AMORE RICORDI ARTE ADOLESCENZA
Estratto da "All'ombra delle fanciulle in fiore"
Estratto da "All'ombra delle fanciulle in fiore"
Marcel Proust
«Il piacere specifico del viaggio non consiste nel poter scendere durante il tragitto e nel fermarsi quando si è stanchi; sta nel rendere la differenza tra la partenza e l’arrivo non già la più inavvertita, ma la più profonda possibile, nel farla sentire nella sua totalità, intatta, qual era in noi quando la nostra immaginazione ci portava dal luogo dove si viveva fin nel cuore d’un luogo desiderato, in un balzo che ci sembrava miracoloso più che per il fatto di valicare una distanza per quello di unire due individualità distinte della terra, di condurci da un nome a un altro nome.»
L’amore, dopo l’amore
«Il nostro amore, in quanto è l’amore di una certa creatura, non è forse qualcosa di veramente reale, perchè, se associazioni di fantasie piacevoli o dolorose possono per qualche tempo legarlo a una donna fino a farci pensare che sia stato ispirato da lei in modo necessario, in compenso, se ci svincoliamo volontariamente o a nostra insaputa da quelle associazioni, l’amore, come se fosse invece spontaneo e provenisse solo da noi, rinasce per dedicarsi a un’altra.»
«Avevo già imparato che qualunque cosa potessi amare, l’avrei raggiunta solo al termine d’un inseguimento doloroso nel corso del quale avrei dovuto, prima di tutto, sacrificare il mio piacere a quel bene supremo, invece di cercarvelo.»
«Di solito viviamo con il nostro essere ridotto al minimo, e la maggior parte delle nostre facoltà restano addormentate, riposando sull’abitudine, che sa quel che c’è da fare e non ha bisogno di loro.»
«Una rinuncia non è sempre totale da principio, quando la decidiamo con la nostra vecchia anima e prima che per reazione la rinuncia stessa abbia agito su di noi.»
«Si può avere simpatia per una persona. Ma per scatenare quella tristezza, quel sentimento d’irreparabile, quelle angosce, che preparano l’amore, ci vuole – ed è forse questo, più che una persona, l’oggetto stesso che la passione cerca ansiosamente di attingere – il rischio di una impossibilità.»
«Quando siamo innamorati di una donna, proiettiamo semplicemente in lei uno stato della nostra anima; che, di conseguenza, l’importante non è il valore della donna, ma la profondità dello stato d’animo; e che le emozioni che una ragazza mediocre ci dà possono permetterci di far risalire alla nostra coscienza parti più intime di noi stessi, più personali, più lontane, più essenziali, di quanto non farebbe il piacere che ci dà la conversazione di un uomo superiore o anche la contemplazione ammirata delle sue opere.»
«Quando un animo è portato al sogno, non bisogna tenernelo lontano, razionarglielo. Finché distoglierete il vostro animo dai suoi sogni, esso non li conoscerà; sarete il trastullo di mille apparenze, perché non ne avrete compreso la natura. Se un po’ di sogno è pericoloso, quel che ce ne guarisce non è il sognar meno, ma di più, è tutto il sogno. Bisogna conoscere interamente i propri sogni per non soffrirne più; c’è una certa separazione fra il sogno e la vita che è spesso così utile fare che mi domando se non si dovrebbe in ogni caso effettuarla preventivamente, come certi chirurghi sostengono che sarebbe necessario, per evitare la possibilità di un’appendicite futura, togliere l’appendice a tutti i bambini.»
«Le variazioni dell’importanza che hanno ai nostri occhi un dolore o un piacere possono non dipendere soltanto da quell’alternarsi dei due stati, ma dallo spostamento di convinzioni invisibili, che per esempio ci fanno apparire indifferente la morte perché vi irradiano sopra una luce d’irrealtà, e ci permettono così di attribuire importanza ad una serata musicale che perderebbe la sua attrattiva se, all’annuncio che stiamo per essere ghigliottinati, la convinzione che colora quella serata si dissipasse d’un tratto. Questa parte rappresentata dalle convinzioni, è vero che qualcosa in me la conosceva: la volontà; ma essa la conosce invano, se l’intelligenza e la sensibilità continuano ad ignorarla; queste sono in buona fede quando credono che abbiamo voglia di lasciare un’amante alla quale solo la nostra volontà sa che noi siamo attaccati, perché esse sono oscurate dalla convinzione che la ritroveremo fra un istante. Basta che questa convinzione si dissipi, ch’esse apprendano d’un tratto che quell’amante è partita per sempre, perché l’intelligenza e la sensibilità, perduto il loro equilibrio, siamo come pazze, e il minimo piacere cresca all’infinito. Variazione di una convinzione, inconsistenza dell’amore anche, il quale, preesistente e mobile, si ferma all’immagine di una donna semplicemente perché quella donna sarà quasi impossibile a raggiungersi. Da allora si pensa non tanto alla donna, che ci si rappresenta difficilmente, quanto ai mezzi di conoscerla. Tutta una successione di angosce si svolge e basta fissar eil nostro amore su quella che ne è l’oggetto quasi ignoto a noi. L’amore diventa immenso, noi non pensiamo quanto poco posto vi abbia la donna reale. E se, d’un tratto, cessiamo d’essere inquieti, di provare angoscia, poiché proprio questa è tutto il nostro amore, sembra improvvisamente che esso sia svanito nel momento in cui teniamo infine la preda, al cui valore non abbiamo pensato abbastanza. [...] Da quando avevo visto Albertine, avevo fatto ogni giorno, su di lei, migliaia di riflessioni, avevo svolto, con quel che chiamavo lei, tutto un discorso interiore, in cui le facevo domandare, rispondere, pensare, agire; e, nella serie indefinita di Albertine immaginate che si succedevano in me ora per ora, l’Albertine reale, scorta sulla spiaggia, non compariva che in testa, come in una lunga serie di rappresentazioni, la “creatrice” di una parte, la “stella”, appare soltanto nelle prime. Quell’Albertine era soltanto una sagoma; tutto quel che vi si era sovrapposto era opera mia, tanto nell’amore gli apporti che vengono da noi hanno il sopravvento – anche a mettersi solo dalla visuale della quantità – su quelli che vengono dall’essere amato.E questo è vero degli amori più reali. Ve ne sono alcuni che possono non soltanto formarsi, ma sussistere intorno a ben poca cosa, e anche fra quelli che hanno avuto la loro sodisfazione carnale.»
«Una certa somiglianza esiste, pur evolvendosi, tra le donne che amiamo successivamente: somiglianza dovuta alla fissità del nostro temperamento, dato che è lui a sceglierle, eliminando tutte quelle che non ci sarebbero a un tempo opposte e complementari, cioè atte ad appagare i nostri sensi e a far soffrire il nostro cuore. Sono, queste donne, un prodotto del nostro temperamento, un’immagine, una proiezione rovesciata, una “negativa” della nostra sensibilità.»
«Conosciamo il carattere di coloro che ci sono indifferenti, ma come potremmo afferrare quello di un essere che si confonde con la nostra vita, che presto non separiamo più da noi stessi, sui moventi del quale non cessiamo di fare ansiose ipotesi, continuamente rimaneggiate?»
Ricordi
«I ricordi d’amore non fanno eccezione alle leggi generali della memoria, rette a loro volta dalle leggi più generali dell’abitudine. Siccome questa affievolisce tutto, quel che meglio ci rammenta una persona è proprio ciò che avevamo dimenticato. Ecco perchè la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, nel soffio di un vento di pioggia, nell’odor di rinchiuso d’una camera o nell’odore d’una prima fiammata, dovunque ritroviamo di noi stessi quel che la nostra intelligenza, non sapendo come impiegarlo, aveva disprezzato: l’ultima riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lagrime sembrano esaurite, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? In noi, per meglio dire, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, in un’oblio più o meno prolungato. Solo grazie a quest’oblio possiamo di tanto in tanto ritrovare l’essere che fummo, situarci di fronte alle cose, così com’era situato quell’essere, soffrire di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e perché egli amava ciò che a noi adesso è indifferente. Nella piena luce della memoria abituale le immagini del passato impallidiscono a poco a poco, si cancellano, non ne rimane più nulla, non le ritroveremo più.»
«La filosofia parla spesso di atti liberi e di atti necessari. Forse non ve n’è nessuno più completamente subito da noi di quello che, in virtù di una forza ascensionale compressa durante l’azione, fa, quando il nostro pensiero è in riposo, risalire così un ricordo livellato agli altri dalla forza oppressiva della distrazione, e lo fa slanciarsi, perché a nostra insaputa esso conteneva più degli altri un fascino di cui ci accorgiamo soltanto ventiquattr'ore dopo. E forse anche non v’è atto più libero, perché è ancora sprovvisto di abitudine, di quella specie di mania mentale che, nell’amore, favorisce il rinascere esclusivo dell’immagine di una data persona.
«A volte, tra il momenti in cui certi piaceri sono penetrati in noi e il momento in cui possiamo rientrarvi noi stessi, sono passate tante ore, abbiamo visto nell’intervello tante persone, che temiamo che non ci abbiano aspettati. Ma sono pazienti, non si stancano, e, quando tutti se ne sono andati, ce li troviamo davanti. A volte noi siamo allora così stanchi che ci pare di non aver più, nel nostro pensiero prossimo a venir meno, tanta forza da trattenere quei ricordi, quelle impressioni, per cui il nostro fragile “io” è il solo luogo abitabile, l’unica possibilità di attuazione. E lo rimpiangeremmo, perché l’esistenza offre interesse solo nelle giornate in cui alla polvere delle realtà viene a mischiarsi sabbia magica, in cui qualche volgare incidente della vita diventa una molla fantastica. Tutto un promontorio del mondo inaccesisbile sorge allora dall’illuminazione del sogno, ed entra nella nostra vita: nella nostra vita in cui, come i dormiente risvegliato, vediamo le persone di cui avevamo così ardentemente sognato da credere che non le avremmo mai vedute fuorché in sogno. [...] Accade dei piaceri come delle fotografie: quello che si prova vicino all’essere amato non è che una lastra negativa, che si sviluppa più tardi, ritornati a casa, quando si è ritrovata a propria disposizione quella camera oscura interiore il cui ingresso è vietato finché c’é gente.»
Arte
«Sbadiglia in anticipo di noia un letterato cui si parli di un nuovo “bel libro”, perchè immagina una specie di composto di tutti i bei libri che ha letti, mentre un bel libro è particolare, imprevedibile, e non è fatto della somma di tutti i capolavori precedenti, ma di qualcosa che l’aver perfettamente assimilato quella somma non basta davvero a far trovare perché è appunto fuori di essa. »
«Coloro che credono durevoli le loro opere prendono l’abitudine di situarle in un tempo in cui essis tessi non saranno più che polvere. E così, costringendoli a pensare al nulla, l’idea della gloria li rattrista, perché è inseparabile dall’idea della morte.»
«Nello stato d’animo in cui si“osserva” si è molto sotto il livello su cui ci si trova quando si crea.»
«L'intelligenza lascia scorrere la catena dei giorni passati, conservandone con forza solo l'ultimo capo, spesso di un metallo totalmente diverso dagli anelli scomparsi nella notte, e nel nostro viaggio attraverso la vita, non considera come reale che il paese in cui ci troviamo attualmente»
Adolescenza
«La caratteristica della ridicola età che stavo traversando – età tutt’altro che ingrata, molto feconda – è di non consultare l’intelligenza e di credere che i menomi attribuiti degli esseri siano parte indivisibile della loro persona. Tutti circondati di mostri e di dèi, non si conosce la calma. Dei gestii compiuti in quegli anni, quasi non ve n’è uno che più tardi non vorremmo sopprimere, mentre ciò che invece dovremmo rimpiangere è di non possedere più la spontaneità che ce li faceva compiere. Più tardi si vedono lel cose in modo più pratico, pienamente conforme a quello del resto della società, ma l’adolescenza è il solo tempo in cui si sia imparato qualcosa.»
«Per la maggior parte, i volti stessi di quelle fanciulle si confondevano in quel rossore diffuso dell’aurora, da cui non erano ancor sorti i lineamenti veri. Non si vedeva che un colore incantevole, sotto al quale quello che sarebbe stato fra qualche anno il profilo non si distingueva ancora. [...] Ma quelle stesse gentilezzo, dopo una certa età, non adducono più morbide fluttuazioni su un viso che le lotte dell’esistenza hanno indurito, reso per sempre combattivo o estatico. L’uno – per la forza continua dell’obbedienza che sottomette la sposa allo sposo – sembra, piuttosto che il volto di una donna, quello di un soldato; l’altro – scolpito dai sacrifici cui ha acconsentito ogni giorno la madre per i suoi figli – è quello di un apostolo. Un altro ancora, dopo anni di traversie e di tempeste, è il viso di un vecchio lupo di mare, in una donna di cui soltanto gli abiti rivelano il sesso. E, certo, le gentilezze che una donna ha per noi possono ancora, quando l’amiamo, disseminare di nuovi incanti le ore trascorse con lei; ma essa non è successivamente per noi una donna diversa. La sua allegria rimane estranea a un volto immutato. Ma l’adolescenza è anteriore alla solidificazione assoluta: ecco perché, accanto alle fanciulle, sentiamo quella freschezza che dà lo spettacolo delle forme che mutano senza posa, in una opposizione instabile che fa pensare a quella perpetua creazione degli elementi primordiali della natura che contempliamo davanti al mare.»
«Ciascuno dei nostri amici ha talmente i propri difetti che, per continuare a volergli bene, siamo costretti a uno sforzo per consolarci di essi pensando al suo ingegno, alla sua bontà, al suo affetto o, piuttosto, a ricorrere a tutta la nostra buona volontà per non tenerne conto. Purtroppo, la nostra compiacente ostinazione a non vedere il difetto dell’amico è inferiore a quella con cui egli vi si abbandona, a causa della sua cecità e della cecità che attribuisce agli altri. Perchè il suo difetto egli non lo vede, o crede che gli altri non lo vedano. Siccome il rischio di dispiacere deriva soprattutto dalla difficoltà di capire che cosa passa o che cosa non passa inosservato, si dovrebbe almeno per prudenza non parlare mai di sé, perché è un tema sul quale si può esser certi che la vista degli altri e la nostra non concordano mai. Se quando si scopre la vera vita degli altri, l’universo reale sotto l’universo apparente, si hanno le stesse sorprese che nel visitare una casa dall’aspetto qualsiasi e interamente piena di tesori, di grimaldelli e di cadaveri, non meno stupiti si resta se, in luogo dell’immagine che ci si era fatti di noi stessi grazie a quello che ognuno ce ne diceva, si apprende dal linguaggio usato dagli altri nei nostri confronti in nostra assenza quale immagine del tutto diversa portino in sé di noi e della nostra vita. [...] Il meno che si rischi è di infastidire con la sproporzione che c’è tra il concetto che abbiamo di noi stessi e le nostre parole: sporporzione che rende, di solito, i discorsi degli uomini su di sé altrettanto risibili dei canterellii dei falsi amatori di musica, i quali provano il bisogno di accennare un motivo che amano, compensando lì’insufficienza del loro mormorio inarticolato con una mimica energica e un’aria ammirativa per niente giustificata da quel che ci fanno udire. E alla cattiva abitudine di parlare di sé e dei propri difetti bisogna aggiungere l’altra, che fa blocco con essa, di denunciare negli altri difetti esattamente analoghi ai nostri. [...] D’altronde sembra che la nostra attenzione, sempre attratta da ciò che ci caratterzza, lo noti negli altri più di qualsiasi altra cosa. [...] Ma non solo quando parliamo di noi crediamo gli altri ciechi; ci comportiamo come se fossero tali. Per ognuno di noi esiste un dio speciale che gli nasconde o gli promette l’invisibilità del suo difetto, così come chiude gli occhi ed il naso delle persone che non si lavano sull’orlatura di sporcizia che hanno agli orecchi e sull’odor di sudore che mandano dalle ascelle, e le persuade che possono impunemente portare a spasso l’una e l’altro in società senza che nessuno se ne accorga.»
«Non si riceve la saggezza, bisogna scoprirla da sé, dopo un tragitto che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché essa è una visuale sulle cose. Le vite che ammirate, le attitudini che giudicate nobili, non sono state predisposte dal padre di famiglia o dal precettore; sono state precedute da esordi ben diversi, hanno subito l’influsso del male o della banalità che regnavano intorno a loro. Rappresentano una lotta e una vittoria. Comprendo che l’immagine di quel siamom mstati n un primo periodo non sia più riconoscibile e sia in ogni caso sgradevole. Non va però rinnegata, perché è una prova che abbiamo veramente vissuto, che, secondo le leggi della vita e dello spirito, abbiamo tratto dagli elementi comuni della vita.»
«Noi non siamo simili a costruzioni cui si possano aggiungere pietre dall’esterno, ma a piante che traffono dalla loro propria linfa il nodo successivo del loro fusto, il piano superiore del loro fogliame.»
«I lineamenti del nostro viso non sono che gesti divenuti per l’abitudine definitivi. La natura, come la catastrofe di Pompei, come una metamorfosi di ninfa, ci ha immobilizzati nel movimento usuale. Allo stesso modo le nostre intonazioni contengono la nostra filosofia della vita, quel che la persona si dice ogni momento sulle cose.»