venerdì 30 agosto 2024

AMERICAN TABLOID James Ellroy


AMERICAN TABLOID
James Ellroy

Recensione 
Tra fantasia e realta' meglio di tante "ricostruzioni storiche".... American Tabloid è il racconto dell'America degli anni sessanta. Quadro storico per capire il cosidetto Camelot...I Kennedy  tra crimine e giustizia, ideali e interessi privati, e sesso, in un viaggio allucinante che termina  nell' ultimo capitolo con assassinio di John Kennedy. La vicenda viene raccontata dall'interno, in modo spietato, senza compromessi. 
Nel romanzo ci sono il futuro presidente e suo fratello Robert, mafia, F.B.I., C.I.A., Castro, la baia dei porci, Howard Hughes, Frank Sinatra, Jimmy Hoffa, il Ku Klux Clan ... 
Non ci sono personaggi 'positivi', a cominciare da John Fidzgerald Kennedy: un donnaiolo (uno scopatore da sei minuti), uno stupido e un incapace; il naturale prodotto di una famiglia corrotta; il direttore generale dell'F.B.I. J.Edgar Hoover, un pornografo; il miliardario, imprenditore e produttore cinematografico Howard Hughes razzista, ipocondriaco e guardone; il sindacalista Jimmy Hoffa colluso con la mafia; Frank Sinatra ... Nessuno si salva, tra gli uomini! Forse solo Robert Kennedy, mentre le poche donne sono integre nel proprio alone di innocenza e di amore, anche quando sono sulla 'cattiva strada'. Gli unici che mantengono coerenza (seppur nel male) e una sorta di etica, sono i mafiosi. La scrittura di Ellroy, così come il suo punto di vista totalmente distruttivo e violento, può piacere oppure no. Non ci sono mezzi termini, non c'è un nì. I 'mezzi termini' non li usa nemmeno l'autore: tutto è violenza, tutto è degradazione, tutto è corruzione, in un girone infernale concentrico, senza uscita.


Presentazione
 
L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio.

La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito. L’agiografia santifica politici contaballe e reinventa le loro gesta Opportunistiche come momenti di grande spessore morale. La nostra narrazione ininterrotta è confusa al di là di ogni verità o giudizio retrospettivo. Soltanto una verosimiglianza senza scrupoli è in grado di rimettere tutto in prospettiva.

La vera Trinità di Camelot era Piacere, Spaccare il culo e Scopare. Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe. Era Bill Clinton senza l’onnipresente scrutinio dei media e qualche rotolo di grasso.

Jack venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità. Le menzogne continuano a vorticare attorno alla sua fiamma eterna. È giunto il momento di rimuovere la sua urna e illuminare le azioni di alcuni uomini che spalleggiarono la sua ascesa e facilitarono la sua caduta.

Erano sbirri corrotti e artisti del ricatto. Erano intercettatori, soldati di fortuna e cabarettisti froci. Se un solo istante delle loro esistenze avesse imboccato un percorso diverso, la Storia americana come noi la conosciamo non sarebbe esistita.

È tempo di demitizzare un’era e costruire un nuovo mito, dalle stalle alle stelle. È tempo di abbracciare la storia di alcuni uomini malvagi e del prezzo da loro pagato per definire in segreto il loro tempo.

Dedicato a loro.
 

AMERICAN TABLOID

Parte Prima
RICATTI
Novembre-Dicembre 1958
1

PETE BONDURANT


(Beverly Hills, 22.11.58)

Si faceva sempre alla luce del televisore.
Alcuni latinoamericani agitavano armi da fuoco. Il capo del gruppo si piluccava insetti dalla barba e fomentava i suoi. Immagini in bianco e nero: tecnici della Cbs in divisa mimetica.
Cuba, brutta storia, disse un annunciatore. I ribelli di Fidel Castro contro l’esercito regolare di Fulgencio Batista.
Howard Hughes trovò la vena e si iniettò la codeina. Pete lo osservò di soppiatto: Hughes aveva lasciato la porta della camera socchiusa.

La droga giunse a destinazione. Il volto di Big Howard si fece vacuo.

Dall’esterno giunse lo sferragliare dei carrelli del servizio in camera. Hughes si tolse la siringa dal braccio e prese a scanalare. Howdy Doody rimpiazzò il telegiornale: perfetto per il Beverly Hills Hotel.

Pete uscì sulla veranda: vista sulla piscina, punto ottimale per la ricognizione. Pessimo tempo, oggi: nessuna stellina in bikini. Controllò l’ora, teso.

A mezzogiorno doveva procurare un divorzio: il marito si scolava i suoi pranzi da solo e adorava la passera in erba. Procurarsi flash di qualità: le fotografie sfocate facevano credere che a scopare fossero due ragni. Per conto di Hughes: scoprire chi si occupa di consegnare i mandati di comparizione per l’indagine dell’antitrust sulla Twa e convincerli a suon di dollari a riferire che Big Howard è partito per Marte.

Howard il Furbacchione l’aveva messa così: — Non voglio combattere questa causa, Pete. Me ne starò segregato a tempo indefinito e farò salire i prezzi finché non dovrò vendere. Sono stufo della Twa, ma non la venderò finché non potrò tirarci fuori almeno 500 milioni di dollari.

L’aveva spiegato con il broncio: Lord Fauntleroy, tossico decrepito.

Ava Gardner passò accanto alla piscina. Pete la salutò con un cenno; Ava lo mandò affanculo con il dito medio. Avevano dei precedenti: lui le aveva procurato un aborto in cambio di un fine settimana con Hughes. Pete l’Uomo del Rinascimento: magnaccia, procacciatore di droga, gorilla e investigatore privato con licenza.

Con Hughes aveva moooolti precedenti.

Giugno ‘52. Pete Bondurant, vicesceriffo della contea di Los Angeles, comandante della guardia notturna alla stazione di San Dimas. Quella notte di merda: un violentatore negro uccel di bosco, la cella comune piena di ubriaconi ululanti.

Un barbone l’aveva provocato. — Ti conosco, cattivone. Sei uno che uccide donne innocenti e il proprio… L’aveva preso a pugni fino a ucciderlo.

Lo sceriffo aveva messo tutto a tacere. Ma un testimone oculare aveva cantato con i federali. L’agente responsabile di Los Angeles aveva definito il barbone “Joe vittima dei diritti civili”.

Avevano sguinzagliato due agenti alle sue calcagna: Kemper Boyd e Ward J. Littel. Howard Hughes aveva visto la fotografia di Pete sul giornale e aveva capito che si trattava di un duro.

Era riuscito a insabbiare il tutto e gli aveva offerto un lavoro: faccendiere, magnaccia, contatto per la droga.

Poi Howard aveva sposato Jean Peters e l’aveva sistemata in una villa tutta sua. Aveva aggiunto “cane da guardia” alle mansioni di Pete, e la cuccia gratuita più spaziosa del mondo: la villa accanto.

Howard Hughes sul matrimonio: — La trovo una deliziosa istituzione, Pete, ma penso anche che la coabitazione sia stressante.

Spiegalo ogni tanto a Jean, ti spiace? E se soffre di solitudine, dille che la penso, anche se sono molto occupato.

Pete si accese una sigaretta. Un banco di nubi coprì il sole. I bagnanti attorno alla piscina rabbrividirono. Il citofono gracchiò: Hughes lo chiamava.

Entrò nella stanza. La televisione trasmetteva Captain Kangaroo, il volume al minimo.

Illuminazione soffusa, bianco e nero, e Big Howard a fuoco nell’ombra.

— Signore?

— Quando siamo soli sono “Howard”, lo sai.

— Oggi mi sento servile.

— Significa che sta andando a gonfie vele con la tua amante, la signorina Gail Hendee. Dimmi, cosa ne pensa della casa?

— Le piace. I rapporti stabili la innervosiscono tanto quanto te, ma ventiquattro locali per due persone rendono tutto più facile.

— Mi piacciono le donne indipendenti.

— Non è vero.

Hughes rassettò i cuscini. — Hai ragione. Ma mi piace l’idea della donna indipendente, che ho sempre cercato di sfruttare nei miei film. E sono sicuro che la signorina Hendee sia una magnifica complice nelle estorsioni e una splendida amante.

Ora, Pete, per quanto riguarda la faccenda della Twa… Pete accostò una sedia al letto. — Non ti troveranno. Ho corrotto ogni singolo impiegato di questo albergo, e ho piazzato un attore in una villetta due schiere più in là. Ti assomiglia e si veste come te, e ho organizzato un viavai continuo di ragazze squillo per perpetuare il mito che scopi ancora. Controllo ogni uomo o donna che faccia richiesta di impiego all’hotel per sincerarmi che il Dipartimento di Giustizia non ci infiltri una spia.

Tutti i responsabili dei turni giocano in borsa, e per ogni mese che tu riesci a evitare un mandato di comparizione il sottoscritto elargisce a ciascuno venti azioni della Hughes Tool Company.

Finché rimarrai chiuso in questa villetta, non sarai rintracciato e non dovrai presentarti in tribunale.

Hughes prese a pizzicarsi la vestaglia: una serie di piccoli gesti tremanti. — Sei un uomo molto crudele.

— No, sono il tuo uomo molto crudele, ed è per questo che mi permetti di risponderti per le rime.

— Sei il “mio uomo”, ma insisti a non abbandonare la tua pacchiana attività di investigatore privato.

— Perché mi assilli. E perché nemmeno io sono portato alla coabitazione.

— Nonostante quello che ti do?

— No, proprio per quello che mi dai.

— Per esempio?

— Per esempio, ho una villa a Holmby Hills, ma è intestata a te. Guido una Pontiac coupe del ‘58, ma il foglio rosa e a tuo nome. Ho… — Così non arriveremo a niente.

— Howard, tu vuoi qualcosa. Dimmi di che si tratta e lo farò.

Hughes premette un pulsante sul suo telecomando. Captain Kangaroo scomparve dallo schermo. — Ho acquistato Hush-Hush. Le mie ragioni per mettere le mani su un simile, triviale fogliaccio scandalistico sono duplici. Primo, sono in contatto con J. Edgar Hoover, e voglio consolidare il nostro rapporto di amicizia. Entrambi andiamo pazzi per il genere di pettegolezzo hollywoodiano che fornisce Hush-Hush, dunque controllare la rivista dovrebbe rivelarsi sia divertente che utile. Secondo, c’è il lato strettamente politico. Per dirla fuori dai denti, voglio essere in grado di compromettere chiunque non mi vada a genio, specialmente dissoluti dongiovanni come il senatore John Kennedy, che nel 1960 potrebbe decidere di candidarsi alla presidenza contro il mio buon amico Dick Nixon. Come senza dubbio saprai, il padre di Kennedy e io eravamo rivali in affari negli anni Venti, e francamente detesto l’intera famiglia.

— E? — chiese Pete.

— E so che tu hai lavorato per Hush-Hush alla sezione “Verifica storie“, e quindi so che capisci quel particolare aspetto del settore. Si avvicina molto all’estorsione, per la quale sei molto portato.

Pete fece schioccare le nocche. — “Verifica storie” significa “Non fare causa alla rivista se non vuoi finire male”. Se vuoi che ti aiuti in questo modo, non c’è problema.

— Bene. E un buon inizio.

— Falla finita, Howard. Li conosco tutti bene; dimmi chi va e chi resta.

Hughes trasalì in modo impercettibile. — La receptionist era una negra con la forfora, perciò l’ho licenziata. Il corrispondente nonché “scavafango” se n’è andato, e voglio che tu me ne procuri uno al più presto. Terrò Sol Maltzman. Sono anni che scrive ogni singolo articolo sotto pseudonimo, dunque tenderei a continuare così, sebbene sia un comunista sulla lista nera, faccia parte di ben ventinove organizzazioni di estrema sinistra e… — E non hai bisogno d’altro. Sol sa fare il suo lavoro, e alla peggio Gail può tappare i buchi: ha passato un paio d’anni a collaborare con Hush-Hush. Hai il tuo avvocato, Dick Steisel, per le questioni legali, e io ti posso procurare Fred Turentine per le cimici e le intercettazioni telefoniche. Ti scoverò un buon scavafango. Inizierò subito a chiedere in giro, ma potrebbe volerci del tempo.

— Mi fido di te. Farai al solito un superbo lavoro.

Pete fece schioccare le nocche. Le articolazioni gli dolevano, segno che stava per piovere. — È proprio necessario? — chiese Hughes.

— Sono state queste mani a farci incontrare, capo. Volevo solo ricordarti che ci sono ancora.

 

Il salotto di casa era 24 metri per 25.

Le pareti dell’atrio erano di marmo screziato d’oro.

Nove camere da letto. Congelatori da macelleria profondi più di 9 metri. Hughes faceva pulire i tappeti ogni mese: una volta vi aveva visto uno scarafaggio.

Le telecamere di sorveglianza erano sistemate sul tetto e sui pianerottoli superiori, puntate sulla stanza da letto della signora Hughes, nella villa accanto.

Pete trovò Gail in cucina. Aveva splendide curve e lunghi capelli castani: la sua bellezza lo colpiva ancora.

— Di solito si sente quando qualcuno entra in casa — gli disse.

— Ma la nostra porta d’ingresso è a un chilometro di distanza.

— Siamo qui da un anno, e non hai ancora rinunciato alle battute.

— Sto vivendo nel Taj Mahal. Devo ancora abituarmi.

Pete si mise a cavalcioni su una sedia. — Ti vedo nervosa.

Gail si scostò. — Per essere una specialista in estorsioni, sono un tipo nervoso. Come si chiama la vittima di oggi?

— Walter P. Kinnard. Ha quarantasette anni, e fa le corna alla moglie fin dalla luna di miele. Vuole molto bene ai figli, e la moglie sostiene che cederà se lo affronterò con le fotografie in mano e la minaccia di mostrarle ai ragazzi. È un alcolizzato e si ubriaca ogni giorno a pranzo.

Gail si fece il segno della croce: un po’ per scherzo, un po’ sul serio. — Dove?

— Lo incontrerai al Dale’s Secret Harbor. Ha uno scannatoio a qualche isolato di distanza dove va a scopare con la segretaria, ma tu devi insistere sull’Ambassador. Sei in città per un congresso, e hai una camera di lusso completa di frigobar.

Gail rabbrividì. Tremori di primo mattino: segno sicuro che non era a suo agio.

Pete le allungò una chiave. — Ho affittato la stanza accanto.

Potrai chiudere a chiave e fare tutta la scena. Ho scassinato la serratura della porta comunicante, non credo che farà rumore.

Gail si accese una sigaretta. Mani ferme: bene. — Cerca di distrarmi. Raccontami cosa voleva Howard il Recluso.

— Ha acquistato Hush-Hush. Vuole che gli procuri un inviato, in modo che possa cazzeggiare con i pettegolezzi hollywoodiani e goderseli insieme al suo amichetto J. Edgar Hoover.

Vuole infangare i suoi nemici politici, come la tua vecchia fiamma, Jack Kennedy.

Gail si aprì in un sorriso pieno di calore. — Qualche fine settimana passato insieme non lo rende una mia fiamma.

— Quel suo sorriso del cazzo gli sarà pure servito a qualcosa.

— Una volta mi portò in aereo ad Acapulco. È un gesto da Howard il Recluso, per questo ti ingelosisce.

— Ti convocò durante la sua luna di miele.

— E allora? Si era sposato per ragioni politiche, e la politica crea strani compagni di letto. E mio Dio, Pete, sei un tale guardone.

Pete sfoderò la sua arma e controllò il caricatore, così in fretta che non capì il perché. — Non pensi che le nostre vite siano strane? — chiese Gail.

 

Presero ciascuno la propria auto e raggiunsero il centro. Gail si sedette al banco, Pete occupò un separé a pochi passi di distanza e prese a sorseggiare un whisky e soda.

Il ristorante era affollato: Dale’s faceva affari all’ora di pranzo.

Pete aveva ottenuto un posto privilegiato: una volta aveva sventato un ricatto ai danni di quel frocio del proprietario.

Molte donne in libera uscita: più che altro impiegatucce della zona di Wilshire. Gail risaltava: beaucoup di più, je ne sais quoi. Pete trangugiava noccioline: si era dimenticato di fare colazione.

Kinnard era in ritardo, Pete perlustrò il locale come se fosse dotato di sguardo a raggi x.

Jack Whalen, l’esattore di scommesse numero 1 di tutta Los Angeles, era accanto ai telefoni a gettone. A due separé di distanza, un paio di pezzi grossi del dipartimento di polizia. Bisbigliano, cazzo: — Bondurant… — Certo, la Cressmeyer.

Al banco, il fantasma di Ruth Mildred Cressmeyer: triste, ormai decrepita, in preda ai tremori.

Pete si abbandonò ai ricordi.

Fine del ‘49. Aveva avviato alcune buone attività collaterali: guardia per le partite a carte e procuratore di aborti. Il medico addetto ai raschiamenti era suo fratello Frank.

Pete si era arruolato nei marines per ottenere la carta verde.

Frank era rimasto con la famiglia nel Quebec e si era laureato in Medicina.

Si era dato alla vita molto presto. Pete l’aveva seguito più tardi.

Non parlare francese, ma solo inglese. Elimina l’accento e vai in America.

Frank era giunto a Los Angeles con una gran voglia di denaro.

Aveva superato gli esami medici e aveva aperto il suo studio: aborti e spaccio di morfina.

Frank adorava le ballerine di fila e le carte. Frank adorava i malviventi. Frank adorava le partite a poker del giovedì sera con Mickey Cohen.

Frank aveva fatto amicizia con un rapinatore, Huey Cressmeyer.

La madre di Huey dirigeva una clinica per aborti nel ghetto nero. Huey aveva messo incinta la sua ragazza e aveva chiesto aiuto a mammina e a Frank. Huey aveva avuto un’idea stupida e aveva rapinato i pokeristi del giovedì. Quella sera Pete era a casa con l’influenza.

Mickey gli aveva dato l’incarico di vendicarsi.

Pete aveva avuto una soffiata: Huey era nascosto in una villetta a El Segundo. La casa apparteneva a un sicario di Jack Dragna.

Mickey odiava Jack Dragna. Mickey aveva raddoppiato il prezzo e gli aveva ordinato di uccidere tutti i presenti.

14 dicembre 1949: nuvoloso, freddo.

Pete aveva dato fuoco alla villetta con un cocktail Molotov.

Quattro sagome si erano precipitate fuori dalla porta di servizio, cercando di soffocare le fiamme. Pete le aveva falciate e le aveva lasciate lì a bruciare.

I giornali le avevano identificate: Hubert John Cressmeyer, ventiquattro anni.

Ruth Mildred Cressmeyer, cinquantasei anni.

Linda Jane Camrose, venti anni, incinta di quattro mesi.

François Bondurant, ventisette anni, medico, immigrato francocanadese.

 

Gli omicidi erano rimasti ufficialmente insoluti, ma la verità era trapelata nel giro.

Qualcuno aveva chiamato suo padre nel Quebec e gli aveva detto tutto. Il vecchio gli aveva telefonato pregandolo di negare.

Probabilmente si era tradito, o aveva fatto trapelare il proprio senso di colpa. Quello stesso giorno il padre e la madre si erano suicidati aspirando monossido di carbonio.

Cazzo, la donna al banco sembrava la gemella di Ruth Mildred.

I minuti si trascinavano lenti. Pete le fece servire un bicchierino offerto dalla casa. Walter P. Kinnard fece il suo ingresso e si sedette accanto a Gail.

La recita ebbe inizio.

Gail rivolse un cenno al barista. Walter l’Attento se ne accorse e fece un fischio. Joe Barista si precipitò con lo shaker colmo di martini: Walter l’Habitué aveva voce in capitolo.

Gail l’Innocente perlustrò la borsetta alla ricerca di fiammiferi.

Walt il Galantuomo porse l’accendino e sorrise. Walt il Fascinoso aveva le spalle della giacca coperte di forfora.

Gail sorrise. Walt il Fascinoso sorrise. Walt l’Elegantone portava calze bianche con un gessato a tre pezzi.

I piccioncini si dedicarono ai loro martini e alle chiacchiere.

Pete seguì il riscaldamento prescopata. Gail trangugiava il suo drink per farsi coraggio: la sua tensione era evidente.

Sfiorò il braccio di Walt. Il suo senso di colpa era palese: tranne che per il denaro, detestava l’idea.

Pete raggiunse a piedi l’Ambassador e salì in camera. Tutto era studiato alla perfezione: la sua stanza, quella di Gail, la porta comunicante per un ingresso rapido e inosservato.

Preparò la macchina fotografica e vi sistemò un caricatore di flash. Oliò le cerniere della porta. Studiò le inquadrature per i primi piani.

Passarono dieci lentissimi minuti. Pete si mise all’ascolto dei rumori provenienti dalla stanza accanto. Ecco il segnale di Gail: — Dannazione, ma dov’è finita la mia chiave? — A voce un po’ troppo alta.

Pete si appiattì contro la parete divisoria. Udì Walt il Solitario lanciarsi nel suo repertorio di lamentele: mia moglie e i miei figli non si rendono conto che un uomo ha certe esigenze. — Ma perché ne hai fatti sette, allora? — chiese Gail. Perché mia moglie rimanga a casa, rispose Walt. Dove una donna è giusto che stia.

Le voci sfumarono, dirette verso il letto. Rumori di scarpe gettate a terra. Gail lanciò una delle sue contro il muro: il segnale, tre minuti all’invasione.

Pete scoppiò a ridere: camere da 30 dollari a notte con muri sottili come wafer.

Impigliarsi di cerniere. Cigolare di molle. Battere di secondi.

Walter P. Kinnard iniziò a gemere. Pete cronometrò: Gail aveva iniziato a cavalcarlo alle 14,44.

Attese fino alle 15 precise. Aprì leeentamente la porta: l’olio aveva eliminato ogni piccolo cigolio.

Sul letto, Gail e Walter P. Kinnard che scopavano.

Posizione del missionario, le teste vicine: prova sufficiente per una causa di adulterio. Walt impazziva di piacere. Gail fingeva l’estasi mentre si dedicava alla pellicina di un’unghia.

Pete si portò in posizione da primo piano e scattò.

Uno, due, tre: colpi di flash con la velocità di un mitragliatore.

L’intera stramaledetta stanza venne invasa da una luce accecante.

Kinnard strillò ed estrasse il membro molliccio come uno straccio. Gail si lanciò giù dal letto e corse in bagno.

Walter il Fascinoso nudo come un verme: un metro e settantacinque, novantacinque chili, grassoccio.

Pete lasciò cadere la macchina fotografica e l’afferrò per il collo. Pete snocciolò il discorsetto in tono lento e controllato.

— Tua moglie vuole il divorzio. Chiede 800 al mese, la casa, la Buick del ‘56 e il dentista pagato per tuo figlio Timmy. Le darai tutto quello che chiede, se non vuoi che ti ammazzi.

Kinnard sputava bolle di saliva. Pete ne ammirò il colore: per metà bluastro dallo shock, per metà paonazzo al limite dell’attacco cardiaco.

Una nuvola di vapore giunse da dietro la porta del bagno: la classica doccia postscopata di Gail era una faccenda veloce.

Pete lasciò la presa su Walt. Il sollevamento gli faceva vibrare i muscoli delle braccia: quasi cento chili, niente male.

Kinnard raccolse i suoi vestiti e barcollò fuori dalla stanza.

Pete lo vide inciampare in corridoio mentre cercava di indossare i pantaloni.

Gail comparve da dietro una nuvola di vapore. — Non ne posso più — disse, e non fu una sorpresa.

 

Walter P. Kinnard accettò le richieste senza ricorrere in appello.

Il punteggio di Pete balzò a Mariti 23 Mogli 0. La signora Kinnard lo pagò: cinquemila cocuzze subito, più il 25 per cento su ogni mese di alimenti.

Prossimo incarico: tre giorni a disposizione di Howard Hughes.

Howard il Grande era spaventato dal caso Twa. Pete incrementò i suoi diversivi.

Pagò prostitute perché chiacchierassero con i quotidiani: Hughes era nascosto in un gran numero di scannatoi. Prese a bombardare gli addetti del tribunale con soffiate telefoniche: Hughes era a Bangkok, a Maracaibo, a Seul. Piazzò un secondo sosia al Biltmore: un veterano del cinema porno, beaucoup dotato.

Il nonnetto si rivelò priapico per davvero: dovette mandare Barbara Payton a fargli un servizietto. Barb, rincoglionita dall’alcol, credette di avere a che fare con il vero Hughes. Ne parlò a destra e a manca: Howard il Piccolo era cresciuto di quindici centimetri.

J. Edgar Hoover avrebbe potuto tranquillamente bloccare il processo. Ma Hughes si rifiutava di chiedergli aiuto.

— Non ancora, Pete. Devo prima rendere solido il nostro rapporto. La chiave è l’acquisizione di Hush-Hush, ma prima ho bisogno che tu mi trovi un nuovo scopritore di scandali. Sai quanto Hoover adori raccogliere informazioni eccitanti… Pete sparse la voce: Cercasi nuovo scavafango per Hush-Hush. Miserabili interessati contattare Pete B.

Pete non si staccò dal telefono di casa. Chiamò una schiera di depravati. Dammi un bocconcino caldo caldo per provare la tua credibilità, chiedeva Pete.

E i depravati lo accontentavano. Un gran bel repertorio: Pat Nixon aveva appena sfornato il figlio di Nat “King” Cole. Lawrence Welk gestiva un giro di marchettari. Una coppia bollente: Patti Page e Francis il Mulo Parlante.

Eisenhower aveva sangue di negro nelle vene. Rin Tin Tin aveva messo incinta Lassie. Gesù Cristo gestiva un bordello di negre a Watts.

E ce n’era di peggio. Pete aveva segnato diciannove pretendenti, tutti sciroppati.

Il telefono prese a squillare: si profilava lo sciroppato numero 20. La linea era disturbata: probabilmente un’interurbana.

— Chi parla?

— Pete? Sono Jimmy.

HOFFA.

— JIMMY, come stai?

— Al momento ho freddo. A Chicago si gela. Ti sto chiamando da casa di un amico, e il riscaldamento fa le bizze. Sicuro che il tuo telefono non sia sotto controllo?

— Certo. Fred Turentine passa al setaccio tutti gli apparecchi di Hughes una volta al mese.

— Allora si può parlare?

— Si può parlare, sì.

Hoffa si lasciò andare. Reggendo il ricevitore a mezzo metro dall’orecchio, Pete lo sentiva benissimo.

— La Commissione McClellan mi sta girando attorno come una mosca su uno stronzo. Quel piccolo furbastro succhiacazzi di Bobby Kennedy ha convinto metà del paese che i Teamster siano peggio degli stramaledetti rossi; mi sta perseguitando con mandati di comparizione e ci ha sguinzagliato dietro i suoi investigatori come… — Jimmy… —… pulci su un cane. Prima si è dedicato a Dave Beck, e adesso se la prende con me. Bobby Kennedy è una valanga di merda. Sto costruendo questo villaggio in Florida chiamato Sun Valley, e Bobby sta cercando di rintracciare i tre milioni di dollari con cui l’ho finanziato. Crede che li abbia prelevati dal Fondo pensioni degli Stati centrali… — Jimmy… —… ed è convinto di potermi usare per far eleggere presidente quel figaiolo del fratello. Crede che James Riddle Hoffa sia un ostacolo politico del cazzo. Pensa che sarò pronto a chinarmi e a prenderlo nel didietro come uno stramaledetto frocio.

Crede… — Jimmy… —… che il sottoscritto sia una fighetta come lui e suo fratello.

È convinto che cederò come Dave Beck. E come se tutto questo non bastasse, ho un servizio di taxi a Miami pieno di teste calde cubane che non fanno altro che litigare su Castro e Batista come, come, come… Jimmy rimase senza fiato. — Cosa vuoi da me? — chiese Pete.

Jimmy prese fiato. — Ho un lavoretto a Miami.

— Quanto?

— 10.000.

— Prego — disse Pete.

 

Prenotò un posto in prima classe sul volo di mezzanotte. Usò un nome falso e segnò in conto alla Hughes Aircraft. L’aereo atterrò alle 8 del mattino, in orario.

A Miami il clima era mite con tendenza al caldo.

Pete prese un taxi fino a un ufficio della U-Drive di proprietà del sindacato e noleggiò una Caddy Eldorado nuova di zecca.

Jimmy aveva già messo una buona parola: non gli chiesero caparra né documenti.

Un messaggio era attaccato sotto il cruscotto.

“Vai alla compagnia dei taxi: Flagler e N.W. 46a. Parla con Fulo Machado.“ Seguivano le indicazioni stradali: dalle sopraelevate alle strade secondarie segnate su una piccola cartina.

Pete partì. Il panorama cambiò in fretta.

Le grandi case si fecero sempre più piccole. I bianchi borghesi divennero poveracci, quindi negri e infine latinoamericani.

Flagler era una distesa di vetrine da quattro soldi.

Sia l’edificio sede della compagnia che i taxi nel parcheggio erano dipinti a strisce tigrate. Sul marciapiede, latinoamericani con camicie tigrate trangugiavano ciambelle e vinaccio T-Bird.

Un cartello campeggiava sopra la porta: “Tiger Kab. Se habla espanol“.

Pete parcheggiò di fronte. Gli uomini tigre lo scrutarono e presero a berciare. Pete si stirò in tutto il suo metro e novanta abbondante e lasciò che la camicia rivelasse la pistola. Gli uomini tigre lo videro e berciarono più forte di prima.

Entrò nell’ufficio del centralinista. Bella carta da parati: fotografie di tigri dal pavimento al soffitto. Roba da National Geographic; Pete fu quasi sul punto di scoppiare a ridere.

Il centralinista lo chiamò con un cenno. Un volto incredibile, pieno di cicatrici da coltello.

Pete accostò una sedia. — Sono Fulo Machado — disse Faccia di Culo. — È stata la polizia segreta di Batista a conciarmi così. Da’ una bella occhiata subito e non parliamone più, d’accordo?

— Parli un ottimo inglese.

— Lavoravo al Nacional Hotel dell’Avana. Me lo insegnò un croupier americano. Alla fine scoprii che era un maricon e che cercava di corrompermi.

— Cosa gli hai fatto?

— Il maricon aveva una capanna in una fattoria alle porte dell’Avana, dove portava i ragazzini cubani e se li faceva. Lo sorpresi con un altro maricon e li uccisi a colpi di machete. Rubai il cibo dei maiali dalle mangiatoie e lasciai aperta la porta della capanna. Avevo letto sul National Geographic che un maiale affamato non sa resistere alla carne umana in decomposizione.

— Fulo, tu mi piaci — disse Pete.

— Ti prego di aspettare a giudicarmi. Posso diventare pericoloso quando ho a che fare con i nemici di Gesù Cristo e Fidel Castro.

Pete soffocò una risatina. — Uno dei ragazzi di Jimmy dovrebbe aver lasciato una busta per me.

Fulo gliela consegnò. Pete l’aprì con uno strappo, ansioso di passare all’azione.

Carino: un semplice messaggio e una foto.

“Anton Gretzler, 114 Hibiscus, Lake Weir, Florida (nei pressi di Sun Valley). 014.8812.“ La foto mostrava un uomo alto e quasi troppo grasso per vivere.

— Jimmy si deve fidare di te — riprese Pete.

— Sì. Mi ha fatto ottenere la carta verde, e sa che non lo tradirò.

— Com’è questa Sun Valley?

— Credo che venga definita un“‘area lottizzata”. Jimmy vende appezzamenti ai membri del sindacato.

— Chi pensi sia più importante oggigiorno, Cristo o Castro?

— È una gran bella lotta.

 

Pete prese una camera all’Eden Roc e chiamò Anton Gretzler da un telefono pubblico. Il grassone accettò di incontrarlo: alle 3, appena fuori da Sun Valley.

Pete fece un pisolino e si recò all’appuntamento in anticipo.

Sun Valley era una merda di posto: tre strade sterrate strappate alla palude a quaranta metri dalla statale.

Era un’“area lottizzata”: appezzamenti non più grandi di scatole per fiammiferi invasi da cataste di legno da quattro soldi.

Il perimetro era delimitato dalla palude: Pete vide alcuni alligatori prendere il sole in tutta tranquillità.

Il pomeriggio era caldo e umido. Un sole implacabile arrostiva gli arbusti fino a tingerli di un marroncino leggero.

Pete si appoggiò all’auto e si stirò gli arti indolenziti. Un camion si avvicinò lentissimo lungo la statale vomitando vapore; l’uomo seduto accanto al posto di guida chiese aiuto a gesti. Pete si voltò dalla parte opposta e lo lasciò passare.

Un alito di brezza sollevò una nuvola di polvere. La strada di accesso scomparve dietro un velo marrone. Una grossa berlina abbandonò la statale e si lanciò alla cieca verso di lui.

Pete si scostò. L’auto fece una gran frenata e si fermò. Anton Gretzler il Grasso ne discese.

Pete lo raggiunse. — Il signor Peterson? — chiese Gretzler.

— Sono io. Il signor Gretzler?

Il grassone allungò la mano. Pete la ignorò.

— C’è qualcosa che non va? Ha detto che voleva vedere un appezzamento.

Pete condusse il grassone verso la palude. Gretzler capì subito: non opporre resistenza. Dall’acqua spuntavano gli occhi degli alligatori.

— Da’ un’occhiata alla mia auto — disse Pete. — Ti sembro forse il solito stronzo sindacalista alla ricerca di una casa fai-da-te?

— Be’… no.

— E allora non credi di fregare Jimmy mostrandomi queste schifezze?

— Be’… — Jimmy mi ha detto di avere una serie di belle casette pronte per la consegna. Dovresti mostrare quelle ai membri del sindacato.

— Ma io pensavo… — Jimmy sostiene che sei un tipo impulsivo. Che non avrebbe dovuto mettersi in società con te. Che sei andato in giro a raccontare che ha ottenuto un prestito dal Fondo pensioni dei Teamster e che ci ha fatto la cresta. Che parli del Fondo come se fossi uno del giro.

Gretzler pareva sulle spine. Pete gli serrò il polso e lo spezzò.

Le ossa squarciarono la pelle. Gretzler cercò di urlare, ma gli mancò il fiato.

— Hai ricevuto un mandato di comparizione da parte della Commissione McClellan?

Gretzler annuì con gesti frenetici.

— Hai parlato con Robert Kennedy o con i suoi investigatori?

Gretzler scosse il capo, terrorizzato al punto di cacarsi addosso.

Pete controllò la statale. Niente auto in vista, niente testimoni… — La prego — piagnucolò Gretzler.

Pete gli fece saltare le cervella a metà di un rosario.

 Capitolo 2

KEMPER BOYD

 

 

(Filadelfia, 27.11.58)

 

L’auto: una Jaguar XK-140, verde inglese con interni in pelle rossiccia. Il garage: sotterraneo e silenzioso come una tomba. Il lavoretto: rubare la Jag per l’FBI e intrappolare il coglione che ti ha dato l’incarico.

L’uomo scassinò la portiera sinistra e accese l’auto con i cavetti.

Gli interni odoravano di lusso: la pelle avrebbe fatto salire alle stelle il prezzo di vendita.

Raggiunse lento il livello stradale e attese un varco nel traffico.

L’aria fredda appannò il parabrezza.

Il suo acquirente aspettava all’angolo. Era il tipico guardone, un Walter Mitty che voleva trovarsi sempre vicino all’azione.

L’uomo si immise sulla strada. Un’auto di pattuglia lo bloccò.

L’acquirente si accorse di ciò che stava accadendo e se la diede a gambe.

Agenti della polizia di Filadelfia scesero dall’auto imbracciando i fucili. Abbaiavano gli ordini classici: — Esci dall’auto con le mani in alto!

— Fuori, subito!

—A terra!

L’uomo obbedì. Gli sbirri lo blindarono da capo a piedi: manette ai polsi e catene alle caviglie.

Lo perquisirono e lo fecero alzare con uno strattone. L’uomo batté il capo contro la sirena dell’auto di pattuglia… La cella gli pareva familiare. Scese dalla brandina e rivelò la sua identità.

Sono l’agente speciale Kemper C. Boyd dell’FBI, infiltrato nel giro dei furti d’auto.

Non sono Bob Aiken, ladro d’auto indipendente.

Ho quarantadue anni. Sono laureato alla facoltà di Legge di Yale. Sono un veterano con diciassette anni di servizio nel Bureau, sono divorziato, ho una figlia all’università. E sono un ladro d’auto in missione per l’FBI.

Individuò la posizione della cella: ala B del Federal Building di Filadelfia.

La testa gli pulsava. I polsi e le caviglie gli dolevano. Fece l’ultimo passo per la definizione della sua identità.

Per anni ho truccato le prove relative ai furti d’auto e mi sono fatto la cresta. Si tratta di un arresto interno al Bureau?

Su entrambi i lati della passerella vide una schiera di celle vuote. Notò alcuni giornali nel lavandino: finti quotidiani su cui campeggiavano titoli a caratteri cubitali.

“Ladro d’auto muore di attacco di cuore in prigione federale.” “Ladro d’auto spira in cella federale.” Il testo era dattilografato appena sotto.

 

Stamane, la polizia di Filadelfia ha condotto a termine un coraggioso arresto nelle vicinanze della pittoresca Rittenhouse Square. Sulla base di indicazioni fornite da un informatore anonimo, il sergente Gerald P. Griffen e quattro suoi colleghi hanno catturato Robert Henry Aiken, quarantadue anni, cogliendolo sul fatto mentre rubava una costosa Jaguar. Senza opporre resistenza Aiken ha lasciato che gli agenti lo ammanettassero e…

 

Qualcuno diede un leggero colpo di tosse. — Signore?

Kemper sollevò lo sguardo. Un impiegatino aprì la cella e gli tenne la porta spalancata.

— Può uscire dal retro, signore. Un’auto la sta aspettando.

Kemper si spazzolò gli abiti e si pettinò. Sbucò dall’ingresso merci e vide una limousine governativa che bloccava il vicolo.

La sua limousine.

Kemper salì sul sedile posteriore. — Salve, signor Boyd — lo accolse J. Edgar Hoover.

— Buongiorno, signore.

Un divisorio si sollevò a isolare il retro dell’auto. L’autista partì.

Hoover tossicchiò. — La sua missione d’infiltrazione è stata soppressa in modo alquanto precipitoso. La polizia di Filadelfia ha calcato un po’ la mano, ma è famosa per questo, e un’azione più delicata non sarebbe stata abbastanza verosimile.

— Ho imparato a entrare nella mia parte in situazioni del genere.

Sono certo che l’arresto è stato credibile.

— Affettava un accento della costa orientale, per il suo ruolo?

— No, una cadenza strascicata da Midwest. Avevo imparato accento ed espressioni lavorando nell’ufficio di St. Louis, e ho creduto che integrassero meglio il mio aspetto fisico.

— Ha ragione, naturalmente. E personalmente, non mi permetterei mai di mettere in dubbio le sue scelte teatrali. Quella giacca che indossa, per esempio. Non l’apprezzerei mai come abbigliamento standard di un mio agente, ma è molto appropriata per un ladro d’auto di Filadelfia.

Vieni al punto, invadente piccolo… — A dire il vero, lei si è sempre vestito in modo molto elegante.

Forse il termine esatto è “costoso”. Ad essere sinceri, vi sono state occasioni in cui mi sono chiesto come potesse permettersi un simile guardaroba con il suo salario.

— Signore, dovrebbe vedere il mio appartamento. È privo di tutto ciò che possiede il mio guardaroba.

Hoover ridacchiò. — Sia come sia, dubito di averla mai vista due volte con lo stesso abito. Sono sicuro che le donne a cui lei tiene tanto apprezzino i suoi gusti in fatto di sartoria.

— Lo spero, signore.

— Lei sopporta le mie amenità con considerevole grazia, signor Boyd. La maggior parte dei miei interlocutori si spazientisce subito. Lei invece riesce a esprimere tanto la sua inimitabile prosopopea quanto un rispetto per il sottoscritto che è decisamente intrigante. Sa cosa significa?

— No, signore, non lo so.

— Significa che lei mi piace, e che sono disposto a perdonarle indelicatezze per le quali metterei in croce qualsiasi altro agente. Lei è un uomo pericoloso e senza scrupoli, ma possiede un certo fascino elusivo. Questo equilibrio di attributi bilancia le sue depravazioni e mi permette di volerle bene.

NON CHIEDERE “QUALI INDELICATEZZE?”. TE LE RIVELERÀ E PER TE SARÀ LA FINE.

— Signore, apprezzo enormemente il suo rispetto, e lo ricambio fino in fondo.

— Il rispetto reciproco non implica i sentimenti, ma non insisterò.

Parliamo di lavoro. Le offro l’opportunità di guadagnare due stipendi, cosa che dovrebbe farle un infinito piacere.

Hoover si rilassò sul sedile, quasi invitandolo a blandirlo. — Signore? — chiese Kemper.

La limousine accelerò. Hoover fletté le dita e si aggiustò il nodo della cravatta. — Le recenti iniziative dei fratelli Kennedy mi hanno infastidito. Bobby sembra voler usare il mandato della Commissione McClellan per indagare sui legami fra mafia e sindacati con l’intento di declassare il Bureau e favorire le mire presidenziali del fratello. La cosa mi da fastidio. Dirigo il Bureau fin da prima che Bobby nascesse. Jack Kennedy è un dongiovanni liberale stagionato con i valori morali di un segugio da punta. Gioca a fare il nemico del crimine con la Commissione McClellan, la cui mera esistenza è un implicito schiaffo in faccia al Bureau. Il vecchio Joe Kennedy è deciso a comprare la Casa Bianca al figlio, e io voglio ottenere informazioni che, nel caso l’operazione riuscisse, mi permettano di mitigare le iniziative politiche più egualitarie e degenerate del suo ragazzo.

Kemper rispose all’imbeccata: — Signore?

— Voglio che si infiltri nel clan dei Kennedy. Il mandato della Commissione McClellan scade la prossima primavera, ma Bobby Kennedy sta tuttora assumendo avvocati-investigatori. Da questo preciso momento lei è in pensione, sebbene l’FBI continuerà a versarle lo stipendio fino al luglio 1961, data in cui scadranno i suoi vent’anni di servizio. Dovrà confezionare una giustificazione convincente per il suo abbandono, e assicurarsi un impiego nella Commissione McClellan. So che sia lei che Jack Kennedy avete avuto rapporti intimi con un’assistente del Senato di nome Sally Lefferts. La signorina Lefferts ama chiacchierare, dunque sono certo che il giovane Jack abbia già sentito parlare di lei. Il giovane Jack fa parte della Commissione McClellan, e il giovane Jack adora i pettegolezzi a sfondo sessuale e le amicizie pericolose.

Signor Boyd, sono sicuro che riuscirà a integrarsi alla perfezione con i Kennedy. Sono certo che sarà per lei una salutare opportunità per mettere in pratica le sue doti di dissimulazione e doppiezza, nonché una possibilità di soddisfare i suoi gusti più promiscui.

Kemper si sentiva leggero. La limousine pareva scivolare nel vuoto.

— La sua reazione mi delizia — riprese Hoover. — Ora si riposi.

Arriveremo a Washington fra un’ora. La lascerò al suo appartamento.

 

Hoover gli aveva fornito un dossier aggiornato in una cartella di pelle con il timbro “CONFIDENZIALE”. Kemper si preparò una caraffa di martini cocktail e si sedette sulla sua poltrona preferita.

Le note offrivano un’unica chiave di lettura: Bobby Kennedy contro Jimmy Hoffa.

Il senatore John McClellan presiedeva la Commissione scelta del Senato sulle Attività improprie in campo sindacale e aziendale, istituita nel gennaio 1957. Membri subordinati: i senatori Ives, Kennedy, McNamara, McCarthy, Ervin, Mundt, Goldwater. Responsabile legale e investigativo: Robert F. Kennedy.

Personale: trentacinque investigatori, quarantacinque contabili, venticinque stenografe e impiegate. Sede: il palazzo del Senato, stanza 101.

Obiettivi ufficiali della Commissione: Smascherare la corruzione nelle pratiche sindacali, rivelare le collusioni fra i sindacati e il crimine organizzato. I metodi: mandati di comparizione per testimoni, sequestro di documenti ed esame dei fondi sindacali stornati in attività criminali.

Obiettivo reale della Commissione: l’International Brotherhood of Teamsters, il sindacato dei trasporti più potente sulla faccia della terra, e a quanto si diceva il più corrotto e potente della storia.

Il suo presidente: James Riddle Hoffa, quarantacinque anni.

Hoffa, fantoccio della mafia. Subornatore di estorsioni, mazzette, pestaggi, attentati dinamitardi, affari sporchi con le aziende ed epici abusi dei fondi sindacali.

Le proprietà di Hoffa, in violazione di quattordici leggi antitrust: aziende di trasporti, concessionarie di auto usate, uno stadio per le corse dei cani, una catena di autonoleggi, una stazione di taxi di Miami con personale costituito da rifugiati cubani dai numerosi precedenti criminali.

Gli amici di Hoffa: Sam Giancana, il boss mafioso di Chicago; Santos Trafficante Junior, il caporione di Tampa, Florida; Carlos Marcello, il padrino di New Orleans.

Jimmy Hoffa.

Che presta ai suoi “amici” milioni di dollari usati a scopi illegali.

Che possiede percentuali di case da gioco di proprietà mafiosa a L’Avana, Cuba.

Che finanzia illegalmente il dittatore cubano Fulgencio Batista e l’agitatore ribelle Fidel Castro.

Che sfrutta il Fondo pensioni degli Stati centrali dei Teamster, un ricchissimo abbeveratoio finanziario gestito a quanto pare da Sam Giancana e dalla mafia di Chicago, una struttura di strozzinaggio grazie alla quale gangster e imprenditori corrotti ottengono ingenti prestiti a interessi altissimi, le cui penali per il mancato pagamento includono la tortura e la morte.

Kemper capì il succo: Hoover è geloso. Ha sempre detto che la mafia non esiste, perché sa di non poterla debellare per vie legali.

E all’improvviso Bobby Kennedy si permette di non essere d’accordo… Seguiva un elenco cronologico.

Inizio del ‘57: la Commissione prende di mira il presidente dei Teamster, Dave Beck. Beck testimonia per ben cinque volte: lo sprone implacabile di Bobby Kennedy riesce a spezzarlo. Un gran giurì di Seattle lo incrimina per furto ed evasione fiscale.

Primavera ‘57: Jimmy Hoffa assume il completo controllo dei Teamster.

Agosto ‘57: Hoffa promette di ripulire il sindacato dalle ingerenze della mafia… una colossale menzogna.

Settembre ‘57: Hoffa sotto processo a Detroit. L’accusa: intercettazioni telefoniche ai danni dei suoi subordinati all’interno del sindacato. Una giuria ben disposta: Hoffa se la cava.

Ottobre ‘57: Hoffa viene eletto presidente dei Teamster. Voci insistenti: il 70 per cento dei suoi delegati è stato selezionato illegalmente.

Luglio ‘58: la Commissione inizia a indagare sui collegamenti diretti fra i Teamster e il crimine organizzato. Attenzione particolare viene dedicata alla riunione degli Appalachi del novembre ‘57.

Cinquantanove pezzi grossi della mafia si incontrano nella villa di un amico “esterno”, nello Stato di New York. Un agente di polizia di nome Edgar Croswell controlla le targhe. Ne segue una retata, e l’antica affermazione di Hoover, “la mafia non esiste“, diventa indifendibile.

Luglio ‘58: Bobby Kennedy prova che Hoffa risolve gli scioperi corrompendo i dirigenti delle aziende. Una pratica che risale al lontano ‘49.

Agosto ‘58: Hoffa testimonia di fronte alla Commissione.

Bobby Kennedy si scatena, e ne smaschera le innumerevoli menzogne.

Le note giungevano alla conclusione.

La Commissione era impegnata nelle indagini sul villaggio turistico Sun Valley, di proprietà di Hoffa, alle porte di Lake Weir, Florida. Bobby Kennedy aveva sequestrato i registri contabili del Fondo pensioni degli Stati centrali e aveva notato che 3 milioni di dollari del suddetto fondo erano stati investiti nel progetto. Era una cifra molto superiore rispetto ai normali costi edilizi. La teoria di Kennedy era che Hoffa aveva fatto una cresta di almeno un milione di dollari e stava vendendo ai suoi fratelli del sindacato materiale prefabbricato in una zona paludosa infestata dagli alligatori.

Ergo: frode immobiliare.

Un’appendice conclusiva: Hoffa usa un suo uomo per vendere le proprietà di Sun Valley: Anton William Gretzler, quarantasei anni, residente in Florida, condannato tre volte per truffa. Gretzler ha ricevuto un mandato di comparizione datato 29.10.58, ma al momento se ne sono perse le tracce.

Kemper controllò la lista di “complici” di Hoffa. Un nome risaltava sulla pagina: Pete Bondurant, maschio bianco, altezza 1,94, 104 kg, data di nascita 16.7.20, Montreal, Canada.

Nessuna incriminazione. Investigatore privato, ex vicesceriffo della contea di Los Angeles.

Big Pete: ricattatore e gorilla preferito di Howard Hughes.

Kemper e Ward Littell l’avevano arrestato: aveva picchiato a morte un detenuto. Il commento di Littell: — Forse lo sbirro corrotto più terribile e competente della nostra era.

Kemper si versò un altro martini e lasciò che la sua mente vagasse.

Il ruolo da sostenere iniziava a prendere forma: gli eroi aristocratici avevano alcune cose in comune.

A lui piacevano le donne, con cui aveva tradito la moglie per tutta la durata del loro matrimonio. A Jack Kennedy piacevano le donne, e per questo considerava il voto matrimoniale come poco più di un vago espediente. A Bobby piaceva sua moglie, che metteva regolarmente incinta: le voci del giro lo davano per fedele.

Yale per lui, Harvard per i Kennedy. Ricchissimi cattolici irlandesi, ricchissimi anglicani del Tennessee caduti in disgrazia.

La loro famiglia era numerosa e fotogenica, la sua sul lastrico e sepolta. Un giorno forse avrebbe raccontato a Jack e Bobby di come suo padre si fosse sparato e avesse impiegato un mese a morire.

Sudisti e irlandesi di Boston: entrambi i gruppi afflitti da improbabili accenti. Avrebbe ripreso la cadenza strascicata che aveva impiegato così tanto a cancellare.

Kemper perlustrò il suo armadio a muro. I dettagli del nuovo ruolo si configurarono al giusto posto.

L’abito grigio scuro pettinato per il colloquio. Una ‘38 con fondina per far colpo su Bobby il Duro. Niente polsini di Yale: Bobby avrebbe potuto rivelare una vena proletaria.

Il suo armadio era profondo tre metri e mezzo. La parete posteriore era decorata da una schiera di ritratti incorniciati.

La sua ex moglie, Katherine: la donna più bella che esistesse al mondo. Il loro debutto in società al Nashville Cotillion: uno scrivano delle cronache mondane li aveva definiti “la grazia sudista impersonificata“. Lui l’aveva sposata per il sesso e il denaro del padre. Lei aveva divorziato quando la fortuna dei Boyd era svanita nel nulla e Hoover, in un discorso alla sua classe di Yale, l’aveva personalmente invitato ad arruolarsi nell’FBI.

Katherine nel novembre del 1940: — Stai attento a quel frocio piantagrane, mi hai sentito, Kemper? Credo che abbia mire carnali nei tuoi confronti.

Non sapeva che Hoover scopava soltanto con il potere.

In tre cornici uguali: sua figlia, Claire, Susan Littell ed Helen Agée, tre figlie dell’FBI con un futuro da avvocatesse.

Le ragazze erano amiche per la pelle ma divise dagli studi: Tulane e Notre Dame. Helen era sfigurata. Kemper teneva le fotografie nell’armadio per evitare commenti pietistici.

Tom Agée era seduto sulla sua auto davanti a un bordello, intento a sorvegliare una banda di rapinatori di banche. La moglie l’aveva appena lasciato: Tom non era riuscito a trovare una babysitter per la piccola Helen, che ai tempi aveva nove anni.

Era addormentata sul sedile posteriore quando i rapinatori erano usciti sparando.

Tom era rimasto ucciso. Helen, ustionata dalle scintille, era stata abbandonata dai rapinatori, convinti che fosse morta. Sei ore più tardi erano giunti i soccorsi. Le guance di Helen erano rimaste segnate per la vita.

Kemper distese sul letto il completo per il colloquio. Ripassò qualche menzogna e chiamò Sally Lefferts.

Il telefono squillò due volte. — Pronto? — rispose il figlio piccolo.

— Figliolo, passami tua madre. Dille che è un collega d’ufficio.

— Va bene.

Sally rispose. — Chi del corpo impiegatizio del Senato osa disturbare la quiete di una povera assistente oberata dal lavoro?

— Sono io. Kemper.

— Kemper, che idea ti è venuta di chiamarmi con mio marito in cortile?

— Ssssh. Ho bisogno di una raccomandazione.

— Cosa stai dicendo? Che Hoover ha scoperto le tue crudeltà ai danni del sesso debole e ti ha cacciato?

— Sono andato in pensione, Sally. Mi sono appellato a una clausola per gli incarichi pericolosi e mi sono ritirato con tre anni di anticipo.

— Dio del cielo, Kemper Cathcart Boyd!

— Frequenti ancora Jack Kennedy, Sally?

— Occasionalmente, caro, da quando tu mi hai cancellata dalla tua vita. Di cosa si tratta, diari di scuola e pettegolezzi assortiti, oppure… — Pensavo di chiedere un impiego presso la Commissione McClellan.

Sally lanciò un grido di entusiasmo. — Be’, credo proprio che dovresti*. Lascerò un messaggio di raccomandazione sulla scrivania di Robert Kennedy, ma tu mi dovrai ringraziare con una dozzina di rose Southern Belle!

— Sei tu la bellezza sudista, Sally.

— Di certo ero troppo donna per il signor Scaricabarile della Louisiana!

Kemper riagganciò con una salve di baci. Sally avrebbe sparso la voce: ex ladro d’auto dell’FBI cerca lavoro.

Kemper avrebbe raccontato a Bobby come aveva sconfitto il giro delle Corvette rubate. Non avrebbe menzionato i pezzi di ricambio di cui alleggeriva ogni esemplare.

Si mosse il giorno successivo. Entrò deciso nella sede del Senato e raggiunse l’aula 101.

La centralinista premette un pulsante del citofono. — Signor Kennedy, c’è un uomo che vorrebbe far domanda per un posto di investigatore. Ha fatto parte dell’FBI.

L’ufficio consisteva in un unico locale alle spalle della sua scrivania: pareti divisorie formate da schedari, cubicoli e sale riunioni. Il personale lavorava gomito a gomito. Un ronzio operoso percorreva i corridoi.

La donna sorrise. — Il signor Kennedy la riceverà. Percorra quel piccolo corridoio sul retro.

Kemper si immerse nel ronzio. L’ufficio aveva un aspetto di seconda mano: scrivanie e schedari di diversi modelli, pannelli di sughero stracolmi di carte.

— Il signor Boyd?

Robert Kennedy fece capolino dal suo cubicolo. Non era più spazioso degli altri, con una scrivania standard e due sedie.

Gli offrì la stretta di mano standard: troppo decisa, del tutto prevedibile.

Kemper si sedette. Kennedy indicò il gonfiore della fondina.

— Non sapevo che gli agenti federali in pensione potessero girare armati.

— Nel corso degli anni mi sono fatto dei nemici. Non smetteranno di odiarmi soltanto perché sono in pensione.

— Gli investigatori del Senato non portano armi da fuoco.

— Se mi assumerà, metterò la mia in un cassetto.

Kennedy sorrise e si appoggiò alla scrivania. — Viene dal Sud?

— Nashville, Tennessee.

— Sally Lefferts mi ha detto che è stato nell’FBI per quanto, quindici anni?

— Diciassette.

— Perché ha chiesto la pensione anticipata?

— Per gli ultimi nove anni mi sono occupato di furti d’auto, ed ero giunto al punto in cui ero divenuto troppo conosciuto per potermi infiltrare senza pericolo di essere smascherato. Il regolamento del Bureau contiene una clausola speciale per gli agenti impiegati in missioni pericolose, e io ho deciso di sfruttarla.

— “Sfruttarla”? Le sue missioni l’avevano in qualche modo danneggiata?

— In un primo tempo avevo fatto domanda per dedicarmi al programma contro il crimine organizzato. Hoover in persona ha respinto la mia richiesta, nonostante sapesse che da tempo desideravo occuparmi della mafia. No, non mi ha danneggiato.

Mi ha irritato.

Kennedy si scostò un ciuffo dalla fronte. — E così se n’è andato.

— È un’accusa?

— No, un’osservazione. E francamente mi sorprende. L’FBI è un’organizzazione ottimamente congegnata che ispira profonda lealtà, e non accade spesso che i suoi agenti se ne vadano sbattendo la porta.

Kemper alzò la voce in modo appena percettibile. — Molti agenti si sono resi conto che è la mafia, e non il comunismo interno, a rappresentare la minaccia più grave per l’America. Le rivelazioni sulla riunione degli Appalachi hanno costretto Hoover a creare il programma contro il crimine organizzato, cosa che ha fatto con comprensibile riluttanza. Il programma sta raccogliendo informazioni, pur senza puntare alle prove per un’azione legale a livello federale; ma è un inizio, e io volevo farne parte.

Kennedy sorrise. — Capisco la sua frustrazione, e sono d’accordo con la sua critica nei confronti delle priorità di Hoover.

Ma il fatto che lei se ne sia andato non finisce di sorprendermi.

Kemper sorrise. — Prima di “andarmene”, ho dato un’occhiata furtiva al dossier privato che Hoover ha raccolto sulla Commissione McClellan. Sono aggiornato sul vostro lavoro, compresa la questione Sun Valley e la scomparsa del testimone Anton Gretzler. Me ne sono “andato” perché Hoover concentra in modo nevrotico le attenzioni del Bureau su innocui sinistrofili, mentre la Commissione McClellan sta cercando di incastrare i veri cattivi. Me ne sono “andato” perché se posso scegliere i monomaniaci con cui lavorare, preferisco lei.

Kennedy si aprì in un gran sorriso. — Il nostro mandato termina fra sei mesi. Si ritroverà senza lavoro.

— Ho una pensione dell’FBI, e a quel punto lei avrà fornito un tale numero di prove ai gran giurì municipali che questi pregheranno in ginocchio i suoi investigatori di continuare a lavorare per loro.

Kennedy diede un colpetto a un cumulo di fogli. — In questo ufficio lavoriamo sodo. Arranchiamo. Emettiamo mandati di comparizione, rintracciamo fondi e interroghiamo. Non rischiamo la vita rubando auto sportive, né ci trastulliamo a pranzo, né portiamo donnette all’Hotel Willard per una sveltina.

La nostra idea di divertimento è parlare di quanto detestiamo Jimmy Hoffa e la mafia.

Kemper si alzò. — Odio Hoffa e la mafia tanto quanto Hoover odia lei e suo fratello.

Bobby scoppiò a ridere. — Le farò sapere fra qualche giorno.

 

Kemper passò dall’ufficio di Sally Lefferts. Erano le due e mezzo: probabile che Sally fosse al Willard a farsi una sveltina.

La porta era aperta. Sally sedeva alla scrivania, la mano a tormentare un fazzoletto di carta. Accanto a lei, un uomo era a calcioni di una sedia.

— Oh, ciao, Kemper — disse Sally.

Le sue guance erano colorate di rosa, tendenti al rosso.

Ostentava l’espressione troppo accesa di chi era stata ancora una volta sconfitta in amore.

— Sei occupata? Posso tornare.

L’uomo ruotò sulla sedia. — Salve, senatore — disse Kemper.

John Kennedy sorrise. Sally si asciugò gli occhi. — Jack, ti presento il mio amico Kemper Boyd.

Si strinsero la mano. Kennedy si produsse in un mezzo inchino.

— Signor Boyd, è un piacere.

— Il piacere è tutto mio, signore.

Sally si sforzò di sorridere. Il suo fard era striato: aveva pianto.

— Kemper, com’è andato il colloquio?

— Bene, penso. Sally, devo scappare. Volevo soltanto ringraziarti per la raccomandazione.

Vi fu uno scambio di piccoli cenni del capo. Nessuno si guardò negli occhi. Kennedy allungò un fazzolettino a Sally.

Kemper scese al pianterreno e uscì in strada. Era scoppiato un temporale. Si riparò sotto una statua e lasciò che la pioggia lo sfiorasse.

La coincidenza gli sembrava strana. Era uscito da un colloquio con Bobby e per caso aveva incontrato Jack. Si sentiva come se fosse stato dolcemente sospinto in una direzione obbligata.

Ci rifletté.

Hoover aveva menzionato Sally come il suo collegamento più diretto con Jack Kennedy. Hoover sapeva che lui e Jack condividevano una forte attrazione per il sesso debole. Hoover immaginava che subito dopo il colloquio con Bobby Kemper avrebbe fatto visita a Sally.

Hoover intuiva che avrebbe immediatamente chiamato Sally per avere una raccomandazione. Hoover sapeva che Bobby aveva bisogno di investigatori e che riceveva di continuo candidati.

Kemper giunse alla logica conclusione: Hoover tiene il Senato sotto sorveglianza. Sapeva che avevi rotto con Sally nel suo ufficio, per evitare una scenata in pubblico.

Qualcuno l’aveva informato che Jack Kennedy aveva in programma la stessa mossa, e lui ha fatto in modo che tu fossi presente.

Non faceva una grinza. Ed era tipico di Hoover.

Hoover non si fidava fino in fondo della tua intesa con Bobby. E così aveva creato una sorta di simbiosi con Jack.

La pioggia era piacevole. Un lampo attraversò il cielo e illuminò la cupola del Campidoglio. Gli diede la sensazione di potersene star lì ad aspettare che il mondo si facesse avanti.

Udì dei passi alle sue spalle. Capì all’istante a chi appartenevano.

— Signor Boyd?

Si voltò. John Kennedy si stava chiudendo il bavero del cappotto.

— Senatore.

— Chiamami Jack.

— Va bene, Jack.

Kennedy rabbrividì. — Perché diavolo stiamo qui sotto la pioggia?

— Non appena cesserà potremmo fare una corsa fino al bar del Mayflower.

— Potremmo, e credo proprio che dovremmo. Sally mi aveva parlato di lei. Diceva che avrei dovuto impegnarmi a cancellare il mio accento come aveva fatto lei, e così quando ha aperto bocca mi ha sorpreso.

Kemper abbandonò la cadenza strascicata. — Noi sudisti siamo gli sbirri perfetti. Si calca un po’ sull’accento da campagnolo e la gente inizia subito a sottovalutarci e a rivelare i segreti più nascosti. Immaginavo che tuo fratello lo sapesse, e così mi sono comportato di conseguenza. Visto che anche tu fai parte della Commissione McClellan, mi sono detto che avrei fatto meglio a mantenere l’accento.

Kennedy rise. — Con me il tuo segreto è al sicuro.

— Ti ringrazio. E non ti preoccupare per Sally. Le piacciono gli uomini come a noi piacciono le donne, e tende a superare le delusioni d’amore piuttosto in fretta.

— Immaginavo che l’avessi capito. Sally mi aveva detto che l’avevi scaricata in modo simile.

Kemper sorrise. — Si può sempre richiamarla, di quando in quando. Sally apprezza sempre un pomeriggio in una bella camera d’albergo.

— Me ne ricorderò. Un uomo con le mie aspirazioni deve mantenere il controllo sui propri legami.

Kemper si avvicinò a “Jack”. Poteva quasi vedere il sorriso di Hoover.

— Conosco numerose donne che sanno come evitare ogni legame.

Kennedy sorrise e lo condusse sotto la pioggia. — Andiamo a bere qualcosa e parliamone. Ho un’ora a disposizione prima di incontrare mia moglie.

 

 Capitolo 3


WARD J. LITTELL


 


 


(Chicago, 30.11.58)


 


 


“Lavoretto da borsa nera”: un classico dell’FBI, l’ingresso furtivo in un covo di rossi.


Littell fece scattare la serratura con un regolo. Il sudore gli colava dalle mani: le incursioni negli appartamenti erano sempre rischiose.


I vicini potevano udire i rumori dell’effrazione. I rumori in corridoio potevano soffocare i passi in avvicinamento.


Si chiuse la porta alle spalle. Il salotto prese forma davanti ai suoi occhi: mobili consunti, librerie, manifesti di protesta sindacale.


Era la tipica abitazione da membro del Partito comunista: avrebbe sicuramente trovato qualche documento negli armadietti dell’angolo cottura.


Così fu. Idem per le solite fotografie appese alle pareti: vecchi e tristi ritratti dei Rosenberg.


Pathos.


Per mesi aveva sorvegliato Morton Katzenbach. Aveva ascoltato un mucchio di invettive sinistrorse. Una cosa l’aveva capita: Morty non era una minaccia per l’America.


Una cellula del partito si riuniva presso la bancarella di ciambelle di Morty. Il loro terribile “tradimento”: rifornire di pasticcini gli scioperanti delle fabbriche automobilistiche.


Littell estrasse la sua Minox e fotografò alcuni “documenti”.


Fece fuori tre rullini sulle ricevute delle donazioni: tutte appena inferiori ai 50 dollari al mese.


Era un lavoro di merda, noioso. Il vecchio ritornello scattò automaticamente.


Hai quarantacinque anni. Sei un esperto di intercettazioni. Sei un ex seminarista gesuita con una laurea in Legge, ti mancano due anni e due mesi alla pensione. Hai una moglie che si mantiene con i tuoi alimenti mensili e una figlia a Notre Dame, e se riesci a superare l’esame dell’Ordine degli avvocati dell’Illinois e a lasciare l’FBI i guadagni lordi degli anni a venire compenseranno abbondantemente la rinuncia alla pensione.


Immortalò due liste di “spese politiche”. Morty aveva annotato le ciambelle distribuite: “semplici”, “cioccolato”, “glassate”.


Udì il rumore della chiave nella serratura. Vide aprirsi la porta a tre metri di distanza.


Faye Katzenbach entrò trascinando i sacchetti della spesa. Lo vide e scosse il capo come se avesse assistito allo spettacolo più triste sulla faccia del pianeta.


— Siete diventati dei comunissimi ladri, adesso?


Schivandola di corsa, Littell scaraventò a terra una lampada.


 


La sala agenti era semideserta, come sempre all’ora di pranzo: soltanto qualcuno intento a sforbiciare i messaggi delle telescriventi.


Littell trovò un messaggio sulla sua scrivania.


Ha chiamato K. Boyd. Di passaggio in città, diretto in Florida.


Alla Pump Room alle 19?


Kemper: sì!


Chicle Leahy gli si avvicinò sventolando le copie carbone di un dossier. — Ho bisogno della cartella completa di Katzenbach, con foto e tutto, per l’11 dicembre. Toison verrà a fare un’ispezione, e vuole la situazione per quanto riguarda il Partito comunista.


— L’avrà.


— Perfetto. Completa dei documenti?


— Alcuni. La moglie di Katzenbach mi ha sorpreso prima che finissi.


— Gesù. Ha…?


— No, non ha chiamato la polizia, perché sapeva chi ero e cosa stavo facendo. Signor Leahy, metà dei comunisti del pianeta sa cosa significa il termine “lavoretto da borsa nera”.


Leahy liberò un sospiro. — Dillo, Ward. Rifiuterò, ma ti sentirai meglio se l’avrai detto.


— D’accordo. Voglio essere assegnato alla mafia. Voglio un trasferimento al programma contro il crimine organizzato.


— No — rispose Leahy. — Il programma è già al completo. E in qualità di agente speciale responsabile, la mia valutazione è che tu sia più portato alla sorveglianza politica, che considero molto importante. Il signor Hoover reputa i comunisti interni più pericolosi della mafia, e il sottoscritto è d’accordo con lui.


Si fissarono. Littell distolse lo sguardo per primo: se non l’avesse fatto, Leahy avrebbe resistito tutto il giorno.


Leahy fece ritorno nel suo ufficio. Littell chiuse la porta del suo cubicolo ed estrasse dal cassetto il libro di testo per l’esame.


Il codice civile scivolò in secondo piano, sospinto dai ricordi relativi a Kemper Boyd.


Fine ‘53: mettono alle strette un rapitore a Los Angeles. L’uomo estrae la pistola; lui trema così forte che fa cadere la sua.


Alcuni poliziotti lo deridono. Kemper falsifica il rapporto per farlo risultare come l’eroe dell’azione.


Insieme combattono contro le disposizioni della pensione di Tom Agee: Hoover vorrebbe concederla alla moglie infedele.


Kemper lo convince a girarla a favore della figlia. Helen si vede garantita una consistente sinecura.


Arrestano Big Pete Bondurant. Lui fa una gaffe: canzona Pete in francocanadese. Bondurant strappa la catena delle manette e gli si avventa alla gola.


Lui scappa. Big Pete scoppia a ridere. Kemper lo corrompe convincendolo a non parlare dell’accaduto: gli offre cibo preparato all’esterno del penitenziario.


Kemper non lo giudicava per la sua paura. Diceva: “Abbiamo entrambi scelto l’FBI per evitare la guerra. Che diritto ho di disprezzarti?“. Kemper gli aveva insegnato come scassinare una serratura: un ottimo sistema per controllare la paura.


Kemper diceva: — Sei il mio confessore, mezzo prete e mezzo sbirro. Sarò sempre disponibile ad ascoltare le tue confessioni, ma poiché i miei segreti sono peggiori dei tuoi, sarò sempre avvantaggiato.


Littell ripose il libro di testo nel cassetto. Il codice civile era una noia mortale.


 


La Pump Room era stracolma di gente. Un vento forte soffiava dal lago e sembrava sospingere i clienti all’interno.


Littell conquistò un separé sul retro. Il direttore prese la sua ordinazione: due martini lisci. Il ristorante era magnifico: i camerieri di colore e il pubblico di un concerto sinfonico gli conferivano uno speciale scintillio.


Gli servirono i due martini. Littell li sistemò sul tavolo per un brindisi veloce. Boyd fece il suo ingresso dall’atrio dell’albergo.


Littell scoppiò a ridere. — Non dirmi che alloggi qui.


— Il volo parte alle due del mattino. Avevo bisogno di un posto in cui sgranchirmi le gambe. Ciao, Ward.


— Ciao, Kemper. Un brindisi?


Boyd sollevò il bicchiere. — A mia figlia Claire, a tua figlia Susan e a Helen Agée. Che possano andare bene a scuola e diventare avvocati migliori dei loro padri.


Fecero tintinnare i calici. — Nessuno dei quali ha mai esercitato.


 


— Tu sei stato impiegato in uno studio. E ho sentito dire che hai steso mandati di deportazione molto efficaci.


— Non ce la caviamo così male. Tu, se non altro. Qual buon vento ti porta fin quassù?


— Il mio nuovo datore di lavoro temporaneo mi aveva prenotato una stanza a Midway, ma io ho deciso di buttare via un po’ di soldi e pagare la differenza di tasca mia. E la differenza fra lo Skyliner Motel e l’Ambassador-East è alquanto consistente.


Littell sorrise. — Quale datore? Lavori per la Cointelpro?


— No, è qualcosa di molto più interessante. Te lo dirò fra qualche bicchierino, quando sarai più disposto a diventare blasfemo e lanciarti in uno dei tuoi “Gesù Cristo del cazzo”.


— Te lo dico subito. Hai appena eliminato ogni possibilità di chiacchiera, dunque se vuoi ti elargisco subito un bel cazzo.


Boyd sorseggiò il martini. — Non ancora. Ma c’è una bella notizia sul fronte delle figlie ribelli.


— Fammi indovinare. Claire si trasferisce da Tulane a Notre Dame.


— No. Helen si è laureata con un semestre di anticipo. È stata accettata al corso di specializzazione della University of Chicago, e arriverà in città il mese prossimo.


— Gesù!


— Sapevo che ti avrebbe fatto piacere.


— Helen è una ragazza coraggiosa. Sarà un gran bell’avvocato.


— È vero. E sarà anche una splendida moglie, se non l’abbiamo rovinata per i maschietti della sua età.


— Ci vorrebbe un… — Un giovane speciale per superare il suo problema?


— Sì.


Boyd ammiccò. — Be’, ha Ventun anni. Pensa a quanto una tua relazione con Helen farebbe imbestialire Margaret.


Littell scolò il suo martini. — E sconvolgerebbe mia figlia. A proposito, Susan dice che Margaret passa i fine settimana a Charlevoix in dolce compagnia. Ma non si sposerà mai, finché le arriveranno i miei assegni mensili.


— Sei il suo demonio. Sei il seminarista che l’ha messa incinta. E nei termini religiosi che ti piacciono tanto, il vostro matrimonio è stato un purgatorio.


— No, quello è il mio lavoro. Oggi sono penetrato nell’appartamento di un rosso e ho fotografato una pagina di registro interamente dedicata alle ciambelle. Se devo essere sincero, non so quanto potrò andare avanti in questo modo.


Giunsero altri due martini. Il cameriere si inchinò: Kemper ispirava servilismo. — Mentre lo facevo, fra le ciambelle al cioccolato e quelle glassate, mi sono reso conto di una cosa — riprese Littell.


— E sarebbe?


— Che Hoover odia i comunisti perché la loro filosofia è basata sulla fragilità umana, mentre la sua si fonda su una tormentosa rettitudine che nega l’esistenza di una simile realtà.


Kemper sollevò il bicchiere. — Non mi deludi mai.


— Kemper…


I camerieri saettavano accanto al separé. Il bagliore delle candele si rifletteva sulle posate dorate. Le crêpes suzettes prendevano fuoco. Un’anziana donna lanciò uno strillo.


— Kemper…


— Hoover mi ha incaricato di infiltrarmi nella Commissione McClellan. Odia Bobby Kennedy e suo fratello Jack, e teme che il padre comprerà a Jack la Casa Bianca alle elezioni del ‘60.Ora sono un finto pensionato dell’FBI con l’incarico, a tempo indeterminato, di farmi amici entrambi i fratelli. Ho fatto richiesta per un posto come investigatore della Commissione, e oggi ho saputo che Bobby mi ha assunto. Fra qualche ora volo a Miami alla ricerca di un testimone scomparso.


— Gesù Cristo fottuto — esclamò Littell.


— Non mi deludi mai — commentò Boyd.


— Suppongo che tu abbia due stipendi.


— Sai quanto mi piace il denaro.


— Già, ma ti piacciono i fratelli?


— Sì. Bobby è un piccolo bulldog vendicativo, e Jack è seducente e non così furbo come crede di essere. Bobby è il più forte dei due, e odia il crimine organizzato quanto te.


Littell scosse il capo. — Tu non odi nulla.


— Non me lo posso permettere.


— Non sono mai riuscito a capire il tuo concetto di lealtà.


— Diciamo che è ambiguo.


 Documento: 2.12.58. Trascrizione di una telefonata ufficiale interna all’FBI: “Registrata su richiesta del Direttore“. ”Classificazione Confidenziale 1-A: solo per il Direttore“. Interlocutori: Direttore Hoover, agente speciale Kemper Boyd.


 


JEH: Signor Boyd?


KB: Buongiorno, signore.


JEH: Sì, è una buona giornata. Chiama da un apparecchio sicuro?


KB: Sì, da un telefono a gettoni. Se non mi sente bene, è perché mi trovo a Miami.


JEH: Fratello Minore l’ha già messa al lavoro?


KB: Fratello Minore non perde tempo.


JEH: Mi parli della sua rapida assunzione. Usi pure i nomi propri, se ne sente l’esigenza.


KB: In un primo tempo Fratello Minore era alquanto sospettoso, e credo che ci vorrà del tempo per conquistarlo. Ho incontrato Fratello Maggiore nell’ufficio di Sally Lefferts, e le circostanze ci hanno portato a intrattenere una conversazione personale. Siamo usciti a bere qualcosa e abbiamo stabilito un certo rapporto. Come molti uomini seducenti, Fratello Maggiore è anche facilmente seducibile. Siamo subito andati d’accordo, e sono sicuro che abbia detto a Fratello Minore di assumermi.


JEH: Mi descriva le “circostanze” che ha appena menzionato.


KB: Abbiamo scoperto di condividere uno spiccato interesse per le donne sofisticate e interessanti, e siamo andati al bar del Mayflower per discutere di temi ad esso collegati.


Fratello Maggiore mi ha confermato che si candiderà per le elezioni del 1960, e che Fratello Minore inizierà a lavorare a sostegno della sua candidatura non appena il mandato della Commissione McClellan scadrà il prossimo aprile.


JEH: Continui.


KB: Abbiamo discusso di politica. Mi sono dipinto come incongruamente progressista, visti gli standard del Bureau, che Fratello Maggiore…


JEH: Lei è del tutto privo di opinioni politiche, il che nel nostro caso non fa che renderla più efficace. Prosegua.


KB: Fratello Maggiore ha trovato interessanti le mie finte convinzioni politiche e si è confidato. Dice di considerare l’odio di Fratello Minore nei confronti di H. abbastanza sconveniente, seppur motivato. Sia Fratello Maggiore che il padre hanno cercato di convincere Fratello Minore a mollare la presa e a proporre a H. un accordo in cambio della promessa di ripulire la sua organizzazione, ma Fratello Minore ha rifiutato. La mia opinione personale è che H. sia ancora legalmente intoccabile. Fratello Maggiore condivide tale opinione, come del resto un gran numero di investigatori della Commissione. Signore, credo che Fratello Minore denoti una feroce passione e una grande competenza.


La mia sensazione è che riuscirà a far crollare H., ma non nel prossimo futuro. Credo che ci vorranno anni e molto probabilmente numerosi atti d’accusa, e che di sicuro non accadrà prima della scadenza del mandato della Commissione.


JEH: Mi sta dicendo che la Commissione passerà la palla ai gran giurì municipali una volta che il mandato sarà scaduto?


KB: Sì. Credo che ci vorranno anni prima che i Fratelli riusciranno a ottenere un beneficio politico da H. E penso che si potrebbe verificare un contraccolpo dannoso per Fratello Maggiore. I candidati democratici non possono permettersi di essere considerati antisindacali.


JEH: La sua valutazione mi pare alquanto sagace.


KB: La ringrazio, signore.


JEH: Fratello Maggiore ha mai fatto il mio nome?


KB: Sì. Conosce l’esistenza del suo accurato schedario sugli uomini politici e sulle stelle del cinema che lei reputa sovversive, e teme che lei abbia qualcosa anche su di lui. Gli ho detto che il dossier sulla sua famiglia è lungo mille pagine.


JEH: Bravo. Se fosse stato meno sincero avrebbe perso credibilità.


Di cos’altro avete discusso?


KB: Più che altro di donne. Fratello Maggiore ha menzionato un viaggetto a Los Angeles in programma per il 9 dicembre. Gli ho dato il numero telefonico di una donna di facili costumi di nome Darleen Shoftel e gli ho suggerito di chiamarla.


JEH: Crede che l’abbia fatto?


KB: No, signore. Ma penso che lo farà.


JEH: Mi descriva i suoi compiti all’interno della Commissione.


KB: Sono venuto in Florida alla ricerca di un testimone nei cui confronti è stato spiccato un mandato di comparizione, tale Anton Gretzler. Fratello Minore voleva che mi presentassi con un’intimazione supplementare. C’è un aspetto di cui dobbiamo discutere, poiché la scomparsa di Gretzler potrebbe portare a un suo conoscente.


JEH: Continui.


KB: Gretzler era socio di H. nella supposta frode immobiliare di Sun Valley. Aveva…


JEH: Ha detto “era”. Crede che sia morto?


KB: Ne sono certo.


JEH: Prosegua.


KB: È scomparso il pomeriggio del 26 novembre. Ha detto alla sua segretaria di avere un appuntamento con un “possibile acquirente“ a Sun Valley, e non è mai più ritornato. La polizia di Lake Weir ha trovato la sua auto in una palude nei pressi del paese, ma non è ancora stata in grado di recuperare il corpo. È andata alla ricerca di possibili testimoni e ha trovato un uomo che passava da Sun Valley a bordo del suo camion nello stesso momento in cui il “possibile acquirente” avrebbe dovuto incontrare Gretzler. Dice di aver visto un uomo che aveva parcheggiato sulla strada di accesso al paese. A quanto pare, l’uomo si è voltato quando l’ha visto passare, dunque è difficile che possa essere identificato. Ma il camionista ne ha fornito una descrizione: alto 1,90 circa, “enorme”, 120 chili. Capelli scuri, dai trentacinque ai quarant’anni. Credo che possa…


JEH: Il suo vecchio amico Pete Bondurant. È singolarmente corpulento, e fa parte dell’elenco di conoscenze di H. che le ho fornito.


KB: Sì, signore. Ho controllato i registri delle compagnie aeree e di autonoleggio di Los Angeles e Miami e ho trovato un addebito alla Hughes Aircraft che sono certo risalga a Bondurant. So che si trovava in Florida il 26 novembre, e a livello indiziario posso provare che H. l’abbia assoldato per eliminare Gretzler. So che lei è amico di Howard Hughes, e così ho creduto opportuno informarla prima di dirlo a Fratello Minore.


JEH: Non ne parli assolutamente. Il risultato delle sue indagini dovrà essere il seguente: Gretzler è scomparso, forse morto. Non vi sono indizi né sospetti. Pete Bondurant è fondamentale per Howard Hughes, che è a sua volta un importante amico del Bureau. Hughes ha di recente acquistato un periodico scandalistico che ci aiuterà a spargere indiscrezioni politiche favorevoli al Bureau, e non voglio che gli si mettano i bastoni fra le ruote. Ha capito?


KB: Sì, signore.


JEH: Voglio che prenda il primo volo per Los Angeles a spese del Bureau e che stuzzichi Pete Bondurant con i suoi sospetti. Cerchi di ottenere un favore da lui, e controbilanci le sue profferte d’amicizia con la consapevolezza che potrebbe comprometterlo. E non appena i suoi impegni con la Commissione glielo permetteranno, torni in Florida e si occupi delle eventuali questioni irrisolte del caso Gretzler.


KB: Concluderò il mio lavoro quaggiù e partirò per Los Angeles domani sera.


JEH: Bene. E mentre è a Los Angeles, voglio che predisponga una sorveglianza elettronica dell’appartamento di Darleen Shoftel. Se Fratello Maggiore la contatterà, voglio esserne tenuto al corrente.


KB: Non acconsentirà di sua spontanea volontà, il che significa che dovrò operare clandestinamente. Posso coinvolgere Ward Littell? È un grande esperto di intercettazioni.


JEH: Sì, lo recluti pure. Il che mi fa ricordare che Littell ambisce da tempo a lavorare con la squadra contro il crimine organizzato. Crede che apprezzerebbe un trasferimento come premio per questo lavoro?


KB: Ne sarebbe felice.


JEH: Bene, ma lasci che sia io a informarlo. A presto, signor Boyd. Complimenti per l’ottimo lavoro.


KB: La ringrazio, signore. A presto.

Capitolo 4


 


 


 


(Beverly Hills, 4.12.58)


 


 


Howard Hughes alzò di una tacca lo schienale del letto. — Non hai idea di quanto siano stati deboli gli ultimi due numeri. Hush-Hush è diventato settimanale, il che aumenta a livello esponenziale il bisogno di pettegolezzi piccanti. Dobbiamo trovare uno scavafango. Ci sei tu per l’accertamento, Dick Steisel per le questioni legali e Sol Maltzman in redazione, ma dipendiamo strettamente dagli scandali che pubblichiamo, e il materiale recente è casto e ridicolmente noioso.


Pete sprofondò in poltrona e sfogliò l’ultimo numero. In copertina: “Braccianti immigrati portatori di malattie veneree!”. Subito sotto: “L’Hollywood Ranch Market è il paradiso degli omo!”.


— Continuerò a chiedere in giro. Stiamo cercando qualcuno di molto speciale, ci vuole tempo.


— Insisti — disse Hughes. — E di’ a Sol Maltzman che sulla copertina del prossimo numero voglio un servizio intitolato “Negri: l’incremento delle nascite provoca epidemie di tubercolosi”.


— Mi sembra un po’ tirato per i capelli.


— I fatti possono essere manipolati affinché si conformino a qualsiasi tesi.


— Glielo dirò, capo.


— Bene. E già che sei fuori… — Altra roba e siringhe ipodermiche? Sissignore!


Hughes trasalì e accese il televisore. Sheriff John’s Lunch Brigade invase la stanza: frugoletti strillanti e topi animati delle dimensioni di Lassie.


Pete raggiunse con tutta calma il parcheggio. Seduto sul cofano della sua auto, come se appartenesse a lui, Kemper Boyd, agente speciale del cazzo.


Sei anni in più sul groppone e sempre troppo bello per vivere.


Quel completo grigio scuro doveva essergli costato quattrocento cocuzze facili facili.


— Che cosa significa?


Boyd incrociò le braccia sul petto. — Messaggio amichevole da parte del signor Hoover. È preoccupato dai tuoi straordinari per Jimmy Hoffa.


— Di cosa stai parlando?


— Ho accesso alla Commissione McClellan. Hanno messo sotto sorveglianza una serie di cabine telefoniche nei pressi di casa Hoffa, in Virginia. Quel cazzone di Hoffa usa i telefoni pubblici per distribuire incarichi ai suoi sicari.


— Prosegui. La storia dei sicari è una stronzata, ma vediamo fin dove vuoi arrivare.


Boyd ammiccò. Il figlio di puttana aveva le palle di acciaio.


— Primo, Hoffa ti ha chiamato due volte alla fine del mese scorso. Secondo, hai acquistato un biglietto di andata e ritorno Los Angeles-Miami sotto falso nome e l’hai addebitato alla Hughes Aircraft. Terzo, hai noleggiato un’auto presso una compagnia di proprietà dei Teamster e forse sei stato visto mentre aspettavi un certo Anton Gretzler. Penso che Gretzler sia morto, e penso che Hoffa ti abbia assoldato per eliminarlo.


Non ne avrebbero mai trovato il cadavere: l’aveva gettato nella palude ed era rimasto a guardare mentre gli alligatori lo divoravano.


—,E allora arrestami.


— No. Al signor Hoover non piace Bobby Kennedy, e sono sicuro che non vorrebbe mai danneggiare Hughes. Se può sopportare l’idea che tu e Jimmy siate a piede libero, ci riesco anch’io.


— E allora?


— E allora facciamo qualcosa di carino per il signor Hoover.


— Spiegami meglio. Non vedo l’ora di collaborare con la legge.


Boyd sorrise. — Il caporedattore di Hush-Hush è un rosso.


So che Hughes apprezza chiunque gli faccia spendere poco, ma credo che dovresti licenziarlo.


— Lo farò — rispose Pete. — E di’ al signor Hoover che sono un patriota, e che so cosa significa la parola amicizia.


Boyd se ne andò a passo leggero: nessun cenno, nessun ammiccamento, il sospetto era stato scagionato. Superò due file d’auto e salì su una Ford azzurra con l’adesivo della Hertz.


L’auto uscì dal parcheggio. Boyd il cazzone agitò la mano in segno di saluto.


Pete corse ai telefoni nell’atrio dell’albergo e chiamò l’ufficio informazioni. Un operatore gli recitò il numero degli uffici centrali della Hertz.


Lo compose. Rispose una donna: — Buongiorno, autonoleggio Hertz.


— Buongiorno, sono l’agente Peterson del dipartimento di Los Angeles. Ho bisogno dei dati relativi a un vostro cliente.


— C’è stato un incidente?


— No, è un controllo di routine. L’auto è una Ford Fairlane azzurra del ‘56, targa V come “Victor”, H come “Henry”, 490.


— Un minuto, agente.


Pete attese in linea. L’affermazione di Boyd sulla Commissione McClellan gli danzava nella testa.


— Ho i suoi dati, agente.


— Spari.


— L’auto è stata noleggiata al signor Kemper C. Boyd, che al momento alloggia presso l’Hotel Miramar, a Santa Monica. La fattura è intestata alla Commissione scelta del Senato per le Attività investigative. Le può essere utile?


Pete riagganciò. La danza cerebrale divenne stereofonica.


Strano: Boyd al volante di un’auto noleggiata dalla Commissione.


Strano, perché Hoover e Kennedy erano rivali. Boyd agente FBI nonché sbirro della Commissione? Hoover non gli avrebbe mai permesso di fare il doppio lavoro.


Boyd aveva stile, ed era molto astuto. Un ottimo candidato per farsi portavoce di un avvertimento amichevole.


Un ottimo candidato per spiare Bobby? Un “forse” che era quasi un “sì”.


 


Sol Maltzman viveva a Silverlake: un cesso di posto sopra un negozietto che affittava smoking.


Pete bussò. Sol aprì con l’aria incazzata: uno sfigato dal ginocchio valgo in bermuda e maglietta.


— Che c’è, Bondurant? Ho da fare.


“Bohn-duu-rahn”: la piccola testa di cazzo comunista l’aveva pronunciato alla francese.


L’appartamento puzzava di sigarette ed escrementi di gatto.


Buste di carta marroncina spuntavano da ogni singola superficie.


Uno schedario di legno copriva l’unica finestra.


È pieno di dossier sugli scandali di Hollywood. Maltzman è il tipo che li raccoglie.


— Bohn-duu-rahn, cosa vuoi?


Pete afferrò una cartella appoggiata sulla base di una lampada.


Ritagli stampa su Ike e Dick Nixon: roba noiosa.


— Metti giù quella roba e dimmi cosa vuoi!


Pete lo prese per il collo. — Sei licenziato. Sono sicuro che tu abbia del materiale che possiamo usare. Se me lo indicherai, risparmiandomi il disturbo, dirò a Hughes di concederti una liquidazione.


Sol lo mandò affanculo: gli agitò sotto gli occhi il dito medio di entrambe le mani.


Pete lo lasciò andare. Un gran bel segno attorno al collo, il collare tracciato da due mani enormi.


— Scommetto che in quello schedario tieni la roba di prima qualità.


— No! Non c’è nulla che ti interessi!


— Allora aprimelo.


— No! È chiuso a chiave, e non ti darò mai la combinazione!


Pete gli scaricò un gran calcio nei coglioni. Maltzman crollò a terra boccheggiante. Pete gli strappò la maglietta e gliela cacciò in bocca.


Il televisore di fronte al divano: ooottima copertura acustica.


Pete portò il volume al massimo. Un venditore d’auto invase lo schermo, sbraitando entusiasta sulla nuova produzione Buick. Pete estrasse il cannone e fece saltare il lucchetto del dossier: una pioggia di schegge schizzò in tutte le direzioni.


Tre dossier caddero a terra: una trentina di pagine di porcherie segrete.


Sol Maltzman strillava attraverso il suo bavaglio. Pete gli fece perdere conoscenza con un calcio e abbassò il volume della televisione.


 


Aveva tre dossier e un caso grave di fame postviolenza. Quel che ci voleva era Mike Lyman’s e il suo Menu Fisso DeLuxe.


All’orizzonte anche Pettegolezzi DeLuxe: Sol non avrebbe mai raccolto materiale di seconda scelta.


Pete prese posto in un separé sul retro e ordinò bistecca con l’osso e patate al forno. Sparse le cartelle sul tavolo per un’occhiata veloce.


Il primo dossier riportava fotografie e appunti dattiloscritti.


Nessun pettegolezzo hollywoodiano, niente munizioni per Hush-Hush.


Le fotografie riguardavano depositi bancari e dichiarazioni dei redditi. Il nome del contribuente gli era familiare: George Killebrew, amico di Hughes e leccapiedi di Tricky Dick Nixon.


Il nominativo sul libretto bancario era “George Killington”.


Totale dei versamenti del 1957: 87.416 dollari e 4 centesimi.


Imponibile di George Killebrew per lo stesso anno: 16.850 dollari.


Un cambiamento di due sillabe… a nascondere quasi settanta bigliettoni.


Sol Maltzman aveva annotato: “Gli impiegati della banca confermano che Killebrew ha depositato l’intera somma di 87.000 dollari in versamenti progressivi da 5.000 a 10.000 dollari.


Confermano anche che il numero di identificazione fiscale da lui fornito era falso. Ha prelevato l’intera cifra in contanti, insieme a circa 6000 dollari di interessi, chiudendo il conto prima che la banca facesse pervenire alle autorità federali la notifica degli interessi“.


Guadagni non denunciati e interessi non dichiarati. Tombola: frode fiscale.


Pete ebbe un’improvvisa, tardiva intuizione.


La Commissione della Camera sulle Attività antiamericane aveva incastrato Sol Maltzman. Dick Nixon ne faceva parte, George Killebrew lavorava per lui.


Il dossier numero 2 era un festival fotografico di pompini. Il succhiato: una checca adolescente. Il succhiatore, identificato da Sol Maltzman: “Leonard Hosney, legale della Commissione sulle Attività antiamericane, quarantatré anni, di Grand Rapids, Michigan. Il mio umiliante lavoro per Hush-Hush mi ha finalmente ripagato, sotto forma di soffiata fornitami dal buttafuori di un bordello maschile di Hermosa Beach. È stato lui a scattare le foto, e mi ha assicurato che il ragazzino è minorenne.


Nel prossimo futuro mi procurerà materiale fotografico supplementare“.


Pete si accese una sigaretta con il mozzicone ardente della prima. Il “quadro generale” andò a fuoco.


I dossier erano la vendetta di Sol contro la Commissione. Era una sorta di penitenza deviata: Sol scriveva calunnie di tendenze destrorse e nel frattempo scavava fango per una futura rivalsa.


Il dossier numero 3 raccoglieva altre foto: assegni annullati, ricevute di versamento e comunicazioni bancarie. Pete scostò il piatto: quello sì che era materiale di prima scelta.


Appunti di Sol Maltzman: “Le implicazioni politiche del prestito di 200.000 dollari effettuato nel 1956 da Howard Hughes a favore di Donald Nixon, fratello di Richard, sono sconcertanti, specialmente se si considera che Nixon dovrebbe essere il candidato repubblicano alle presidenziali del ‘60. Si tratta di un chiaro caso di tangente politica versata da un industriale immensamente ricco. Può essere supportato da prove indiziarie che riportino esempi facilmente dimostrabili di decisioni politiche nixoniane direttamente favorevoli a Hughes“.


Pete ricontrollò le prove documentarie. Erano solide, dall’inizio alla fine.


Il suo cibo era diventato freddo. Il sudore gli aveva trasformato la camicia inamidata in un ammasso di cenci.


Le informazioni riservate erano un gran brivido del cazzo.


 


Era una giornata di 8 e di assi: una mano con cui non poteva proseguire né chiudere.


Poteva aggrapparsi ai retroscena Hughes-Nixon. Poteva affidare a Gail i compiti di Sol: aveva già lavorato in redazione, e in ogni caso si stava stancando dei ricatti.


Il membro della Commissione significava un poker d’assi, ma le motivazioni economiche non lo interessavano. La comparsa in scena di Kemper Boyd gli aveva fatto tendere le antenne.


Pete raggiunse l’Hotel Miramar e osservò il parcheggio. L’auto di Boyd era nascosta nei pressi della piscina. Numerose donne in costume da bagno prendevano il sole: aveva svolto sorveglianze peggiori.


Le ore si trascinavano lente. Le donne andavano e venivano.


Scese il crepuscolo, e gli impedì di proseguire.


Gli tornò in mente Miami: taxi tigrati e alligatori famelici.


18. 18,30. 19. 19,22: Boyd e lo stramaledetto Ward Littell a passeggio ai bordi della piscina.


Salirono sull’auto a noleggio di Boyd. Presero Wilshire Boulevard in direzione est.


Littell era il Gattino Spaventato, Boyd il Furbo Gattone. Via dei Ricordi: i due federali e Pete si conoscevano da tempo.


Pete si immise nel traffico e prese a seguirli. Una processione di due auto: a est su Wilshire, svolta su Barrington, poi a nord fino a Sunset. Pete si manteneva a distanza e cambiava corsia di continuo: i pedinamenti automobilistici l’avevano sempre eccitato.


Era un esperto. Boyd non si era accorto di nulla.


Proseguirono su Sunset verso est: Beverly Hills, lo Strip, Hollywood.


Boyd svoltò a nord su Alta Vista e parcheggiò nel mezzo di un isolato di villette di gesso.


Pete accostò al marciapiede tre case più in là. Boyd e Littell scesero dall’auto; un lampione stradale li illuminò.


Si infilarono i guanti. Afferrarono due torce elettriche. Littell aprì il bagagliaio e ne estrasse una cassetta degli attrezzi.


Raggiunsero la porta di una villetta rosa, scassinarono la serratura ed entrarono.


I raggi delle torce si incrociavano alle finestre. Pete fece un’inversione a “U” e individuò il numero della casa: 1541 North.


Doveva trattarsi di un’intercettazione.


La luce del salotto si accese. I due bastardi procedevano senza timore di dare nell’occhio.


Pete consultò l’elenco telefonico speciale che teneva sul sedile posteriore. Lo sfogliò alla luce del cruscotto.


Il 1541 di North Alta Vista corrispondeva a Darleen Shoftel, HO 3 6811.


Lavoretti di quel genere portavano via più o meno un’ora: avrebbe potuto rintracciarla tramite l’ufficio informazioni della Contea. Vide un telefono pubblico all’angolo: poteva chiamare e nel contempo tenere d’occhio la casa.


Raggiunse l’apparecchio e compose il numero della Contea.


Karen Hiltscher rispose subito. Pete ne riconobbe subito la voce.


— Ufficio informazioni.


— Karen, sono Pete Bondurant.


— Mi hai riconosciuta dopo tutto questo tempo?


— Hai una voce inconfondibile. Senti, mi puoi fare un controllo veloce?


— Suppongo di sì, anche se non sei più un vicesceriffo e in realtà non dovrei.


— Sei un’amica.


— Altroché, specialmente ripensando a come… — Si chiama Darleen Shoftel. Dar-l-e-e-n S-ho-f-te-l. Ultimo domicilio conosciuto, 1541 North Alta Vista, Los Angeles.


Controlla tutti… — So io che cosa fare, Pete. Rimani in linea.


Pete attese. Le luci della casa scintillavano alla fine dell’isolato: spioni federali al lavoro.


Karen tornò in linea. — Darleen Shoftel, donna bianca, data di nascita 9.3.32. Nessun problema, nessun mandato, nessun precedente. Non ha niente in ballo con la Motorizzazione, ma la buoncostume di West Hollywood ha un dossier azzurro su di lei. Una sola annotazione, datata 14.8.57. Una lamentela presentata dai gestori della Dino’s Lodge. Adescava clienti all’interno del locale. È stata interrogata e rilasciata. L’investigatore la descrive come una “squillo di lusso”.


— Tutto qui?


— Non è male, per una semplice telefonata.


Pete riagganciò. Vide le luci della casa spegnersi e controllò l’orologio.


Boyd e Littell uscirono e caricarono l’auto. Sedici minuti netti: un record mondiale.


Ripartirono. Pete si appoggiò all’apparecchio e si dipinse lo scenario.


Sol Maltzman aveva un suo piano all’insaputa dei federali.


Boyd era giunto in città per metterlo sul chi vive riguardo all’omicidio Gretzler e per piantare qualche cimice nell’abitazione di una squillo. Boyd era un abile bugiardo: “Ho accesso alla Commissione McClellan“.


Boyd sapeva che lui aveva fatto fuori Gretzler, un testimone della Commissione. Boyd l’aveva detto a Hoover. Non me ne frega un cazzo, aveva risposto Hoover.


L’auto di Boyd, pagata dalla Commissione McClellan. Hoover: si sapeva che odiava Bobby Kennedy e che era il re dei sotterfugi.


Boyd, abile e colto: probabilmente un ottimo infiltrato.


Domanda numero 1: l’infiltrazione è collegata alle cimici in casa Shoftel? Domanda numero 2: se tutto questo si traduce in denaro, chi firma il mio assegno?


Forse Jimmy Hoffa, il principale obiettivo della Commissione McClellan. Fred Turentine avrebbe potuto allacciarsi all’intercettazione federale e mettersi all’ascolto.


Pete vide i simboli del dollaro allinearsi come la vincita di una slot machine.


 


Tornò a casa. Gail era sul portico. La brace della sua sigaretta si agitava nel buio: non riusciva a stare ferma.


Pete parcheggiò e si diresse verso casa. Diede un calcio a un posacenere pieno e spedì i mozziconi su un cespuglio di rose di prima qualità.


Gail arretrò. Pete mantenne un tono di voce tranquillo e sommesso.


— Da quanto sei qui fuori?


— Da ore. Sol ha chiamato ogni dieci minuti, implorando di restituirgli i suoi dossier. Dice che glieli hai rubati e l’hai picchiato.


— Questioni di affari.


— Era agitatissimo. Non sono riuscita a capire.


Pete le sfiorò le braccia. — Fa freddo. Entriamo.


— No. Non voglio.


— Gail… Lei si ritrasse. — No! Non voglio tornare in quell’orribile casa!


Pete si fece schioccare le nocche. — Ci penso io a Sol. Non ti darà più fastidio.


Gail scoppiò a ridere: un suono stridulo, strano e chissà cos’altro. — Lo so, non lo farà.


— Cosa vuoi dire?


— Voglio dire che è morto. L’ho richiamato per cercare di calmarlo, e ha risposto un poliziotto. Sol si è sparato.


Pete si strinse nelle spalle. Non sapeva che fare con le mani.


Gail raggiunse di corsa la sua auto. Uscendo dal vialetto, fece grattare le marce e per poco non investì una donna con una carrozzina.


Capitolo 5