testa si ritrovano i cavalli medi. A volte le vincite arrivano a centocinquanta rubli. Tuttavia è difficile che i fantini più bravi vogliano avere a che fare con voi, hanno una loro solida clientela. È più facile mettersi d’accordo con un fantino di terza categoria cui è vietato giocare alle corse. Questi agisce per interposta persona. Prende il programma della prossima gara e ve lo illustra. Vi mostra i tre cavalli più forti di ogni corsa. E voi, in conformità alle indicazioni, comprate i biglietti e giocate anche i suoi soldi.
Decisi di scrivere la nota celebrativa sull’ippodromo. Discussi col direttore A. Mel’der che chiamò Tolja Ivanov.
-    Ecco un giovane talento - disse.
Io e Ivanov andammo al bar. Io dissi:
-    Ho dei soldi da spendere, un’ottantina di rubli. Cosa mi consiglia?
-    In che senso?
-    Intendo le corse.
Ivanov mi guardò con aria circospetta.
-    Non aver paura - dissi - non sono un provocatore, anche se sono un giornalista.
-    Figurati, non ho certo paura.
-    E allora di che si tratta?
Alla fine «siglò» l’accordo:
-    Per Dukel’ (cioè Dukal’skij) puntano dei lettoni di passaggio. Quello è uno che sa il fatto suo. Si prendono tutte quante le corse, coprono ogni variante. Ma puntano solo alla fine, quando si gioca forte. Le prime tre corse te le puoi aggiudicare.
Mi procurai il programma delle corse dell’indomani. Tolja tirò fuori una matita...
Al termine della terza corsa mi pagarono sessanta rubli. In seguito ci portavamo via sistematicamente da trenta a ottanta rubli. Peccato che le corse si facessero solo una volta alla settimana.
Quell’estate Tolja Ivanov si ruppe una gamba ed entrambe le clavicole. Ma i cavalli non c’entravano. Era caduto ubriaco da un taxi.
Con l’ippodromo era finita. Già da alcuni anni il «rivale del vento» fa il barman al night «Mjundi».


Compromesso terzo

(«Molodëz’ Estonii», agosto 1974)
Mi SENTO COME A CASA MIA. Gli ospiti di Tallinn

Alla Melesko ha un viso di rara bellezza. Naturalmente nella vita non è questa la cosa più importante. Eppure, eppure... Forse proprio questa è la ragione della immancabile disponibilità di chiunque nei confronti di questa ragazzina dal riso facile, appena un po ’ acerba...
Alla non appartiene al novero degli ospiti celebri. Non è qui per partecipare a qualche rinomato convegno scientifico e i record sportivi non sono la sua specialità...
E stata la curiosità ad attirare Alla nella nostra città... Già, la curiosità, un sentimento inquieto che costringe la gente a lasciare all'improvviso il proprio comfort metropolitano. Io lo chiamerei il sentimento del nomadismo, la tentazione dell’orizzonte, quella sorta di smania del viandante...
«Il movimento deriva dall’instabilità!» ha scritto il famoso teorico della musica Czerny...
Abbiamo deciso di fare ad Alla alcune domande:
-    Cosa può dirci di Tallinn?
-    E 'una città meravigliosa, confortevole e severa. Colpisce per l'armonico contrasto di antichità e modernità. Nel suo silenzio e nella sua tranquillità si percepisce un’altera grandiosità...
-    Com'è capitata qui?
-    Avevo sentito tanto parlare degli stilisti e dei paesaggisti di Tallinn. E poi amo il mare...
-    Lei viaggia da sola?
-    I miei compagni inseparabili sono la macchina fotografica ed un volumetto di Aleksandr Blok.
-    È già stata da qualche parte?
-    Al Vysgorod e al Kadriorg2 dove sono stata circondata da scoiattoli dolcissimi, per niente impauriti, potevo prenderli in mano.
-    Quali sono i suoi piani futuri?
-    Finirà l’estate. Cominceranno le lezioni al mio studio coreografico. Riprenderà un lavoro indefesso ed estenuante... Ma intanto, qui mi sento come a casa mia!

In questa storia non vi sono né buoni, né cattivi... Non vi sono né peccatori, né santi. Che poi non esistono neppure nella realtà. È già qualche anno che sto osservando...
Il redattore capo mi disse:
-    Tutti i tuoi personaggi sono dei vigliacchi. E se il tuo eroe è un vigliacco, secondo la logica del racconto dovresti portarlo al fallimento morale. Oppure alla nemesi. I tuoi vigliacchi, invece, sono qualcosa di naturale, come la pioggia o la neve...
-    Ma dove sono qui i vigliacchi? - chiesi io. - Per esempio, chi sarebbe un vigliacco?
Il redattore capo mi guardò come fossi uno in cattiva compagnia che cerca di difendere le sue amicizie...
È già da tempo che non divido più le persone in positive e negative. E tanto meno i personaggi letterari. E poi non sono affatto convinto che, nella realtà, al delitto segua inevitabilmente il pentimento e alle gesta eroiche la beatitudine. Noi siamo ciò che ci sentiamo di essere. I nostri requisiti, le qualità e i vizi, vengono alla luce al primo flebile soffio vitale... «Natura, sei la mia dea!» eccetera, eccetera... Lasciamo perdere...
In questo racconto non vi sono né buoni né cattivi, né potrebbe essere altrimenti. Uno dei protagonisti sono io. Poi compare Miša Šablinskij, con le sue caratteristiche espressioni, «appercezione spontanea», «dualismo immanente»... Infine è rappresentato Mitja Klenskij, anche lui lo si riconosce facilmente: la passione per i fermacravatta placcati oro ed i grossi bocchini in similambra gli hanno conferito una fama indiscussa.
Cosa avevamo in comune? Forse si trattava, non trovo un’espressione migliore, di una leggera insofferenza per il lato ufficiale del lavoro giornalistico. Una sorta di sano cinismo che aiuta ad evitare le parole altisonanti...
Nel nostro ufficio, su trentadue collaboratori in organico, ventotto si definivano «penna d’oro della Repubblica». Noi tre bastian contrari ci definivamo «penne d’argento». Dima Ser, che aveva scritto in un suo pezzo «Il rene artificiale è un fenomeno prosaico della prosaicità dei nostri tempi», era considerato «penna di legno».
Insomma, eravamo amici. Šablinskij lavorava alla cronaca industriale, sui suoi materiali non si polemizzava, si trattava per lo più di cifre destinate ad un lettore specifico. Klenskij lavorava alla cronaca sportiva, dava i resoconti quotidiani. Le sue comunicazioni, precise e sintetiche, erano prive di emotività. Io scrivevo articoli umoristici. Già in aprile il redattore capo mi aveva detto: « Scrivi articoli umoristici e noi ti daremo un appartamento».
È un lavoro difficile. Ogni fatto va verificato scrupolosamente. Chi è oggetto di critica per scagionarsi cerca di trovare una via d’uscita, si difende. La città è piccola e tutti ti osservano. Riassumendo, per due volte hanno provato a picchiarmi. La prima volta gli scaricatori dello scalo merci (e ci sono riusciti). La seconda, lo speculatore Cigir’, che mi ha colpito con il suo cappello «borsalino» e subito è stato messo a tappeto.
Ogni articolo suscitava innumerevoli reazioni. A volte dal tono minaccioso. La cosa mi faceva persino piacere. L’odio significa che un giornale riesce ancora a suscitare passioni.
Ognuno di noi si occupava del suo lavoro. Tutti e tre guadagnavamo discretamente. Šablinskij, quando andava in missione fuori città, portava pesce affumicato, uova d’anatra e persino maialini vivi. Klenskij scriveva monografie per un veterano dello sport da lui soprannominato «buana buono». In breve, lavoravamo coscienziosamente e onestamente...
E poi? Niente di particolare. Mitja Kenskij ricevette un’ospite da Dvinsk. Non so neppure che intenzioni avesse costei. Ci sono alcune giovani donne che non è che siano viziose, depravate, no, sono solo, per meglio esprimersi, spensierate. La loro vita è un’attività continua e, al di là di tanta frenesia, si fa fatica ad intuire un’anima. Con sforzi mostruosi, a prezzo di qualsivoglia sacrificio, queste signorine riescono ad esempio a procurarsi degli stivali di marca estera. È difficile riuscire a immaginare quanto tempo e quanti sforzi costi tutto ciò. E poi si passa allo sfoggio dei suddetti stivali: innumerevoli frequentazioni, balli o - semplicemente - il su e giù dal grande magazzino al municipio, lungo le vetrine sfavillanti. A volte questi stivali ve li ritrovate accanto al letto: le suole ortopediche, i gambali ripiegati di lato. E non si tratta di chissà che terribile depravazione. Semplicemente queste ragazze non sono sposate, hanno bevuto, gli autobus ormai non passano più, non riesci a trovare un taxi. E il padrone di casa non è niente male. In casa ci sono tre icone, un autografo di Magomaev,3 stampe, Cole Porter4... Di sera le fanciulle ballano e di giorno lavorano. Lavorano sodo. E poi vanno a trovare gente interessante, giornalisti per esempio...

Mitja si affacciò alla porta del nostro ufficio. Con lui c’era una ragazza.
-    Aspettami qui - le disse, - il mio capo non è di buon umore. Serž, fa niente se si siede qui?
-    Fa niente - dissi.
La ragazza si sedette accanto alla finestra e tirò fuori un portacipria. Mitja uscì. Io continuai a lavorare senza particolare entusiasmo. L’articolo che stavo scrivendo si intitolava «VMK senza ritocco». Cosa significasse VMK me lo sono completamente dimenticato...
-    Come si chiama?
-    Alla Meleško. È vero che tutti i giornalisti sognano di scrivere un romanzo?
-    No - mentii io.
La ragazza si aggiustò il rossetto e cominciò a rigirarsi. Le chiesi:
-    Dove studia?
Qui cominciò a mentire. Uno studio di drammaturgia, una pantomima, non so quale regista jugoslavo che le offriva una parte. Il regista si chiamava Joško Gati, ma una misteriosa «Intersin» non mandava il finanziamento in valuta...
Com’è nobilmente progredita la menzogna negli ultimi duecento anni! Un tempo mentivano raccontandoti che erano fidanzate, che lui era un miliardario proprietario di scuderie. Adesso ti raccontano del regista jugoslavo. Un tempo ci si vantava dei cavalli di razza, adesso... degli zoccoli polacchi di velluto a coste. Chlestakov5 era in buoni rapporti con Puškin, mentre il mio amico Genyč è tornato da Mosca depresso e silenzioso: aveva visto ai Magazzini centrali Olžas Sulejmenov.6Persino l'intelligencija mente, dice di guadagnare piuttosto bene. Io per primo aggiungo sempre una ventina di rubli anche se in effetti non guadagno affatto male... Lasciamo perdere...
Si mise a mentire. In questi casi io taccio - faccia pure. Una bugia disinteressata non è una menzogna, è poesia. Non so perché, ma sono persino convinto che non si chiamasse affatto Alla...
Poi arrivò Klenskij.
-    Tutto a posto - disse, - trecento righe, sono nella cartellina del segretario d’amministrazione. Possiamo anche rilassarci.
Trovai in un batter d’occhio una conclusione per il mio articolo. Scrissi qualcosa del genere: «Perché gli attivisti di fabbrica tacevano? Perché il tribunale del collettivo di lavoro non reagiva? In fondo si sa, da che mondo è mondo: cupidigia moltiplicato per impunità uguale reato!..».
-    Bene, andiamo - disse Klenskij, - non ne posso più di aspettare!
Consegnai l’articolo e telefonai a Šablinskij. Reagì con sincerità al nostro invito:
-    Rosa ha gli esami. Ho solo otto rubli. Domani ho il mercoledì creativo. Come si suol dire, proprio quel che ci voleva...
Ci ritrovammo tutti sul pianerottolo, accanto all’ascensore. Žbankov si avvicinò col flash, fotografò Alla senza dire una parola e si allontanò.
-    Che piani abbiamo? - chiesi.
-    Telefoniamo a Vera.
Vera Chlopina lavorava al reparto dattilografia, anche se avrebbe potuto diventare tranquillamente correttore di bozze o persino tipografo. Nervosa, abile e in gamba, si autodanneggiava con la sua isterica, impertinente franchezza. I dirigenti del giornale si ritrovavano volentieri a casa sua. Ambiente da single, due stanze, le sue amichette, la musica... Già dopo un paio di bicchierini la Chlopina diventava pericolosa. Se qualcosa non le piaceva, non stava tanto a misurare le parole. Ricordo una volta che gridò a Vejsblat, il vice-direttore del giornale giovanile:
-    No, ma ragioni! Ma se è nero che sembra Armstrong! Non lo prenderebbero neppure in un’officina come meccanico!
E non risparmiava neppure le donne. Criticava tutto, la capacità di sublimare i loro peccatucci, il loro vestiario di marca estera, i loro mariti ricchi e insulsi.
Per noi tre Vera provava simpatia. E a ragione. Non eravamo dei carrieristi, non compravamo automobili, non ci davamo arie. Noi pure le volevamo bene. Anche se con lei si trattava esclusivamente di rapporti di amicizia. Pienotta, un filino goffa, Vera arrossiva perennemente ed era smisuratamente casta.
Non che alla Chlopina piacesse bere. Semplicemente le piaceva organizzare incontri tra amici, darsi da fare, correre a cercare del vino bianco, preparare qualcosa da mangiare. Ci diceva:
-    Adesso chiamo la Ljuda, quella che fa la commessa al reparto mercerie. È qualcosa di eccezionale! Vitino di vespa, occhioni verdi grossi così!...
Alla Ljuda per telefono urlava:
-    Molla tutto, ferma in strada una macchina, corri da noi! Ti aspetto! Cosa? Scrittori, giornalisti, un mare di vodka, la torta...
In conclusione arrivava la Ljuda, alta, snella, in effetti con due occhioni... e con il marito, un capitano della milizia.
Tutto ciò Vera lo faceva senza alcun secondo fine. Semplicemente si sentiva sola.
E così andammo da lei. Comprammo del gin e acqua tonica e tutto quel che occorreva. Devo confessare che queste festicciole ormai le conoscevo a memoria. Sapevo già prima come sarebbero andate le cose. Anche perché si svolgevano sempre nello stesso identico modo. Un ordine stabilito una volta per tutte. Una sorta di spettacolo in cui ogni numero è previsto dal programma. Šablinskij avrebbe raccontato di qualche fantasmagorica caccia da qualcuno della nomenclatura. Il tutto con beccaccini di dimensioni aquiline, una piccola izba nel mezzo del bosco, con sauna finlandese e cognac armeno... A questo punto io lo avrei interrotto con la mia battuta preferita:
-    E tra gli alberi correvano gli istruttori del partito vestiti da orso...
-    Tutta invidia - avrebbe commentato Šablinskij con bonario sorrisetto, - te l’avevo detto, vieni con noi...
Subito dopo Klenskij avrebbe raccontato qualcosa sull’ippodromo, sbandierando uno dopo l’altro straordinari nomi equini: Annibaie, Canzoncina allegra, Rock and Roll. «Dukel’ lo supera in curva, il favorito sbaglia quattro volte, io ho in tasca sei espressi e alla fine: totovincita!...».
Poi la padrona di casa si sarebbe ubriacata ed avrebbe confessato ciò che pensava di ognuno di noi. Ma noi, che eravamo abituati, non ci saremmo offesi. Klenskij si sarebbe sorbito qualcosa sulla sua cravatta di cattivo gusto. Io sulla mia devozione ai superiori. Šablinskij sul suo snobismo. E sarebbe venuto fuori che lei studiava meticolosamente e appassionatamente ogni nostro articolo. Poi sarebbero cominciati i soliti interminabili discorsi giornalistici su chi non ha talento, su chi ce l’ha; poi i dischi d’anteguerra, le lacrime e la vodka comprata per miracolo, e in conclusione il finale: «ma tu mi stimi?». A proposito non sarebbe male come rubrica per il reparto satira...
Grosso modo le cose andarono proprio così. Arrostimmo dei Wurstel allo spiedo. Vera si ubriacò, baciò il ritratto di Dobroljubov:7 - Che uomini c’erano un tempo!... - Šablinskij raccontò qualche volgarità su Dobroljubov che poi smentì. Alla tirò fuori una bugia persino commovente da quanto era inverosimile, ovvero che Audrey Hepburn le aveva mandato dello shampoo colorante...
Poi si ritirò con Mitja in cucina. Klenskij disponeva di un metodo straordinario per colpire le donne: conversava con loro a lungo e per di più non parlava di sé, ma di loro. Qualsiasi cosa dicesse, c’era sempre l’immancabile: «Lei tende a fidarsi della gente, ma non del tutto...»; il metodo funzionava infallibilmente tanto con le studentesse dell’Istituto tecnico, quanto con le ciniche giornaliste televisive.
Ben presto io e Šablinskij ci venimmo a noia. Lui se ne andò senza salutare. Vera dormiva. Io telefonai a Marina e pure me ne andai.
Ad Alla dissi solo una frase: «Ce la svignamo io e lei?». Questa frase la dico sempre (alle donne s’intende). Quasi sempre. Non si sa mai. Non è una frase ambigua e per di più non è offensiva.
- Non mi sembra carino - disse Alla, - sono ospite di Mitja.

Il mattino dopo in redazione c’era un sacco di lavoro. Preparavo una colonna sul «servizio d’ordine popolare» cercando di tenermi su con dell’acqua minerale. Šablinskij decifrava le sue registrazioni alla conferenza degli istruttori veterani del lavoro. Arrivò Klenskij, tetro, emaciato. Si espresse in modo sibillino e astratto: - È tutta una fiction, proprio come questa nostra esistenza Nell’intervallo di pranzo suonò il telefono:
-    Sono Alla. Ha mica visto Mitija?
-    Ah - dissi io, - salve. Come va?
-    Ho l’emoglobina a 200.
-    Non capisco.
-    Ma che domande sono, «come va?»... Di schifo, e come altrimenti...
Andai a cercare Klenskij, ma mi dissero che era andato fuori città per lavoro: nel villaggio di Kungla una madre-eroina aveva partorito l’undicesimo figlio. Riferii il tutto ad Alla. Lei disse:
-    Che carogna, non mi ha neppure avvertito...
Ci fu una pausa di silenzio. Non mi piacque. E io che diavolo c’entravo? Che poi dovevo anche consegnare l’articolo. Dei titoli a dir poco sgomentevoli: «La ballata dell’aritmometro scomparso»... E Mitja, ma che bravo! Era partito senza avvisare la signorina. Cominciai a sentirmi a disagio.
-    Se vuole - dissi - possiamo far colazione insieme.
-    Già, in effetti dovrei proprio mangiare qualcosa. Mi sento in un modo indefinibile...
Le diedi un appuntamento e poi cosparsi tutto il tavolo di fogli. Per dare l’impressione di grande alacrità...
Era una giornata di maggio piuttosto fredda e tetra. I tendoni dei caffè sbattevano sulle vetrine. Alla arrivò con un enorme sombrero di percalle. Si vedeva che si pavoneggiava. Io mi voltai angosciato. Ci mancava solo che le amiche di Marina mi vedessero con quel sombrero. Le falde sfioravano le grondaie. Al caffè compresi che si poteva piegare tranquillamente. Mangiammo delle polpette e bevemmo tè con pasticcini. Si comportava come se io dovessi sentirmi in debito con lei. Le chiesi:
-    Lei probabilmente è in vacanza?
-    Sì - rispose - «vacanze romane».
-    È vero, una principessa tra i giornalisti. Come mai mammà ha dato il permesso?
-    Perché non doveva?
-    Una città sconosciuta, le tentazioni...
-    Due mamme si incontrano: «Com’è che l’hai lasciata andare tua figlia?». «E perché preoccuparsi? È da quando aveva nove anni che è sorvegliata dalla polizia... ».
Per educazione mi misi a ridere. Chiamai il cameriere. Pagammo e uscimmo. Le dissi:
-    Madame, riverisco, lieto di essermi beato lo sguardo.
-    Ciao,8 Johnny! - disse Alla.
-    Allora è meglio Giovanni, non Johnny.
-    Goodbye, Giovanni!
E se ne andò col suo enorme cappello di percalle, il corpo sottile, un fungo umano. Tornai di corsa in redazione. Infatti il segretario mi aveva già cercato. Verso le sei il mio articolo era pronto.
La sera ero seduto a teatro. Davano «La campana», un rifacimento di Hemingway. Uno spettacolo orribile, un misto dei «Magnifici sette» e della «Giovane guardia».9 Nel secondo atto, ad esempio, Robert Jordan si faceva la barba col pugnale. A proposito, portava dei jeans polacchi. Identici a quelli che avevo io.
Alla fine dello spettacolo cominciò una terribile sparatoria, tanto che me ne andai via senza aspettare le ovazioni. Questa città è proprio benevola, tutti gli spettacoli si concludono tra gli applausi più sfrenati...
Al mattino presto arrivai in ufficio. Mi incaricarono di scrivere una recensione positiva. Mezzo morto per il tabacco e i caffè, cominciai a scrivere.
«Le opere di Hemingway non sono adatte alla scena. L’unico dramma di questo scrittore non dispone di biografia teatrale e resta un “racconto dialogico”. Si legge bene, sottolineava l’autore. Gli innumerevoli tentativi di Hollywood di trasferirlo sullo schermo...».

A questo punto telefonò Vera. Io dissi:
-    Sono occupato, giuro! Che c’è?
-    Vieni su per un attimo.
-    Che succede?
-    Ma vieni per un attimo!
-    Accidenti...
Vera mi aspettava sul pianerottolo. Rossa, nervosa, triste.
-    Capisci, le servono dei soldi.
Non compresi. O meglio, compresi ma dissi:
-    Non comprendo.
-    Alla ha bisogno di soldi. Non può pagarsi l’aereo.
-    Vera, tu mi conosci, ma fino al quattordici non se ne parla. E quanto le serve?
-    Almeno una trentina.
-    Proprio non se ne parla. In aprile non ho onorari di alcun genere... Devo versare settantacinque rubli alla mutua... Non ho ancora finito di pagare il televisore... E poi sono del tutto... Un attimo, e Klenskij? In fondo è a carico suo...
-    È partito per non so dove.
-    Tornerà presto.
-    Capisci, succederà un disastro. Le ha telefonato il fidanzato da Saratov...
-    Da Dvinsk - dissi io.
-    Da Saratov, ma che importanza ha... Ha detto che si impicca se lei non torna. È da febbraio che Alla è in giro.
-    Beh, potrebbe anche venirsela a prendere.
-    Lunedì ha un esame.
-    Fantastico - dissi, - può impiccarsi, ma non può saltare un esame...
-    Piangeva e non faceva finta...
-    Ma io non ce li ho trenta rubli! E poi, santo cielo, è strana tutta questa storia... Ma la cosa fondamentale è che non li ho!
Il fatto interessante è che dicevo la verità.
-    E se te li facessi prestare da qualcuno? - fece Vera.
-    E perché, se mi consenti, dovrei farmeli prestare? È la ragazza di Klenskij. Che ci pensi lui.
-    E se li chiedessi a Šablinskij...
Andammo da Šablinskij. Anche lui si indignò:
-    Avevo otto rubli, li ho cavallerescamente tirati fuori. Io stesso devo spillarli a qualcuno. Aspettate che torni Mitja, che si consumi i suoi di soldi! Sai cosa dico sempre io: «il mondo si divide in consumisti e comunisti...».
-    Va be’ - disse Vera - mi inventerò qualcosa.
E si avviò all’ascensore.
-    Aspetta - dissi, - se non trovi niente, chiamami...
-    Va bene.
-    Ecco cosa si può fare, possiamo intervistarla.
-    Per la rubrica «Gli ospiti di Tallinn». Una studentessa che studia l’architettura gotica. Non abbandona mai il volumetto di Blok. Dà da mangiare agli scoiattolini nel parco... Le daranno una ventina di rubli, e magari anche un bigliettone da venticinque...
-    Serž, metticela tutta!
-    Bene...
A questo punto mi chiamarono dal redattore capo. Genrich Francevič Turonok sedeva nel suo spazioso ufficio accanto alla finestra. Radio e televisione tacevano. Il complicato aggeggio telefonico coi tasti bianchi era muto.
-    Si accomodi - disse il capo, - abbiamo un compito difficile. Nel nostro giornale non viene presentato a dovere il tema della morale. La scelta è la più ampia. Ex-mariti incattiviti dagli alimenti, protezionismo, rapacità statale... Conto su di lei. Vada al tribunale popolare, dai vigili urbani...
-    Troverò qualcosa.
-    Agisca - disse il redattore capo, - la questione morale è molto importante...
-    Okay - risposi.
-    E si ricordi: il concorso redazionale che abbiamo indetto continua ancora. Per i materiali migliori verranno conferiti premi in denaro. E il vincitore sarà mandato nella Repubblica Democratica Tedesca...
-    Con le buone? - chiesi.
-    Come sarebbe?
-    Ma se neppure in Bulgaria mi hanno lasciato andare. Avevo consegnato i documenti in primavera.
-    Deve bere meno - disse Turonok.
-    Lasci stare - dissi, - anche qua non me la passo male...

Quel giorno vi furono ancora un sacco di cose da fare, conflitti, discussioni, problemi irrisolti. Partecipai a due riunioni. Risposi a quattro lettere. Parlai una ventina di volte per telefono. Buttai giù dei cocktail, abbracciai Marina...
Era tutto normale.
E il giorno precedente, dove s’era cacciato? E se era stato dimenticato, cosa mi aveva spinto sei anni dopo a scrivere: «In questa storia non vi sono né buoni, né cattivi... Non vi sono né peccatori, né santi...»?
E alla fine, chi diavolo siamo noi?

Compromesso quarto
(«Vecernyj Tallinn», ottobre 1974)

ABBECEDARIO ESTONE

Nel bosco in un fosco giorno incontrammo un animale.
Gli dicemmo: «Ciao, buon giorno!».
Rispose la bestia: «Tere!».
E subito un raggio di sole sbucò tra due nubi nere...
«Večernyj Tallinn» veniva
pubblicato in russo. E così avevamo
ideato una nuova rubrica, l'« Abbecedario estone», per i piccoli lettori russi. Io avevo preparato la prima puntata. Avevo scritto delle poesiole piuttosto graziose. Più о meno otto. Ero un vero giornalista universale e in cuor mio ne andavo fiero.
Telefonò un istruttore del Comitato centrale, Vanja Trul':
-    Chi ha scritto questa favoletta sciovinista?
-    Perché sciovinista?
-    Ah, allora sei stato tu a scriverla?
-    Proprio io. Cos’è che non va?
-    Si parla di una bestia.
-    E allora?
-    E cosa ne viene fuori? Bisogna pensare che un estone sia una bestia? Io, istruttore del Comitato centrale del partito sarei una bestia?!
-    Ma è una favola, una convenzione fittizia. C’è un’illustrazione. Dei bimbi che hanno incontrato un orso. L’orso ha un muso buono e carino. È positivo...
-    E perché parla in estone? Che parli la lingua di qualche paese capitalista...
-    Non capisco.
-    E come si fa a spiegarlo a uno come te! Non sei maturo tu per un giornale di partito, non sei maturo...
Un’ora dopo passò da me il direttore:
-    La giuria l’ha multata di due punti.
-    Ma di quale giuria parla?
-    Ha dimenticato che continua il concorso. Gli autori dei materiali migliori saranno premiati. Il migliore tra i migliori sarà degno di un viaggio in Occidente, nella Repubblica Democratica Tedesca.
-    Logico. E il peggiore tra i peggiori sarà spedito a Oriente?
-    Cosa vorrebbe dire con questo?
-    Niente, scherzavo. Forse che la Repubblica Democratica Tedesca è Occidente?
-    Perché, secondo lei cosa sarebbe?
-    Il Giappone, quello sì che è Occidente!
-    Cooosa? - urlò spaventato Turonok.
-    In senso ideologico - aggiunsi.
Un’ombra d’infinita stanchezza oscurò il volto del direttore.
-    Dovlatov - disse lui, - con lei parlare è impossibile! Si ricordi che la mia pazienza ha dei limiti...












Compromesso quarto

(«Vecernyj Tallinn», ottobre 1974)
ABBECEDARIO ESTONE
Nel bosco in un fosco giorno incontrammo un animale.
Gli dicemmo: «Ciao, buon giorno!».
Rispose la bestia: «Tere!».
E subito un raggio di sole sbucò tra due nubi nere...
«Večernyj Tallinn» veniva pubblicato in russo. E così avevamo ideato una nuova rubrica, l'« Abbecedario estone», per i piccoli lettori russi. Io avevo preparato la prima puntata. Avevo scritto delle poesiole piuttosto graziose. Più о meno otto. Ero un vero giornalista universale e in cuor mio ne andavo fiero.
Telefonò un istruttore del Comitato centrale, Vanja Trul':
Chi ha scritto questa favoletta sciovinista?
-    Perché sciovinista?
-    Ah, allora sei stato tu a scriverla?
-    Proprio io. Cos’è che non va?
-    Si parla di una bestia.
-    E allora?
-    E cosa ne viene fuori? Bisogna pensare che un estone sia una bestia? Io, istruttore del Comitato centrale del partito sarei una bestia?!
-    Ma è una favola, una convenzione fittizia. C’è un’illustrazione. Dei bimbi che hanno incontrato un orso. L’orso ha un muso buono e carino. È positivo...
-    E perché parla in estone? Che parli la lingua di qualche paese capitalista...
-    Non capisco.
-    E come si fa a spiegarlo a uno come te! Non sei maturo tu per un giornale di partito, non sei maturo...
Un’ora dopo passò da me il direttore:
-    La giuria l’ha multata di due punti.
-    Ma di quale giuria parla?
-    Ha dimenticato che continua il concorso. Gli autori dei materiali migliori saranno premiati. Il migliore tra i migliori sarà degno di un viaggio in Occidente, nella Repubblica Democratica Tedesca.
-    Logico. E il peggiore tra i peggiori sarà spedito a Oriente?
-    Cosa vorrebbe dire con questo?
-    Niente, scherzavo. Forse che la Repubblica Democratica Tedesca è Occidente?
-    Perché, secondo lei cosa sarebbe?
-    Il Giappone, quello sì che è Occidente!
-    Cooosa? - urlò spaventato Turonok.
-    In senso ideologico - aggiunsi.
Un’ombra d’infinita stanchezza oscurò il volto del direttore.
-    Dovlatov - disse lui, - con lei parlare è impossibile! Si ricordi che la mia pazienza ha dei limiti...