HELEN
Estratto da "Il commesso"
Bernard Malamud
Dato che non la si vedeva mai, lui stava con le orecchie tese e gli occhi aperti. Quando la
sentiva scendere le scale andava alla vetrina per vederla uscire; cercava di far finta di nulla,
come se non stesse spiando, nel caso lei si voltasse e lo vedesse, ma la ragazza non lo fece
mai, come se niente di quel luogo le fosse abbastanza gradito da voltarsi a guardarlo.
Aveva un viso grazioso, i seni piccoli, una bella figura, curata: come se si fosse scelta lei
quell’aspetto. Gli piaceva osservare il suo passo rapido e un po’ goffo finché girava
l’angolo. Nella sua andatura c’era una carica erotica, un ancheggiamento insolito, come se
potesse all’improvviso deviare da una parte, mentre procedeva avanti. Aveva le gambe
appena appena arcuate, ed era forse questo a rendere seducente il passo. Gli restava in
mente anche dopo che aveva girato l’angolo: le gambe, i seni piccoli e il reggiseno rosa che
li copriva. Magari Frank stava leggendo qualcosa o era sdraiato sulla schiena sul divano a
fumare, e lei gli si accampava nella mente nell’atto di camminare per quel tratto di strada.
Non aveva bisogno di chiudere gli occhi per vederla. Voltati, le diceva lui ad alta voce, ma
nella sua immaginazione lei non si girava.
Per vederla di fronte, la sera, restava accanto alla vetrina illuminata, ma spesso prima che
gli riuscisse di scorgerla lei stava salendo le scale o era già in camera sua a cambiarsi, e per
quel giorno la possibilità di vederla era svanita. Rincasava alle sei meno un quarto circa, a
volte un po’ prima, e Frank cercava di farsi trovare accanto alla vetrina per quell’ora, cosa non troppo facile perché proprio allora entravano i pochi clienti che facevano la spesa da
Morris per cena. Perciò la vedeva tornare dal lavoro di rado, benché la sentisse sempre
salire le scale. Un giorno il movimento nel negozio era minore del solito, alle cinque e mezzo
non c’era più niente da fare, e Frank si disse: «Oggi la vedo». Si pettinò i capelli in gabinetto
per non farsi accorgere da Ida, si mise il grembiule pulito, accese una sigaretta e si piazzò
bene in vista accanto alla vetrina illuminata. Alle sei meno venti, un attimo dopo che aveva
praticamente buttato fuori di bottega una cliente, una signora che era capitata là dentro
scendendo dal tram, vide Helen voltare l’angolo dove c’era il negozio di Sam Pearl. Il suo
viso era più grazioso di come se lo rammentava. Frank sentì la gola contrarglisi, vedendola
giungere a pochi passi da lui, gli occhi azzurri, i capelli castani che portava abbastanza
lunghi, con quel suo modo distratto di ravviarseli all’indietro per toglierseli dal viso. Pensò
che non sembrava un’ebrea; tanto meglio. Ma aveva l’espressione scontenta, la bocca un
po’ tirata. Pareva pensasse a qualcosa che non aveva speranza di ottenere. Frank si
intenerì, e quando Helen alzò gli occhi e vide il suo sguardo fisso su di lei, il viso dell’uomo
mostrava chiaramente l’emozione. Probabilmente ne fu infastidita, perché affrettò il passo
fino all’entrata senza più degnarlo d’uno sguardo, e scomparve.
Il mattino dopo non la vide - come se gli fosse sfuggita di proposito - e la sera stava
servendo qualcuno quando lei rincasò. Con disappunto, udì sbattere la porta. Dopo si sentì
depresso. Ogni occhiata perduta, per uno che viveva di sguardi, era una perdita
irrimediabile.