IL TRAM
Estratto da "Una bellezza russa e altri racconti"
Vladimir Nabokov
[...] Secondo me, in questo sta il senso della creazione letteraria: descrivere gli oggetti comuni com'essi appariranno riflessi nello specchio benevolo dei tempi futuri[...]
Fra circa vent'anni il tram elettrico scomparirà, come è scomparso quello a cavalli. Mi pare che abbia già un'aria antica, una specie di fascino fuori moda. Tutto lì è un po' goffo e traballante, e quando il tram prende troppo velocemente una curva, e il trolley scatta fuori dalla linea di alimentazione, e il conducente, oppure un passeggero, si sporge dall'estremità posteriore della carrozza, guarda in alto, e fa dondolare il filo fino quando l'asta di presa di corrente non è tornata al suo posto, mi immagino sempre il cocchiere delle diligenze di un tempo, a cui a volte sarà caduta la frusta e che, tenendo a freno il tiro a quattro, avrà mandato a raccoglierla il ragazzo in livrea dalle lunghe falde che gli sedeva accanto a cassetta e traeva squilli acuti dal corno mentre la diligenza attraversava veloce un villaggio sferragliando sull'acciottolato.
Il bigliettaio ha mani molto insolite. Si muovono svelte come quelle di un pianista, ma invece di essere molli, sudaticce e con le unghie delicate, sono talmente ruvide che quando gli mettiamo le monete nel palmo e capita di sfiorarlo, ci sembra sia coperto di una dura crosta chitinosa, e proviamo una sorta di disagio morale. Sono mani straordinariamente leste ed efficienti, nonostante la ruvidezza e lo spessore delle dita. Lo osservo incuriosito mentre con le unghie larghe e nere stringe il biglietto in una morsa e lo punzona due volte, rovista nella borsa di cuoio, dà uno strattone alla corda della campanella; oppure quando, con una spinta del pollice, apre la finestrella speciale della porta davanti per distribuire i biglietti ai passeggeri della piattaforma anteriore. E per tutto il tempo il tram continua a oscillare, i passeggeri in piedi nel corridoio si afferrano alle maniglie a pendaglio e ondeggiano avanti e indietro; eppure l'uomo non fa cadere una sola moneta né un biglietto strappato dal rotolo. In questi giorni invernali, la metà inferiore della porta sul davanti è stata schermata con una tenda di stoffa verde, i finestrini sono annebbiati dal gelo, gli alberi di Natale in vendita ingombrano il bordo dei marciapiedi a ogni fermata, i piedi dei passeggeri sono intorpiditi dal freddo, e talvolta una manopola grigia di lana pettinata copre le mani del conducente. Al capolinea la vettura di testa si sgancia, si inserisce su un binario di raccordo, gira attorno a quella rimasta ferma e le si accosta da dietro. Qualcosa ricorda una femmina sottomessa nel modo in cui la seconda vettura aspetta che la prima, il maschio, lanciando verso l'alto una piccola fiammata crepitante, si avvicini e si accoppi. E (senza la metafora biologica) mi sovvengo del modo in cui, circa diciotto anni fa, a San Pietroburgo, si sganciavano i cavalli per farli girare attorno al panciuto tram blu.
Il tram a cavalli è scomparso, e scomparirà anche il tram elettrico e, se un eccentrico scrittore berlinese negli anni Venti del ventunesimo secolo vorrà descrivere il nostro tempo, visiterà un museo della tecnica e cercherà una vettura tranviaria di cent'anni prima, gialla, sgraziata, dai sedili curvi e antiquati, e anche un museo del costume, dove andrà a scovare una divisa da conducente, nera e con i bottoni lucenti. Poi tornerà a casa per mettere assieme una descrizione delle strade di Berlino in giorni remoti. Ogni cosa, anche la più insignificante, sarà preziosa ed essenziale: la borsa del conducente, il cartello pubblicitario sopra il finestrino, quel movimento peculiare a scossoni che i nostri pronipoti forse riusciranno a immaginare – tutto sarà nobilitato e giustificato dall'età delle cose.
Secondo me, in questo sta il senso della creazione letteraria: descrivere gli oggetti comuni com'essi appariranno riflessi nello specchio benevolo dei tempi futuri; trovare, negli oggetti che ci circondano, la tenerezza fragrante che solo i posteri sapranno discernere e apprezzare in tempi lontani, quando ogni inezia della nostra semplice vita quotidiana sarà considerata mirabile e gaia, come in effetti è: tempi in cui un uomo che indossi la più banale giacca dei nostri giorni sarà abbigliato come per un elegante ballo in maschera.