I TECNICI VERSO UNA COSCIENZA DI CLASSE
Estratto da "Quaderni Piacentini" n. 39. Novembre 1969
Paolo Bolzani
Con queste note ci proponiamo di intervenire nel dibattito aperto da S. Bologna e F. Ciafaloni su «Quaderni piacentini » n. 37, con l'obiettivo di affrontare alcuni temi che, a nostro avviso, sono particolarmente importanti per coprendere: a) quali sono le condizioni oggettive dalle quali muove l'attuale processo di presa di coscienza dei tecnici; b) quali potranno essere gli sbocchi e gli sviluppi futuri delle attuali lotte.
L'ipotesi di partenza è che la lotta muove dal disagio derivante dalla specifica posizione dei tecnici nella organizzazione del lavoro. Per comprendere quale tipo di coscienza ha spinto i tecnici a uscire dalla loro tradizionale passività per affrontare a livello collettivo alcuni loro problemi connessi con le condizioni di lavoro in azienda mi sembra particolarmente fecondo partire proprio da una analisi della specificità della loro posizione nella attuale organizzazione del lavoro. Da tale analisi si potranno trarre utili indicazioni sulle principali contraddizioni che, a livello soggettivo, hanno fatto da molla per la nuova presa di coscienza dei tecnici.
1. Il lavoro « tecnico »
Nella attuale fase di razionalizzazione della organizzazione produttiva tende a venir meno la distinzione fra funzioni essenzialmente esecutive e funzioni essenzialmente direttive in molti livelli intermedi e bassi della gerarchia aziendale. Un numero sempre maggiore di rụoli esecutivi richiede una quota di autodirezione e di autocontrollo, e quindi un certo tipo di accettazione-identificazione con le finalità della azienda.
I principali portatori di questo ruolo ambiguo sono i « tecnici ».
Il lavoro dei tecnici (siano essi impiegati, tecnici della produzione, specialisti nei vari settori della organizzazione, ricercatori ) contiene due aspetti fra loro contraddittori (come ogni lavoro intellettuale): a) esecutivo, in quanto il lavoro è svolto secondo certe direttive stabilite da altri; b) decisionale, in quanto esiste una certa misura di autodirezione e di autocontrollo del proprio lavoro, in un certo ambito di discrezionalità.
Le nuove tecniche produttive comportano un allargamento continuo dei « ruoli tecnici » a danno delle funzioni tradizionalmente esecutive (anche operaie non qualificate). Ne deriva una trasformazione nella composizione del lavoro subordinato con una progressiva riduzione del « proletariato non qualificato », in quanto il lavoro da questo svolto in parte viene sussunto dalle nacchine e in parte trasformato in lavoro tecnico.
Tale trasformazione non avviene tuttavia senza contraddizioni. Le lotte dei tecnici di questi ultimi tempi stanno dimostrando che è incominciato un processo di presa di coscienza che parte dal disagio derivante da una dequalificazione progressiva, dal sempre maggior grado di esecutività dei ruoli tecnici, dalla massificazione che si accompagna a questo processo.
Tradizionalmente con un alto grado di identificazione con l'azienda, frutto del privilegio di cui hanno sempre goduto nella divisione di lavoro, i tecnici vanno scoprendo lo sfruttamento cui sono soggetti. Data la specificità del loro inserimento nella organizzazione, ai tecnici si chiede non tanto un ritmo produttivo (come invece avviene per il lavoro manuale dell'operaio sottoposto alla tirannia del «Tempi e Metodi »), quanto una adesione ideologica: 'identificazione con i valori e gli obbiettivi dell'azienda.
« II lavoro di un impiegato è di solito valutabile non tanto in termini di rendimento o di produzione media, quanto in termini di applicazione; .. Quindi l'azione su di noi non è svolta solo ad organizzare tecnicamente il lavoro ma interferisce globalmente con la nostra persona» (1).
L'identificazione con i valori dell'azienda rappresenta il prezzo che il tecnico deve pagare per poter essere inserito nel'organizzazione. Questa condizione di inserimento ha fatto in modo che tradizionalmente impiegati e tecnici fossero « dalla parte dei padroni », individualisti nelle rivendicazioni, motivati solo alla carriera e quindi assolutamente non organizzati.
Per comprendere a fondo il salto « soggettivo » che ha portato alle attuali lotte è necessario partire da una analisi della attuale fase di razionalizzazione dell'organizzazione produttiva, sia dal punto di vista tecnico-produttivo che dal punto di vista ideologico (tenuto conto che l'inserimento nell'organizzazione produttiva del lavoratore intellettuale avviene anche con
una cooptazione ideologica). A tale scopo mi sembra particolarmente fe-
condo partire dalla analisi di due tendenze attualmente in atto:
a) Proletarizzazione dei tecnici e intellettualizzazione del lavoro manuale,
come risultato delle nuove tecniche produttive;
b) A livello ideologico superamento delle tradizionali teorie organizzative
(Taylorismo) per introdurre nuovi schemi partecipativi finalizzati alla
cooptazione del tecnico, in quanto la fedeltà è una premessa fonda-
mentale del suo lavoro.
1.1 Proletarizzazione dei tecnici e intellettualizzazione del lavoro ma-
nuale Nella società capitalistica la Scienza e la Tecnica, nel loro svi-
luppo funzionale al Capitale, tendono a realizzare forme sempre più
avanzate di sfruttamento attraverso una continua ricerca rivolta a razio-
nalizzare l'organizzazione del processo produttivo. « L'industria moderna non
considera e non tratta mai come definitiva la forma esistente di un
processo di produzione. Quindi la sua base tecnica è rivoluzionaria ... con
le macchine, con i processi chimici e con altri metodi essa sovverte
continuamente assieme alla base tecnica della produzione, la funzione degli
operai, e le combinazioni sociali del processo lavorativo » (2). Nell'attuale
fase, la razionalizzazione del processo produttivo comporta le seguenti
trasformazioni:
una quota sempre maggiore di lavoro « vivo » viene assorbito dal capitale
fisso nella forma di macchine automatizzate e automatiche (3);
il lavoro vivo, dove interviene, ha uno spazio produttivo sempre più
ristretto. Cioè il campo di attività risulta una parcellizzazione molto
spinta delle operazioni (4). Ciò viene fatto per esaltare il rendimento
dell'individuo attraverso l'applicazione dei suoi sforzi su un campo
limitato (qualora e dove la macchina non sia ancora in grado di
intervenire);
per questi tipi di compiti non sono necessarie « specializzazioni a
priori» bensi « conoscenze di base » che permettono di specializzarsi
per. lo speciale compito assegnatogli nella organizzazione; come risul-
tato di tale processo la specializzazione del tecnico consiste in uno
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specifico « saper fare » relativo ad un compito delimitato;
in quanto questa trasformazione coinvolge tutti i segmenti del processo
produttivo (Ricerca e Sviluppo, Produzione, Amministrazione, Distri-
buzione) si va verso un superamento, a livello esecutivo, della distin-
zione fra lavoro manuale e non manuale. L'automazione oggettivamente
tende a unificare i diversi interventi del lavoro « vivo » nei vari segmenti
del processo produttivo in un unico tipo di lavoro intellettuale in cui
prevale il coordinamento e il controllo.
Per approfondire l'analisi di queste trasformazioni diamo ulteriori
elementi sul processo di razionalizzazione in atto, distinguendo i vari
segmenti produttivi:
a) I tecnici specializzati (ingegneri, chimici, economisti, ecc.) lavorano
nell'ambito dei Servizi di Ricerca, Progettazione, Programmazione,
Marketing, ecc., sulla base di moduli tecnici in larga parte predeter-
minati; questi moduli costringono il lavoro entro schemi ben precisi,
e orientano in modo vincolato il contributo alla produzione. Questo
tipo di lavoro, considerato tradizionalmente fra i più creativi, e con
i più ampi margini di discrezionalità, tende sempre più ad essere
degradato a ruoli di misurazione secondo standard prefissati (la SNAM-
Progetti, e gli uffici di programmazione e di ricerche di mercato, sono
esempi di tali tendenze).
b) L'Amministrazione è stata la prima a vedere l'introduzione dei calco-
latori; l'elaborazione di tutti i dati contabili è completamente auto-
matizzata, per cui gli impiegati della amministrazione lavorano essen-
zialmente per procurare i dati da immettere nel calcolatore, e poi per
distribuirne le elaborazioni alla direzione. In larga parte non si può
più chiamare puramente « intellettuale » il lavoro di quasi la totalità
degli impiegati della amministrazione. A mio avviso ci si trova in
questo caso di fronte ad una dequalificazione massiccia che ha portato
a lavori sempre più esecutivi, ripetitivi, parcellizzati e inoltre a un
intervento di manualità che avvicina questo lavoro alle mansioni operate.
c) Per quanto riguarda la « Produzione » le tendenze alla « intellettualiz-
zazione » del lavoro operaio rappresentano un fenomeno molto più
limitato di quello che interessa le funzioni tradizionalmente impiega-
tizie e tecniche. Tuttavia in certi settori all'avanguardia da un punto
di vista tecnico-produttivo si assiste a una trasformazione del tradi-
zionale rapporto uomo-macchina (operaio al servizio della macchina)
e tende a perdere in una certa misura le caratteristiche di manualità
e di meccanicità man mano che si passa:
dalla meccanizzazione, in cui l'operaio integra il lavoro della macchina
alla automatizzazione, in cui l'operaio interviene solo per ricercare
le cause dell'errore della macchina ed eliminarle.
1.2 Le nuove esigenze di cooptazione dei tecnici Nel processo pro-
duttivo altamente razionalizzato, con l'introduzione ad un elevato grado
della meccanizzazione, che comporta le trasformazioni sopra analizzate,
cresce I'esigenza di sfruttare tutte le capacità dell'individuo in quanto
diventano qualitativamente sempre più importanti i suoi interventi nel
processo produttivo a livello di scelte e di giudizi di valore.
Con l'automazione è necessaria in misura sempre maggiore una certa,
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discrezionalità sia per i tempi che per i modi di intervento, da parte
dell'addetto al processo automatizzato. Si verifica cioè che, mentre il
processo produttivo ha cessato di essere processo di lavoro, nel senso che
il lavoro lo trascenda e lo comprenda... » perchè il lavoro è « disperso,
sussunto sotto il processo complessivo del macchinario » (5), tuttavia è
richiesto che il lavoro intervenga come « organo » cosciente » in vari punti
del processo per risolvere certi problemi che in esso possono insorgere.
Per ottenere le elevate prestazioni che il processo produttivo richiede,
occorre responsabilizzare gli individui anche ai livelli più bassi della
gerarchia. Ciò che si persegue ora è lo sfruttamento globale delle capacità
dell'individuo.
Tale processo non investe solo i tecnici specializzati (addetti alla
Ricerca, Relazioni Pubbliche, Marketing, ecc.) che rappresentano il livello
più alto della sfera « esecutiva » ai quali si richiede la dedizione assoluta
alla causa dello sviluppo aziendale, ma anche gli operai addetti alla
produzione, gli impiegati cosi detti « d'ordine», che rappresentano il livello
più basso della gerarchia degli esecutori. Diventa quindi sempre più
importante conquistare anche l'operaio alle finalità aziendali; ottenere
pertanto che l'operaio sia perfettamente integrato nel processo produttivo,
affinchè siano utilizzate tutte le sue capacità umane (non semplicemente
le energie fisiche e l'abilità intesa come mestiere).
Ed è per questo che il Capitale affronta il problema della gestione
aziendale senza distinzione a livello ideologico tra operai, impiegati, spe-
cialisti, ecc., ma semplicemente tra dirigenti ed esecutori.
Pertanto in sintesi le tendenze che si manifestano sono:
a) da una parte eliminazione del lavoro « vivo » ovunque è possibile
l'inserimento delle macchine; e dove ancora rimane la necessità del-
l'intervento umano adozione di criteri di specializzazione, di delimita-
zione precisa dei compiti, di scarsi margini di discrezionalità, per rendere
produttiva al massimo l'organizzazione;
b) dall'altra parte però, pur con i vincoli indicati, il lavoro richiesto tende
ad essere sempre più « qualificato », nel senso che si richiede una
quota di « saper fare specifico », che operi entro ristretti margini di
decisione e di autocontrollo. L'organizzazione capitalistica del lavoro
ha quindi ora, come esigenza fondamentale, la necessità di una coope-
razione e di una partecipazione.
Le due suddette tendenze creano una contraddizione tra degradazione
del lavoro, conseguente alle nuove tecniche produttive, e necessità di
un lavoro cooperante. Da qui nascono le azioni di « promozione ideolo-
gica » finalizzate alla « integrazione totale » dell'individuo, per farne uno
« strumento produttivo perfetto» completamente devoto alla causa del
Capitale.
2. Tecniche organizzative di cooptazione ideologica come strumento della
razionalizzazione capitalistica
2.1 Alla ricerca del modello perfetto di integrazione: prima fase, ovvero
« Le Relazioni Umane » - Fin dal 1920 i « teorici della Direzione» e i
« dirigenti più illuminati » iniziarono il processo di superamento della
« filosofia della Direzione autoritaria classica ».
L'accelerato sviluppo
razionalizzazione
capitalistico che sempre
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si accompagna (causa ed effetto) alle grandi guerre, incomincia a mani-
festare i suoi risultati oltre che sulle tecniche produttive anche sulle
tecniche di direzione. Si incomincia a mettere in discussione la conce-
zione che considera l'operaio come « mera appendice della macchina che
ricerca solo il compenso economico del suo lavoro », II Capitale si accorge
che non è sufficiente basarsi sull'incentivo economico per ottenere una
piena dedizione al lavoro. Il « non aver considerato i lavoratori come
esseri umani, cominciò ad essere vista come la causa del morale basso, della
scarsa intraprendenza, della irresponsabilità e della confusione » (6).
L'inevitabile antagonismo tra lo sfruttatore e lo sfruttato, che produce
come effetto una scarsa produttività della forza lavoro, non può essere
tollerato nel processo produttivo capitalistico che è innanzitutto «l'auto-
valorizzazione del Capitale più grande possibile, cioè la massima produzione
di plus-valore, e di conseguenza il maggior sfruttamento possibile della
forza lavorativa da parte del capitalista » (7).
Occorre trovare il modo di sfruttare la forza lavoro acquistata, ma non
immessa nel processo di valorizzazione, a causa della insoddisfazione degli
sfruttati. Si scopre cosi la legge « non di solo pane vive l'uomo!!! >».
Il dirigente incomincia ad educarsi a « sorridere », a « dialogare » con
il dipendente, allo scopo di mistificare i! carattere necessariamente dispo-
tico della Direzione finalizzata alla valorizzazione del Capitale. Il diri-
gente educa se stesso a considerare il dipendente come un «uomo totale »
(whole man) piuttosto che semplicemente come un insieme di abilità
e di esperienza.
I teorici dell'organizzazione capitalistica del lavoro studiano una nuova
teoria che permette di utilizzare la «scoperta dell'uomno » nel processo
produttivo: il modello delle Relazioni Umane (Human Relations).
Per poter comprendere a fondo questa tecnica organizzativa occorre
innanzitutto considerare il suo obiettivo base: cioè la costruzione di una
forza lavoro cooperante e condiscendente, facendo sentire ai membri
dell'organizzazione di essere una parte utile ed importante nel complesso
degli sforzi produttivi. Si inventa così la « partecipazione » intesa come
lubrificante che fa scivolar via la resistenza all'autorità; cioè come tecnica
per far accettare le decisioni e ottenere pertanto un miglioramento nei
risultati.
Discutendo con i subordinati e conoscendo le loro esigenze indivi-
duali ed i loro desideri, il dirigente spera di costruire un gruppo di
lavoro coesivo che sia volonteroso e ben predisposto.
In questo modello si manifesta nella sua pienezza 1'illusione del
Capitale di eliminare la condizione alienata degli sfruttati semplicemente
dimostrando loro l'importanza del loro contributo alla produzione, e chie-
dendo 1loro consigli e pareri per la soluzione di problemi produttivi
particolari.
E' questo il cosi detto « salario di privilegio » (8), (la scelta è coerente
con la legge di mercato) con cui il dirigente paga la merce-cooperazione
del lavoratore. Il manager « paga un prezzo » ammettendo i suoi subor-
dinati al «privilegio » di partecipare a certe decisioni settoriali e ad
esercitare una certa auto-direzione; come corrispettivo si aspetta una piena
cooperazione per realizzare gli obiettivi aziendali (che evidentemente sono
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stabiliti altrove, fuori dalla « sfera partecipativa »). In questo modello
evidentemente non si crede ancora al contributo « creativo » dell'esecutore
in quanto si parla di « prezzo pagato », sottintendendo che le decisioni
sarebbero prese in modo più veloce e più efficiente dal solo dirigente.
Questo prezzo pagato trova guistificazione solo nell'effetto moltiplicativo,
in termini di valorizzazione, che deriva dalla cooperazione.
Le Relazioni Umane pertanto tendono solamente a sfruttare nel modo
più completo le energie fisiche e le esperienze specifiche dell'individuo
cambiando I'apparenza dell'espressione autoritaria e dispotica della Dire-
zione. Siamo però molto lontani dall'aver scoperto come forza produttiva
diretta « l'uomo totale ».
2.2 Organizzazione delle « Risorse Umane » II vero salto qualitativo
si ha invece quando, parallelamente alle esigenze dello sviluppo tecno-
logico che ha fatto del processo produttivo un meccanismo estremamente
delicato e perfezionato, si scopre che l'individuo può dare infinitamente
di più proprio come uomo « creativo » piuttosto che come forza lavoro
intesa come abilità ed esperienza specifica. Se il prezzo pagato per ottenere
un più completo sfruttamento delle energie fisiche ed intellettuali speci-
fiche, era una certa pratica di Relazioni Umane, ora il prezzo per acquistare
«l'uomo creativo » può essere ben più elevato.
La razionalizzazione del processo produttivo ha sempre rappresentato
e tuttora rappresenta uno sfruttamento a livello sempre più elevato della
forza-lavoro. Nella fase attuale ci troviamo di fronte a un processo dı
intensificazione dello sfruttamento a livello intellettuale.
Come abbiamo visto, nel processo attuale ovunque l'uomo può essere
sostituito dalla macchina si opera la sostituzione. Ma vi è una superiorità
dell'uomo che tuttora resiste: la sua immaginazione, creatività, la sua
capacità di giudizi di valore.
L'esigenza di sfruttamento « integrale » dell'uomo e pertanto anche
della sua capacità creativa e della sua immaginazione richiede un intervento
radicale nell'organizzazione del lavoro. Si propone quindi un modello di
sfruttamento delle « Risorse Umane », intendendo come tali non solo le
abilità specifiche, e l'esperienza relativa a certi momenti produttivi, ma
anche le capacità creative.
La tesi è che le capacità e le abilità « umane » rappresentano una
riserva di risorse inutilizzate nelle aziende. Le risorse che in modo parti-
colare sono inutilizzate sono l'abiltà creativa, la capacità di comportamento
responsabile, auto-diretto, auto-controllato.
Partendo da tali premesse il compito primario del dirigente è quello
di creare un ambiente nel quale « tutte » le risorse possano essere utiliz-
zate. In questo schema il Capitale tende ad attuare una appropriazione
totale dell'individuo inserendo la sua vita globale nella produzione. I|
tempo di lavoro diventa totalizzante: niente rimane al di fuori di esso
La fabbrica come vita, la vita come fabbrica. Per realizzare tale obiettivo
vengono messe in discussione le precedenti formulazioni di autorità nella
fabbrica.
l punto cruciale in cui questo modello differisce da quello delle
Relazioni Umane è nel modo in cui è posta una relazione causale tra
soddisfazione e rendimento. Nel modello delle Relazioni Umane la soddi-
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sfazione è ricercata per ottenere un maggior rendimento. Nel modello
delle Risorse Umane la soddisfazione non è vista come la causa del
miglior rendimento; questo miglior rendimento è invece considerato come
derivante direttamente dal contributo creativo dell'esecutore.
Questo secondo modello rappresenta il nnassimo sforzo di integrazione
nel contesto produttivo conseguito con una identificazione completa con
l'azienda e le sue finalità attraverso la partecipazione alle decisioni.
I destinatari di questa operazione di cooptazione completa sono i
« tecnici». Soprattutto quei tecnici che lavorano nei dipartimenti di Ri-
cerca e Sviluppo delle grandi aziende capitaliste. Tale processo di integra-
zione tende a venire assunto come « filosofia aziendale » in un numero
sempre maggiore di aziende.
Questo sforzo prodotto dal Capitale nasce da un'esigenza produttiva
derivante da una sempre maggiore complessità del processo di produzione.
A questo livello di razionalizzazione dell'organizzazione del lavoro
diventa insopportabile per il capitale l'alienazione ed i suoi effetti.
Il modello delle Risorse Umane, orientato ad eliminare l'alienazione,
trova tuttavia gravi liniti proprio nell'esigenza di mantenere ed accre-
scere la razionalità del funzionamento del processo produttivo capitalistico,
che, in quanto tale, non ha come parametro base l'uomo, bensi il profitto.
E' proprio di questa contraddizione implicita all'ideologia organizza-
tiva delle Risorse Umane che i tecnici incominciano a scoprire la realtà
del loro sfruttamento. In apparenza i manipolatori dell'organizzazione
vendono un sistema di partecipazione alla produzione capitalistica, in
realtà però mantengono la struttura gerarchica (in quanto la sola perfet-
tamente funzionale al modo di produzione capitalistico, come strumento
di autoconservazione della classe dominante) a garanzia del razionale funzio-
namento del processo.
Non vengono cioè intaccate, in quanto strutturali al sistema, quei
principi di organizzazione del lavoro capitalistico che tendono a realiz-
zare « 1'autovalorizzazione del Capitale più grande possibile ». La logica
del « piano capitalistico » rimane in ogni caso esterna e contrario allo
sfruttato.
3. Alcune indicazioni
Dall'analisi fatta emergono alcune indicazioni utili per comprendere
la collocazione di classe dei tecnici.
Nell'attuale fase di razionalizzazione del processo produttivo esiste una
tendenza all'allargamento dei ruoli « tecnici » (quindi del lavoro « intel-
letuale »).
II lavoro intellettuale viene organizzato sempre più con criteri di
« catena di produzione » (9). Ne deriva una degradazione progressiva del
lavoro del tecnico, come conseguenza della parcellizzazione, delimitazione
del modo di operare con schemi ben prefissati, massificazione e standar
dizzazione del lavoro.
La crescente insoddisfazione derivante dalle suddette condizioni di lavoro
causa sempre maggiori difficoltà al Capitale ad ottenere la merce-cooperazione
(di cui consiste essenzialmente il lavoro del tecnico). Per questo il Capitale
studia ed attua nuovi mezzi di cooptazione ideologica (ha scoperto che non
sono più sufficienti quelli tradizionali: salario e miraggio della carriera).
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Vengono a questo scopo riscoperti concetti « socialisti » di partecipazione,
cooperazione, adattandoli alla situazione concreta.
Le soluzioni organizzative che emergono dalla applicazione di tali
mezzi di cooptazione, portano però in sè una sempre più manifesta con-
traddizione fra socialità della produzionee appropriazione privata del
prodotto. La partecipazione cercata dal « dirigente » è anche quella che
lo smaschera nella misura in cui tale discorso è strumentale alla realiz-
zazione di finalità che restano al di fuori della sfera di decisioni e di
interessi del lavoratore.
Emerge quindi con forza sempre maggiore la volontà antagonistica
del tecnico; inizia a scoprire la lotta collettiva, in quanto si accorge
che il suo problema non è individuale e non può essere risolto nel rapporto
individualistico con l'Organizzazione.
II processo di presa di coscienza avviene lentamente, ma decisamente
nella direzione di una precisa collocazione di classe. Fuori dagli schemi
tradizionali di imbrigliamento dei sindacati, i tecnici iniziano a darsi
obiettivi che direttamente intaccano l'organizzazione del lavoro capita-
listica. Dalle richieste economiche che intaccano le discriminazioni salariali
operate per dividere gli operai dagli operai, gli operai dai tecnici, i tecnici
dai tecnici, ecc. allo scopo di permettere il dominio assoluto delle leggi
capitalistiche, alle richieste che intaccano l'organizzazione tecnica del lavoro,
come la Job Evaluation che, oltre a permettere un uso più « scientifico »
delle discriminazioni in azienda, rappresenta un primo tentativo di standar-
dizzazione delle mansioni per applicare una razionalità del tipo « Catena
di Produzione » anche al lavoro « intellettuale ».
Paolo Bolzani
(1) Da un volantino del Gruppo di Studio della Sit-Siemens.
(2) K. Marx, I1 Capitale, ed. Rinascita, vol. 1°, pagg. 199 e 200.
(3) L'Automazione attualmente tende ad investire tutti i segmenti del processo produt-
tivo (ricerca, produzione, amministrazione, distribuzione). In particolare con l'intro-
duzione dei calcolatori elettronici della « terza generazione », tutti i settori aziendali
subiscono una trasformazione. La prima ad essere interessata a questa trasforma-
zione è stata l'Amministrazione: contabilità, fatturazione, paghe del personale, ecc.
sono state completamente automatizzate. Anche la « Produzione» impiega il calco-
latore in misura sempre maggiore. Un altro segmento interessato sono gli « Ufici
Studi, Ricerca e Sviluppo ». Un indice della trasformazione radicale della « Ricerca »
nella Azienda è dato da una Società americana produttrice di automobili in cui è
stato impostato un sistema di calcolatori elettronici che fornisce a partire dalle
caratteristiche tecniche, economiche ed estetiche, non solo il disegno di esecuzione ma
anche i piani delle matrici che ne permnetteranno la fabbricazione. I « Servizi
Commerciali » si avvalgono dei calcolatore per analisi di mercato, previsioni, piani-
ficazione dei prodotti, ecc.
(4) Si applica al lavoro vivo lo stesso principio del lavoro automatizzato. Il processo
produttivo viene ripartito allo stesso modo sia che si programmi per far eseguire
un lavoro al computer, che a una squadra di operai e/o tecnici. Il processo viene
ripartito in operazioni estremamente elementari, alcune delle quali vengono svolte
da operai e tecnici e altre dalle macchine che intervengono nelle varie fası
del processo.
(5) K. Marx, Franmmento sulle macchine, Quaderni rossi », n. 4, pag. 290.
(6) R. Bendix, Work and Autority in Industry (New York, Wiley & Sons, 1956), pag. 294.
(7) K. Marx, Il Capitale, cit., vol, 1.
(8) Robert Dubin, The World of Work (Englewood Cliffs, New Jersey, Pretic Hall, Inc.
1958), pagg. 243-244.
(9) Alla « Fabbri Editori » si inizia ad usare il « Tempi e Metodi » per le segretarie.