sabato 29 dicembre 2018


LA SCATOLA NERA
Amos Oz
Feltrinelli



Note di copertina

Alec e Ilana non si parlano da sette anni. Il divorzio è stato brutto, le emozioni in gioco crudeli, lui si è trasferito negli Stati Uniti dove è diventato famoso per i suoi studi sul fanatismo religioso, lei è rimasta in Israele, si è sposata con un ortodosso da cui ha avuto una bimba.
Alec e Ilana hanno un figlio, Boaz, disconosciuto dal padre nel corso del divorzio come atto di estrema offesa verso la moglie. Boaz è un adolescente difficile e, dopo svariati scatti di violenza, si fa buttare fuori da scuola.
Così, dopo anni, Ilana scrive ad Alec per chiedergli aiuto. Attraverso le lettere emergono i diversi personaggi che si delineano nettamente, mostrando i differenti volti della società israeliana.

Incipit
  Dr Alexander A. Gideon
Dipartimento di Scienze Politiche
Università dell'Illinois
Chicago, Illinois, Stati Uniti.
Gerusalemme, 5.2.76.

Caro Alec,
Se non hai distrutto questa lettera appena riconosciuta la mia grafia sulla busta, è segno che la curiosità è più forte dell'odio. O che il tuo odio ha bisogno di nuovo combustibile.
Adesso impallidirai, stringerai le mascelle da lupo come fai sempre, sino a far scomparire le labbra, infine ti accanirai su queste righe per scoprire ciò che voglio da te, che cosa ho l'ardire di chiederti dopo sette anni di assoluto silenzio fra di noi.
Quel che voglio è che tu sappia che Boaz si trova in una brutta situazione. Voglio che lo aiuti il più in fretta possibile. Mio marito e io non possiamo fare nulla, perché Boaz ha troncato ogni rapporto. Come te, del resto.
Adesso puoi anche smettere di leggere e gettare questa lettera nel camino (chissà perché ti immagino sempre dentro una lunga stanza luminosa, piena di libri, seduto da solo a una scrivania nera di fronte a una finestra che dà su monotone e piatte distese di neve, senza un albero, solo neve candida e luccicante.
E un fuoco che brucia dentro il camino alla tua sinistra, un bicchiere vuoto e una bottiglia vuota anch'essa sul tavolo vuoto che hai davanti. L'immagine la colgo in bianco e nero. Anche tu, sai: monacale, ascetico, alto, tutto in bianco e nero).
Ora stai accartocciando questa lettera, borbotti in perfetto stile anglosassone e getti con precisione il cartoccio nel fuoco: che te ne importa, in fondo, di Boaz Senza contare che non credi a una soltanto delle mie parole. Ecco che pianti i tuoi occhi grigi nel fuoco ammiccante e dici fra te e te: mi sta di nuovo giocando un brutto tiro. Quella femmina non s'arrende mai, non lascia in pace.
Dunque perché ti sto scrivendo.
Per disperazione, Alec. E in fatto di disperazione tu sei un esperto internazionale, non è vero? (Sì, certo che ho letto il tuo libro - come tutto il resto del mondo, d'altro canto - "La violenza disperata: studio comparativo sul fanatismo".) Ma ciò che intendo non è il tuo libro, piuttosto la sostanza di cui è foggiata la tua anima: disperazione algida. Disperazione artica.
Stai ancora leggendo? Rinnovando il tuo odio verso di noi? Assaporando a piccoli sorsi la gioia per le sventure degli altri come fosse un whisky di marca? Se le cose stanno così, farei meglio a smetterla di provocarti, è ora di parlare di Boaz.
La verità è che non ho idea di quello che sai e quello che non sai. Non mi meraviglierei che fossi al corrente di tutto fin nei minimi particolari, perché hai chiesto e ottenuto dall'avvocato Zakheim un resoconto mensile sulla nostra vita, e per tutti questi anni ci hai tenuto sotto il tuo controllo radar. D'altra parte, non mi stupirei nemmeno di sentire che non sai nulla di nulla: né che ho sposato un uomo che si chiama Michael Sommo, né che ho avuto una figlia né di quel che è successo a Boaz: ti si confà, il gesto di voltare la schiena con un movimento brutale e respingerci per sempre dalla tua nuova vita.
Dopo che ci cacciasti via, andai a stare con Boaz nel kibbutz di mia sorella e suo marito. (Non avevamo altro posto al mondo, e nemmeno denaro.) Rimasi là sei mesi, poi tornai a Gerusalemme. Ho lavorato in una libreria. Boaz è rimasto in kibbutz cinque anni, finché non ne ha compiuti tredici. Lo andavo a trovare ogni tre settimane. É andata avanti così finché non ho sposato Michel, e da allora il ragazzo mi chiama puttana. Come te, del resto. Non è mai venuto, nemmeno una volta, da noi a Gerusalemme. Quando gli abbiamo detto della nascita di nostra figlia (Madeleine Yifat) mi ha sbattuto il telefono in faccia.
Due anni fa è comparso a casa nostra all'una di notte, era inverno, per comunicarmi che aveva chiuso con il kibbutz pertanto o lo iscrivevo immediatamente alla scuola agricola o se ne andava "a vivere per le strade e di lui non avremmo più sentito parlare".
Mio marito si è svegliato e gli ha detto di togliersi i vestiti bagnati, di mangiare qualcosa, lavarsi e dormire, di modo da parlarne l'indomani mattina. Il ragazzo (già allora, a tredici anni e mezzo, era grande e grosso assai più di Michel) gli ha risposto con il tono di chi pesta un insetto: "Chi sei tu? Chi ti ha chiesto qualcosa?". Michel ha sorriso e gli ha risposto: "Che ne diresti di uscire un attimo di casa, tesoro, calmarti, cambiare la cassetta, bussare di nuovo alla porta e rifare tutto da capo civilmente invece di comportarti come un gorilla?".
Boaz si è girato verso la porta, ma io mi sono messa fra lui e l'uscita. Sapevo che non mi avrebbe sfiorato. La piccola si è svegliata e ha cominciato a piangere, Michel è andato a cambiarle il pannolino e a scaldare il latte in cucina. Io ho detto: "Va bene Boaz. Andrai alla scuola agricola, se è questo che vuoi".
Michel in canottiera e mutande, con la bambina tranquilla in braccio, ha aggiunto: "Solo a condizione che prima tu chieda scusa a tua madre, ripeta bene la richiesta e alla fine dica grazie. Insomma, non sei una bestia, vero?". E Boaz, con quella smorfia di disgusto disperato e di sprezzo che ha ereditato da te, mi ha sussurrato: "E da una feccia del genere tu ti lasci scopare ogni sera?". Poi ha allungato la mano e mi ha sfiorato i capelli, dicendo con un tono affatto diverso, che al solo ricordare mi stringe il cuore: "Ma la vostra bimba è piuttosto carina".
Poi (con l'intercessione del fratello di Michel) abbiamo messo Boaz alla scuola agricola Telamim. É stato due anni fa, all'inizio del 1974, poco dopo la guerra per la quale - così mi hanno detto - sei tornato in Israele a combattere come comandante di un battaglione carristi nel Sinai, per poi scappare di nuovo appena finita. Abbiamo anche rispettato la sua richiesta di non andare a trovarlo. Abbiamo pagato la retta in silenzio. Cioè, Michel l'ha pagata. Non esattamente Michel, ecco.
Nemmeno una cartolina abbiamo ricevuto da Boaz durante quei due anni. Solo degli avvisi dalla direzione: il ragazzo è violento. Si è ficcato nei pasticci e ha rotto la testa del guardiano notturno dell'istituto. Il ragazzo sparisce la notte. Il ragazzo ha un fascicolo a suo nome presso la polizia. Il ragazzo si trova sotto sorveglianza speciale. Il ragazzo sarà costretto a lasciare l'istituto. Questo ragazzo è un mostro.
Del resto, che cosa ricordi tu, Alec? Se l'ultima cosa che hai visto era una creatura di otto anni, chiara, esile e lunga come uno stelo, capace di stare ore e ore in silenzio su uno sgabello, chino sulla tua scrivania, assorto a costruire apposta per te degli aeroplanini di legno di balsa secondo i modellini "fai da te" che gli portavi - un bambino prudente, docile, quasi fifone, benché già allora, a otto anni, fosse capace di soffocare l'umiliazione con una specie di prepotenza taciturna. Nel frattempo, come una bomba genetica a orologeria, Boaz è diventato un sedicenne alto un metro e novantadue che non ha ancora intenzione di fermarsi, un ragazzo scostante e selvaggio, cui l'odio e la solitudine hanno infuso una mirabile forza fisica. Questa mattina, poi, è successa la cosa che da tempo sapevo sarebbe successa, prima o poi: una telefonata urgente. Hanno deciso di espellerlo dall'istituto, perché ha assalito un'insegnante. Non hanno voluto dirmi altro.
Perciò sono andata immediatamente là, ma Boaz si è rifiutato di vedermi. Mi ha solo mandato a dire "che lui non ha niente a che fare con quella puttana". Intendeva forse quell'insegnante? Non lo so. Ho saputo comunque che non si trattava propriamente di un "assalto", bensì di una battuta velenosa a causa della quale è scappato uno schiaffo all'insegnante, e lui gliene ha immediatamente resi due. Ho pregato che rimandassero l'espulsione sino a quando non gli avrò trovato un'altra sistemazione. Devo avergli fatto pena, mi hanno concesso due settimane.
Michel dice che, se voglio, Boaz può stare qui da noi (benché noi due con la bambina si viva in una stanza e mezza, su cui grava ancora un pezzo di mutuo). Ma tu sai meglio di me che Boaz non sarà d'accordo. Il ragazzo nutre disgusto verso di me e anche verso di te. Dunque tu e io abbiamo qualcosa in comune, nonostante tutto. Mi dispiace.
É altrettanto improbabile che lo prendano in un altro istituto, con i suoi precedenti presso la polizia e le ammonizioni del preside. Ti scrivo perché non so che fare. Ti scrivo anche se non leggerai e qualora leggessi non mi risponderai. Tutt'al più darai ordine al tuo avvocato Zakheim di spedirmi una lettera formale in cui si ribadisce che il suo cliente continua a negare la paternità, che l'esame del sangue non ha prodotto un esito inequivocabile e che sono stata io allora a oppormi strenuamente a un esame del tessuti. Scacco matto.
E in effetti il divorzio ti ha esentato da ogni responsabilità nei confronti di Boaz e da ogni impegno nei confronti miei. So tutto a memoria, Alec. Non ho alcuna speranza. Ti scrivo come fossi alla finestra a parlare alle montagne. O dentro il buio che sta fra le stelle. La disperazione è il tuo campo. Se vuoi puoi usarmi come campione.
Hai ancora sete di vendetta? Se è così, ora ti porgo l'altra guancia. La mia e quella di Boaz. Ti prego: picchia più forte che puoi.
Sì, questa lettera te la spedirò benché in questo preciso istante io stia posando la penna e decidendo di rinunciare: dopo tutto non ho niente da perdere. Tutte le strade mi sono negate. Cerca di capire: quand'anche l'ufficiale giudiziario o l'assistente sociale riuscissero a convincere Boaz a sottoporsi a un trattamento, a una riabilitazione, a un sostegno, al trasferimento in un altro istituto (non credo sia possibile, comunque) non avrei comunque i soldi per pagare nulla.
Mentre tu ne hai tanti, Alec.
E nemmeno contatti ho, mentre tu potresti muovere tutto quello che vuoi con tre telefonate. Tu sei intelligente e forte. O lo eri sette anni fa. (Qualcuno mi ha detto che hai subito due operazioni. Nessuno ha saputo dirmi di che genere di operazioni si trattasse.) Spero che tu stia bene, adesso. Di più non posso scrivere qui, non vorrei essere tacciata di ipocrisia. Servilismo. Adulazione. Non lo nego, Alec: sono anche disposta ad adularti quanto vuoi. Disposta a fare qualunque cosa tu mi chieda. E per "tutto" intendo proprio tutto. Purché tu salvi tuo figlio.
Se solo avessi un briciolo di cervello ora cancellerei le parole "tuo figlio" e scriverei al loro posto Boaz, per non mandarti su tutte le furie. Ma come potrei cancellare la verità? Tu sei suo padre Quanto al mio cervello, hai deciso da un pezzo che sono completamente scema.
Allora ti faccio una proposta: sono pronta a riconoscere per iscritto, davanti a un notaio se vuoi, che Boaz è il figlio di chiunque tu voglia. Il mio rispetto per me stessa è defunto da tempo. Dunque, firmerò qualunque pezzo di carta il tuo avvocato mi metterà davanti, se in cambio acconsentirai a dare un primo, rapido soccorso a Boaz.
Diciamo un aiuto umanitario. Diciamo, un atto di pietà verso un ragazzo che è un perfetto estraneo.
E davvero, sai, se mi fermo e smetto di scrivere e lo evoco, mi trincero dietro queste parole: Boaz è un ragazzo estraneo. Ragazzo no. Una persona estranea. Me, mi chiama puttana. Te, cane. Michel, "piccolo magnaccia". Quanto a se stesso (anche nei documenti ufficiali) si firma con il mio cognome da signorina Boaz Brandstetter. E l'istituto dove lo abbiamo messo con immensa fatica, su sua stessa richiesta, lo chiama Isola del Diavolo.
Adesso voglio dirti qualcosa che potrai usare contro di me. I genitori di mio marito ci mandano da Parigi ogni mese un po' di denaro per tenerlo in quell'istituto, benché non abbiano mai visto Boaz e Boaz non sappia nemmeno della loro esistenza. Sono gente niente affatto benestante (esuli dell'Algeria) e hanno, oltre a Michel, altri cinque figli e otto nipoti, in Francia e in Israele.
Alec. Ascolta. Di quel che è stato non farò cenno in questa lettera. Solo una cosa, che sappi non dimenticherò mai, anche se il fatto stesso ch'io ne sia a conoscenza desterà il tuo stupore. Due mesi prima del nostro divorzio, Boaz fu ricoverato al reparto di nefrologia dello Shaare Zedek per un'infezione ai reni. Ci furono complicazioni. Senza dirmi nulla tu andasti dal professor Blumenthal a chiedergli se un adulto poteva, in caso di bisogno, donare un rene a un bimbo di otto anni. Dunque avevi in mente di donargli un tuo rene. Avvertendo il professore che ponevi una condizione. Che io (e il bambino) non lo sapessimo mai. E in effetti non ne seppi nulla finché non feci amicizia con il dottor Adorno, l'assistente di Blumenthal quel giovane medico che stavi per portare in tribunale per colpevole negligenza nei confronti di Boaz e della sua malattia.
Se stai ancora leggendo, e certo in questo momento ancora più pallido di prima, mentre con un moto brusco di violenza soffocata prendi l'accendino per dar fuoco fra le labbra dove non c'è nessuna pipa, concludi ancora con te stesso: ma certo. Il dottor Adorno. E allora. Se non hai ancora distrutto questa mia lettera, è giunto il momento di farlo. E insieme a essa distruggere me e Boaz. Poi Boaz è guarito e dopo tu ci hai ripudiato cacciandoci dal tuo Eldorado, dal tuo nome e dalla tua vita.
Senza donare nessun rene. Ma io credo che volessi davvero donarlo. Perché tu fai sempre tutto sul serio, Alec. Lo riconosco: hai serietà in tutto.
Pensi che ti stia di nuovo adulando? Se credi posso ammettere la colpa: è piaggeria, la mia. Servilismo.
In ginocchio davanti a te, faccia a terra. Come allora. Come ai bei tempi.
In fondo non ho nulla da perdere e non mi costa niente supplicare. Farò quello che mi ordinerai. Solo, non indugiare perché fra due settimane lo buttano per la strada. E per la strada ha chi lo aspetta.
In fondo nulla al mondo è al di là delle tue possibilità. Sguinzaglia dunque il tuo mostruoso avvocato.
Forse con una raccomandazione lo prendono in un collegio navale (Boaz manifesta una strano spasimo per il mare, sin da quando era molto piccolo. Ti ricordi, Alec, ad Ashkelon nell'estate della guerra dei Sei Giorni? Il vortice? I pescatori? La zattera?)
Un'ultima cosa, prima di chiudere questi fogli dentro una busta; se vuoi vengo anche a letto con te.
Quando vuoi. E come vuoi. (Mio marito sa di questa lettera, mi ha persino aiutato a concepirla, a parte quest'ultima frase. Adesso se proprio hai voglia di distruggermi, non ti resta che fotocopiarla, sottolineare quest'ultima frase con la tua matita rossa e mandarla a mio marito. Funzionerà a meraviglia. Ora lo ammetto: ti ho mentito prima scrivendo che non ho niente da perdere.)
Dunque Alec, adesso siamo tutti nelle tue mani. Persino la mia figliolina. E puoi fare di noi quello che vuoi.

Ilana (Sommo)

Signora Halina Brandstetter-Sommo
Tarnaz 7
Gerusalemme
Israele
Espresso.
Londra, 18.2.76.
Gentile Signora,
Soltanto ieri mi è stata inoltrata dagli Stati Uniti la Sua lettera del 5 c.m. Risponderò solo a una piccola parte degli argomenti che Lei solleva.
Questa mattina ho parlato al telefono con un mio conoscente in Israele. A seguito di questa conversazione, mi ha chiamato or ora, di sua iniziativa, la direttrice dell'istituto in cui suo figlio studia. Ci siamo accordati affinché l'espulsione venga revocata, sostituita da un'ammonizione. Se tuttavia - come vagamente adombrato nella Sua lettera -, risultasse che suo figlio preferisce passare a un'accademia navale, ho buone ragioni per ritenere che la cosa si possa fare (tramite il mio avvocato Zakheim).
Parimenti l'avvocato Zakheim provvederà a farvi avere un assegno pari a duemila dollari (in lire israeliane e intestato a Suo marito). A Suo marito è richiesto di confermare per iscritto il ricevimento della somma come donazione alla luce della vostra difficile situazione, cosa che non costituirà in alcun modo un precedente o l'ammissione di un qualsivoglia obbligo da parte nostra. Suo marito dovrà inoltre fornire assicurazione che da parte vostra non giungeranno più altri appelli in futuro (mi auguro che la povera e numerosa famiglia parigina non abbia in mente di seguire il vostro esempio e chiedermi favori pecuniari di sorta). Quanto al resto della sua lettera, un'accozzaglia di menzogne, di goffe contraddizioni e volgarità inqualificabili, preferisco tacere.

A.A. Gideon.

P.S. Trattengo la Sua lettera.


Dr. Alexander A. Gideon
London School of Economics
Londra, Inghilterra.
Gerusalemme, 27.2.1976.

Caro Alec,
Come certo saprai, la settimana scorsa abbiamo firmato le carte che il tuo avvocato ci ha presentato e abbiamo ricevuto la somma. Ma Boaz ha lasciato la scuola agricola e già da qualche giorno lavora ai mercati generali di Tel Aviv, presso un grossista di verdure sposato a una cugina di Michel. É stato Michel a procurargli questo lavoro, su esplicita richiesta di Boaz.
É andata così: quando la direttrice ha comunicato a Boaz che non era espulso dall'istituto ma soltanto ammonito, Boaz ha preso il suo zaino ed è sparito. Michel ha telefonato alla polizia (ha dei parenti lì) che appurata la situazione ci ha comunicato che il ragazzo era presso di loro, in stato di fermo ad Abu Kabir per ricettazione. Un amico del fratello di Michel, uno che ha un posto importante nella polizia di Tel Aviv, è andato a mettere una parola buona per lui con l'ufficiale giudiziario. Dopo qualche complicazione siamo riusciti a tirarlo fuori su cauzione.
Per pagarla abbiamo speso un po' del tuo denaro. So che non era per questo che intendevi darcelo, ma di altro non disponevamo: dopo tutto Michel è soltanto un insegnante di francese, precario, in una scuola pubblica religiosa, e tolte le trattenute e l'ipoteca abbiamo a malapena di che mangiare, con il suo stipendio. Senza contare la bambina piccola (Madeleine Yifat. Due anni e mezzo).
Voglio che tu sappia che Boaz non ha idea della provenienza del denaro usato per pagargli la cauzione.
Se glielo avessimo detto, credo che avrebbe sputato sopra quei soldi, sopra l'ufficiale e Michel insieme.
Anche così, all'inizio non voleva a nessun costo essere rilasciato e pretendeva di "essere lasciato in pace".
Michel è andato ad Abu Kabir senza di me. L'amico di suo fratello (quel pezzo grosso della polizia) aveva fatto in modo di lasciare lui e Boaz da soli nell'ufficio della stazione di polizia, affinché potessero parlarsi in privato. Michel gli ha detto, guarda, può darsi il caso che tu non ti ricordi più chi sono, sono Michel Sommo e mi risulta che alle mie spalle mi chiami il pappone di tua mamma. Puoi anche dirmelo in faccia se ti serve per calmarti un po'. E io per parte mia potrei dirti di rimando che sei bacato in testa. E così ci insulteremmo a vicenda fino a sera, ma tu non vinceresti perché io posso imprecare contro di te in francese e arabo mentre tu sai a malapena l'ebraico. Dunque, una volta esaurite le maledizioni, che faresti? Allora forse ti conviene prendere fiato, calmarti, e cominciare a elencarmi che cosa esattamente vuoi dalla vita, non credi? Poi io ti spiegherò che cosa io e tua madre possiamo darti. E vedremo: magari, che dici, ci mettiamo d'accordo?
Boaz ha detto che lui dalla vita non vuole un bel niente, ma la cosa che vuole certamente di meno è che la gente gli chieda che cosa vuole dalla vita.
A questo punto Michel, con cui il mondo non è mai stato troppo gentile, ha fatto una cosa giusta: si è alzato e se ne è andato, dicendo a Boaz, be' se le cose stanno così allora stammi bene, caro per quanto mi riguarda possono anche rinchiuderti in un istituto per dementi o subnormali, con te ho chiuso. Me ne vado.
Boaz ha ancora tentato una blanda resistenza, ha detto a Michel, e dov'è il problema, faccio fuori qualcuno e scappo. Ma Michel si è soltanto voltato dalla porta e gli ha detto con calma: guarda, bello mio, io non sono tua mamma né tuo papà, non sono niente per te, allora non è il caso che fai la scena con me, a me di te non frega nulla. Ti do sessanta secondi per decidere se vuoi uscire di qui su cauzione, sì o no. Per quanto mi riguarda, uccidi chi ti pare, solo se puoi cerca di non sbagliare il colpo. Saluti e baci.
Quando Boaz gli ha detto, aspetta un attimo, Michel ha capito subito che il ragazzo aveva abbozzato per primo: quel gioco lì Michel lo conosce meglio di tutti noi perché il suo destino è stato quello di vedere la vita per lo più da sotto, e la sofferenza l'ha fatto diventare una persona-diamante, per così dire: duro e fascinoso (sì, anche a letto, se t'interessa saperlo). Boaz gli ha detto: se davvero non te ne frega niente di me, allora perché sei venuto da Gerusalemme a tirarmi fuori su cauzione? Michel dalla porta è scoppiato a ridere: d'accordo, due punti a tuo favore, la verità è che in fin dei conti sono venuto a vedere da vicino quel genio che tua madre è riuscita a sfornare, e chissà che anche la bambina che ha avuto da me abbia qualche potenziale. Allora, vieni o non vieni?
E così è andata che Michel l'ha tirato fuori di prigione con i tuoi soldi e poi l'ha invitato a un ristorante cinese "kasher" aperto da poco a Tel Aviv, i due sono anche andati al cinema (e chi stava seduto dietro di loro avrà pensato che Boaz era il padre e Michel suo figlio). La sera tardi Michel è tornato a Gerusalemme e mi ha raccontato tutto, mentre Boaz era già stato sistemato dal grossista di verdure del mercato generale in via Carlebach, quello sposato a una cugina di Michel. Perché ecco cosa Boaz gli ha detto che voleva fare: lavorare e guadagnare e non dipendere da nessuno. Michel allora gli ha risposto su due piedi, senza consultarsi con me, "la cosa mi piace, vedrai che già stasera ti sistemo qui a Tel Aviv". E così ha fatto.
Boaz dorme adesso al Planetarium di Ramat Aviv: uno dei responsabili lì è sposato a una ragazza che ha studiato con Michel a Parigi negli anni cinquanta. E a Boaz il Planetario piace proprio. No, non per le stelle ma per i telescopi e le lenti.
Ti scrivo questa lettera con tutti i dettagli su Boaz con il consenso di Michel, lui dice che dal momento che hai dato il denaro è nostro dovere metterti al corrente di come l'abbiamo usato. E io penso che leggerai questa lettera tre volte di fila. Penso che il legame che Michel è riuscito a stabilire con Boaz ti farà l'effetto di un pugno fra le costole. Penso che anche la mia prima lettera tu l'abbia letta almeno tre volte. E mi piace pensare alla rabbia che ti ho provocato, con queste due lettere. La rabbia ti rende più virile e attraente ma anche puerile e quasi toccante: cominci con lo sprecare un'immensa forza fisica contro oggetti fragili come penne, pipe, occhiali. Non per mandarli in pezzi bensì per trattenerti e spostare questi oggetti tre centimetri a destra o due a sinistra, tutto qui. Questo spreco di energia lo ricordo con languore e mi piace immaginare che avvenga adesso mentre leggi la mia lettera, lì nel tuo studio in bianco e nero, tra il fuoco nel camino e la neve. Se poi esiste una donna che attualmente viene a letto con te, confesso che in questo istante la invidio. Invidio persino quel che stai facendo alla pipa, alla penna, agli occhiali, ai miei fogli con le tue dita forti.
Torno a Boaz. Ti scrivo perché ho promesso a Michel che l'avrei fatto. Quando riavremo indietro la somma della cauzione, essa andrà per intero in un libretto di risparmio a nome di tuo figlio. Se deciderà di proseguire gli studi, lo finanzieremo con questo denaro. Se vorrà affittarsi una stanza a Tel Aviv o qui a Gerusalemme, malgrado la sua giovane età, useremo il tuo denaro. Per noi non prenderemo niente.
Se sei d'accordo su quanto ho detto, puoi anche non rispondermi. Altrimenti fammi sapere per tempo, prima che si sia usato il denaro, e così lo restituiremo al tuo avvocato, vedremo di cavarcela anche senza (benché la nostra situazione finanziaria sia pessima).
Ora mi resta soltanto una richiesta.
Quella di distruggere questa mia lettera e anche la precedente, oppure - se hai deciso di usarle - di farlo subito, immediatamente, senza indugio. Ogni giorno che passa e ogni notte che passa è una collina o una valle che la morte si conquista. Il tempo passa, Alec, entrambi stiamo sbiadendo.
Ancora una cosa: tu mi hai scritto che le menzogne e contraddizioni contenute nella mia lettera ti ispirano un silenzio sprezzante. Il tuo silenzio, Alec, e anche il tuo disprezzo, mi incutono terrore: davvero in tutti questi anni, in tutti i posti che hai visto, non hai trovato un'anima sola che ti regali - foss'anche una volta ogni mille anni - un seme di dolcezza? Mi dispiace per te, Alec. É tremenda davvero la nostra storia: io sono quella che ha sbagliato e tu e tuo figlio ne scontate tutta la crudele colpa. Se vuoi, cancella pure "tuo figlio" e metti "Boaz". Se vuoi, cancella tutto. Per parte mia fai pure tutto quello che può alleviare i tuoi tormenti.
Ilana.