SONETTO XLIII
William Shakespeare
Traduzione di Chiara Lombardi.
"Quando più li chiudo, allora meglio i miei occhi vedono,
ché tutto il giorno cose indegne di vista scorgono;
ma quando dormo, nei sogni ti guardano,
e, luminosamente bui, il buio illudendo lo illuminano.
Allora tu, la cui ombra le ombre di luce accende
quale felice visione formerebbe la forma della tua ombra
al chiaro giorno con la tua molto più chiara luce,
quando a occhi ciechi così tanto la tua ombra risplende?
Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi,
quando nella morta notte incompleta la tua bella ombra
il sonno pesante penetra e su occhi ciechi si posa!
Tutti i giorni sono notti a vedersi finché non vedo te,
tutte le notti giorni radiosi quando i sogni ti mostrano a me."
Sonnet XLIII
"When most I wink, then do mine eyes best see,
For all the day they view things unrespected;
But when I sleep, in dreams they look on thee,
And darkly bright are bright in dark directed.
Then thou, whose shadow shadows doth make bright,
How would thy shadow’s form form happy show
To the clear day with thy much clearer light,
When to unseeing eyes thy shade shines so!
How would, I say, mine eyes be blessed made
By looking on thee in the living day,
When in dead night thy fair imperfect shade
Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!
All days are nights to see till I see thee,
And nights bright days when dreams do show thee me."
Nel Sonetto 43, Shakespeare si tormenta sull’assenza della persona amata, giocando sulle similitudini fra gli opposti.
Questo è un sonetto di antitesi, vedere e non vedere, giorno e notte, ombra e forma, buio e luminoso, morto e vivo.
È anche un poema di assenza, e si collega tematicamente ai successivi sette sonetti (43-52, escluso 49).
Assenza e presenza come quando vorresti che ci fosse lì con te e dentro di te una persona lontana.
Tutte parole di una intimità sconvolgente.
Il sonetto elabora una particolare concezione dell'eros/teoria dell'amore. Abbiamo il tema delle cecità metaforica, intesa come rimozione della vista reale, che viene sostituita da una forma di 'veggenza" d'amore, dalla visione della mente. Questa visione si manifesta nel sogno e nell'immaginazione, oppure nella memoria. Questo perché il ricordo del fair youth può aprire gli occhi della mente fino ad immaginare.
Nel verso "Quando più li chiudo, allora meglio i miei occhi vedono" troviamo un'intuizione fondamentale della poetica di Shakespeare. Da questa frase paradossale, infatti, si costruisce tutta la composizione in cui la visione prevalente è quella della mente. In questo caso, dunque, l'immaginazione prevale sulla percezione della realtà, che è considerata indegna. Quindi al chiarore del giorno si oppone la luce emanata dall'ombra dell'amato, che si figura nella mente durante il sonno/il ricordo o il sogno Nella seconda strofa, si pone l'ipotesi di un incontro tra la propria immaginazione e la realtà, uno spettacolo felice "happy show", che si rivelerà impossibile
La musicalità del sonetto è evidente da un'analisi a livello fonico: ad esempio nel ritmo cadenzato dei pentametri giambici, che sono collocati in versi a rime alternate (ABAB nelle tre quartine) e con la conclusione in rima baciata del distico finale.