giovedì 13 settembre 2018


SOLAR
Ian McEwan

Parte prima

  2000
  * * † * *
   Apparteneva a quella categoria di uomini tendenzialmente spiacevoli, quasi sempre calvi, bassi, grassi, intelligenti che, per ragioni misteriose, attraggono certe belle donne. O cosi credeva, e pensarlo pareva bastare. Aiutava inoltre il fatto che alcune lo considerassero un genio bisognoso di redenzione. Ma l'attuale Michael Beard era un soggetto in condizioni mentali limitate, anedonico, monotematico, sofferente. Il suo quinto matrimonio si andava disgregando e lui avrebbe dovuto sapere come comportarsi, assumere una prospettiva lungimirante, riconoscere la propria colpa. I matrimoni, i suoi perlomeno, non si susseguivano forse l'uno all'altro al pari di fenomeni ondosi, o di maree? L'ultimo tuttavia era diverso. Non sapeva come comportarsi, la lungimiranza lo amareggiava e per una volta non aveva colpe da attribuirsi, a suo modo di vedere.


  Qui era sua moglie ad avere una relazione e anche in forma scoperta, punitiva e chiaramente senza il benché minimo rimorso. Lui intanto, travolto da una ridda di emozioni, si scopriva dentro momenti di intenso desiderio e di vergogna.

  Patrice si vedeva con un muratore, il loro muratore, quello che aveva rasato i muri di casa, montato la cucina a incastro, piastrellato il bagno, quello stesso individuo massiccio che una volta, durante una pausa di lavoro, gli aveva mostrato una foto del suo villino in finto Tudor, personalmente ristrutturato e rinascimentalizzato, con tanto di fuoribordo su carrello sotto il lampione in stile vittoriano nel vialetto in calcestruzzo, e perfino lo spazio su cui sarebbe sorto il monumento alla tradizionale cabina telefonica rossa ormai in pensione.

  Beard non si capacitava di quanto potesse rivelarsi complesso il ruolo del cornuto. L'infelicità non era facile.

  Che nessuno si azzardasse a sostenere che a quello stadio dell'esistenza era diventato immune a esperienze nuove. Se l'era meritato. Le quattro mogli precedenti, Maisie, Ruth, Eleanor, Karen, che tuttora nutrivano un remoto interesse per la sua vita, avrebbero esultato, perciò sperava che non venissero a saperlo.

  Nessuno dei suoi matrimoni era durato più di sei anni e l'essere rimasto senza figli costituiva una sorta di successo personale. Le mogli, intuendo per tempo quanto fosse misera o spaventosa la prospettiva di paternità che Michael aveva da offrire, si erano protette chiamandosi fuori.

  Gli piaceva pensare che, se le aveva fatte soffrire, non era mai stato per molto tempo; del resto, l'aver conservato rapporti civili con tutte le sue ex doveva pur significare qualcosa. Non con l'attuale consorte, tuttavia.

  In tempi migliori, avrebbe potuto prevedere da parte propria l'adozione tutta maschile di una politica dei due pesi e delle due misure, con accessi di furia micidiale, magari un episodio di schiamazzi ubriachi in cortile a notte fonda o la devastazione dell'auto di lei, accanto alla meticolosa ricerca di una partner più giovane, una soluzione alla muoia Sansone con tutti i filistei applicata al tempio coniugale.

  Si ritrovava invece paralizzato dalla vergogna, dalla portata della sua umiliazione. Peggio ancora: sorprendeva se stesso preda di una sconveniente voglia di lei.

  Di recente, il desiderio per Patrice lo aggrediva di punto in bianco, come un attacco di crampi allo stomaco. Era costretto ad appartarsi e aspettare che passasse.

  A quanto sentiva, esiste una specie di marito che trova eccitante il pensiero della propria moglie con altri uomini. Tipi simili possono farsi legare, imbavagliare e chiudere dentro l'armadio della camera da letto mentre la loro dolce metà ci dà dentro poco lontano. Che Beard si fosse alla fine scoperto un'indole sessualmente masochista.

  Nessuna donna gli era mai sembrata, a gesti o a parole, desiderabile quanto la moglie che all'improvviso non poteva più avere.

  Si recò platealmente a Lisbona a trovare una vecchia amica, ma furono tre notti malinconiche. Aveva bisogno di riavere sua moglie, e non osava rischiare di alienarsela a furia di urla, minacce o magistrali momenti di follia. Del resto non era neanche tipo da supplicare. Si sentiva bloccato, vigliacco, non riusciva a pensare ad altro.

  Forse che al primo biglietto.

  “ Stasera mi fermo da R. P. “

  Si era precipitato all'ex villino comunale in finto Tudor con motoscafo, coperto da telo e fermo su carrello e vasca idromassaggio allestita in giardino lillipuziano, per fracassare la testa dell'altro a colpi di chiave inglese.

  No, aveva guardato la televisione per cinque ore con il cappotto addosso, e si era scolato due bottiglie di vino tentando di non pensare. Senza riuscirci.

  Ma pensare era l'unica cosa che gli restava. Venute a conoscenza delle sue relazioni, le altre mogli si erano infuriate, chi con freddezza chi con crisi di pianto, quindi avevano preteso interminabili discussioni fino alle prime ore del mattino per dare sfogo alle loro opinioni sul concetto di fiducia tradita e poi concludere con le loro richieste riguardo alla separazione e ai successivi accordi.

  Al contrario, quando Patrice lesse per caso alcune email di Suzanne Reuben, una matematica della Humboldt University di Berlino, la sua reazione fu di una innaturale euforia.

  Il pomeriggio stesso trasferì il proprio guardaroba nella stanza degli ospiti. Far scorrere le porte dell'armadio e avere conferma dell'accaduto fu uno shock per Michael. Si rese conto che quelle file di abiti in cotone e seta avevano costituito un lusso e un conforto, come altrettante versioni di Patrice allineate in bell'ordine, in attesa di compiacerlo. Tutto finito. Perfino le grucce erano sparite.

  Quella sera, lei si mostrò sorridente nel corso di tutta la cena, gli spiegò che desiderava sentirsi a sua volta «libera» e, in capo a una settimana, aveva dato inizio alla sua relazione. Che doveva fare un uomo di fronte a tanto.

  Un mattino a colazione le chiese scusa, le disse che la propria scappatella non aveva nessuna importanza, si profuse in promesse sensazionali che credeva sinceramente di poter mantenere.

  Fu quanto di più vicino a una supplica gli riuscì di formulare.

  Lei ribatté dicendo che il suo comportamento non le dava fastidio. Faceva lo stesso anche lei e a quel punto gli rivelò l'identità del suo amante, il muratore dal losco nome di Rodney Tarpin, quindici centimetri in più e vent'anni in meno del cornuto, uno le cui letture, come ebbe a confessare orgogliosamente al tempo in cui svolgeva per la famiglia Beard l'umile compito di stuccatore e livellatore di muri, si riducevano alle pagine sportive di un quotidiano popolare. Lo stress di Beard si manifestò inizialmente attraverso episodi di dismorfismo, o forse fu vero il contrario, vale a dire che Beard si ritrovò all'improvviso guarito da tale disturbo.

  Finalmente, si riconobbe per quello che era. Essendogli capitato di uscire dalla doccia e di cogliere di sfuggita una rosea sagoma conica sulla superficie appannata dello specchio a figura completa, Michael passò la mano sul vetro, vi si piazzò di fronte e si rivolse un'occhiata incredula.

  Quali meccanismi di autoconvincimento potevano averlo indotto per tanti anni a pensare che quella forma fisica fosse attraente?

  L'assurdo avanzo di chioma ad altezza lobo dell'orecchio che eroicamente contrastava la sua calvizie, il recente festone di adipe che gli penzolava sotto le ascelle, l'ottusa innocenza del turgore accumulato su stomaco e didietro.

  Un tempo era stato in grado di migliorare il proprio corpo riflesso tirando indietro le spalle, rizzando la testa, contraendo gli addominali. Ma ormai uno strato di grasso drappeggiava tutti i suoi sforzi.

  Che possibilità aveva di tenersi accanto una donna giovane e bella come lei Si era onestamente convinto che bastasse il prestigio, che il Premio Nobel potesse tenerla dentro il suo letto? Una volta nudo, si riduceva a uno scandalo, un deficiente, un rammollito.

  Una serie da otto flessioni consecutive era già troppo per lui.

  Laddove Tarpin riusciva a fare di corsa le scale fino alla camera da letto dei Beard con un sacco di cemento da cinquanta chili sotto il braccio. Cinquanta chili? Ma quello era più o meno il peso di Patrice.

  Lei lo teneva a distanza con micidiale allegria. Erano supplementi di offesa tanto i suoi cinguettanti saluti, quanto il dettagliato elenco dei suoi impegni domestici e dei movimenti serali, e dire che nulla di tutto ciò avrebbe avuto importanza se fosse riuscito a disprezzarla un tantino e a pianificare di scaricarla.

  A quel punto si sarebbero potuti dedicare al breve e raccapricciante smantellamento di un matrimonio senza figli durato cinque anni. Era chiaro che lei lo stava punendo, ma quando Beard azzardò l'ipotesi, la reazione fu una scrollata di spalle e il commento che si sarebbe potuto benissimo sostenere altrettanto di lui.

  Chiaramente non aspettava altro che quell'occasione, le disse, al che lei rise e replicò che in tal caso gliene era riconoscente.

  In preda a uno stato confusionale, Beard si convinse di aver trovato la moglie perfetta nel momento preciso in cui la stava perdendo.

  Quell'estate del 2000, Patrice aveva cambiato modo di vestirsi, si aggirava per casa diversa dal solito: jeans stretti scoloriti, sandali infradito, un vecchio golf rosa sopra una maglietta di cotone, capelli biondi tagliati corti, gli occhi azzurro chiaro improvvisamente più inquieti e più blu.

  Essendo di corporatura minuta, adesso sembrava una ragazzina. Dalle borse sgargianti con manici in corda lasciate vuote sul tavolo insieme alla carta velina affinché lui le potesse trovare, dedusse che si stava comprando biancheria nuova da farsi levare di dosso da Tarpin. Con i suoi trentaquattro anni suonati, Patrice conservava la freschezza fruttata di una ventenne.

  Con lui non scherzava, né faceva moine, né lo sfotteva il che sarebbe comunque stata una forma di comunicazione ; si limitava a perfezionare con metodo l'indifferenza lampante con la quale intendeva annientarlo.

  Era necessario smettere di ritenerla necessaria; ma con il desiderio le cose stavano diversamente. Lui voleva avere voglia di lei.

  Una notte afosa, sdraiato fuori dalle lenzuola, Beard cercò nella masturbazione una via verso la libertà.

  Lo irritò constatare di non riuscire a vedersi i genitali a meno di tenere la testa appoggiata su due cuscini; inoltre la sua fantasia erotica era costantemente interrotta da Tarpin il quale continuava ad aggirarsi sulla scena, come un cretino addetto alla pulizia del teatro che si presenti armato di secchio e scala a pioli.

  Esisteva sulla faccia del pianeta un altro individuo, oltre a lui, impegnato in quel momento a darsi piacere fantasticando sulla propria moglie che stava pochi metri più in là, in fondo al pianerottolo La domanda svuotò di senso la sua determinazione.

  E poi faceva troppo caldo. Gli amici erano soliti ripetergli che Patrice somigliava a Marilyn Monroe, perlomeno da certe angolazioni e sotto una certa luce. Lui accoglieva con gioia il paragone prestigioso, ma non era mai riuscito a trovarlo calzante.

  Ora ci riusciva. Patrice era cambiata. C'era un turgore nuovo nel suo labbro inferiore, la promessa di guai nel suo sguardo schivo, mentre i capelli corti le si accomodavano sulla nuca in riccioli fuori moda, seducenti.

  Era di certo più bella della Monroe, quando il sabato e la domenica fluttuava tra casa e giardino in una bionda foschia di rosa e di azzurri.

  Che gioco cromatico infantile, quello di cui si era innamorato, e alla sua età, per giunta. Aveva compiuto cinquantatre anni a luglio senza che lei naturalmente registrasse l'evento, salvo poi fingere di ricordarsene tre giorni dopo, con la spensieratezza ostentata negli ultimi tempi.

  Gli regalò una cravatta verde menta carico di quelle con il nodo grosso, dicendogli che lo stile anni Sessanta era tornato di moda.

  Eh si, i weekend erano i momenti peggiori.

  Patrice si presentava nella stanza dove stava lui, senza aver voglia di parlare, ma forse con il desiderio di farsi vedere e, dopo essersi guardata intorno un po' sorpresa, si dileguava. Stava rivalutando da capo ogni cosa, non solo lui.

  A Beard capitava di vederla in fondo al giardino, sotto l'ombra cupa dell'ippocastano, sdraiata sull'erba con i giornali, in attesa che incominciasse la serata.

  Dopodiché si ritirava nella stanza degli ospiti a farsi la doccia, vestirsi, truccarsi e profumarsi. Come se gli leggesse nel pensiero, si applicava uno strato abbondante di rossetto rosso.

  Magari Rodney Tarpin incoraggiava la somiglianza con Marilyn un cliché che a questo punto Michael era costretto a condividere. Se era ancora a casa quando lei usciva (si sforzava in tutti i modi di tenersi le sere impegnate) gli risultava irresistibile incrementare il suo senso di desiderio struggente osservandola da una finestra del piano di sopra, per vederla tuffarsi nell'aria di Belsize Park e percorrere il sentiero del giardino che slealtà da parte del cancelletto arrugginito, cigolare nel modo di sempre e infine salire sulla sua auto, una frivola Peugeot nera di piccola cilindrata, con un bello scatto in ripresa.

  Patrice era talmente dinamica mentre dava gas al motore e si scostava dal cordolo; Michael sentiva la propria douleur raddoppiare, ben sapendo che lei sapeva che la stava osservando. Poi la sua assenza persisteva nel crepuscolo estivo, come il fumo di un falò nel giardino di casa, un invisibile particolato erotico che lo costringeva a restare di guardia ancora per molti insensati minuti.

  Non era pazzo, continuava a ripetersi, ma un assaggio, un'amara sorsata di follia, li aveva provati. A impressionarlo era la sua capacità di non pensare ad altro.

  Mentre leggeva un libro, teneva un discorso, in realtà era a lei che pensava, oppure a lei e Tarpin.

  Restare a casa quando Patrice andava a trovare l'amante era una pessima idea; d'altra parte, dopo Lisbona, gli era del tutto passata la voglia di mettersi in cerca di vecchie fiamme. Accettò invece una serie di conferenze serali sulla teoria quantistica dei campi, presso la Royal Geographical Society, partecipò a dibattiti radiofonici e televisivi, e di tanto in tanto sostituì qualche collega malato.

  Si illudessero pure del contrario i vari filosofi della scienza; la fisica restava libera da ogni contaminazione umana: descriveva un mondo che sarebbe esistito anche in assenza di uomini e donne e di tutte le loro sofferenze.

  Su questo punto Beard era in perfetto accordo con Albert Einstein.

  Ma anche quando cenava tardi con gli amici, di solito rincasava prima di lei, e si vedeva costretto, volente o nolente, ad aspettare il suo ritorno dopo il quale peraltro non succedeva nulla.

  Patrice saliva direttamente a dormire, e lui si rintanava a sua volta in camera, per non incontrarla sulle scale in condizioni di spossatezza postcoitum.

  Era quasi meglio quando si fermava da Tarpin.

  Quasi, ma gli costava una notte di sonno.

  Una notte di fine luglio, verso le due, Beard era sul letto in vestaglia ad ascoltare la radio, quando la senti rientrare e d'impulso improvvisò una sceneggiata allo scopo di ingelosirla, demolire la sua sicurezza e metterle voglia di tornare da lui.

  Al notiziario internazionale della Bbc, una reporter illustrava le usanze dei villaggi curdi in Turchia spiegando come queste influenzino la vita domestica: un ronzio suadente che riferiva di crudeltà, insensatezza e ingiustizie.

  Abbassando il volume, senza staccare le dita dalla manopola, Beard intonò un frammento di filastrocca. Immaginò che, dall'altra stanza, Patrice avrebbe sentito la sua voce, senza distinguere le parole.

  Appena ebbe finito la frase, alzò per qualche secondo il volume della voce femminile per interromperlo ancora con un rigo della conferenza che aveva tenuto quella sera, lasciando poi alla donna uno spazio più ampio per la risposta.

  Continuò il giochetto per circa cinque minuti: la sua voce, quindi quella della reporter, talvolta anche sapientemente sovrapposte. La casa taceva, in ascolto, evidentemente. Beard entrò in bagno, apri un rubinetto, tirò lo sciacquone e scoppiò in una bella risata. Patrice doveva sapere che la sua amante era spiritosa.

  Poi finse di soffocare un'esclamazione impellente. Patrice doveva sapere che lui se la stava spassando. Non dormi molto quella notte. Alle quattro, dopo un prolungato silenzio che doveva suggerire una quieta intimità, apri la porta della sua stanza improvvisando un mormorio insistente, e scese le scale alla rovescia, chinandosi per battere con le mani sugli scalini il ritmo dei presunti passi della sua compagna, alternati ai suoi. Ecco il piano logico cui solo una mente malata avrebbe potuto aderire.

  Dopo aver accompagnato la sua ospite all'ingresso, averla salutata con uno scambio di baci silenziosi e aver chiuso la porta dietro di lei con una determinazione che risuonò per tutta la casa, Beard tornò di sopra e si assopì finalmente alle sei passate, ripetendosi piano: «Ride bene chi ride ultimo».

  Un'ora dopo era in piedi, per essere certo di imbattersi in Patrice prima che uscisse per andare al lavoro, e per mostrarle l'entità del suo improvviso buonumore. Già sulla soglia di casa con le chiavi dell'auto in mano, lei si fermò: la cinghia della cartella strapiena di libri le segava la spalla della camicetta a fiori.

  Non c'era dubbio: era sconvolta, sfinita, a dispetto del timbro di voce squillante come al solito. Gli disse che quella sera intendeva invitare a cena Rodney il quale poi si sarebbe probabilmente fermato a dormire, e perciò avrebbe gradito se lui, cioè Michael, si fosse tenuto alla larga dalla cucina. Il caso volle che quello fosse il giorno in cui Beard si doveva recare al Centro, a Reading.

  Frastornato dalla stanchezza, cominciò il viaggio fissando dal finestrino sporco del treno il prodigioso miscuglio di caos e monotonia offerto dalla periferia londinese, e maledicendo se stesso per la follia commessa. Era dunque venuto il suo turno di origliare da una stanza all'altra? Impossibile, si sarebbe fermato fuori, da qualche parte.

  Cacciato di casa dall'amante della moglie Impossibile, sarebbe rientrato per affrontarlo. Una scazzottata con Tarpin?

  Impossibile, si sarebbe ritrovato steso sul palchetto d'ingresso. Evidentemente non era in condizioni di decidere alcunché né di ideare strategie, perciò da quel momento avrebbe dovuto tener conto dell'inaffidabilità del suo stato mentale e agire prudenzialmente, esponendosi il meno possibile, con onestà, senza infrangere regole, senza concedersi gesti estremi.

  Di li a qualche mese avrebbe violato ogni singolo articolo di tale risoluzione, ma per il momento fu tutto dimenticato entro l'ora di cena, perché Patrice tornò dal lavoro senza aver fatto la spesa (il frigo era vuoto) e il muratore non venne.

  Beard la vide una sola volta quella sera: attraversava l'ingresso con in mano un tazzone di tè e aveva l'aria grigia e derelitta, meno simile a un'icona del cinema che a una maestra elementare esausta, con una vita privata in frantumi.

  Che si fosse sbagliato, rimproverandosi tanto aspramente durante il viaggio in treno, che il suo piano avesse in effetti funzionato e Patrice, disperata, si fosse vista costretta ad annullare tutto.

  Riflettendo sulla sera precedente, reputò straordinario il fatto che, dopo un'intera esistenza passata a collezionare infedeltà, la serata con una partner immaginaria avesse dato esiti non meno eccitanti.

  Per la prima volta da settimane provò una vaga allegria, fischiettò perfino la sigla di un programma mentre si riscaldava la cena al microonde e, cogliendo la propria immagine nello specchio dorato stile Luigi XIV appeso nel guardaroba al pianterreno, pensò che la sua faccia si era un po' affilata e aveva assunto un'espressione risoluta, rivelando, alla luce di una lampadina da trenta watt, l'ombra di uno zigomo e una certa nobiltà, grazie forse agli effetti abbatticolesterolo della bevanda allo yogurt dolcificato che si costringeva a ingoiare ogni mattina.

  Quando si ritirò in camera, tenne la radio spenta e, sdraiato sul letto a luci basse, attese di udire il picchiettio mortificato delle unghie di lei sulla porta.

  Non accadde, ma non ne fu turbato. Che passasse pure una notte in bianco, a tirare le somme della vita e di quello che davvero conta, che provasse a depositare sui piatti della bilancia, da un lato il calloso Tarpin con la sua barca incappucciata, e dall'altro l'etereo Beard con la sua fama planetaria.

  Le cinque sere successive Patrice rimase a casa, per quanto ne seppe, mentre lui fu impegnato in conferenze e in una serie di incontri e di cene e, rientrando, di solito dopo la mezzanotte, si augurava che il suo passo sicuro potesse dare alle stanze buie l'impressione di un uomo di ritorno da un convegno segreto.

  La sesta sera, Beard finalmente non dovette uscire, ma lo fece lei, dopo aver trascorso più tempo del consueto tra doccia e asciugacapelli.

  Dalla sua postazione, una piccola finestra incassata nella parete dell'ammezzato, lui la osservò percorrere il sentiero del giardino e sostare accanto a un ciuffo alto di malvone vermiglio, fermarsi come per una riluttanza a proseguire e allungare una mano a esaminare" un fiore.

  Lo colse, schiacciandolo tra le unghie appena laccate di pollice e indice, lo tenne un istante in osservazione, e infine se lo lasciò cadere ai piedi. L'abito estivo, in seta beige, sbracciato, con un solo piegone sul dietro, era nuovo: un segnale che Beard non era sicuro di saper interpretare.

  Patrice prosegui verso il cancello e lui vide una certa fatica nei suoi passi, o comunque un ridursi della abituale impazienza, finché la Peugeot si staccò dal cordolo a velocità pressoché normale.

  Quella sera tuttavia, aspettando in casa, fu meno contento, di nuovo incerto su come pensarla, di nuovo propenso a credere di avere avuto ragione allora, quando riteneva che lo scherzetto della radio l'avesse rovinato. Per chiarirsi le idee si versò uno scotch e guardò una partita.

  Non cenò, ma si concesse una vaschetta da un litro di gelato alla fragola, sgranocchiandosi intanto un mezzo chilo di pistacchi. Era inquieto, lo turbava un bisogno sessuale indefinito, e si trovò a concludere che tanto valeva iniziare o recuperare una relazione vera e propria. Si intrattenne per un poco sfogliando le pagine della sua agendina, fissò a lungo il telefono, ma non si decise ad alzarlo.

  Bevve mezza bottiglia e, prima delle undici, si addormentò vestito sul letto, con la luce accesa, tanto che gli ci vollero alcuni secondi per capire dove si trovava quando, qualche ora dopo, fu svegliato dal suono di una voce proveniente dal piano di sotto. L'orologio sul comodino segnava le due e mezza.

  Era Patrice che parlava con Tarpin, e Beard, ancora ringalluzzito dall'alcol, si sentiva pronto a scambiare due chiacchiere.

  Raggiunse stordito il centro della stanza, barcollando un po' mentre si infilava la camicia dentro i pantaloni. Apri la porta senza fare rumore.

  Le luci in casa erano tutte accese, e gli stava bene cosi: già scendeva le scale senza preoccuparsi delle conseguenze.

  Patrice stava ancora parlando e, mentre attraversava l'ingresso per dirigersi alla porta aperta del soggiorno, gli sembrò di sentirla ridere o cantare; a quanto pareva, stava per interrompere un piccolo festeggiamento.

  Invece lei era sola e piangeva, rannicchiata sul divano con le scarpe abbandonate di traverso sul lungo tavolino di cristallo. Emetteva un rumore strano, doloroso, soffocato. Se mai aveva pianto in questo modo per lui, doveva essere successo in sua assenza.

  Beard si fermò sulla soglia e in un primo tempo lei non lo vide. Che scena penosa. Si tormentava tra le mani un fazzoletto o un kleenex, le esili spalle chine sussultavano, e Beard si commosse.

  Percepì la possibilità reale di una riconciliazione; a Patrice occorreva solo una carezza, qualche parola gentile e nessuna domanda, per abbandonarsi tra le braccia di lui, che l'avrebbe presa e portata di sopra, anche se nemmeno in quell'improvviso slancio d'amore Beard potè dimenticare che non ce l'avrebbe mai fatta, neanche usandone due di braccia. Appena mosse i primi passi nella stanza, un asse del pavimento scricchiolò e lei si volse.

  I loro sguardi si incrociarono, ma fu questione di un attimo, perché subito le sue mani si precipitarono al viso per nasconderlo, mentre si girava in direzione opposta.

  Beard pronunciò il suo nome e lei scosse la testa. Dandogli le spalle, si alzò malamente dal divano e procedendo quasi di lato, inciampò sulla pelle d'orso bianco che aveva il difetto di scivolare facilmente sul palchetto incerato.

  Una volta era mancato poco che Beard ci rimettesse una caviglia, e da allora non poteva soffrire quel tappeto.

  Ne detestava anche la bocca spalancata, famelica, e le zanne nude ingiallite per la prolungata esposizione alla luce. Ad assicurarlo al pavimento non avevano mai provveduto, e buttarlo via era fuori questione, trattandosi di un regalo di nozze del padre di lei. Recuperata la stabilità, Patrice si ricordò di raccogliere le scarpe e, coprendosi gli occhi con la mano libera, gli passò accanto di corsa, si sottrasse al suo tentativo di sfiorarle il braccio, tornò a scoppiare in lacrime, ormai più liberamente, e si precipitò su per le scale.

  Beard spense le luci nella stanza e si sdraiò sul divano.

  Inutile seguirla, dato che lei non lo voleva, e poi non aveva importanza al momento, perché comunque aveva visto quel che c'era da vedere. Era arrivata troppo tardi la sua mano, a nascondere il livido che da sotto l'occhio destro si espandeva sulla parte alta della guancia, dove il nero sfumava nel rosso acceso dei bordi e gonfiava la palpebra inferiore spingendola a forza contro l'altra.

  Diede in un rumoroso sospiro di rassegnazione. Era inevitabile, il suo dovere era chiaro: doveva mettersi in macchina subito, raggiungere Cricklewood, appendersi al campanello, tirare Tarpin giù dal letto e dargli una lezione proprio li, sotto la finta lampada a petrolio, sorprendere l'odiato rivale con una stupefacente manifestazione di prontezza e determinazione.

  Riconsiderò l'intera sequenza a occhi socchiusi, soffermandosi sul dettaglio del suo destro che sfondava la cartilagine del naso di Tarpin, dopodiché, senza correggere più molto, rivalutò la scena a occhi chiusi e non si mosse da quella posizione fino al mattino dopo, quando a svegliarlo fu il rumore della porta che accompagnava l'uscita di Patrice, diretta al lavoro.

  A Beard era stata conferita una cattedra ad honorem presso l'Università di Ginevra, dove tuttavia non insegnava; autorizzava l'utilizzo del proprio nome e titolo Professor Beard, Premio Nobel su carta intestata e per istituzioni varie, aderiva con una firma a «iniziative» di livello internazionale, faceva parte di una Royal Commission per la raccolta di fondi destinati alla ricerca scientifica, concedeva interventi informali alla radio su Einstein, i fotoni o la meccanica quantistica, dava una mano nella richiesta di sovvenzioni, era consulente di tre riviste specialistiche, stendeva lettere di presentazione e peer reviews, si interessava alle chiacchiere e alla politica della scienza, alle prese di posizione, ai patrocini speciali, all'agghiacciante nazionalismo, all'estorsione di colossali somme di denaro a ministri e burocrati ignoranti per l'ennesimo acceleratore di particelle o per l'affitto di spazi satellitari, presenziava a gigantesche convention negli Stati Uniti, undicimila fisici, raccolti in un'unica sede , ascoltava ricercatori postdoc esporre i risultati del proprio lavoro, ripeteva con variazioni minime la medesima serie di lezioni sui calcoli alla base della Conflazione Beard Einstein che gli era valsa il Nobel, a sua volta conferiva riconoscimenti, e teneva discorsi ed encomi conviviali per colleghi prossimi alla pensione o alla cremazione. All'interno di un mondo chiuso e specialistico e per gentile concessione dell'Accademia di Stoccolma, era una celebrità, e cosi procedeva, un anno dopo l'altro, vagamente stanco di sé e privo di alternative. Imprevedibilità e fermento erano appannaggio della vita privata. Forse poteva bastare, forse aveva raggiunto il massimo risultato possibile durante una splendida estate della sua giovinezza.

  Una cosa era certa: erano passati vent'anni dall'ultima volta che si era trovato seduto per ore in assorto silenzio, penna e taccuino alla mano, a pensare, a produrre un'ipotesi originale, per poi giocarci, pedinarla, trascinarla dentro la vita. Non si presentava mai l'occasione no, che misera scusa.

  Gli mancavano la volontà, il materiale, era venuta meno la scintilla. Non aveva idee nuove. Ma alla periferia di Reading, tra il fragore del traffico della tangenziale est e gli effluvi di una fabbrica di birra giusto sopravvento, era sorto un nuovo istituto di ricerca nazionale. Il Centro in teoria avrebbe dovuto ricordare il National Renewable Energy Laboratory di Golden, Colorado, nei pressi di Denver e condividerne le mire, sebbene non le dimensioni e la consistenza dei fondi. Michael Beard era il direttore capo del Centro, anche se il vero lavoro lo gestiva un alto funzionario statale, certo Jock Braby.

  Gli edifici amministrativi, i cui muri non portanti contenevano amianto, non erano nuovi, e lo stesso valeva per i laboratori, un tempo adibiti al controllo di materiali tossici per l'edilizia. L'unica novità era costituita da una barriera in filo spinato e paletti in cemento alta tre metri e intervallata a spazi regolari da cartelli di divieto d'accesso, che era stata eretta lungo il perimetro del Centro nazionale per le energie rinnovabili senza il consenso di Beard, né di Braby.

  L'iniziativa, come ebbero presto a scoprire, aveva assorbito il diciassette per cento del budget del primo anno di vita dell'istituto. Erano in seguito stati acquistati da un agricoltore locale venti fradici acri di terreno i cui lavori di bonifica erano al momento allo stadio progettuale. Beard non era del tutto scettico in materia di cambiamenti climatici. Rappresentavano una delle svariate voci nell'elenco delle tragedie incombenti che fanno da sfondo ai notiziari; lui si teneva informato, deplorava moderatamente la situazione e si aspettava che il governo prendesse seri provvedimenti. Naturalmente sapeva che una molecola di biossido di carbonio assorbe energia nella banda dell'infrarosso, e che l'umanità stava immettendo ragguardevoli quantità di tali molecole nell'atmosfera. A livello personale, tuttavia, aveva altri pensieri.

  E poi lo lasciavano tiepido certi dissennati commenti sui presunti «pericoli» del mondo, sulla catastrofe verso la quale era avviata l'umanità, sulle metropoli costiere destinate a scomparire travolte dalle acque, i raccolti votati alla distruzione, e le centinaia di milioni di profughi pronti a spostarsi in massa da una nazione all'altra, da un continente all'altro, sospinti da siccità, alluvioni, carestie, uragani e incessanti conflitti a causa delle risorse sempre più scarse.

  Percepiva un'eco di Vecchio Testamento in quei moniti, un sentore di piagadiulceri e pioggiadirane, qualcosa che suggeriva la radicata tendenza dell'uomo, perpetuata nei secoli, a credere da sempre di vivere alla fine dei tempi, a considerare la propria morte indissolubilmente legata all'estinzione del mondo e in quanto tale depositaria di un senso, o comunque un po' meno irrilevante.

  La fine del mondo non cadeva mai nel presente, dove sarebbe stato possibile smascherarla per la fanfaluca che era, ma sempre nell'immediato futuro e, al suo non verificarsi, si provvedeva a far emergere una nuova istanza, a fissare una data ulteriore. Il vecchio mondo, purificato dalla violenza incendiaria, lavato dal sangue dei non salvati, ecco l'idea delle sette cristiane millenariste: morte ai miscredenti! E quella dei comunisti sovietici: morte ai kulaki! E dei nazisti con la loro fantasia di impero millenario: morte ai giudei!

  E infine, la democraticissima versione contemporanea della guerra nucleare planetaria: morte a tutti! Allorché quest'ultima non ebbe luogo, e dopo che l'impero sovietico implose divorato dalle sue stesse contraddizioni, e in assenza di una nuova angoscia incombente a parte la grigia, inesorabile povertà globale, la vocazione apocalittica si era inventata l'ennesimo mostro.

  Beard tuttavia era alla costante ricerca di incarichi ufficiali debitamente retribuiti. Erano da poco scaduti i termini di due sinecure di lunga durata, e lo stipendio universitario, seppure unito ai compensi di conferenze e interventi sui media, non copriva mai tutte le sue esigenze.

  Per fortuna, intorno al giro di secolo, il governo Blair si era mostrato desideroso di essere, o quanto meno di apparire, non solo idealmente, bensì attivamente impegnato sul fronte dei mutamenti climatici, e aveva annunciato una serie di iniziative, una delle quali era stata il Centro, struttura destinata alla ricerca di base e bisognosa di un mortale incipriato di polvere magica di Stoccolma cui affidare la direzione.

  A livello politico fu nominato un nuovo ministro, un ambizioso manchesteriano di impronta populista, uomo fiero del passato industriale della sua città, il quale nel corso di una conferenza stampa si dichiarò deciso a «sfruttare il genio» del popolo britannico invitando chiunque a sottoporre idee e progetti sul tema dell'energia pulita. Di fronte alle telecamere promise che ogni progetto inviato avrebbe ricevuto risposta.

  In capo a sei settimane la squadra di Braby una mezza dozzina di ricercatori postdottorato sottopagati, di stanza presso quattro baracche provvisoriamente erette in un mare di fango ricevette centinaia di proposte. La maggior parte arrivava da individui solitari che per laboratorio avevano la rimessa in giardino; qualcuna, da nuove imprese, baldanzose nel marchio e ancora «in attesa di brevetto».

  Nell'inverno del 1999, durante le sue visite settimanali al sito, Beard scorreva rapidamente le carte suddivise in pile sopra un tavolo improvvisato. Dentro quella valanga di sogni ricorrevano con chiarezza certi temi. Alcune proposte indicavano l'acqua come carburante per le auto, riciclando le emissioni di vapore acqueo nel motore; altre non erano che versioni del motore o generatore elettrico la cui energia in uscita superava quella in entrata e pareva sfruttare l'energia del vuoto vale a dire quella che si suppone latente nello spazio vuoto o fondarsi, a giudizio di Beard, su una serie di violazioni della Legge di Lenz.

  Tutte indistintamente costituivano varianti della macchina a moto perpetuo.

  Gli inventori autodidatti sembravano immemori della lunga storia delle loro trovate e di come queste ultime avrebbero, in caso di effettivo funzionamento, distrutto i fondamenti della fisica moderna. Gli inventori nazionali erano decisi a sfidare la prima e la seconda legge della termodinamica, un muro di piombo compatto. Uno dei postdoc propose di suddividere le idee in base alle leggi violate: prima, seconda, entrambe. Esisteva un altro elemento comune.

  Certe buste non contenevano disegni, ma solo una lettera, a volte della lunghezza di mezza pagina, a volte di dieci. Gli autori sempre di sesso maschile spiegavano con rammarico di non poter allegare i progetti giacché era risaputo come le agenzie governative avessero parecchio da temere dal tipo di energia gratuita che la loro invenzione avrebbe garantito, in quanto ne sarebbe derivato il taglio di rilevanti risorse fiscali. Oppure sarebbero state le forze armate a impadronirsi dell'idea, bollandola come top secret, per poi realizzarla a proprio uso e consumo.

  O ancora, certi produttori di energie convenzionali avrebbero sguinzagliato i loro sgherri con l'ordine di ridurre l'inventore in poltiglia allo scopo di mantenere la propria supremazia sul mercato.

  O infine, qualcuno avrebbe potuto rubare l'idea per sé e ricavarne una fortuna. Esistevano esempi tristemente noti di circostanze simili, aggiungeva magari lo scrivente. I disegni pertanto potevano essere visionati soltanto a un determinato indirizzo, da un'unica persona, non accompagnata, del Centro, e solo con il coinvolgimento di intermediari. Il tavolo nella «Baracca Due» cinque semplici assi piazzate su cavalletti sosteneva qualcosa come milleseicento lettere e email stampate, suddivise in base alla data. Se si voleva salvare la faccia al ministro, occorreva rispondere a tutte. Braby, un tipo curvo e mascelluto, era furibondo per la perdita di tempo.

  Furibondo, ma remissivo. Beard era dell'idea di inoltrare ogni cosa al dipartimento ministeriale di Londra, insieme a qualche modello di risposta prestampata. Ma Braby era in lizza per un cavalierato al quale la sua signora teneva parecchio, e irritare un ministro noto per i suoi buoni rapporti con Downing Street poteva significare perdere il treno. Perciò, i postdoc furono messi al lavoro e il primo progetto del Centro la progettazione di una turbina eolica per tetti urbani subì un ritardo di mesi.

  Altro tempo guadagnato per Beard il quale, non ancora uscito dal pressoché silenzioso epilogo del suo quinto matrimonio, aveva modo di analizzare i cosiddetti «geni» esaminati dai postdoc. Ad attrarlo era l'odore di paranoia, di insonnia, di assillo e, soprattutto, di esaltazione che si levava da quelle carte. Stava forse ritrovando, in certe lettere, un'altra versione di sé, di un Michael Beard parallelo al quale sesso, alcol, droga o pura e semplice iella avessero sottratto la disciplina necessaria per il raggiungimento di un'istruzione formale in matematica e fisica.

  Qualcuno che si era perso, ma che non aveva smesso di voler pensare, armeggiare, offrire un proprio contributo. Alcuni di questi uomini erano veramente geniali, ma si lasciavano trascinare dalle loro esagerate ambizioni a reinventare prima la ruota, poi, centoventi anni dopo Nikola Tesla, il motore a induzione, per avvicinarsi infine in modo goffo ed eccessivamente ottimista alla teoria quantistica dei campi e arrivare a scoprire il combustibile salvifico che andavano cercando giusto sotto il loro naso, nelle nicchie di aria vuota delle rimesse o delle stanze degli ospiti in cui lavoravano: l'energia di punto zero.

  La meccanica quantistica. Che ricettacolo, quale discarica di umane aspirazioni, terra di confine nella quale il rigore matematico aveva la meglio sul buonsenso, dove logica e fantasia irragionevolmente convergevano.

  Qui, gli inclini alla mistica trovavano tutto quel che volevano, chiamando in causa la scienza a riprova delle loro tesi. Chissà che splendida musica ultraterrena dovevano essere per quegli ingegni della domenica la asimmetria spettrale, le risonanze, l'entanglement, gli oscillatori armonici quantistici, quali seducenti antiche melodie, l'armonia delle sfere celesti capace di trasmutare un muro di piombo in oro, e di creare un motore di fatto azionato dal nulla, da particelle virtuali che non emettevano sostanze dannose e che avrebbero fornito energia al progetto dell'uomo, oltre a salvarlo.

  Beard si sentiva commosso dagli aneliti di questi uomini solitari. E chissà poi perché pensarli solitari Non era semplice presunzione a farglieli immaginare cosi. Gente che non ne sapeva abbastanza, ma comunque troppo per trovare qualcuno con cui chiacchierare. Quale amico in attesa al pub o alla British Legion, quale moglie oberata di fatica tra figli, lavoro fuori casa e faccende domestiche, sarebbero stati disposti a seguirli nelle gallerie di tarlo del continuum spazio temporale, fino al tunnel gravitazionale, lungo la scorciatoia verso una soluzione definitiva del problema energetico globale.

  Prendendo spunto dall'ufficio brevetti statunitense, Beard concepì una norma in base alla quale ogni inventore che sottoponesse progetti per la costruzione di macchine a moto perpetuo e overunity, doveva allegare alla documentazione un modello funzionante. Non ne arrivò neanche uno.

  Concentrato sul raggiungimento delle proprie ambizioni, Braby tenne d'occhio i postdoc durante lo smaltimento delle pile di carta. Ogni singolo progetto doveva ricevere una risposta specifica, seria, cortese.

  Ma su quelle assi non c'era nulla di nuovo, o quanto meno nessuna novità utile. L'inventore solitario che rivoluziona le scienze era una fiaba uscita dalla cultura del popolo, e da quella del ministro. Con una lentezza letargica il Centro cominciò a prendere forma. Si provvide a sistemare delle tavole in legno sul fango di per sé un ragguardevole passo avanti , poi si livellò e seminò il terreno, cosicché in capo all'estate già c'erano prati attraversati da sentieri e, con il passare del tempo, il luogo venne ad assomigliare a ogni altro grigio istituto del mondo.

  Si sistemarono i laboratori, e finalmente si procedette alla demolizione delle baracche provvisorie. Il campo adiacente venne bonificato, si fecero gli scavi delle fondazioni e si cominciò a costruire. Si assunse nuovo personale: custodi, inservienti, impiegati, tecnici, perfino scienziati, oltre a una squadra di addetti alle risorse umane che si occupasse di reperirli.

  Una volta raggiunta la massa critica, si allestì il servizio di mensa. Inoltre, in una bella portineria in mattoni presso la barriera automatica a strisce bianche e rosse, alloggiava una decina di guardie di sicurezza in uniforme blu scuro, uomini assai cordiali tra loro e ostili in pratica con il resto del mondo, apparentemente convinti di essere i legittimi proprietari del luogo e che tutti gli altri fossero intrusi.

  Per tutto quel tempo, non uno solo dei sei ricercatori postdoc accettò incarichi meglio retribuiti al Caltech o al Mit. Anche in un ambiente gremito di prodigi di ogni tipo, costoro vantavano curricula d'eccezione.

  Beard aveva da sempre difficoltà a memorizzare le facce, specie quelle maschili, e per un bel pezzo non riuscì o non volle distinguerli. Avevano un'età variabile tra i ventisei e i ventotto anni e superavano tutti il metro e ottanta.

  Due si facevano la coda di cavallo, quattro portavano identici occhiali senza montatura, due si chiamavano Mike, due avevano l'accento scozzese, tre esibivano delle cordicelle colorate legate intorno ai polsi, tutti indistintamente indossavano jeans scoloriti, scarpe da ginnastica e giacche della tuta.

  Molto meglio trattarli allo stesso modo, con un certo distacco, o come se fossero un sol uomo. Soprattutto, meglio non offendere uno dei Mike riprendendo una conversazione magari avviata con l'altro, o presumere che il giovane in coda di cavallo e occhiali, con accento scozzese e senza cordicelle al polso potesse essere unico, o non chiamarsi Mike.

  Lo stesso Jock Braby si riferiva a tutti e sei definendoli «le code di cavallo».

  E nessuno di quei giovanotti dava l'impressione di provare una particolare soggezione al cospetto del Premio Nobel, Michael Beard, non quanta lui avrebbe ritenuto adeguata, comunque. Il suo lavoro lo conoscevano, questo era chiaro, ma durante le riunioni lo nominavano appena, per inciso, liquidandolo in un borbottio a bassa voce, quasi che fosse ormai ampiamente superato, quando era vero l'esatto contrario, visto e considerato che la Conflazione Beard Einstein resisteva tetragona su tutti i manuali, inattaccabile sul piano sperimentale. Ai tempi del loro corso di laurea, le code di cavallo dovevano senz'altro aver assistito a una dimostrazione dell'«Intreccio di Feynman», che illustrava l'essenza topografica del suo lavoro.

  Eppure, ai raduni informali in sala mensa, quei giganteschi bambini si trasformavano in pionieri della fisica teorica, scavalcando a parole la Conflazione che trattavano come si tratterebbe un polveroso enunciato di Sir Humphry Davy, e inanellando rimandi ellittici a blg o a qualche complicatissimo mistero nella Mteoria o all'algebra di Nambu Lie, come se non si trattasse neppure di un argomento diverso.

  E proprio li stava il problema.

  Il più delle volte Beard non sapeva che cosa stessero dicendo. Le code di cavallo parlavano in fretta, sulla nota ascendente di un eterno interrogativo che gli faceva scattare un muscolo sconosciuto in fondo alla gola. Non completavano mai un enunciato, limitandosi a esternare il pensiero fino a quando un altro del gruppo mormorava un «Esatto! », che li traghettava d'un balzo alla successiva porzione di enunciato (non si poteva definirla frase). Ma c'era di peggio. Alcuni argomenti di fisica che costoro davano per scontati gli risultavano ignoti. Quando andava a cercarseli a casa, si innervosiva per la lunghezza e la complessità dei calcoli che prevedevano.

  A Beard piaceva pensarsi un veterano, uno che sa il fatto suo in materia di teoria delle stringhe e relative varianti principali. Al giorno d'oggi però si era semplicemente subissati di aggiunte e modifiche. Una volta, ai tempi in cui Beard era uno scolaro di dodici anni, il suo insegnante di matematica aveva detto alla classe che se un quesito d'esame dava come risultato undici diciannovesimi, o tredici ventisettesimi, si poteva essere certi di aver sbagliato. Troppo astruso per essere giusto. In due ore di ininterrotta assorta lettura, roba da farlo svegliare il mattino dopo con la fronte ancora rigata dai segni della concentrazione, cercò di aggiornarsi sugli ultimi sviluppi, su Bagger, Lambert e Gustavsson (ma certo! Ecco scoperto l'arcano del blg) e la loro formulazione lagrangiana di membrane coincidenti. Difficile stabilire se Dio abbia o no giocato a dadi con l'universo, ma di sicuro non è mai stato neanche lontanamente cosi presuntuoso e immodesto.

  Era semplicemente da escludere che il mondo materiale potesse essere tanto complicato. _Quello domestico al contrario ci riusciva. Tirando le somme dei suoi vincoli matrimoniali spezzati, nessuno come il quinto, l'ultimo, risultava essere stato protratto da lui in modo più assurdo, nessuno lo aveva mortificato allo stesso modo e nessuno aveva prodotto fantasticherie altrettanto ridicole, accompagnate da aumento di peso e private aberrazioni. Nel corso di quei lunghi mesi non ci fu un solo momento in cui gli parve di essere nel pieno delle proprie facoltà, senza contare che in capo a poco tempo Beard scordò completamente il se stesso di sempre per accomodarsi in una condizione di moderata e diffusa psicosi. Dopo tutto sentiva delle voci e vedeva cose che in seguito decretò inesistenti, come l'inopinata, radiosa bellezza di Patrice.

  Gli effetti somatici del fenomeno avevano caratteristiche da manuale. Una serie di infezioni non gravi disarmò il sistema immunitario che avrebbe dovuto proteggerlo. Agenti patogeni attraversarono in massa il fossato delle sue difese e sciamarono sulle mura del castello armati di febbri, ulcere labiali, spossatezza, dolori articolari, gorgoglii intestinali, acne nasale, blefariti sintomo nuovo, quest'ultimo: una deturpante infiammazione delle palpebre accompagnata dall'insorgenza di orzaioli modello Monte Fuji innevato che esercitavano pressione sui globi oculari e gli annebbiavano la vista.

  Anche insonnia e fissazioni contribuivano ad alterargli la percezione del mondo e, quando finalmente era sul punto di prendere sonno, sentiva la voce di un telecronista ricordargli la sua condizione pietosa, sebbene non con parole che riuscisse effettivamente a distinguere. Oltre tutto ciò, soffriva della ragionevole disperazione di un cornuto la cui consorte, a dispetto di un occhio nero in via di guarigione, continuava ad aggirarsi per casa con aria trionfale, artificiosamente allegra, per dileguarsi non appena lui tentava di avviare una conversazione seria.

  E notò come la bocca sia sovrarappresentata a livello cerebrale, perciò anche la più piccola ragade al centro del labbro inferiore finiva col sembrargli un'orrenda cicatrice, un marchio del destino. Come avrebbe fatto Patrice a baciarlo ancora Non avrebbe mai più accettato di lasciarsi coinvolgere, sfidare, accusare, e nemmeno amare, non certo da lui. Si, è vero, era stato un donnaiolo bugiardo, se l'era voluta, ma adesso che la resa dei conti era arrivata, che doveva fare, a parte accettare il castigo.

  A quale divinità ci si aspettava porgesse le proprie scuse Ne aveva avuto abbastanza. Dopo essersi aggrappato con ostile cocciutaggine a speranze stupide, cominciò a tenere d'occhio posta e email, in attesa dell'invito che, portandolo lontano da Belsize Park, avrebbe restituito un pizzico di vitalità autonoma alla sua devastata persona.

  Ne arrivava una mezza dozzina circa ogni settimana dell'anno, ma fino a quel momento nessuna delle allettanti richieste di tenere conferenze sulle rive di laghi a cinque stelle in Italia settentrionale, o in qualche banale Schloss tedesco, l'aveva catturato, e d'altra parte si sentiva troppo debole e dolente per discettare della Conflazione in una sala affollata di colleghi a Los Angeles o a Delhi.

  Non aveva idea di che cosa stesse aspettando, ma pensava che avrebbe saputo riconoscere l'invito giusto, quando si fosse presentato. Frattanto gli era perlopiù di conforto salire una mattina alla settimana su un lurido treno a Paddington, farsi venire a prendere alla stazione vittoriana di Reading, schiacciata tra isolati di edifici bassi, e percorrere i pochi chilometri da li al Centro, a bordo di un prototipo di Toyota Prius, guidata da un non meglio identificato rappresentante delle code di cavallo.

  Alla partenza, Beard si sentiva una corda tesa vibrata su un'unica nota, ma più si lasciava la casa alle spalle, più si attenuavano le oscillazioni, mano a mano che si avvicinava alla costosa recinzione perimetrale. Le vibrazioni cessavano poi del tutto allorché, con un dito alzato, ricambiava il saluto cordiale delle guardie di sicurezza che passione avevano per i superiori! e passava rapido oltre la sbarra bianca e rossa prontamente sollevata. Di solito Braby gli veniva incontro e, con si e no un velo di ironia da accademici, gli apriva perfino la porta dell'auto, perché ad arrivare non era un cornuto qualunque, bensì l'ospite illustre, il Grande Capo, colui che avrebbe tenuto alto il nome del Centro di fronte ai mezzi di comunicazione, incoraggiato le industrie energetiche a interessarsi, e scucito altre duecentocinquantamila sterline a quel fanfarone del ministro.

  I due colleghi bevevano un caffè insieme a inizio giornata. Si procedeva a elencare progressi e ritardi dei lavori, Beard annotava quanto di sua spettanza e visitava il sito. Sin dall'inizio della collaborazione, parlando a braccio, aveva dichiarato che gli sarebbe stato più facile ottenere altri fondi se avesse potuto presentare il Centro come sede di un unico grandioso progetto che tanto il contribuente quanto i media potessero comprendere.

  Era nata pertanto la Wudu o Wind turbine for Urban Domestic Use, un accrocco di turbina eolica che ogni privato poteva farsi installare sul tetto di casa allo scopo di produrre una quantità di energia sufficiente a garantirgli un significativo risparmio sulla bolletta elettrica. Sui tetti urbani il vento non soffia uniforme da un'unica direzione, come succede con i generatori eolici eretti in aperta campagna, perciò a fisici e ingegneri fu chiesto di realizzare un modello ideale di pala a vento per condizioni di turbolenza atmosferica.

  Beard si era appoggiato a un vecchio amico del Royal Aircraft Establishment di Farnborough per ottenere l'accesso a una galleria del vento, ma prima occorreva lavorare a complessi calcoli di matematica e aerodinamica, certe ramificazioni della teoria del caos con le quali personalmente tendeva a spazientirsi. Il suo interesse per la tecnologia era perfino più fiacco di quello che nutriva per la climatologia. In principio pensava che si sarebbe trattato di sistemare i calcoli matematici del progetto, costruire tre o quattro prototipi e collaudarli nella galleria. Si era invece dovuto ricorrere all'assunzione di nuovo personale, mano a mano che problematiche secondarie erano state introdotte nelle istanze all'ordine del giorno: vibrazioni, impatto acustico, costi, altezze, shear del vento, precessione giroscopica, stress ciclico, resistenza dei tetti, materiali, ingranaggi, efficienza, fasi di allacciamento alla rete, permessi di costruzione.

  Quello che era sembrato uno scherzo aveva assunto le proporzioni di un mostro, e andava divorando tutta l'attenzione e le risorse di un Centro tuttora in via di costruzione. In compenso era troppo tardi per tirarsi indietro. Beard preferiva aggirarsi da solo per il sito e constatare colpevolmente gli effetti della sua proposta avventata. Entro l'estate del 2000 ciascuno dei postdoc già disponeva di un piccolo ufficio tutto suo.

  Separare i membri del gruppo aveva aiutato, come pure affiggere targhette nominali sulle rispettive porte, ma Beard attribuiva soprattutto alla propria perspicacia il fatto che, in capo a sette , otto mesi, ognuno dei giovani andasse acquisendo un'identità definita. Gli era bastata una mezza dozzina di viaggi a bordo della Prius dalla stazione di Reading per rendersi conto, alzando lo sguardo dal testo di un discorso preparato per quella sera a Oxford, che chiaramente era sempre stata la stessa persona a venirlo a prendere al treno.

  Si trattava di uno dei due effettivamente dotati di coda di cavallo, un giovane alto, dal viso affilato, la bocca stipata di dentoni, e un sorriso scemo.

  Era originario della zona di Swaffham nel Norfolk, come Beard ebbe a scoprire nel corso di quella loro prima conversazione consapevole, e aveva studiato all'Imperial College, poi a Cambridge, e infine due anni alla Caltech di Pasadena, ma nessuna di tali favoleggiate istituzioni aveva stemperato la purezza del suo accento contadino, gli ingenui su e giù della sua voce né quel tono costantemente interrogativo che a Beard faceva ricordare scenari campestri con alte siepi e covoni di fieno. Si chiamava Tom Aldous.

  Durante la loro prima chiacchierata disse al Grande Capo di aver fatto domanda per essere assunto al Centro perché pensava che il pianeta fosse in pericolo e che le sue conoscenze di fisica delle particelle potessero rivelarsi di qualche aiuto, e aggiunse che quando aveva saputo che a capo della squadra ci sarebbe stato proprio Beard, il Beard della Conflazione Beard Einstein, lui, vale a dire Tom Aldous, aveva entusiasticamente ritenuto che il Centro avrebbe concentrato le ricerche sull'energia solare, e in special modo sulla fotosintesi artificiale, e su ciò che gli piaceva definire la nanosolare, riguardo alla quale, a suo giudizio...

  Energia solare? Beard disse bonario.

  Sapeva benissimo di che cosa si stava parlando, ma quei termini conservavano alle sue orecchie un alone sospetto, evocavano scenari New Age, con gente paludata da druido che, al crepuscolo di mezza estate, danzava intorno a Stonehenge. Tendeva inoltre a diffidare di chiunque si riferisse al «pianeta» per dare a intendere quanto pensava in grande.

  Esatto ! Aldous sorrise con tutti i denti nello specchietto retrovisore.

  Non poteva nemmeno sfiorarlo il pensiero che il Grande Capo non fosse un esperto in materia. E tutta a nostra disposizione, non dobbiamo far altro che capire come sfruttarla; a quel punto non riusciremo a capacitarci di aver bruciato carbone, petrolio et similia per tanto tempo. Beard era affascinato da come Aldous pronunciava l'espressione «et similia». Detta cosi, sembrava gettare una luce ironica su quanto stava dicendo.

  Procedevano su una bretella autostradale a quattro corsie divise da una siepe di biancospino in fiore che spandeva la propria inutile fragranza sul traffico in corsa.

  La sera precedente, disperando di poter prendere sonno, Beard si era coricato in vestaglia e aveva letto tutta la notte aspettando Patrice che non era rientrata. Si trattava di una raccolta inedita di lettere indirizzate a vari colleghi da Paul Dirac, uomo completamente assorbito dalla scienza, e del tutto privo di colloquialità e di una serie di altre umane attitudini. Alle sei e quarantacinque, Beard aveva messo giù il manoscritto per andare in bagno a farsi la barba. Il sole già cominciava a filtrare sghembo tra i rami della betulla in giardino, disegnando motivi sul pavimento di marmo sotto i suoi piedi.

  Che spreco, che fallimento in termini di amministrazione oculata, avere il sole cosi alto tanto di buon'ora. Non sopportava l'idea di calcolare, pensò spostando il rasoio sui peli in ricrescita tra le sopracciglia che si tagliava per darsi un tocco più giovanile, tutte le ore di luce che si era perso in estate.

  Del resto, che cosa avrebbe potuto fare, che c'era da fare alle sette del mattino in qualunque stagione dell'anno, a parte dormire o andare al lavoro? Intanto, il suo deficit di sonno si accumulava da settimane. Lei crede che potremmo mai cavarcela, domandò, soffocando uno sbadiglio, senza carbone, petrolio e gas Aldous guidava veloce su una gigantesca rotonda, vasta e trafficata quanto un circuito di gara dalla quale, per forza centrifuga, si sarebbero immessi su una bretella in discesa e avrebbero infine imboccato l'autostrada con il suo fragore impetuoso di raddoppiati veicoli in corsa, autotreni della lunghezza di cinque villini a schiera sfreccianti in direzione Bristol ai centodieci all'ora, e il resto del traffico in coda, nell'attesa di schizzare al sorpasso. Ecco appunto: quanto poteva ancora durare tutto ciò? Beard, reso fiacco e conciliante dall'insonnia, si senti infragilito.

  La M4 parlava di una passione per la vita che non poteva più condividere. Lui era in sintonia con le comunali, le stradicciole, i sentieri. Stringendosi nella sua Harris di tweed, si rassegnò all'ascolto di Tom Aldous il quale parlava con la melodiosa certezza di un primo della classe deciso a fornire al maestro le risposte che crede si aspetti. Noi siamo il prodotto di carbone prima e petrolio poi, ma adesso sappiamo che bruciare quella roba ci porterà alla rovina.

  Abbiamo bisogno di un carburante diverso se non vogliamo soccombere, sprofondare. C'è di mezzo una nuova rivoluzione industriale. Inutile girarci intorno, il futuro è affidato all'idrogeno e all'elettricità, le uniche due fonti energetiche che sappiamo pulite e rinnovabili.

  Altra energia nucleare, insomma. Il giovane distolse lo sguardo dalla strada per incrociare nello specchietto quello di Beard troppo a lungo, però, tanto che il più anziano si irrigidì sul sedile posteriore e riportò gli occhi sul caos esterno, nella speranza di incoraggiare l'autista a fare altrettanto. Sporca, pericolosa, antieconomica. Ma come lei sa già ce l'abbiamo la nostra centrale nucleare funzionante e sicura, in grado di convertire idrogeno in elio a costo zero, e comodamente installata a centoquaranta milioni di chilometri di distanza.

  Lo sa che cosa penso sempre, professor Beard Penso che se un alieno arrivasse sulla terra e vedesse tutta questa luce solare sarebbe sconvolto di scoprire che siamo convinti di avere un problema energetico. Fotovoltaico! Ho letto Einstein, ho letto lei, sull'argomento. La sua Conflazione è geniale. Il dono più grande che ci ha fatto Dio è senz'altro questo: che quando un fotone colpisce un semiconduttore libera un elettrone. Le leggi della fisica sono talmente benevole, talmente generose.

  Senta qua.

  C'è un uomo in una foresta, sotto la pioggia, e sta morendo di sete. Ha con sé un'accetta e comincia a tirar giù gli alberi per bere la linfa. Un sorso per ogni albero. Intorno gli si fa il deserto, niente più piante e animali, e l'uomo sa che per colpa sua la foresta scomparirà presto. Allora come si spiega che non apre la bocca e non si beve la pioggia Per il semplice motivo che è molto bravo a tirar giù alberi, perché ha sempre fatto cosi, e perché considera un po' suonato chi propone di bere la pioggia.

  Ecco, professor Beard, la luce del sole è come quella pioggia. Inonda il nostro pianeta, condiziona il nostro clima e la sopravvivenza. Una dolcissima pioggia di fotoni e tutto quel che dobbiamo fare è tendere i bicchieri e raccoglierla! Da qualche parte ho letto un articolo in cui si diceva che meno di un'ora di luce solare sulla terra basterebbe a soddisfare i bisogni del mondo intero per un anno.

  Tutt'altro che impressionato, Beard replicò: E che misura utilizzava l'autore del suo articolo per l'irradianza solare Un quarto della costante solare. Troppo ottimistico. Bisognerebbe dimezzarla. Non cambia il punto, professor Beard.

  I raggi solari che piovono su una porzione minuscola dei vari deserti del mondo potrebbero fornirci tutta l'energia di cui abbiamo bisogno. Il tono bucolico del ragazzo del Norfolk, tanto in contrasto con quanto andava dicendo, cominciava a esacerbare il cattivo umore di Beard. Disse scontroso: Sempre che si riesca a distribuirla. Esatto. Nuove linee a corrente continua. E solo questione di soldi e ricerca.

  Ben spesi, trattandosi del pianeta! Del nostro futuro, professor Beard! Beard sfogliò rumorosamente le pagine del suo discorso allo scopo di lasciare intendere che la conversazione era giunta alla fine. La prima essenziale caratteristica del fanatico è quella di ritenere che tutti i mali del mondo possano ridursi a un unico problema, e che quel problema possa essere risolto. La seconda, è quella di insistere sul punto in continuazione. Purtroppo, Tom Aldous non aveva ancora finito.

  Mentre arrivavano al Centro e la sbarra d'ingresso veniva sollevata, prosegui rifiutandosi di registrare alcuna interruzione nel discorso: E per questo che, con il dovuto rispetto, ritengo che si stia solo perdendo del tempo, con questa storia della microturbina eolica. La tecnologia c'è già. E sufficiente che il governo si inventi degli incentivi, sarà un attimo, e il mercato farà il resto.

  C'è da guadagnarci montagne di soldi. Per il solare invece per il traguardo della fotosintesi artificiale occorre parecchia ricerca sulle nanotecnologie. Potrebbe toccare a noi, professore! Aldous tenne aperta la porta e Beard usci stancamente dall'auto: La ringrazio di avermi messo a parte dei suoi pensieri. Ma impari anche a non staccare gli occhi dalla strada . E si volse per stringere la mano a Braby.

  Nel corso delle sue visite settimanali, di conseguenza, Beard sperava di non incrociare mai Aldous a tu per tu, giacché il giovane cercava di convincerlo della necessità del fotovoltaico, o di propinargli la sua personale spiegazione quantistica del medesimo, o comunque di rovesciargli addosso cordialità ed entusiasmo, ignorando apparentemente la scontrosità del professore ogni qualvolta lui partiva con la manfrina sull'opportunità di abbandonare il progetto Wudu.

  Ovvio che sarebbe stato meglio rinunciare, visto che, oltre ad assorbire quasi metà del budget, l'iniziativa andava perdendo interesse e accumulando difficoltà. Ma si dà il caso che l'idea fosse stata di Beard e tornare indietro avrebbe costituito un fallimento personale. Gli diventò quindi sempre meno simpatico il giovanotto col faccione stupido e ossuto e le narici dilatate, la coda di cavallo, il lurido braccialetto di cordicella rossa e verde al polso, la dieta integralista a base di yogurt e insalate consumata in sala mensa, il vizio di piazzare il vassoio, e senza chiedere il permesso, il più vicino possibile al Grande Capo imponendogli il tedio di ascoltare il racconto di come Aldous avesse gareggiato per il Norfolk nei campionati di pugilato, e preso parte alle regate universitarie di Cambridge, oltre ad essersi piazzato settimo nella maratona di San Francisco.

  C'erano poi dei romanzi dicasi romanzi! che Aldous avrebbe voluto fargli leggere, novità musicali sulle quali a suo giudizio Beard avrebbe dovuto aggiornarsi, e film di particolare interesse, documentari sui cambiamenti climatici che Aldous aveva già visto un paio di volte almeno, ma che sarebbe stato lieto di rivedere una terza, se soltanto il Grande Capo avesse accettato di condividere l'esperienza.

  La mente di Aldous, coadiuvata da un accento del Norfolk, pareva fatta apposta per elargire instancabili consigli e raccomandazioni, per manifestare entusiasmo ora per un viaggio, ora per una vacanza, un libro o un integratore vitaminico, una mente insomma che già di per sé era uno strumento di persuasione.

  Niente minava di più la buona volontà di Beard che sentirsi ripetere che avrebbe dovuto trascorrere un mese nella valle di Swat. Nell'edificio dove in passato si erano studiati gli effetti tossici di isolanti in fibra di vetro e della polvere di mattone, Beard si aggirava tra i laboratori e ascoltava relazioni sullo stato di avanzamento dei lavori redatte da ingegneri, progettisti e ineffabili consulenti energetici, responsabili della stesura di un circostanziato documento dal titolo Alla scoperta della Micro Eolica 4.2 di cui non riuscì a finire di leggere nemmeno il primo paragrafo.

  Nel corso di quell'estate le assunzioni presso il dipartimento di Risorse umane, a sua volta appena costituitosi, furono talmente numerose, che ogni settimana Beard si vedeva costretto a chiarire il proprio ruolo di fronte a una mezza dozzina di estranei. Erano davvero pochissime le persone non coinvolte nel progetto Wudu e, con l'andare del tempo, Beard si sentì scoraggiato.

  A dispetto di tanta fatica, a Farnborough non erano affatto pronti per i collaudi, nessuno si era veramente impegnato a risolvere il problema della turbolenza, e nessuno pensava un granché a che cosa sarebbe potuto accadere in assenza di vento, perché nessuno aveva un'idea efficace riguardo alla possibilità di accumulare energia elettrica a basso costo. Quello sì che sarebbe stato un progetto rivoluzionario: inventare una nuova batteria per la fornitura domestica di elettricità, ma ormai era troppo tardi per suggerirlo, con il personale impegnato in massa sulla Wudu, e poi, quella era precisamente la ricerca che Tom Aldous si ostinava a caldeggiare.

  Molto meglio costruire un elegante reattore nucleare sulla costa giurassica del Dorset che devastare un milione di tetti con lo shear e la vibrazione, la forza di reazione e il momento torcente delle forze e la torsione di un inutile gadget che di rado avrebbe ricevuto vento abbastanza teso da riuscire a produrre corrente utilizzabile.

  Com'era potuto succedere, si chiese con un filo di vittimismo Beard uscendo da un ufficio per dirigersi mesto nel successivo, che un suo commento casuale avesse precipitato tutti quanti in quella ricerca insensata.

  La risposta era semplice. La sua idea aveva scatenato una serie di relazioni, la compilazione di centonovantasette pagine di proposte dettagliate, preventivi di spese e computi metrici che lui aveva sistematicamente siglato senza leggere.

  E perché mai Ma perché in quel periodo Patrice incominciava a frequentare Tarpin, e lui non era in grado di pensare ad altro. Di ritorno nel corridoio per andare a consultarsi con un tecnico dei materiali, passò accanto all'ufficio di Braby che lo aspettava elettrizzato sulla soglia della stanza e gli fece segno di entrare.

  Alle sue spalle, uno dei due Mike codadicavallo assicurava con del nastro adesivo un disegno su una lavagna bianca. Secondo me qui abbiamo qualcosa, disse Braby chiudendo la porta dopo che Beard era entrato. Me l'ha appena portato Mike. Non si faccia un'idea sbagliata, professor Beard, disse Mike. Non è opera mia. L'ho trovato.

  Braby afferrò Beard per la manica e lo trascinò verso la lavagna. Dacci solo un'occhiata. Ho bisogno del tuo parere. Su un grande foglio di carta campeggiava un disegno eseguito in dettaglio e circondato da una dozzina di schizzi scarabocchi dal tratto pieno ma irregolare, stile taccuini di Leonardo.

  Sotto lo sguardo intenso degli altri due, Beard prese a fissare il disegno al centro: una colonna massiccia composta di una matassa di linee e sezioni, terminanti in un'elica quadrupla che, completando un giro su se stessa, si congiungeva alla base con l'abbozzo geometrico di un generatore.

  Uno degli schizzi mostrava il profilo di un tetto sovrastato da un'antenna televisiva e dall'elica montata su un paletto verticale assicurato a fianco del comignolo: l'impianto lasciava decisamente a desiderare.

  Beard osservò in silenzio per un paio di minuti. Allora? disse Braby. Beh, mormorò Beard. E qualcosa. Braby scoppiò a ridere. Lo dicevo io. Non so come funzioni, ma me lo sentivo. E una variante della macchina a vento Darrieus, il vecchio sbattiuova . Nei giorni remoti di quando era ancora felicemente, o comunque meno morbosamente sposato, Beard aveva trascorso un pomeriggio a leggersi la storia delle turbine eoliche. Al tempo gli erano sembrate piuttosto semplici sul piano della fisica. Ma quello che cambia qui è che le pale sono inclinate di sessanta gradi all'interno dell'elica. E che ce ne sono quattro, per distribuire il momento torcente delle forze e favorirne forse l'autoavviamento.

  Probabilmente funziona bene, con un flusso d'aria ascendente. Magari anche su un tetto, non si sa mai. Allora, chi ha avuto l'idea? Ma conosceva già la risposta e la sua stanchezza raddoppiò. Ascoltare il Bardo di Swaffham celebrare la svolta, l'alba di una nuova era nel campo delle turbine eoliche sarebbe stato più di quanto potesse tollerare al presente. Si sarebbe dovuto aspettare la settimana successiva, perché al momento l'unica cosa che desiderava era sedersi in un angolo tranquillo e pensare a Patrice, portare se stesso verso uno stato di eccitazione senza sbocchi.

  Ecco come si era ridotto.

  Mike si grattò l'attaccatura della coda di cavallo dove apparivano tracce ribelli di fili grigi, come impunture nascoste su una coperta. Era sulla scrivania di Tom. Abbiamo immaginato che l'avesse lasciato li perché lo vedessimo. Poi ci siamo esaltati, non siamo riusciti a trovare Tom da nessuna parte. Abbiamo fatto fare una copia per gli ingegneri che ne sono già entusiasti. Jock Braby circumnavigò inquieto il suo ufficio, tornò alla scrivania e prese la giacca appesa allo schienale della sedia.

  Il lato snob che era in Beard avrebbe voluto prendere da parte il funzionario e dirgli che era dai tempi di Bletchley Park, o quanto meno dai tempi in cui lui frequentava l'università, che nessuno se ne andava più in giro con una sfilza di penne a sfera dentro il taschino della giacca. Purtroppo, i consigli a lui capitava sempre soltanto di pensarli, e mai di elargirli. In una condizione di trattenuta euforia, Braby guadagnò dignità, rivolgendosi benevolmente ai colleghi con un tono di voce virile e pacato, come se il tocco di una spada gli avesse fatto rialzare il ginocchio da un cuscino regale.

  Voglio parlare con Aldous e accompagnarlo in Progettazione. Ci servono dei disegni ben fatti. Possono mettersi a lavorare insieme e intanto tu, Mike, e i ragazzi vi occuperete dei calcoli matematici, Legge di Brecht e cosi via, d'accordo? Legge di Betz. Esatto .

  E sparì.

  Quando ebbe finito il suo giro, Beard si ritirò con un piatto di biscotti al cioccolato e un tazzone del caffè troppo carico preso al bollitore nella sala comune deserta, dietro la mensa, il locale che per molto tempo fu l'unico posto accogliente di tutto il Centro, e si concesse di vagare con il pensiero all'oggetto della sua ossessione, soffermandosi, con una spossatezza fisica quasi piacevole, su certi dettagli che di recente aveva trascurato.

  Prima però dovette issarsi con fatica dalla sedia e attraversare la sala per andare a spegnere il televisore ronzante, perennemente sintonizzato su un canale di informazione. Bush contro Al Gore, ecco cosa assorbiva il prezioso ascolto della maggioranza di popolazione mondiale che non aveva il diritto di votarli.

  Beard tornò a sistemarsi e riprese possesso del piatto. Patrice era di gran lunga la più avvenente delle sue mogli, o meglio, in quel suo modo spigoloso e biondo, l'unica moglie davvero avvenente che avesse mai avuto, per come la vedeva al momento. Le altre quattro avevano mancato la bellezza di un soffio un naso troppo sottile, una bocca troppo larga, una fronte o un mento appena imperfetti, appena troppo sfuggenti e si erano rivelate gradevoli, quelle mogli inferiori, soltanto in grazia di una prospettiva particolare, o di uno sforzo di volontà o di immaginazione, o ancora, in virtù di un desiderio ingannevole. E poi, c'erano alcuni dettagli in Patrice...

  Quelle sue natiche cosi strette, ad esempio. La spanna di una grossa mano sarebbe bastata a misurarle. E la pelle lattea ed elastica che collegava le sporgenze del suo osso pelvico. Lo stupefacente polimorfismo che aveva prodotto i suoi bei peli pubici biondissimi. Avrebbe mai più rivisto quei tesori? Infine, per quanto poco sensuale fosse il pensiero, dovette concentrarsi sul livido che Patrice aveva sotto l'occhio.

  Lei non gliene voleva parlare, perciò forse non avrebbe mai saputo la verità. Poteva solo giocare di congetture. Chissà, forse il suo piano aveva davvero funzionato, forse la donna in camera sua, quella di cui aveva battuto lo scalpiccio dei passi con le mani sulle scale, anziché farla infuriare, aveva riannodato il legame con Patrice, le aveva fatto sentire il desiderio di riavere ciò che credeva di essere sul punto di perdere, l'aveva incoraggiata a dire a Tarpin che la storia tra loro era finita, perché lei tornava da suo marito e, cosi facendo, aveva provocato la sua ira. In tal caso, quello zigomo bluastro significava che Patrice era quasi di nuovo sua, di Beard.

  Troppa grazia, cosi. E allora con gesto meccanico, Beard si portava i biscotti dal piatto alla bocca. Chissà, forse tutto quel groviglio avrebbe preso un corso inatteso. Quasi ogni cosa al mondo era improbabile.

  C'erano donne picchiate e distrutte che non sapevano stare lontane dai loro compagni violenti. Quante volte i responsabili di organizzazioni in difesa della donna si lamentavano di questa assurdità della natura umana. Se anche Patrice era vittima di tale dipendenza dal proprio destino, si sarebbero verificati altri casi di occhi pesti. La sua bellissima Patrice. Insopportabile. Inconcepibile. E alloraì Magari Patrice avrebbe finito per non poterne più tanto della comprensione di Michael quanto della violenza di Rodney e avrebbe desiderato liberarsi di entrambi.

  Oppure gli poteva succedere di entrare in camera una sera e di trovarla già li ad aspettarlo, nuda sul letto matrimoniale, sdraiata come un tempo sulla schiena, a gambe divaricate, mentre lui le si avvicinava, bisbigliando il suo nome, nudo a sua volta. Sarebbe stato tutto facile, l'avrebbe raggiunta, le si sarebbe accomodato accanto prendendole nella coppa della mano...

  Ma Beard non era più solo, e non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sapere a chi appartenesse la sagoma in controluce sulla porta. Senza servirsi di caffè non si concedeva stimolanti ed era persuaso che anche Beard avrebbe dovuto fare altrettanto Aldous sedette vicino al Grande Capo e, venendo subito al punto, disse: Le consiglio vivamente di leggere l'articolo sui film sottili per il fotovoltaico che uscirà la prossima settimana su «Nature». Una parte delle risorse di sangue in teoria destinate al cervello di Beard erano tuttora impegnate a irrorargli il pene, sebbene andassero rapidamente defluendo, altrimenti avrebbe forse conservato la presenza di spirito di invitare Aldous a levarsi di torno. Gli disse invece: Braby la sta cercando.

  L'ho saputo. Lei ha visto tutti i disegni della mia turbina.

  E probabile che sia nel suo ufficio, al momento. Ostentando una sorta di sfinimento professionale, Aldous si sfilò il berretto da baseball e si accasciò in poltrona chiudendo gli occhi: Avrei dovuto distruggerli. E roba piuttosto promettente, ammise Beard, ben poco volentieri.

  Non nutriva alcuna fiducia in chi indossa un berretto da baseball lontano da un campo da baseball, indipendentemente dal verso della visiera. E questo il punto. E roba rivoluzionaria, in effetti. Altro che torsione smorzata! Ottima angolazione di attacco per qualsiasi direzione del flusso di vento. Problema della turbolenza, risolto! Non mi fraintenda, professor Beard, è geniale, lo so.

  Ma se il Centro decide di lavorarci su, sprecheremo tre anni in ricerche di sviluppo su un progetto che una azienda commerciale qualsiasi potrebbe svolgere in prospettiva di guadagno. E non è abbastanza importante, la microturbina eolica non ci risolverà il problema, professore. Sono troppo pochi i centri abitati che possono contare su vento abbastanza teso. Abbiamo bisogno di una nuova fonte energetica per la civiltà tutta. Non c'è più tanto tempo.

  Dovremmo concentrarci sui principi fondamentali del solare, prima che tedeschi e giapponesi se la battano con il malloppo, prima che si sveglino gli americani. Perfino con il nostro clima di merda, gli infrarossi non mancano. Ma si può sapere perché sto dicendo tutto questo proprio a lei Dobbiamo tornare a occuparci di fotosintesi, vedere che c'è li da imparare. Ho grandi idee anche in quel campo. Sto raccogliendo i dati in un fascicolo per lei. E chi ti vedo, invece Mr Braby, che corre in Progettazione con i miei stupidi disegni in mano. Gesù! Si premette una mano sugli occhi ancora chiusi in un'ulteriore esibizione di stoica pazienza, questa volta di fronte a un patimento immeritato. Io sono un uomo semplice, professore.

  Chiedo solo di fare quello che è giusto per il mio pianeta. Capisco, disse Beard, improvvisamente incapace di affrontare l'ultimo biscotto che gli si era materializzato in mano. Lo rimise sul piatto e, con non poca fatica, si alzò. Devo proprio avviarmi, adesso. Ho bisogno di un passaggio alla stazione. E inutile, ribatté Aldous alzandosi di scatto e attraversando in tre falcate la sala per raggiungere il televisore; cambiò canale, aspettando che il programma saltasse al successivo, e infine alzò il volume. Sembrò che avesse evocato la notizia a beneficio della propria causa, che avesse ridotto lui una coppia di anziani coniugi alla miseria e alla disperazione per poi convincerli a gettarsi mano nella mano davanti al treno LondraOxford.

  Il notiziario locale non trasmetteva nulla di più cruento delle interviste a viaggiatori irritati che si erano visti costretti a lasciare la stazione di Reading, e ad altri già in attesa di fantomatici autobus sostitutivi. Il giovane scortò Beard alla porta, come si potrebbe accompagnare al bagno un paziente psichiatrico. Abito non lontano da Belsize Park e sto per andarmene.

  Non avrò una Prius, ma fino alla porta di casa sua ci posso arrivare. Beard non aveva idea di come facesse Aldous a sapere il suo indirizzo, ma ritenne inutile chiedere. E siccome al momento intendeva fare ritorno al quartier generale della sua infelicità, non aveva interesse a mandare Aldous in cerca di Jock Braby.

  Di li a pochi minuti, il Grande Capo si ritrovò seduto su una Ford Escort tutta arrugginita, costretto a fingere di ascoltare una dettagliata relazione su quanto ci si poteva aspettare di leggere nel prossimo rapporto della Commissione internazionale sui cambiamenti climatici. A quel punto la traiettoria di sguardo dell'autista doveva deviare di ben novanta gradi dalla strada per incontrare quella del passeggero, a tratti anche per parecchi secondi di seguito, durante i quali, in base ai calcoli di Beard, l'auto avrebbe percorso svariate centinaia di metri. Non è necessario guardarmi in faccia per parlarmi, avrebbe voluto dirgli, fissando il traffico dal parabrezza e cercando di prevedere l'attimo in cui si sarebbe dovuto impossessare del volante.

  Ma perfino Beard aveva difficoltà a richiamare all'ordine il proprio ospite, l'uomo che gli stava offrendo un passaggio. Meglio morire o passare il resto della vita da tetraplegico bilioso piuttosto che mostrarsi scortese. Dopo avergli esposto quanto si aspettava di leggere sul rapporto della Cicc, Aldous ricordò a Beard era la quindicesima persona a farlo nell'arco di dodici mesi che dieci su dieci, o forse nove su dieci anni dell'ultimo decennio del ventesimo secolo erano stati i più caldi mai registrati. Prese poi a riflettere sulla sensibilità climatica, sull'aumento delle temperature dovuto a un'emissione di CO2 doppia rispetto ai livelli dell'era preindustriale.

  All'ingresso in Londra, si era passati all'irraggiamento forzato, seguito dalla solita litania sulla riduzione dei ghiacciai, il processo di desertificazione, il depauperamento delle barriere coralline, l'alterazione delle correnti oceaniche, l'innalzamento del livello dei mari, la scomparsa di questo e di quello, eccetera eccetera, mentre Beard sprofondava nello sconforto della disattenzione, non perché il pianeta fosse in pericolo di nuovo quell'espressione demenziale ma perché qualcuno glielo stava raccontando con tanto entusiasmo. Ecco che cosa non sopportava delle persone politicamente impegnate: che ingiustizie e catastrofi fossero il loro latte materno, la loro linfa vitale, la sorgente del loro piacere.

  Cosi, il cambiamento climatico aveva travolto Tom Aldous. Chissà se disponeva di altri argomenti. Purtroppo si. Era in pensiero per le emissioni della sua auto e aveva scovato un ingegnere a Dagenham disposto a dargli una mano per convertirla al funzionamento elettrico. La trazione era buona, il problema riguardava la batteria: gli sarebbe toccato ricaricarla ogni cinquanta chilometri. A stento sarebbe riuscito ad arrivare al lavoro, sempre che non superasse i trenta chilometri all'ora.

  Finalmente, Beard costrinse Aldous a rientrare nel mondo dei vivi domandandogli dove abitava. A Hampstead, in un monolocale in fondo al cortile di uno zio. Ogni fine settimana andava in macchina a Swaffham a trovare il padre, malato di polmoni. La madre era morta da un pezzo.

  La vicenda di quella morte stava per prendere il via quando l'auto accostò davanti a casa. Mentre Beard cercava di interrompere la conversazione per poterlo ringraziare, non vedendo l'ora di porre fine all'incontro, Aldous si era già fiondato fuori dalla macchina per precipitarsi ad aprirgli la portiera e aiutarlo a scendere dalla vettura.

  Ce la faccio, ce la faccio, disse Beard spazientito, ma, dato il recente aumento di peso, quasi quasi non era vero, tanto era basso quel vecchio catorcio di auto. Recuperati i modi da infermiere di reparto psichiatrico, Aldous lo accompagnò lungo il vialetto; poi, quando furono davanti alla porta d'ingresso e Beard si mise a cercare la chiave, chiese di poter approfittare del bagno.

  Come dire di no Mettendo piede in casa gli venne in mente che era il pomeriggio libero di Patrice, e infatti eccola, in cima alle scale, col suo disinvolto occhio nero, jeans attillati, maglioncino di cachemire verde pallido e babbucce, pronta a scendere loro incontro tutta sorrisi e a offrirsi di fare un caffè, subito dopo le presentazioni.

  Per una ventina di minuti sedettero al tavolo di cucina e Patrice si mostrò gentile, reclinò graziosamente la testa ascoltando la storia della madre di Tom Aldous, gli rivolse domande comprensive e raccontò della propria madre, morta a sua volta in giovane età. Poi il tono del discorso si fece più leggero e lo sguardo di Patrice incrociò quello di Beard a ogni risata e con quello lo includeva, ascoltava sorridente le sue parole, sembrava divertirsi alle sue battute e a un certo punto arrivò perfino a sfiorargli la mano per interromperlo. All'improvviso Tom Aldous si mostrò dotato di eloquenza e senso dell'umorismo e li fece ridere con il racconto di suo padre, un tempo temibile professore di storia, ormai ridotto a un invalido litigioso che consegnava i suoi pasti d'ospedale interamente a un famelico uccello rapace. Aldous non faceva che rigirarsi e sorridere, mentre una timida mano gli andava d'istinto su per il collo a tormentarsi la coda di cavallo.

  Nemmeno per un istante fece mente locale sui pericoli che stava correndo il pianeta. E cosi i coniugi armoniosamente intrattennero il giovanotto cordiale e, quando questi si alzò per andarsene, risultò chiaro che era accaduto qualcosa di stupefacente, che si era verificata una sostanziale trasformazione nell'atteggiamento di Patrice verso il marito.

  Dopo aver accompagnato Aldous alla macchina, Beard, non osando sperare che il suo espediente di evocare la presenza di una donna imitandone a mani nude il passo sulle scale potesse avere funzionato sul serio, tornò a precipitarsi in casa per saperne di più. Ma trovò la cucina deserta, le tazze sporche ancora sul tavolo, la casa di nuovo avvolta nel silenzio. Patrice si era ritirata in camera sua e, quando lui salendo le tamburellò sulla porta, gli disse semplicemente di andare via.

  Aveva solo voluto torturarlo con il ricordo fuggevole della vita che un tempo condividevano. Era la sua assenza che intendeva fargli assaporare. Beard non la vide più fino alla sera successiva, quando usci di casa lasciando dietro di sé una scia di profumo diverso dal solito. Le settimane passarono senza grandi cambiamenti. Alla scuola elementare di Patrice ebbe inizio il semestre autunnale. Nel tardo pomeriggio lei correggeva compiti e preparava lezioni, e tre o quattro volte la settimana usciva intorno alle sette o le otto per andare da Tarpin. Quando alla fine di ottobre, col ritorno all'ora solare, il sentiero in giardino lungo il quale si allontanava cominciò a essere immerso nel buio, l'assenza di lei risultò ancora più assoluta.

  Della sua intenzione di invitare l'amante a cena non si seppe più nulla, almeno non quando Beard era in casa.

  Ogni tanto gli capitava di fermarsi fuori città per lavoro e, al suo rientro, non trovava traccia del passaggio di Tarpin, a meno di volerla cogliere nel particolare nitore della cucina, nel tavolo in quercia della camera da pranzo più lustro del solito, in tegami e padelle tutti stranamente riposti. Ma all'inizio di novembre Beard entrò nella dispensa accanto alla porta sul retro di casa a cercare una lampadina.

  Era una stanza cieca, fredda, dotata di scaffalature in pietra e mattoni sulle quali piccoli elettrodomestici, ciarpame e regali indesiderati avevano a poco a poco invaso lo spazio destinato alle provviste. Sulla parete in fondo al locale si apriva l'unica fessura di aerazione da cui filtravano aghi di luce e, proprio li sotto, vide una sacca di tela sporca. Beard si fermò a guardarla sentendosi montare dentro la rabbia; poi, notando che non era chiusa, ne scostò i lembi con un piede.

  C'erano vari attrezzi martelli di diverse misure, piani d'appoggio e robusti cacciaviti e, in cima al mucchio, la carta di una tavoletta di cioccolata, un torsolo di mela marrone, un pettine e un rivoltante fazzolettino di carta appallottolato. Impossibile che la sacca fosse rimasta li dai tempi in cui Tarpin sistemava il loro bagno, perché i lavori risalivano a mesi prima e Beard era certo che se ne sarebbe accorto.

  Le cose erano piuttosto chiare. Mentre lui era a Parigi o Edimburgo, il muratore era passato a trovare Patrice a fine giornata, il mattino successivo si era scordato gli attrezzi, o non ne aveva avuto bisogno, e Patrice glieli aveva ritirati là dietro. Il primo pensiero fu quello di scaraventarli fuori immediatamente, ma i manici della sacca erano unti e luridi e a Beard faceva schifo toccare qualsiasi oggetto che appartenesse a Tarpin. Prese la lampadina che cercava e tornò di là a versarsi uno scotch.