Recensione https://desiderioefilosofia.com/2009/11/26/il-professore-di-desiderio/
1977 Philip Roth
Al rights reserved under International and Pan-American Copyright Conventions Published by arrangement with Farrar, Straus and Giroux, LLC, New York
©c) 2009 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
ISBN 978-88-06-17894-9
Bando agli indugi, è venuto il momento di svelare ciò che non andrebbe svelato - la storia del desiderio del professore. Però non posso farlo senza prima chiarire in modo soddisfacente, almeno per me, se non per i vostri genitori, perché ho deciso di eleggervi a miei voyeur, miei giurati e miei confidenti, perché ho deciso di esporre i miei segreti a persone che hanno la metà dei miei anni, e che perlopiù non ho mai visto né conosciuto.
Perché voglio un pubblico, quando la maggior parte degli uomini e del e donne preferiscono tenere tali faccende per sé oppure rivelarle solo ai più fidati confessori, laici o religiosi? Cosa rende necessario, addirittura appropriato, che mi presenti a voi giovani sconosciuti in guisa non di insegnante ma di primo dei testi di questo semestre? Sono devoto alla finzione, e vi assicuro che quando sarà il momento vi spiegherò tutto quel che so in proposito, ma a dire il vero nul a vive in me quanto la mia vita». Da studente al col ege, David Kepesh si proclama
«libertino fra gli eruditi, erudito fra i libertini».
Non sa ancora quanto profetico - o fatale - si rivelerà questo motto.
Perché seguendo Kepesh dall’ovattata vita familiare del ‘infanzia fino allo sconfinato territorio selvaggio del ‘opportunità erotica, da un ménage à trois a Londra ai travagli del a solitudine a New York, Philip Roth crea un romanzo di suprema intel igenza, toccante e spesso esilarante, sul dilemma del piacere: dove lo cerchiamo, perché lo fuggiamo, con quanta fatica giungiamo a una tregua fra la dignità e il desiderio. «Philip Roth è un grande storico del ‘erotismo moderno. .
Parla di una sessualità che sa mettersi in discussione; ancora edonismo, ma un edonismo problematico, ferito, ironico. Unisce in modo del tutto inedito confessione e ironia. E’ infinitamente vulnerabile nel a sua sincerità e infinitamente elusivo nel a sua ironia». Milan Kundera Philip Roth ha vinto il Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana. Nel 1998 ha ricevuto la National Medal of Arts alla Casa Bianca, e nel 2002
il più alto riconoscimento del ‘American Academy of Arts and Letters, la Gold Medal per la narrativa. Ha vinto due volte il National Book Award e il National Book Critics Circle Award, e tre volte il PEN/Faulkner Award. Nel 2005 Il complotto contro l’America ha ricevuto il premio del a Society of American Historians per «il miglior romanzo storico di tematica americana nel periodo 2003-2004». Recentemente Roth ha ricevuto i due più prestigiosi PEN Award: nel 2006 il PEN/Nabokov Award e nel 2007 il PEN/Saul Bel ow Award for Achievement in American Fiction. Roth è l’unico scrittore americano vivente la cui opera sia pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America. Opere di Philip Roth nel catalogo Einaudi: Pastorale americana (1998), Operazione Shylock (1998), Il teatro di Sabbath (1999), Ho sposato un comunista (2000), Lamento di Portnoy (2000), La macchia umana (2001), L’animale morente (2002), Lo scrittore fantasma (2002), Chiacchiere di bottega (2004), Zuckerman scatenato (2004), Il complotto contro l’America (2005), Il seno (2005), La lezione di anatomia (2006), L’orgia di Praga (2006), Everyman (2007), Patrimonio 1
(2007), Il fantasma esce di scena (2008).
a Claire Bloom
La tentazione viene a me per la prima volta nel e sgargianti vesti di Herbie Bratasky, intrattenitore, direttore d’orchestra, cantante sentimentale, comico e maestro di cerimonie nel ‘albergo dei miei genitori in una località turistica montana. Quando non è fasciato dai calzoncini elasticizzati da nuotatore professionista che sfoggia per condurre le lezioni di rumba sul bordo del a piscina, si veste in pompa magna, cioè in giacca casual bicolore crema e cremisi, e pantaloni flosci giallo canarino che si stringono progressivamente fino a incatenarlo appena sopra le scarpe bianche traforate del baro di mestiere. Una gomma da masticare Blackjack ancora incartata lo attende in tasca mentre un’altra viene assaporata con un lento movimento allusivo del e mascel e, in quel a che mia madre definisce con sprezzo la «boccaccia» di Herbie. Sotto la sottile cintura di alligatore all’ultima moda penzola la catenina d’oro del e chiavi, e un ginocchio freme dentro i pantaloni, al ritmo di tamburi che solo Herbie sente suonare in quel Congo che è il suo cervel o. Il nostro opuscolo promozionale (a partire dalla quarta elementare redatto da me in col aborazione con il titolare) pubblicizza Herbie come «il nostro Cugat ebreo, il nostro Krupa ebreo - tutto in uno!»; più avanti lo proclama
«novel o Danny Kaye», e infine, così che sia chiaro a tutti che questo ventenne da sessanta chili non è un signor nessuno e l’Hungarian Roy ale dei Kepesh non è propriamente fuorimano, «un nuovo Tony Martin». I nostri ospiti sono affascinati dallo sfrontato esibizionismo di Herbie quasi quanto lo sono io. Il cliente appena arrivato non fa in tempo ad accomodarsi in veranda su una del e sedie a dondolo in vimini smaltato che un habitué giunto la settimana prima dall’afosa città lo mette al corrente di questo prodigioso esemplare del a nostra tribù: - E devi vedere che abbronzatura. Ha una pel e che non si brucia mai, si abbronza subito. Basta un giorno di sole. La pel e di quel ragazzo è uscita dritta dritta dai tempi del a Bibbia. A causa di un timpano lesionato, il nostro asso nel a manica -
come Herbie ama definirsi, più che altro per far rabbia a mia madre - rimane con noi durante tutta la seconda guerra mondiale. Fra le sedie a dondolo e i tavoli verdi si tengono interminabili diatribe sul ‘origine del a sua invalidità: congenita o autoinflitta? L’insinuazione che non sia stata Madre Natura a impedire a Herbie di combattere Tokjo, Mussolini e Hitler.. be’, la sola idea è per me un oltraggio, un’offesa personale. D’altro canto è allettante immaginare Herbie che stringe fra le mani uno spil one o uno stuzzicadenti - o uno spuntone rompighiaccio! - e si procura una mutilazione per farla in barba alla commissione di leva. -
Da lui non mi stupirebbe, - dice l’ospite A-owitz, - quel volpone sarebbe capace di tutto. E’
un furbastro, quel o! - Andiamo, non può averlo fatto. Quel ragazzo ama la patria come chiunque altro. Te lo dico io come ha fatto a diventare mezzo sordo, e chiedi al dottore qui se non ho ragione: a forza di battere su quei tamburi, - dice l’ospite B-owitz. - Oh, e come li suona, i tamburi, - dice l’ospite C-owitz, - potrebbe essere sul palcoscenico del Roxy, se non fosse che, come dici tu, è proprio a causa dei tamburi che non ci sente bene. - Però, - dice D-owitz, - non ha mai negato, e neppure confermato, di averlo fatto lui con qualche aggeggio.
- E’ un uomo di spettacolo, perciò ci tiene alla suspense. Il suo repertorio consiste proprio in questo: lasciarsi credere così pazzo da essere capace di tutto. - Non dovresti dirlo neanche per scherzo. Gli ebrei hanno già abbastanza guai. - Ma per favore, un ragazzo che si veste così, con quel a catenina per le chiavi, e con un fisico come il suo, su cui lavora giorno e notte, e in più quei tamburi, credi che si procurerebbe mai una grave lesione fisica solo per sottrarsi allo sforzo bel ico? - Sono d’accordo, al cento per cento. A proposito, ramino. -
2
Oh, mi hai preso alla sprovvista, figlio di puttana. Perché diavolo non li ho calati questi fanti, mi domando e dico? La sapete una cosa? Un ragazzo così bel o e così divertente non lo trovi tutti i giorni. Avere quel ‘aspetto, e saper far ridere, e scatenarsi con quei tamburi. . è una cosa più unica che rara negli annali del o show business. - E quel o che sa fare in piscina? E al trampolino? Se Bil y Rose gli mette gli occhi addosso e lo vede fare il pagliaccio nel ‘acqua a quel modo, lo ingaggia subito per l’Aquacade. - E la voce che ha? - Se solo non la sprecasse per fare il buffone. . se solo cantasse sul serio. - Se cantasse sul serio, quel ragazzo sarebbe già alla Metropolitan Opera. -
Cristo santo, se cantasse sul serio potrebbe fare il cantore in sinagoga. Spezzerebbe il cuore a tutti. Quanto gli donerebbe il talled bianco, con quel ‘abbronzatura! - E a quel punto mi sorprendono a origliare mentre lavoro su un model ino di Spitfire del a Raf al fondo del a veranda. - Ehi, piccolo Kepesh, vieni qui, ficcanaso che non sei altro. A chi vorresti somigliare da grande? Ascoltatelo. . piantala un momento di mischiare le carte. Chi è il tuo eroe, marmocchio? Non ho bisogno di pensarci due volte, anzi non ho bisogno di pensarci affatto.
- Herbie, - rispondo, con gran divertimento dei presenti. Solo le madri sembrano un po’ costernate. Ma signore mie, chi altro potrebbe essere?
Chi altro sarebbe in grado di imitare l’accento di Cugie, lo squil o del o shofar, nonché, su mia richiesta, un caccia che scende in picchiata su Berchtesgaden - e nel o stesso tempo il Führer sotto che dà di matto? L’entusiastico virtuosismo di Herbie è tale che mio padre deve intimargli di tenere per sé alcune del e sue imitazioni, per quanto originali siano.
- Ma, - protesta Herbie, - la mia scoreggia è perfetta.
- Sarà, - replica il capo, - però non è adatta a un pubblico misto. - Ma ci lavoro da mesi. Ascolta! - Oh, risparmiami, Bratasky, per carità. Non è quel che vuol sentire dopo cena un ospite affaticato mentre gioca al casinò. A questo ci puoi arrivare anche tu. O no? A volte non capisco dove hai la testa. Non ti rendi conto che questa è gente kasher? Non vedi che ci sono donne e bambini? Amico mio, è semplice: lo shofar va bene per le feste solenni, e l’altra roba va bene per il cesso. Punto, Herbie. Discorso chiuso. Perciò si rivolge a me, il suo riverente accolito, per imitare le flatulenze proibitegli in pubblico dal mio mosaico padre.
Scopro così che non solo è in grado di simulare l’intera panoplia di suoni - dal più impercettibile zefiro primaverile alla salva dei ventuno colpi di cannone - con cui il genere umano emette i propri gas, ma sa anche «fare la diarrea». Non solo, si affretta a precisare, un povero shlimazel in preda agli spasmi - che già padroneggia alla perfezione fin dai tempi del e superiori -, ma l’intera sinfonia wagneriana del o Sturm und Drang fecale. - Potrei apparire in Strano ma Vero, - mi dice. - Lo leggi Strano ma Vero, no? Al ora giudica da te! -
Sento il fruscio di una cerniera lampo che viene abbassata. Poi uno scroscio di tutto rispetto contro una tazza smaltata. Poi il rombo del o sciacquone, seguito dal gorgoglio e dai singulti di un rubinetto difettoso. E il tutto proviene dalla bocca di Herbie. Mi getterei adorante ai suoi piedi. - E senti questo! - Sono due mani che si insaponano l’un l’altra, nel a bocca di Herbie. - Per tutto l’inverno vado in bagno all’Automat e me ne sto li seduto ad ascoltare. - Davvero?
- Certo. Ascolto anche i rumori che faccio io ogni volta che vado al cesso. -
Veramente? - Però per il tuo vecchio, lui che se ne intende, sono tutte porcherie! «Discorso chiuso!» - aggiunge Herbie, con una voce esattamente uguale a quel a del mio vecchio! E
parla sul serio. Com’è possibile, mi chiedo. Come può Herbie aver accumulato una tale dose di sapienza e vivo interesse nel campo dei tintinni del a latrina? E
perché ottusi filistei come mio padre gli rendono così poco onore? Tutto ciò in estate, quando mi trovo sotto l’incantesimo del demoniaco percussionista. Poi viene Yom Kippur e Bratasky se ne va, e a cosa mi serve aver imparato quel che uno come lui ha da insegnare a un ragazzo nel ‘età del o sviluppo? Da un giorno all’altro i nostri -witz, -berg e 3
-Stein si disperdono in regioni per me altrettanto remote di Babilonia -
giardini pensili chiamati Pelham e Queens e Hackensack - e a riguadagnare il terreno locale sono i nativi che coltivano i campi, mungono le vacche, gestiscono i negozi e lavorano per la contea o per lo stato. Io sono uno degli unici due ebrei in una classe di venticinque alunni e, per quanto sia tentato di dar fiato alle trombe e mostrare a quei buzzurri i fuochi d’artificio di Herbie, il rispetto del e regole e del e convenienze sociali (a quanto pare altrettanto radicato in me del ‘attrazione per il delirante, il pomposo, il bizzarro) mi impone di non distinguermi dai miei compagni di classe in alcun modo, se non per i voti in pagel a.
Fare altrimenti, lo so bene - senza che mio padre abbia bisogno di ricordarmelo -, non mi porterebbe da nessuna parte. E da nessuna parte non è il posto dove ci si aspetta che io vada. Così, come un bambino nel ‘il ustrazione di un calendario, mi trascino per quasi tre chilometri attraverso ondeggianti cumuli di neve giù per la nostra strada di montagna fino alla scuola dove passo l’inverno a eccel ere, mentre molto più a sud, nel a più grande del e città, là dove ogni cosa accade, Herbie (che di giorno vende linoleum per uno zio e nei fine settimana suona con un combo latinoamericano) si sforza di perfezionare le sue ultime impressioni scatologiche. Mi descrive i suoi progressi in una lettera che tengo nascosta nel a tasca posteriore abbottonata dei calzoncini, e rileggo ogni volta che ne ho l’opportunità; a parte i biglietti di auguri per il compleanno e i francobol i da col ezione, è l’unica missiva che abbia mai ricevuto. Naturalmente ho il terrore che, se affogassi mentre pattino sul ghiaccio o mi rompessi il col o mentre vado in slitta, la busta con il timbro postale di brooklyn, mi verrebbe trovata da uno dei miei compagni, e tutti si radunerebbero intorno al mio cadavere tappandosi il naso. Mia madre e mio padre morirebbero dalla vergogna.
L’Hungarian Royale perderebbe il suo buon nome e farebbe bancarotta. Con ogni probabilità non mi sarebbe concessa sepoltura fra le mura del cimitero ebraico. E tutto a causa di quel che Herbie ha osato scrivere su un pezzo di carta e poi spedire attraverso un ufficio postale governativo a un ragazzino di nove anni, che il mondo che lo circonda (e quindi anche lui stesso) considera puro. Possibile che Bratasky ignori in quel modo il punto di vista del e persone rispettabili? Non capisce che mandare una lettera come quel a probabilmente significa violare la legge, rendendomi suo complice? Ma se è così, perché mi ostino a portarmi dietro il documento incriminante per tutta la giornata? Lo tengo in tasca anche quando sono impegnato a competere per il primo posto nel a gara settimanale di ortografia contro l’altra finalista, la mia correligionaria dai capel i ricci e futura pianista concertista, la bril ante Madeline Levine; di notte lo tengo nel a tasca del pigiama, per poterlo leggere sotto le coperte alla luce di una torcia elettrica, e poi dormirci insieme stringendolo al cuore.
«Sto arrivando all’esatta comprensione del rumore del pezzo di carta igienica che si stacca dal rotolo. Il che significa che ho quasi completato l’impresa, ragazzo. Adesso Herbert L. Bratasky e nessun altro al mondo sa fare una pisciata, una cagata, la diarrea - e anche la carta che si srotola. A questo punto non mi resta che un’ultima montagna da scalare: la pulizia del culo!»
Quando ho diciott’anni e sono matricola a Syracuse, la mia passione per la mimica rivaleggia ormai con quel a del mio mentore, solo che, invece di produrmi in numeri alla Bratasky, faccio Bratasky, gli ospiti e il personale del ‘albergo. Imito il capocameriere rumeno in smoking che fa il gran signore in sala da pranzo - «Da questa parte, prego, Monsieur Kornfeld. . Madame, altro kishke?» - per poi, tornato in cucina, imprecare nel ‘yiddish più scurrile contro il cuoco ubriaco minacciando di strangolarlo. Imito i nostri gentili, il goffo factotum George che contempla timidamente le signore a lezione di rumba accanto alla piscina, e Big Bud, il non più giovane ma ancora muscoloso bagnino (e addetto alla manutenzione) che abborda languidamente la casalinga in vacanza e a seguire, se possibile, la nubile figliola che si abbronza il naso appena rifatto. Mi esibisco anche in un 4
lungo dialogo (idil ico-storico-tragicomico) fra i miei esausti genitori che si preparano ad andare a letto la sera del a chiusura del a stagione. Mi sbalordisce scoprire che, agli occhi degli altri, i più ordinari eventi del a mia vita precedente appaiono tanto spassosi, - sul e prime mi stupisce anche apprendere che non tutti hanno avuto anni formativi così popolati di tipi pittoreschi. E non mi era mai passato per la testa di essere anch’io un tipo pittoresco.
Durante i primi semestri al col ege mi viene assegnato il ruolo principale nel e produzioni universitarie di drammi di Giraudoux, Sofocle e Congreve. Appaio in una commedia musicale, in cui canto e ballo alla mia maniera. A quanto pare non c’è nul a che io non sappia fare su un palcoscenico - e soprattutto nul a che sappia trattenermi dal salire sul palcoscenico. Al ‘inizio del secondo anno i miei genitori vengono a trovarmi al col ege per vedermi recitare Tiresia - più vecchio, nel a mia interpretazione del ruolo, di loro due messi insieme - e più tardi, alla festa per la prima, assistono apprensivi alla mia imitazione a grande richiesta del principesco rabbino con la dizione perfetta che ogni anno si fa «tutta la strada» da Poughkeepsie per presiedere ai riti del e feste solenni nel casinò del ‘albergo. La mattina dopo li accompagno a fare un giro del campus.
Mentre ci dirigiamo verso la biblioteca diversi studenti si complimentano con me per la mia sbalorditiva resa del a vecchiaia la sera prima. Impressionata - pur ricordandomi, con la sua tipica ironia, che non molto tempo fa era lei a cambiare e lavare i pannolini di questo divo del palcoscenico -, mia madre commenta: - Ti conoscono tutti, sei famoso, -
mentre mio padre, cercando di tenera a bada la delusione, domanda di nuovo: - Al ora non fai più medicina? - Al che ribadisco per la decima volta, ribadendo che è la decima volta: -
Voglio fare l’attore, - e ci credo davvero, fino al giorno in cui tutt’a un tratto recitare, alla mia maniera, mi sembra la più inconcludente, effimera, patetica e narcisistica del e vocazioni. Mi prende una feroce rabbia contro me stesso per essermi fatto conoscere da tutti, per aver fatto mostra del a mia stupida vanità, che in precedenza l’angustia del mio nido sepolto nel a campagna mi aveva impedito di manifestare, anche a me stesso. Mi umilia a tal punto essermi denudato a quel modo che medito di trasferirmi in un’altra scuola, e lì ricominciare da capo, puro e immacolato di fronte a occhi ignari del a mia egocentrica bramosia di applausi e luci del a ribalta. Seguono mesi in cui ogni due settimane abbraccio un nuovo proposito penitenziale. Farò medicina - e studierò da chirurgo. O forse da psichiatra, se voglio davvero fare del bene all’umanità. Diventerò avvocato. .
diplomatico. . o addirittura rabbino, un rabbino erudito, contemplativo, profondo. . Leggo Io e tu e i racconti dei chassidim, e a casa in vacanza interrogo i miei genitori sul a storia del a famiglia nel vecchio mondo. Ma sono più di cinquant’anni che i miei nonni sono emigrati in America, e ormai sono morti, e i loro figli non nutrono che un interesse puramente sentimentale per le origini mitteleuropee, perciò alla fine abbandono l’inchiesta, e con essa anche la fantasticheria rabbinica. Ma non il tentativo di darmi solide fondamenta. Ripenso con disgusto alla mia decrepitezza in Edipo re, al mio fascino canagliesco in Sul e ali del ‘arcobaleno - tutto quel nauseante recitare/1. Basta con la frivolezza e il maniacale esibizionismo! Ho vent’anni, è ora di smetterla di impersonare altri, è ora di Diventare Me Stesso. O almeno di cominciare a impersonare il me stesso che ritengo di dover essere.
Lui - il successivo me stesso - si rivela un serio, solitario, alquanto raffinato giovane devoto alle lingue e letterature europee. I miei col eghi attori sono divertiti da come abbandono il palcoscenico per ritirarmi in una pensione con la sola compagnia di quei sommi scrittori che, da studente, amo chiamare «gli architetti del a mia mente». «David si è ritirato dal mondo, - pare annunci il mio rivale nel a compagnia di teatro, - ha deciso di mettere l’abito». Be’, mi do del e arie, lo ammetto, e so come drammatizzare me stesso e le mie scelte, ma più che altro sono un assolutista - un giovane assolutista - e non conosco altro modo per cambiar pel e se non inserire il bisturi e lacerarmi da cima a fondo. O sono una cosa o l’altra. Così, a vent’anni, sono ben deciso a disfarmi del e contraddizioni e 5
lasciarmi alle spalle le incertezze. Nei restanti anni di col ege vivo più o meno come durante gli inverni del a mia infanzia, quando l’albergo era chiuso e io leggevo centinaia di libri del a biblioteca nel corso di centinaia di bufere di neve. Durante i mesi artici i lavori di manutenzione e ristrutturazione occupano ogni giornata - odo il suono del e catene dei pneumatici che graffiano il fondo stradale, odo il rumore del e assi di legno che cadono nel a neve dal pianale del pick-up, e i ritmi semplici e rincuoranti del martel o e del a sega. Oltre i davanzali incrostati di neve vedo George e Big Bud che arrivano in macchina per riattare le cabine accanto alla piscina coperta. Faccio un cenno di saluto, George suona il clacson. . e in quei momenti è come se i Kepesh fossero tre animali in intima, indisturbata ibernazione.
Mamma, papà e il piccolino in letargo, al sicuro nel Paradiso di Famiglia. Invece dei pittoreschi ospiti in persona, in inverno abbiamo con noi le loro lettere, altrettanto pittoresche e numerose, lette ad alta voce da mio padre dopo cena. Sapersi valorizzare è la sua specialità, per come la vede lui; nonché garantire un sano divertimento, e, per quanto maleducati gli ospiti possano essere, trattarli come esseri umani. Fuori stagione però l’equilibrio dei poteri si modifica un po’, e i clienti, in preda alla nostalgia per il sole, le risate e il cavolo ripieno, si spogliano del a propria esigente imperiosità - «Firmano il registro, -
dice mia madre, - e quei ballagula con le loro mogli shtunk subito si credono il Duca e la Duchessa di Windsor» - e cominciano a trattare mio padre come se anche lui fosse un esponente a pieno titolo del a specie, e non il bersaglio del loro scontento o la spalla per le loro grottesche abitudini regali. Quando la neve è più alta, a volte arrivano anche quattro o cinque lettere alla settimana, piene di notizie: un fidanzamento a Jackson Heights, un trasferimento a Miami per motivi di salute, l’apertura di un secondo negozio a White Plains.. Oh, mio padre adora ricevere notizie, buone o cattive che siano. Quel e lettere sono una dimostrazione di cosa significa per la gente l’Hungarian Royale - anzi, sono una dimostrazione non solo di questa ma di molte altre cose. Dopo aver letto le missive, sgombra un capo del tavolo, e a fianco di un piatto pieno del rugalech di mia madre, compone le risposte nel a sua calligrafia sconnessa. Io correggo l’ortografia e inserisco la punteggiatura dove lui ha tracciato le lineette che suddividono il lungo paragrafo senza a capi in irregolari brandel i di filosofia spicciola, reminiscenze, profezie, perle di saggezza, analisi politiche, condoglianze e congratulazioni.
Poi mia madre batte a macchina ogni lettera sul a carta intestata del ‘Hungarian Royale - sotto l’iscrizione che recita Ospitalità Vecchio Mondo In Uno Splendido Scenario Montano. Regole Alimentari Rigidamente Osservate. I Vostri Titolari, Abe e Bel e Kepesh - e aggiunge il P.S.
confermando la prenotazione per l’estate a venire e richiedendo un piccolo acconto.
Prima di incontrare mio padre nel corso di una vacanza su queste stesse col ine - lui aveva ventun anni, era disoccupato e faceva la stagione come cuoco di piatti veloci -, mia madre aveva lavorato, nei primi tre anni dopo le superiori, come segretaria in uno studio legale.
Secondo la leggenda era una giovane donna meticolosa e coscienziosa, di sbalorditiva competenza, che viveva solo per servire i patrizi avvocati di Wall Street presso cui lavorava, uomini del a cui statura - morale e fisica - parlerà con riverenza fino alla morte. Il suo Mr Clark, nipote del fondatore del o studio, continua a mandarle un telegramma con gli auguri a ogni compleanno, anche dopo essersi trasferito in Arizona al momento del a pensione, e ogni anno, stringendo il telegramma fra le mani, lei dice con voce sognante al mio stempiato padre e a me piccolino: - Oh, era un uomo così alto, così bel o. Così pieno di dignità. Ricordo ancora come si è alzato da dietro la scrivania quando sono entrata nel suo ufficio per il col oquio. Non dimenticherò mai il suo portamento -. Ma destino vol e che a notarla appoggiata a un pianoforte mentre cantava Amapola insieme a un gruppo di vacanzieri metropolitani, e a dirsi all’istante: «Io sposerò quel a ragazza», fosse un uomo tarchiato e irsuto, con un possente torace, bicipiti alla Braccio di Ferro e nessuna credenziale di classe.
6
Lei aveva occhi e capel i così scuri, e gambe e seno così ben torniti e «sviluppati», che sul e prime lui la scambiò per una spagnola. E l’inveterata passione per l’impeccabilità che l’aveva resa tanto cara a Mr Clark junior la fece apparire ancora più provocante agli occhi del ‘energico giovane intraprendente con non poco del o schiavista nel a propria anima servile. Purtroppo, una volta sposata, le qualità che avevano fatto di lei la pupil a del ‘austero boss gentile la spingono a un passo dall’esaurimento nervoso entro la fine di ogni estate - perché anche in un piccolo albergo a conduzione familiare come il nostro c’è sempre un reclamo su cui indagare, un dipendente da tenere d’occhio, biancheria da elencare, cibo da assaggiare, conti da preparare. . e avanti e avanti e avanti e, ahimè, mai che sia possibile lasciar fare un lavoro alla persona che lo dovrebbe fare, dal momento che non viene mai Fatto Bene.
Solo in inverno, quando mio padre e io ci troviamo a rivestire gli improbabili ruoli di Clark pére e fils, e lei siede in perfetta postura da dattilografa alla grossa Remington Noiseless nera trascrivendo con puntigliosità le sue verbose risposte, intravedo la contegnosa e felice senorita di cui mio padre si è innamorato a prima vista. A volte dopo cena invita addirittura me, un bambino del e elementari, a fingere di essere un uomo d’affari e a dettarle una lettera, così da potermi mostrare la sua magica stenografia. - Sei il proprietario di un’impresa di trasporti, - mi dice, anche se in realtà mi è appena stato permesso di comprarmi il primo coltel ino tascabile. - Avanti, comincia -. Con una certa regolarità mi ricorda la differenza fra una normale segretaria e quel o che lei era, e cioè una segretaria legale. Mio padre conferma con fierezza che è davvero stata la più impeccabile segretaria legale che abbia mai lavorato in quel o studio - Mr Clark in persona l’ha ribadito in una lettera di congratulazioni in occasione del fidanzamento. Poi un inverno, quando a quanto pare ho l’età giusta, mi insegna a battere a macchina. Nessuno, prima o dopo, mi ha mai insegnato qualcosa con altrettanta innocenza e convinzione. Ma è inverno, la stagione segreta. D’estate mia madre è sotto assedio, i suoi occhi scuri dardeggiano frenetici, e lei guaisce e mugola come un cane pastore la cui ragione di vita sia condurre al mercato il riottoso gregge del padrone. Un singolo agnel ino che si allontana di qualche metro la spedisce a tutta velocità giù per l’impervia pendice - un belato da un’altra parte, ed ecco che scatta nel a direzione opposta. E non c’è un momento di tregua fino al termine del e feste solenni, e anche allora non c’è tregua. Perché quand’è partito l’ultimo ospite si deve fare l’inventario - subito! senza indugio! Quel che è stato rotto, strappato, macchiato, scheggiato, sciupato, rovinato, spezzato, rubato; quel che dev’essere riparato, sostituito, ridipinto, gettato via; l’ammontare del e «perdite». Su questa donnina semplice e ordinata che più di ogni altra cosa al mondo ama la vista di una perfetta copia carbone priva di sbavature ricade il compito di andare di stanza in stanza a prendere nota sul registro del a portata del a violenza esercitata sul a nostra roccaforte montana dalle orde di vandali che mio padre insiste nel considerare - nonostante il veemente disaccordo di lei - alla stregua di esseri umani. Come gli inclementi inverni del e Catskil trasformano ognuno di noi in un Kepesh più dolce, sano, innocente e sentimentale, così nel a mia stanza a Syracuse la solitudine agisce su di me finché il me stesso vanesio e superficiale comincia a prendere congedo. Non che, nonostante tutto il mio leggere, sottolineare e prendere appunti, io sia diventato del tutto altruista. Un detto attribuito a un egotista di chiara fama come Lord Byron fa colpo su di me con la sua mel iflua saggezza, riassumendo in sole sei parole quel o che già allora mi sembra un dilemma morale di insuperabili proporzioni. Con una certa audacia strategica, lo cito ad alta voce alle compagne che mi resistono sostenendo che sono troppo intel igente per certe cose. - Studioso di giorno, - le informo, - dissoluto di notte -.
Scopro presto che è meglio sostituire «dissoluto» con «voglioso» - dopotutto non mi trovo in un palazzo veneziano, ma in un campus nel Nord del o Stato di New York, e non mi posso permettere di sconvolgere queste ragazze più di quanto già non faccia con il mio 7
«vocabolario» e la mia crescente reputazione di
«solitario». Leggendo Macaulay per Inglese 203, mi imbatto nel a sua definizione di Steele, il col aboratore di Addison, e «Eureka!», esclamo, perché ecco un’altra prestigiosa giustificazione per i miei alti voti e i miei bassi desideri. «Un libertino fra gli eruditi, un erudito fra i libertini». Perfetto! Me lo attacco in bacheca, accanto alla citazione da Byron, subito sopra i nomi del e ragazze che ho in mente di sedurre, una parola le cui più profonde risonanze non derivano per me dalla pornografia e neppure dai rotocalchi, ma dalla tormentata lettura di Enten-Eller di Kierkegaard. Ho un unico amico maschio che vedo con regolarità, un nervoso, imbranato e brutto laureando in filosofia di nome Louis Jelinek, ed è stato lui a introdurmi a Kierkegaard. Come me, Louis affitta una stanza in città per non stare nel dormitorio del col ege insieme a ragazzi i cui rituali camerateschi anche lui considera deplorevoli. Si mantiene agli studi lavorando in un fast food (piuttosto che accettare soldi dai disprezzati genitori di Scarsdale) e se ne porta dietro l’odore ovunque vada. Quando mi capita di toccarlo, per caso, per affetto o nel a foga del discorso, lui balza indietro come se temesse di contaminare i suoi fetidi stracci. - Giù le mani, - ringhia. - Che vuoi, cazzo, ti sei candidato alle elezioni, Kepesh? - Davvero? Non lo sapevo. E quali elezioni? Stranamente, qualunque cosa Louis dica di me, anche solo per stizza o nel corso di una del e sue tirate, assume un peculiare significato in vista del mio solenne proposito di «comprendere me stesso». Perché lui, è evidente, non vuole compiacere nessuno - famiglia, facoltà, padrona di casa, negozianti, men che meno quei «barbari borghesi» dei nostri compagni di studi - ed è per questo che lo considero in contatto più intimo con la
«realtà» di quanto non lo sia io. Io sono uno di quei ragazzi alti con i capel i ondulati e una fossetta sul mento che alle superiori hanno sviluppato dei modi vincenti, e per quanto mi sforzi non riesco a disfarmene. Soprattutto accanto a Louis mi sento pietosamente banale: così lindo e pulito, così incantevole in caso di necessità, e nonostante quel che sostengo, ben poco indifferente alle apparenze e alla reputazione. Perché non riesco a essere come Jelinek, olezzante di cipol e fritte e capace di guardare dall’alto in basso il mondo intero?
Qualunque stanza in cui Louis abiti si trasforma in una pattumiera!
Croste e torsoli e bucce e confezioni di cibo - il perfetto mondezzaio!
Basta guardare il grumo di kleenex sotto il suo letto devastato, kleenex che si appiccicano alle sbrindel ate pantofole. Pochi secondi dopo l’orgasmo, anche nel privato del a mia stanza chiusa a chiave, io scaglio automaticamente nel cestino del a carta straccia le prove del a masturbazione, mentre Jelinek - l’eccentrico, sprezzante, indipendente e inattaccabile Jelinek - sembra fregarsene bel amente di cosa pensa il mondo del e sue copiose eiaculazioni. Sono stupefatto, non riesco ad accettarlo, per settimane continuerò a non crederci quando uno studente di filosofia mi dice che «palesemente» il mio amico è un omosessuale
«praticante». Il mio amico? Non può essere. Con le «checche», ovviamente, ho una certa familiarità. Ogni estate ne arrivavano all’albergo alcune di quel e famose, piccoli pascià ebrei in vacanza, su cui Herbie B. indirizzava la mia attenzione. Li guardavo affascinato mentre, senza smettere per un istante di assaporare dolci bevande al cioccolato attraverso un paio di cannucce, venivano condotti al riparo dalla luce del sole, dove zigomi e gote gli venivano nettati e asciugati dai fazzoletti di un manipolo di schiave chiamate nonna, mamma e zia. E
poi c’erano i pochi sventurati a scuola, ragazzi nati con le braccia che mulinavano come quel e del e ragazze, incapaci di lanciare dritta una palla nonostante le ore e ore di pazienti istruzioni in privato che tu dedicavi loro. Ma un omosessuale praticante? Mai, mai, in tutti i diciannove anni del a mia vita. Eccetto, ovviamente, quel a volta subito dopo il bar mitzvah, quando avevo preso da solo il pul man per una fiera filatelica ad Albany, e al 8
vespasiano del terminal del Greyhound ero stato avvicinato da un uomo di mezza età in giacca e cravatta che mi aveva sussurrato dietro le spalle: - Ehi, ragazzo, vuoi che te lo succhi? - No, no, grazie, - avevo risposto, e più in fretta che potevo (pur cercando di non essere offensivo) ero uscito dal bagno degli uomini e dal terminal, e mi ero diretto al più vicino centro commerciale, per mimetizzarmi in mezzo alla fol a di acquirenti eterosessuali.
Negli anni successivi però nessun altro omosessuale mi ha mai rivolto la parola, almeno che io sappia. Fino a Louis. Oddio, questo spiega perché mi dice di tenere le mani a posto quando le maniche del e nostre camicie a malapena si sfiorano? E che per lui essere toccato da un ragazzo comporta le più serie implicazioni? Ma se così fosse, una persona schietta e anticonvenzionale come Jelinek non metterebbe le cose in chiaro? O forse mentre il mio ignominioso segreto con lui è quel o di essere sotto sotto un ragazzo convenzionale e rispettabile, un Joe Col ege che non ha fatto il coming-out, quel o di Louis con me è di essere un finocchio? A dimostrazione di quanto sono convenzionale e rispettabile, io non glielo chiedo. Attendo invece nel terrore il giorno in cui qualcosa che Jelinek dirà o farà mi rivelerà la verità su di lui.
O forse questa verità la conosco da sempre? Ma certo! Quei grumi di kleenex sparsi per la stanza come mazzolini di fiori. . non equivalgono a un’esplicita dichiarazione? a un invito?. . Chi può escludere che una sera questa cervel otica creatura dal naso a becco, che ignora per principio l’uso del deodorante per le ascel e e sta già cominciando a perdere i capel i, nel bel mezzo di una del e sue conferenze su Dostoevskij salti su con le sue goffe movenze da dietro la scrivania e cerchi di stringermi in un abbraccio? Mi dirà che mi ama e mi ficcherà la lingua in bocca? E io come reagirò? Con le parole che dicono a me le innocenti ragazze oggetto del e mie brame? «No, no, ti prego! Oh, Louis, sei troppo intel igente per certe cose! Non possiamo limitarci a parlare di libri?» Ma proprio perché l’idea mi spaventa a tal punto - proprio perché temo di essere davvero «buzzurro» e «bifolco» come lui ama chiamarmi quando dissentiamo in merito al profondo significato di qualche capolavoro -, continuo ad andarlo a trovare nel a sua stanza olezzante e mi siedo davanti a lui in mezzo all’immondizia parlando a gran voce per ore e ore del e idee più assurde ed esasperanti, e pregando che non faccia il primo passo. Non ne ha comunque il tempo perché viene cacciato dall’università per non essersi presentato a nemmeno una lezione per tutto il primo semestre, e per non essersi nemmeno degnato di rispondere alle missive del consigliere per gli studenti che gli chiedeva un col oquio per affrontare il problema.
Sarcastico, disgustato, indignato, Louis sbotta: - Quale problema? - e inclina la testa di lato scrutando il soffitto come se, per quel che ne sa lui, il «problema» potesse celarsi da qualche parte nel ‘aria sopra di noi. Benché tutti concordino sul fatto che quel a di Louis è una mente straordinaria, la sua iscrizione al secondo semestre del primo anno non viene accettata. Da un giorno all’altro scompare da Syracuse (senza salutare, manco a dirlo) e quasi immediatamente viene chiamato alla visita di leva. Lo vengo a scoprire quando un agente del ‘Fbi dallo sguardo indistoglibile viene a interrogarmi dopo che Louis ha disertato l’addestramento di base e (così immagino) è andato a rifugiarsi in uno slum insieme al suo Kierkegaard e ai suoi kleenex per evitare la guerra di Corea. L’agente McCormack chiede: -
Dave, cosa mi dici dei suoi trascorsi omosessuali? - Arrossendo, rispondo: - Non ne so niente
-.
McCormack dice: - Però mi dicono che eri il suo amichetto. - Dicono? Non capisco a chi si riferisce. - I ragazzi del campus. - E’ una perfida diceria.. non è assolutamente vero. -
Che eri il suo amichetto? - No, signore, - dico, sentendomi di nuovo avvampare la fronte, -
che avesse dei «trascorsi omosessuali». Lo dicono perché era un tipo con cui era difficile andare d’accordo. Era una persona insolita, soprattutto da queste parti. - Però tu ci andavi d’accordo, no? - Sì, perché non avrei dovuto? - Nessuno dice che non avresti dovuto. Senti un po’, a quanto mi dicono sei un gran casanova. - Ah sì? - Già. Corri dietro alle gonnel e, 9
non è vero? - Direi di sì, - distogliendo lo sguardo dai suoi occhi, e dall’implicita insinuazione che si tratti solo di una copertura. - Louis invece non lo faceva, - dice l’agente in tono ambiguo. - E con questo? -
Dave, dimmi una cosa. Siamo franchi. Secondo te dov’è? - Non lo so. - Ma se tu lo sapessi mi metteresti al corrente, vero? - Sissignore. - Bene.
Ecco il mio biglietto da visita, se magari scopri qualcosa. -
Sissignore. Grazie, signore. - E dopo che se n’è andato sono disgustato dal mio comportamento: il terrore del a prigione, i modi da Piccolo Lord, gli istinti col aborazionisti -
e la vergogna che provo per praticamente qualunque cosa. Le ragazze a cui corro dietro. Di solito le rimorchio (o quantomeno le abbordo) nel a sala di lettura del a biblioteca, un luogo paragonabile al palcoscenico di un locale di spogliarel o per il suo potere di stimolare e focalizzare il mio desiderio. Quel che non è stato del tutto soppresso in queste borghesi ragazze americane ben educate e ben vestite si palesa all’istante (o piuttosto si immagina all’istante) in quest’atmosfera di rigida compostezza accademica. Contemplo ammaliato la ragazza che si tormenta una ciocca di capel i mentre fa mostra di studiare il suo libro di storia - mentre io faccio mostra di studiare il mio. Un’altra ragazza, che il giorno prima nel suo banco a lezione avevo trovato del tutto ordinaria, dondola una gamba sotto il tavolo del a biblioteca mentre sfoglia pigramente un numero di «Look», e il mio ardore non conosce limiti. Una terza ragazza si china sul quaderno, e con un gemito soffocato, come se mi stessero impalando, osservo il seno sotto la camicetta dolcemente premuto fra le braccia incrociate. Come vorrei essere quel e braccia! Sì, basta davvero poco per lanciarmi alla conquista di una perfetta sconosciuta, mi basta notare che, mentre con la mano destra prende appunti dall’enciclopedia, non riesce a impedire che l’indice del a mano sinistra accarezzi il contorno del e labbra. Mi rifiuto - sul a base di una debolezza di cui mi sono fatto un principio
- di resistere a ciò che trovo irresistibile, per quanto inconsistente e stramba o infantile e perversa chiunque altro possa considerare la fonte del a mia attrazione.
Naturalmente questo mi porta a mettere gli occhi su ragazze che per altri versi potrei trovare ottuse o sciocche o insulse, ma sono convinto che oltre all’insulsaggine qualcos’altro debba pur esserci, e poi il mio desiderio, dal momento che è un desiderio, non dev’essere sminuito o disprezzato. - Ti prego, - mi supplicano, - perché non ti limiti a parlare e a essere carino? Sai essere così carino, quando vuoi. - Sì, me lo dicono tutte. - Non capisci che questo è solo il mio corpo. Non voglio relazionarmi con te a questo livel o. - Mi spiace per te, ma non ci puoi fare niente. Hai un corpo sensazionale. -
Oh, non ricominciare con questa storia. - Hai un culo sensazionale. -
Per favore non essere volgare. A lezione non parli così. Mi piace tanto ascoltarti, ma non quando mi insulti in questo modo. - Ti insulto? Ti sto facendo un gran complimento. Hai un culo meraviglioso. Perfetto.
Dovresti esserne entusiasta. - Serve solo per sedercisi su, David. - Col cavolo. Chiedi a una ragazza che ce l’ha tutto diverso se le piacerebbe fare cambio. Forse allora aprirai gli occhi. - Per favore, smettila di prendermi in giro e di usare questo tono sarcastico. Ver favore. - Non ti sto prendendo in giro. Ti sto prendendo sul serio come nessuno ti ha mai presa sul serio in vita tua. Hai un culo che è un capolavoro. Non c’è da stupirsi se entro l’ultimo anno mi sono fatto una «terribile»
reputazione fra le congregazioni di studentesse per aver cercato di sedurre qualche
«sorel a» con il mio aggressivo candore. Con una simile reputazione avrei dovuto ridurne centinaia al meretricio, mentre di fatto nel giro di quattro anni sono riuscito a ottenere una penetrazione completa in due sole occasioni, e qualcosa di vagamente simile a una penetrazione in altre due. Il più del e volte, laddove dovrebbe esserci un rapimento fisico, 10
c’è invece un discorso logico (o il ogico). Ma non posso certo essere accusato di ingannarle circa la natura del mio desiderio o del a loro desiderabilità, e lungi dallo «sfruttarle» mi considero una del e poche persone oneste in circolazione. In un impeto di sincerità calcolata
- calcolata male, come si vedrà - confido a una del e ragazze come la vista dei suoi seni premuti fra le braccia mi abbia fatto desiderare di essere quel e braccia. Ed è poi così diverso, le chiedo cercando di affascinarla, da Romeo che, sotto il balcone di Giulietta, sussurra: «Vedi come appoggia la guancia sul a mano? Oh, foss’io il guanto su quel a mano e sentire la sua guancia!» Ma a quanto pare è molto diverso. Nel corso del ‘ultimo anno di col ege mi succede spesso che all’altro capo riattacchino non appena al telefono annuncio il mio nome, e le poche ragazze così gentili da correre il rischio di uscire sole con me sono, a quanto mi dicono le ragazze stesse, considerate aspiranti suicide. Continuo anche a guadagnarmi il divertito disprezzo dei miei magnanimi amici del a compagnia teatrale.
Adesso i soliti spiritosoni dicono che ho abbandonato gli ordini sacri e sto cercando di rimorchiare la squadra del e ragazze ponpon al gran completo, e che c’è una bel a differenza dal mettere in scena l’angoscia sessuale di Strindberg e O’Neil , o almeno così sostengono loro. In realtà nel a mia vita c’è un’unica ragazza ponpon, che mi offre la squisita agonia di una suprema frustrazione e ridicolizza i miei sogni dissoluti, una certa Marcel a «Seta»
Walsh, di Plattsburgh, New York. Il mio bramarla invano ha inizio quando una sera vado a vedere una partita di basket per assistere alla sua esibizione, dopo averla incontrata nel pomeriggio in fila alla mensa universitaria e aver ammirato da vicino il delizioso cuscinetto del suo labbro inferiore, la più irresistibile del e caramel e. C’è un numero in cui le ragazze ponpon si puntano un pugno sul ‘anca e con l’altro percuotono ritmicamente l’aria, arcuando nel frattempo la vita per piegarsi sempre più all’indietro. Le altre sette ragazze in gonnel ino bianco pieghettato e maglione bianco eseguono questa sequenza di movimenti come se non fosse altro che un’energica prestazione ginnica, da eseguirsi senza risparmiare le forze e trattenendo le risate. Solo nel lento protendersi del ventre di Marcel a Walsh c’è l’ardente suggerimento (per me assolutamente palese) di un’offerta, di un invito, di una lussuria sfrenata, inconscia, che (ai miei occhi) implora di essere soddisfatta. Solo lei sembra (a me, a me) percepire che la trattenuta e mansueta veemenza di quel ‘insipida esibizione non è che un’esile maschera del a cruda salmodia che proromperebbe da lei se un pene mandasse in estasi quel suo inguine sussultante. Oddio, come può il mio concupire quel ‘inguine dato in pasto alle fauci del a fol a ululante, come può il mio concupire quei pugnetti contratti che a me parlano del a più incantevole del e lotte, come può il mio concupire quel e lunghe e forti gambe da monel a scosse da un lieve fremito allorché la schiena si inarca e i capel i di seta (da cui il nomignolo) sfiorano il pavimento del a palestra -
come può il mio concupire le più minute pulsazioni del a sua persona essere
«dissennato» o «futile», «indegno» di me o di lei, mentre fare un tifo smodato perché il Syracuse vinca il campionato di basket interuniversitario avrebbe un gran senso? E’
questo il filo del ragionamento che espongo a Seta, un ragionamento grazie al quale spero prima o poi (oh, il tempo! le ore perse a discutere, e che tanto meglio sarebbero state impiegate incitandoci l’un l’altra con sussulti inguinali culminanti in orgasmi oceanici!) di aprirmi la strada verso quei lancinanti piaceri erotici che ancora mi sono ignoti. Devo invece accantonare la logica, l’arguzia, la franchezza, e sì, anche l’erudizione letteraria, accantonare ogni ragionevole tentativo di persuasione - nonché alla fin fine ogni dignità -, devo insomma comportarmi come un patetico trovatel o affamato nel bel mezzo di una carestia prima che Seta, che probabilmente non ha mai assistito prima a una scena tanto penosa, mi permetta di tempestarle di baci l’addome nudo. Poiché el a è davvero la più dolce e generosa del e fanciul e, non certo così fredda o crudele da trasformare un Romeo dall’animo scurrile, un Barbablù primo del a classe, un Don Giovanni in erba, un Johannes il Seduttore, in un abietto mendicante, mi è concesso di baciare il ventre di cui ho parlato in modo tanto «ossessivo», 11
ma niente di più. - Né più in alto né più in basso, - mi sussurra, da dove l’ho fatta piegare all’indietro su un acquaio nel a fitta oscurità del a lavanderia nel seminterrato del suo dormitorio. - David, non più in basso di così, ho detto. Come può anche solo venirti in mente di fare una cosa simile?
Così il mio mondo frappone le proprie ragioni e i propri impedimenti fra i miei ardori e la miriade di oggetti del desiderio. Mio padre non mi capisce, l’Fbi non mi capisce, Seta Walsh non mi capisce, nemmeno le ragazze del a congregazione studentesca mi capiscono, e neppure i bohémien - neanche Louis Jelinek mi capiva davvero, benché, per quanto suoni improbabile, questo presunto omosessuale (ricercato dalla polizia) sia stato il mio più caro amico. No, nessuno mi capisce, neanche io mi capisco. Arrivo a Londra con la mia borsa di studio dopo sei giorni di nave, un viaggio in treno da Southampton e una lunga corsa in metropolitana fino a un quartiere chiamato Tooting Bec. L’ufficio per gli alloggi del King’s Col ege mi ha trovato una sistemazione in una casa privata in questa sconfinata distesa di palazzine finto Tudor, e non a Bloomsbury come avevo chiesto io. L’ex capitano del ‘esercito e relativa moglie proprietari di questa casa linda e soffocante - con loro, scopro, prenderò i miei pasti serali - mi mostrano la piccola e tetra camera nel ‘attico destinata a me, e guardando il letto di ferro su cui trascorrerò le prossime trecento e più notti, perdo all’istante il buonumore che mi ha accompagnato da quando ho attraversato l’Atlantico, la pura gioia con cui mi ero lasciato alle spalle i costrittivi rituali del a vita studentesca e le tediose ansie del padre e del a madre da cui non mi sento più nutrito. Ma footing Bec?
Questa stanza minuscola? I pasti al cospetto dei sottili baffi del capitano? E
a che scopo? Studiare leggende arturiane e saghe islandesi? E’ questo che ci si guadagna a essere intel igenti? La mia delusione è atroce e colossale. Nel portafoglio ho il numero di telefono di un insegnante di paleografia del King’s fornitomi da un suo amico, uno dei miei professori di Syracuse. Ma come posso telefonare a questo esimio studioso e raccontargli che ad appena un’ora dal mio arrivo voglio restituire la Fulbright e tornarmene a casa? «Hanno scelto il candidato sbagliato. Io non sono abbastanza serio per soffrire così!»
Con l’assistenza del a cortese e grassoccia moglie del capitano - dalla mia carnagione si è fatta l’idea che io sia armeno, e continua a biascicare di nuovi tappeti per il salotto - trovo il telefono nel ‘ingresso e compongo il numero. Sono sul ‘orlo del e lacrime (sono sul ‘orlo di fare una telefonata a carico del destinatario nel e Catskil ), ma per quanto triste e spaventato, scopro di essere ancora più spaventato dall’idea di confessare di essere triste e spaventato, perché quando il professore risponde, io riattacco. Quattro o cinque ore dopo -
sul ‘Europa Occidentale è calata la notte e io ho più o meno digerito il mio primo pasto inglese a base di spaghetti in scatola su pane tostato - mi dirigo verso un indirizzo londinese di cui sono venuto a conoscenza nel corso del a traversata. Shepherd Market mi regala un’esperienza che modifica sensibilmente il mio atteggiamento verso la borsa di studio. Sì, ancor prima di aver cominciato a frequentare le lezioni sul ‘epica e il romance, scopro che per un giovane sconosciuto approdare a una terra sconosciuta può non essere stato del tutto uno sbaglio. Certo, ho il terrore di morire come Maupassant; nondimeno, pochi minuti dopo aver sbirciato timidamente nel a famigerata viuzza, mi sono già trovato una prostituta
- la prima puttana del a mia vita, e soprattutto la prima del e mie tre partner sessuali nate fuori dagli Stati Uniti continentali (fuori dallo Stato di New York, per essere esatti) e in un anno precedente a quel o del a mia nascita. Anzi, quando si trova a cavalcioni su di me e a un tratto è la gravità a fare quel che deve, mi rendo conto con uno strano brivido di repulsione che questa donna i cui seni col idono sopra la mia testa come paioli - e che ho scelto fra le concorrenti proprio sul a base di questi seni titanici e di un posteriore non meno possente - probabilmente è nata prima del o scoppio del a prima guerra mondiale. Pensate un po’, prima del a pubblicazione del ‘Ulisse, prima.. ma mentre ancora sto cercando di col ocarla nel secolo, mi accorgo che molto più in fretta di quanto avevo programmato -
12
come se uno di noi due stesse correndo per non perdere un treno - vengo spinto verso il gran finale con il non richiesto aiuto di una mano esperta, rapida, priva di sentimento. La sera dopo scopro Soho. Scopro anche, nel ‘Enciclopedia Columbia che mi sono portato oltreoceano insieme alla Storia letteraria del ‘Inghilterra di Baugh e ai tre volumi tascabili di Trevelyan, che gli stadi finali del a sua malattia venerea stroncarono Maupassant a quarantatre anni. Ciononostante, non riesco a pensare a nessun altro luogo in cui vorrei essere, in coda alla cena con il capitano e la moglie del capitano, se non in una camera insieme a una puttana disposta a fare qualunque cosa io desideri, - eh no, non dopo aver sognato di pagare per questo privilegio fin da quando avevo dodici anni e mettevo da parte la mia paglietta di un dol aro alla settimana.
Certo, se scegliessi puttane dall’aria meno puttanesca le mie probabilità di morire di sifilide invece che di vecchiaia dovrebbero diminuire sensibilmente. Ma che senso ha prendere una puttana che non ha l’aspetto, i modi e la parlata di una puttana? Dopotutto non sono alla ricerca di una ragazza fissa, proprio no. E quando mi sento pronto per una spasimante non vado a Soho, ma a mangiare aringa in un ristorante vicino a Harrods chiamato Midnight Sun. La mitologia del a ragazza svedese e del a sua libertà sessuale vive in quegli anni il suo primo fulgore, e nonostante il naturale scetticismo che provocano in me i racconti di insaziabili appetiti e bizzarre tendenze sessuali che ho orecchiato al col ege, taglio volentieri le lezioni di norvegese antico per scoprire da me quanta verità sia contenuta in quel e titil anti fantasticherie da scolaretti. Eccomi allora diretto al Midnight Sun, dove a quanto si dice le cameriere sono giovani dee del sesso scandinave che servono i loro piatti tipici vestite in pittoreschi abiti folclorici, zoccoli di legno dipinti che valorizzano le nude gambe dorate, e corpetti campagnoli chiusi sul davanti da legacci che strizzano i seni offrendo alla vista eccitanti rotondità. E’ qui che incontro Elisabeth Elverskog - e che la povera Elisabeth incontra me.
Elisabeth si è presa un anno libero dall’università di Lund allo scopo di migliorare il suo inglese, e vive insieme a un’altra svedese, figlia di amici di famiglia, che due anni prima ha lasciato l’università di Uppsala per migliorare il suo inglese, e ancora non si è convinta a tornare a casa. Birgitta, che è arrivata in Inghilterra come studentessa e in teoria frequenterebbe la London University, a Green Park raccoglie i penny per l’affitto del e sedie a sdraio e, all’insaputa del a famiglia di Elisabeth, raccoglie avventure. L’appartamento nel seminterrato che Elisabeth condivide con Birgitta si trova in una pensione dalle parti di Earl’s Court Road abitata perlopiù da studenti dalla pel e molto più scura di quel a del e due ragazze. Elisabeth mi confessa che quel posto non le va a genio - gli indiani, verso cui non nutre alcun pregiudizio razziale, le danno noia cucinando piatti al curry nel e loro camere a ogni ora del a notte, mentre gli africani, verso cui pure non nutre alcun pregiudizio razziale, allungano le mani per toccarle i capel i quando li incrocia nel corridoio, e benché lei ne comprenda la ragione, e si renda conto che lo fanno senza cattive intenzioni, tuttavia ha un brivido ogni volta che accade. Però, alla sua maniera compiacente e bonaria, Elisabeth ha deciso di accettare questi piccoli soprusi da parte dei vicini - e il generale squallore del quartiere - come parte del ‘avventura di vivere all’estero fino a giugno, quando tornerà a passare l’estate con la famiglia nel a casa di vacanze nel ‘arcipelago di Stoccolma. Descrivo a Elisabeth il mio alloggio monacale e faccio un’imitazione che la diverte enormemente del capitano e del a moglie che mi spiegano come in quel a casa non permettano promiscuità, nemmeno fra loro stessi. E quando passo a un’imitazione del suo inglese cantilenante, lei ride ancora di più.
Durante le prime settimane la piccola Birgitta con i suoi capel i scuri e la sua (a mio modo di vedere) seducente dentatura cavallina finge di dormire quando io ed Elisabeth entriamo nel a stanza nel seminterrato e fingiamo di non fare l’amore. E quando alla fine tutt’e tre smettiamo di fingere provo un’eccitazione non più grande di quel a che provavo 13
quando trattenevamo il fiato e fingevamo che non stesse accadendo niente di fuori dall’ordinario. Sono talmente sol evato dal vertiginoso cambiamento avvenuto nel a mia vita da quando ho avuto l’idea di andare a pranzo al Midnight Sun - anzi, da quando ho sconfitto le mie paure e ho messo piede in Shepherd Market per scegliermi la più puttanesca del e puttane -, sono in preda a una tale egoistica frenesia per l’improbabile cosa che mi sta accadendo, con non una ma ben due ragazze svedesi (o se preferite, europee), che non mi accorgo di come a poco a poco Elisabeth stia andando in pezzi per lo sforzo che le costa fare la sua parte di peccatrice nel nostro ménage intercontinentale, essere la metà di quel o che non posso che definire il mio harem. Forse non me ne accorgo perché anche lei è in preda a una sorta di frenesia - una frenesia da annegamento, un disperato dibattersi cercando di restare a galla - e di conseguenza sembra spesso che se la stia godendo anche lei; scambio cioè l’agitazione per eccitazione, o almeno così accade la domenica che trascorriamo tutt’e tre insieme a Hampstead Heath con un cestino da picnic e una palla da tennis. Insegno alle ragazze a «correre alla base»
- e cosa potrebbe deliziare Elisabeth più di trovarsi presa in mezzo fra me e Birgitta in un ilare, ululante run-down? -, poi loro insegnano a me il brannbol , una via di mezzo fra la palla avvelenata e lo stickball, un gioco che facevano da bambine a scuola a Stoccolma.
Quando piove giochiamo a carte, a ramino o canasta. Il vecchio re, Gustavo V, era un appassionato giocatore di ramino, mi raccontano, come lo sono la madre e il padre e il fratel o e la sorel a di Birgitta. Elisabeth, il cui circolo di amici del liceo ha dedicato centinaia di pomeriggi alla canasta, afferra le regole del ramino dopo qualche partita fra me e Birgitta.
E affascinata dal gergo che uso durante il gioco, e comincia a usarlo anche lei - come avevo fatto io quando avevo otto anni e l’avevo imparato ai piedi di Klotzer il Re del a Gazzosa (a detta di mia madre, l’ospite più grasso nel a storia del ‘Hungarian Royale - quando Mr Klotzer posava il suo posteriore sul a nostra sedia di vimini, lei non poteva evitare di coprirsi gli occhi - nonché maratoneta del patimento e del monologo al tavolo verde). Dice Elisabeth, sistemando e risistemando con aria sconfortata le carte che Birgitta le ha distribuito: - Questa non è una mano, è un piede, - e quando cala le sue combinazioni con aria trionfante, le fa uno sconfinato piacere - fa a me uno sconfinato piacere - sentirla chiedere al suo avversario: - Al ora, amico, lo sai, sì?, a che gioco stiamo giocando? - Oh, e quando a canasta chiama
«yoker» la matta, be’, è davvero uno spasso. Come diavolo potrei capire che sta andando in pezzi? Io non sto andando in pezzi! E che dire del e nostre serie e maceranti discussioni sul a seconda guerra mondiale, nel corso del e quali cerco di spiegare - non sempre in tono cortese - a queste due sentenziose neutraliste ciò che stava accadendo in Europa quando eravamo bambini? Non è forse Elisabeth a essere ancora più veemente (e candidamente ingenua) di Birgitta nel ‘insistere, anche quando praticamente la minaccio di prenderla a ceffoni, che la guerra è stata «colpa di tutti?» Come potrei capire che non solo sta andando in pezzi ma pensa dalla mattina alla sera al modo di farsi fuori? Dopo l’«incidente» - così definiamo nel telegramma ai suoi genitori il braccio rotto e la lieve commozione cerebrale che Elisabeth si è procurata buttandosi sotto un camion sedici giorni dopo il mio trasferimento da Tooting Bec al seminterrato del e due ragazze -
continuo ad appendere la mia giacca di tweed nel suo armadio e a dormire, o quantomeno a provarci, nel suo letto. E credo sinceramente di restare qui perché sono così traumatizzato che mi è semplicemente impossibile trasferirmi da qualche altra parte. Notte dopo notte, sotto il naso di Birgitta, scrivo lettere a Stoccolma in cui mi sforzo di spiegare me stesso a Elisabeth; in realtà mi siedo alla scrivania con l’intenzione di cominciare la tesi sul declino del a poesia scaldica causato dall’abuso del kenning che dovrò presto consegnare al mio professore di saghe islandesi, ma poi finisco per raccontare a Elisabeth che non mi ero reso conto che cercava solo di compiacermi, ma che in modo del tutto innocente - per 14
quanto «del tutto imperdonabile» -
credevo che anche lei, come me e Birgitta, cercasse prima di tutto di compiacere se stessa. Ogni occasione è buona - in metropolitana, al pub, durante una lezione - per tirar fuori la sua prima lettera, scritta dalla sua camera appena tornata a casa, e aprirmela davanti per rileggere quel e frasi da prima elementare che ogni volta su di me producono l’effetto Sacco e Vanzetti: che idiota sono stato, che stolido, che cieco! «Alskade David!», comincia, e poi, nel suo peculiare inglese, passa a spiegare di essersi innamorata di me, non di Gittan, e di essere venuta a letto con entrambi solo perché lo volevo io, e che avrebbe fatto qualunque cosa per me. . e poi aggiunge in una scrittura microscopica di aver paura di ricaderci se dovesse tornare a Londra..
Io non sono forte come Gittan. Io sono solo una debole Bettan, e non posso fare niente per questo. Era come se ero all’inferno. Ero innamorata e quel o che facevo non era l’amore. Era come che non ero più un essere umano. Sono così stupida e il mio inglese è così strano quando scrivo. Mi dispiace. Ma so che non devo fare mai per tutta la vita più quel o che facevamo noi tre. Così la sciocca ragazza ha imparato qualcosa.
Din Bettan
E al di sotto, l’indulgente ripensamento di Bettan: «Tusen pussar och kramar» - mil e baci e abbracci.
Nel e mie lettere ribadisco di essere stato cieco di fronte alla natura dei suoi reali sentimenti per me - cieco di fronte alla profondità dei miei sentimenti per lei. Definisco imperdonabile anche questo, e
«triste» e «strano», e quando la contemplazione di questa mia ignoranza mi porta quasi alle lacrime, lo definisco «terrificante» - e dico sul serio. Da questo passo a dare a entrambi noi qualche speranza raccontandole di aver trovato una stanza tutta per me (nel giro di qualche giorno intendo davvero cominciare a cercarla) in una residenza universitaria, e che quindi deve scrivermi li - se mai ha intenzione di scrivermi ancora - invece che al vecchio indirizzo presso Birgitta.. E
proprio mentre compongo queste schiette apologie e richieste di perdono, vengo sopraffatto dalle emozioni più sregolate e contraddittorie: indegnità, spregevolezza, vergogna e sincero rimorso, e nel o stesso tempo l’altrettanto forte convinzione di non avere alcuna colpa, che se l’innocente, indifesa Elisabeth si è buttata sotto un camion io non ne ho più responsabilità di quegli indiani che cucinano il riso al curry alle due di notte. E che dire di Birgitta, che avrebbe dovuto essere la protettrice di Elisabeth, e che adesso si limita a starsene sdraiata sul suo letto all’altro capo del a stanza studiando la sua grammatica inglese, del tutto indifferente - almeno in apparenza - al mio drammatico disgusto per me stesso? Come se, visto che Elisabeth sotto il camion si è rotta il braccio, e non il col o, lei non avesse niente di cui preoccuparsi! Come se il comportamento di Elisabeth con noi riguardasse solo la coscienza di Elisabeth. . e non la sua.. e non la mia. Ma certo, certo, Birgitta non è meno colpevole di me per aver abusato del a natura remissiva di Elisabeth. O
no? Non era a Birgitta più che a me che Elisabeth istintivamente si rivolgeva quando più aveva bisogno di affetto? Quando, svuotati, giacevamo sul tappeto consunto -
perché il nostro altare sacrificale era perlopiù il pavimento, non il letto -, quando ce ne stavamo lì distesi, membra fiacche in mezzo a piccoli capi di biancheria intima, ebbri, sazi e confusi, era invariabilmente Birgitta che sosteneva il capo a Elisabeth e le carezzava dolcemente il viso sussurrandole una ninnananna come la più tenera del e madri. In quei momenti le mie braccia, le mie mani e le mie parole parevano non servire a nessuno. Le mie 15
braccia, mani e parole erano tutto fino a quando venivo, poi le due ragazze si rannicchiavano una contro l’altra come amichette del cuore in una casa sul ‘albero, o in una tenda dove non c’è spazio per nessun altro. . Lasciando a metà la mia lettera, mi precipito in strada e faccio metà Londra a piedi (di solito in direzione di Soho) cercando di riprendere il control o. Nel corso di questi vagabondaggi alla Raskòl’nikov (un Raskòl’nikov, devo riconoscerlo, interpretato da Wilson lo Svitato), cerco di «mettere ordine nei pensieri».
Dovrei cioè, se solo ci riuscissi, affrontare il nuovo imprevedibile corso degli eventi al modo di Birgitta. E dato che spontaneamente non riesco a raggiungere quel genere di equanimità -
né a trovare in me quel genere di forza, se di forza si tratta -, forse dovrei ragionare come ragiona lei. Sì, mettere a buon frutto il mio cervel o da borsista Fulbright - servirà pur a qualcosa! Metti ordine nei pensieri, dannazione! Non è così difficile. Non ti sei rotolato con queste due ragazze per inaugurare una carriera di santità! Ben lungi!
Non hai escogitato quel che hai escogitato per far piacere ai tuoi vecchi a casa! Ben lungi! Al ora o te ne torni a giocare a batti batti le manine con Seta Walsh oppure resti dove sei e fai quel che vuoi!
Anche Birgitta è umana, lo sai! Anche la forza e la lucidità (se di forza e lucidità si tratta) sono umane, e quando non hai più quattro anni non è più il caso di frignare tanto! E
neanche di farsi la ramanzina! Elisabeth ha perfettamente ragione: Gittan è Gittan, Bettan è Bettan, e adesso è ora che tu sia tu! A forza di «mettere ordine nei pensieri» mi torna in mente quel a notte quando io e Birgitta continuavamo a interrogare Elisabeth - a tormentare Elisabeth - perché rispondesse alla domanda a cui io e lei avevamo già risposto: qual era il suo desiderio più recondito, la cosa che solo dentro di sé osava pensare ma non aveva mai avuto il coraggio di fare o farsi fare? - Cos’è che non sei mai riuscita ad ammettere con nessuno, Elisabeth, nemmeno con te stessa? - Aggrappandosi con dieci dita alla coperta tirata giù dal letto per coprire i nostri corpi sul pavimento, Elisabeth aveva cominciato a piangere in silenzio, e nel suo affascinante, musicale inglese aveva ammesso che voleva essere presa da dietro mentre stava china su una sedia. La sua risposta non mi bastava. Solo dopo aver insistito ancora, solo dopo aver domandato: «Ma ci dev’essere qualcos’altro. . questo è niente!», solo allora era crol ata e aveva
«confessato» che voleva che la prendessi legata mani e piedi. E che forse lo voleva e forse no. . Mentre attraverso Piccadil y, compongo un altro paragrafo di meditazione morale per l’ultima lettera volta all’educazione del a mia vittima innocente, nonché di me stesso. In verità sto attingendo a tutta la mia saggezza - e alle mie doti di prosatore e ai miei model i letterari - per capire se sono stato o meno quel che i cristiani definiscono malvagio e io preferisco definire inumano. «Anche se tu avessi davvero voluto quel che dicevi di volere, quale legge prescrive di soddisfare all’istante qualunque segreta bramosia chieda di essere soddisfatta?» Avevamo usato la cintura dei miei pantaloni e una cinghia del o zaino di Birgitta per legare Elisabeth a una sedia con lo schienale rigido. Di nuovo il suo viso si era rigato di lacrime, per cui Birgitta le aveva carezzato una guancia e le aveva chiesto: - Bettan, vuoi che smettiamo? - Ma le ciocche fluenti di Elisabeth, quel a lunga capigliatura ambrata da bambina, avevano sferzato la schiena nuda con veemenza mentre lei scuoteva il capo in segno di sfida. Di sfida verso chi, mi domando. O verso cosa? Be’, non ci capisco niente di quel a ragazza! - No, - aveva sussurrato Elisabeth.
L’unica parola da lei pronunciata, dall’inizio alla fine. - Non vuoi che smettiamo? O
non vuoi che continuiamo? Elisabeth, mi capisci?. .
Chiediglielo in svedese, chiediglielo. . - Ma «no» sarebbe stata la sua unica risposta;
«no» e «no» e ancora «no». E così avevo eseguito quel che in un certo senso ritenevo di essere guidato a fare. Elisabeth piange, Birgitta guarda, e a un tratto io sono così eccitato da tutto quanto - dai suoni ansimanti, da cani, che tutt’e tre stiamo emettendo, da quel che tutt’e tre stiamo facendo - che ogni minima riluttanza scompare, e so che potrei fare 16
qualunque cosa, che voglio farla, che la farò! Perché non quattro ragazze, perché non cinque. . «E chi se non un malvagio sosterrebbe che qualunque bramosia chieda di essere soddisfatta debba essere per ciò stesso soddisfatta? Sì, cara, dolce, preziosa ragazza, a quanto pare era questa la legge in base a cui noi tre avevamo deciso - avevamo convenuto -
di vivere!» E adesso mi trovo in un vestibolo in Greek Street, dove alla fine smetto di pensare a cos’altro scrivere a Elisabeth sul ‘insondabile tema del a mia iniquità, e anche di pensare all’insondabile Birgitta - ma non ha alcun rimorso? alcuna vergogna? alcuna lealtà?
alcun limite? - che ormai avrà letto l’abbozzo di lettera che ho lasciato nel a mia Olivetti (e che sono certo le farà comprendere che sultano profondo io sia). In una stanzetta sopra la lavanderia cinese, tento la sorte con una puttana da trenta scel ini, un’avvizzita mungitrice cockney detta Terry la Troia che mi considera
«un bashtardo sexy» e la cui intrepida lascivia ha avuto, nel tempo che fu, un effetto sbalorditivo sul a fuoriuscita del mio seme. Stavolta anche la perizia di Terry fa cilecca. Mi mostra la sua straordinaria col ezione di fotografie oscene; mi descrive, con un’immaginazione degna di Mrs Browning, i modi in cui mi amerà; infine rivolge al cielo lodi inusitate per la grossezza e lunghezza del mio membro e per le profondità a cui penetra se mai si drizza; ma i quindici minuti di duro lavoro che dedica a stanare il timido mol usco non producono alcun risultato significativo. Cercando di consolarmi con le tenere parole con cui Terry ha gettato la spugna - «Spiacente, mister, ma stasera se la dorme del a grossa» -, ripercorro le vie di Londra in direzione del nostro seminterrato, terminando nel frattempo la cogitazione sul male che posso o non posso aver fatto. Tutto sommato avrei fatto meglio a concentrarmi sul ‘abuso del kenning nel a seconda metà del dodicesimo secolo in Islanda.
Dedicandoci un po’ di tempo ne avrei ricavato qualcosa di sensato, mentre nel e prolisse lettere che regolarmente spedisco a Stoccolma mi sembra di non avvicinarmi di un mil imetro alla verità. Invece l’erudita tesina che infine leggo al seminario spinge il mio tutor a convocarmi nel suo ufficio dopo la lezione, a farmi accomodare su una sedia e a chiedermi, con una lievissima ombra di sarcasmo: - Mi dica, Mr Kepesh, è sicuro di essere davvero interessato alla poesia islandese? Una sgridata da un professore! Altrettanto inimmaginabile di sedici giorni in una stanza insieme a due ragazze! Del tentato suicidio di Elisabeth Elverskog! Sono così sorpreso e umiliato da questo rimprovero (soprattutto perché segue a ruota le accuse che rivolgo a me stesso nel ruolo di avvocato del a famiglia di Elisabeth) che non riesco a trovare il coraggio di ripresentarmi a lezione; al pari di Louis Jelinek non rispondo neanche alle missive che mi chiedono di andare a parlare del e mie assenze con il tutor. Può davvero succedere?
Sono in procinto di essere bocciato? In nome di Dio, e poi cos’altro?
Questo. Una sera Birgitta mi racconta che mentre io me ne stavo cupamente riverso sul letto di Elisabeth interpretando il «prete caduto nel peccato», lei ha fatto qualcosa di
«un po’ perverso». Per la verità è da un po’ che lo fa, da quando due anni prima, appena arrivata a Londra, si è fatta visitare da un medico per un problema digestivo. Il medico le ha detto che per fare una diagnosi era necessario uno striscio vaginale. Le ha chiesto di spogliarsi e di accomodarsi sul lettino, poi, o con la mano o con uno strumento, al tempo ne era stata così sconvolta che non ne aveva la certezza -, aveva cominciato a massaggiarla fra le gambe. - Scusi, cosa fa? - gli aveva chiesto lei. Secondo Birgitta, lui aveva avuto la faccia di rispondere: - Senta, crede che mi piaccia? Ho mal di schiena, cara mia, e questa posizione è un tormento. Ma mi serve un campione, e questo è l’unico modo per poterlo prelevare. -
L’hai lasciato continuare? - Non sapevo che altro fare. Come potevo dirgli di smettere? Ero arrivata solo da tre giorni. Ero un po’ spaventata, sai, e non ero sicura di aver capito bene il suo inglese. E lui aveva proprio l’aria di un medico. Alto e bel o e gentile. E molto ben vestito. Ho pensato che magari qui si faceva così. Lui continuava a dire: «Cominci a sentire gli spasmi, cara?» Sul e prime non capivo cosa significasse, poi mi sono rivestita e me ne 17
sono andata. C’era gente in sala d’aspetto, c’era un’infermiera.. Mi ha mandato una parcel a di due ghinee. -
Davvero? E tu l’hai pagata? - chiedo. - No. - E? - chiedo, ondeggiando fra incredulità ed eccitazione. - Lo scorso mese, - dice Birgitta, e il suo particolare inglese emerge più marcato del solito, - sono tornata da lui. Ho cominciato a pensarci tutto il tempo. E’ a questo che penso mentre tu scrivi le tue lettere a Bettan -. É vero, mi chiedo. . c’è qualcosa di vero?
- E? - dico. - Ora vado nel suo studio una volta alla settimana. In pausa pranzo. E lui ti masturba? Ti lasci masturbare da lui? - Sì. - E’ la verità, Gittan? - Sì, io chiudo gli occhi e lui me lo fa con la mano. - E.. poi? - Mi rivesto e torno al parco -. Vorrei altri dettagli, dettagli ancora più osceni, ma non ce ne sono. La masturba, poi la lascia andare. Può essere vero?
Accadono davvero queste cose? - Come si chiama? Dov’è il suo studio? - Con mia sorpresa, senza alcuna riluttanza Birgitta me lo dice. Alcune ore dopo, non essendo riuscito a comprendere neanche un paragrafo di La tradizione arturiana e Chrétien de Troyes (una fonte preziosa, mi è stato detto, per la tesina che devo preparare per l’altro seminario), corro a una cabina telefonica al fondo del a nostra strada e cerco il nome del medico sul a guida telefonica - e lo trovo, e proprio all’indirizzo di Brompton Road!
Domattina per prima cosa lo chiamerò - dirò (magari col mio accento svedese):
«Dottor Leigh, è meglio che stia attento, è meglio che lasci stare le ragazzine straniere se non vuole ficcarsi in guai seri». Ma quel o che voglio davvero non è redarguire il medico lascivo, è scoprire (per quanto possibile) se la storia di Birgitta è vera. Non so neanche se vorrei che lo fosse. Non sarebbe meglio per me se non lo fosse?
Quando torno all’appartamento la spoglio. E lei si sottomette. Con quale padronanza di sé si sottomette - lei e la sottomissione sono fatte l’una per l’altra! Siamo entrambi molto eccitati, e ansimanti. Io sono vestito e lei è nuda. La chiamo puttanel a. Lei mi supplica di tirarle i capel i. Non so quanto forte vuole che glieli tiri - nessuno prima mi ha mai chiesto una cosa simile. Dio, ne ho fatta di strada da quando baciavo l’ombelico di Seta nel a lavanderia del dormitorio la primavera scorsa! - Voglio sentire che ci sei, - grida lei, -
più forte! - Così? -
Sì! - Così, puttanel a mia? Birgitta, lurida puttana! - Ah, sì! Ah, sì, sì! Un’ora prima temevo che mi ci sarebbero voluti decenni a sconfiggere l’impotenza, che il mio castigo, se tale era, sarebbe durato per sempre.
Adesso per una notte intera sono travolto da una passione le cui selvagge energie non mi ero mai concesso di esplorare; o forse è solo che non avevo mai conosciuto una ragazza del a mia età per cui modi tanto risoluti fossero qualcosa di diverso da un abuso. Ero così impegnato a farmi strada verso il piacere a forza di suppliche e blandizie e moine da non essermi mai accorto di essere capace di un tale assoggettamento di un’altra persona, e di desiderare a mia volta di essere assoggettato e aggredito. Stringendole la testa fra le gambe, forzo il mio membro nel a sua bocca come se fosse al tempo stesso la gomena cui si aggrapperà per non annegare e lo strumento che la soffocherà. Poi, come se io fossi la sua sel a, lei monta sul a mia faccia e cavalca e cavalca e cavalca. - Dimmi del e cose! - grida Birgitta, - mi piace che mi dici del e cose! Dimmi ogni sorta di cose! -
E la mattina non proviamo alcun rimorso per quel che abbiamo detto o fatto, anzi. -
A quanto pare ci siamo trovati, - dico. Lei ride: - E da un bel po’ che me ne sono accorta. - E
per questo che sono rimasto, sai.
- Sì, - replica lei, - lo so. Tuttavia continuo a scrivere a Elisabeth (anche se non più in presenza di Birgitta). Presso una residenza universitaria - ho chiesto a un amico americano di ricevere la mia corrispondenza nel a sua casel a postale e poi di passarmela - Elisabeth mi manda un’istantanea da cui si vede che non ha più il braccio ingessato. Sul retro ha glossato:
«Io». Scrivo immediatamente per ringraziarla del a fotografia e rallegrarmi di vederla di nuovo in salute. Le racconto che faccio progressi con la grammatica svedese, che ogni 18
settimana prendo lo «Svenska Dagbladet» a Charing Cross Road e cerco di leggere almeno gli articoli in prima pagina con l’aiuto del dizionario tascabile inglese-svedese che mi ha regalato lei. E benché in realtà sia il giornale di Birgitta quel o che tento di tradurre - nel tempo precedentemente dedicato a sgobbare sul ‘Edda -, mentre scrivo a Elisabeth credo davvero di farlo per lei, per il nostro futuro, così da poterla sposare e stabilirmi nel a sua madrepatria, magari a insegnare letteratura americana. Sì, nonostante tutto credo di potermi innamorare di questa ragazza che porta al col o un medaglione con la fotografia del padre. . anzi, che già avrei dovuto farlo. Anche solo il suo viso è così adorabile! Guarda, mi dico - guardala, idiota! Denti che non potrebbero essere più bianchi, la curva generosa del e gote, enormi occhi azzurri, e i capel i ambrati che una volta ho definito - era la sera in cui avevo ricevuto il piccolo dizionario con la dedica «da me a te» - «boccoli», una parola desueta, un po’ poetica. «Prosaico» è la parola che sceglie lei (dopo un’occhiata al dizionario) per definire il suo naso. - Un naso da contadina, - dice, - come quel e cose che pianti nel a terra per far crescere i tulipani. - Non direi. - Come si chiamano? - Bulbi di tulipano. - Sì. A quarantanni sarò orribile con questo bulbo di tulipano
-. Ma il suo naso è il naso di milioni e milioni di persone, e su Elisabeth è quasi commovente nel a sua mancanza di vanagloria o supponenza. Oh, che viso dolce, su cui risplende tutta la felicità del ‘infanzia! e che risata spumeggiante! che cuore innocente!
Questa ragazza che mi faceva ridere a crepapel e solo dicendo: «Questa non è una mano, è un piede!» Oh, che cosa incredibilmente commovente, l’innocenza di una persona! Ogni volta mi coglie alla sprovvista, quel ‘espressione di disarmata fiducia! Eppure, per quanto mi possa scaldare sul a sua fotografia, è con la flessuosa piccola Birgitta, una ragazza molto meno innocente e vulnerabile - una ragazza che affronta il mondo con un affusolato viso volpino, un naso delicatamente a punta e un labbro superiore un poco sporgente, una bocca pronta, in caso di necessità, a ribattere a un’accusa o a lanciare una sfida -, che continuo a trascorrere il mio anno di borsa di studio in erotica sfrenatezza. Ovviamente, mentre passeggia per Green Park affittando sedie a sdraio ai passanti, Birgitta viene avvicinata quasi ogni giorno da uomini in visita a Londra come turisti, o uomini a zonzo in pausa pranzo o uomini diretti a casa da moglie e figli a fine giornata. Date le opportunità di eccitazione e piacere garantite da questi incontri, ha deciso di non tornare a Uppsala allo scadere del suo anno all’estero, e ha lasciato perdere anche le lezioni a Londra. - L’inglese lo imparo meglio così, - dice. Un pomeriggio di marzo, quando a un tratto appare il sole, inatteso nel cupo cielo londinese, prendo la metropolitana fino al parco e, seduto sotto un albero, la guardo, qualche centinaio di metri più in là, conversare con un signore quasi tre volte più vecchio di me, mol emente adagiato su una del e sedie a sdraio. Passa quasi un’ora prima che la conversazione abbia termine, il signore si alzi, si congedi con un formale inchino e se ne vada. E qualcuno che conosce? Un suo compatriota? Magari il dottor Leigh di Brompton Road? A sua insaputa, per quasi una settimana ogni pomeriggio mi presento al parco e, celato all’ombra degli alberi, la spio mentre fa il suo lavoro. Sul e prime mi sorprende scoprirmi tanto eccitato ogni volta che vedo Birgitta accanto a una sdraio su cui è seduto un uomo. Ovviamente si limitano a parlare. Non vedo altro. Mai una volta sorprendo un uomo che tocchi Birgitta o Birgitta che tocchi un uomo. E sono quasi certo che non prenda appuntamenti per vedersi con qualcuno dopo il lavoro. Ma quel che mi eccita è che potrebbe, che sarebbe capace di farlo. . che se glielo proponessi, probabilmente lo farebbe.
- Che giornata, - dice una sera a cena. - C’era la marina portoghese al gran completo.
Accipicchia! Che uomini! - Ma se io le dicessi. . Qualche settimana dopo, una sera mi fa sobbalzare dicendo: - Lo sai chi mi è venuto a trovare oggi? Mr Elverskog. - Chi? - Il padre di Bettan -. Penso: Hanno trovato le mie lettere! Oh, perché ho scritto di quando le abbiamo legato le mani alla sedia! E’ a me che danno la caccia, entrambe le famiglie! - E venuto a cercarti qui? - Sa dove lavoro, - dice Birgitta, - è venuto li -.
19
Birgitta mi sta mentendo, sta di nuovo facendo qualcosa di «un po’
perverso?» Ma come fa a sapere che per tutto questo tempo ho avuto il terrore che Elisabeth sia crol ata e ci abbia denunciato, e che suo padre si presenti qui con un ispettore di Scotland Yard, o con una frusta.. - Cosa ci fa a Londra? - Oh, è qui per affari. . non lo so. E’
solo venuto al parco a salutarmi -. E tu ti sei precipitata in albergo con lui, Gittan? Ti piacerebbe fare l’amore con il padre di Elisabeth?
Era lui l’uomo alto dall’aria distinta che ti ha salutato con un inchino in quel ‘assolata giornata di marzo? Era lui l’uomo anziano le cui parole ascoltavi tanto avidamente alcuni mesi fa? O quel o era il dottore a cui piace giocare al dottore con te nel suo studio? Cosa ti stava dicendo quel ‘uomo, che proposta ti ha fatto per meritarsi così la tua attenzione? Non so cosa pensare, perciò tutto mi sembra possibile.
Più tardi a letto, quando vuole essere eccitata ascoltando «ogni sorta di cose», io sto quasi per dirle: «Lo faresti con Mr Elverskog? Lo faresti con un marinaio, se te lo chiedessi? Lo faresti per denaro?» Non lo dico, non solo per timore che lei risponda di sì (e potrebbe, anche solo per il brivido di sentirselo dire), ma perché io potrei ribattere:
«Al ora facciamolo, puttanel a mia». Al a fine del semestre, io e Birgitta facciamo un giro in autostop per il Continente. Di giorno visitiamo musei e cattedrali, poi, quando calano le tenebre, adocchiamo le ragazze nei bar, nel e caves e nel e osterie. Nel ‘indurre Birgitta a questo non mi faccio gli scrupoli che a Londra mi avevano trattenuto dal chiederle di andare a trovare in albergo Mr Elverskog. «Un’altra ragazza» è una di quel e «cose» con cui ci siamo ripetutamente eccitati a vicenda nei mesi dopo la partenza di Elisabeth. Trovare un’altra ragazza è proprio una del e ragioni per cui siamo qui in vacanza. E ci sappiamo fare. A dirla tutta, né io né Birgitta da soli siamo così scaltri o arditi, ma insieme la nostra disinvoltura si rafforza e, di sera in sera, siamo sempre più abili nel sedurre perfette sconosciute.
Eppure, nonostante tutta la destrezza, tutta la professionalità del nostro gioco di squadra, ogni volta mi gira la testa quando riusciamo a trovare una ragazza disponibile e tutt’e tre ci alziamo all’unisono per andare in un posto più tranquil o. Anche Birgitta accusa sintomi simili
- però per strada si conquista la mia ammirazione trovando il coraggio di allungare una mano e scostare dal viso i capel i di una disinibita giovane studentessa che ha il coraggio di vedere come si metteranno le cose. Sì, quando vedo la mia partner così sfrontata e risoluta recupero le mie facoltà - e il mio equilibrio - e do il braccio alle due ragazze e, adesso senza neppure un tremito nel a voce, dico con il mio mondano miscuglio di ironia e bonarietà: - Andiamo, amiche. . in marcia! - E per tutto il tempo penso quel che penso da mesi: Sta accadendo davvero?
Anche questo? Perché nel mio portafoglio accanto alla fotografia di Elisabeth c’è un’istantanea del a casa al mare del a sua famiglia, arrivata per posta poco prima che ricevessi i miei voti pietosi e prendessi il traghetto con Birgitta. Sono stato invitato ad andarla a trovare nel a minuscola Tràngholmen e a restare sul ‘isola quanto voglio. Perché non lo faccio? Potrei sposarla proprio li! Il padre non sa niente, e non lo saprà mai. La frusta, l’ispettore, le scene di vendetta e furia omicida, il complotto segreto per farmi pagare quel che ho fatto a sua figlia. . era solo la mia sfrenata immaginazione. Perché non lasciare che la mia immaginazione porti da un’altra parte? Perché non immaginare io ed Elisabeth che remiamo oltre le scogliere rocciose e gli alti pini, costeggiando l’isola fino al porto dove ogni giorno attracca il traghetto da Vaxholm? Perché non immaginare la sua famiglia che ci accoglie con un saluto e un sorriso radioso quando torniamo in barca con il latte e la posta?
Perché non immaginare la dolce Elisabeth nel a veranda del a bel a casetta di legno rosso degli Elverskog, incinta del primo dei nostri figli ebrei-svedesi? Sì, c’è il meraviglioso e insondabile amore di Elisabeth e c’è il meraviglioso e insondabile ardimento di Birgitta, e io 20
posso avere quel o che preferisco. Ecco, questo sì che è insondabile! La fornace oppure il focolare! Ah, dev’essere questo quel che si intende con le possibilità del a giovinezza.
Ulteriori possibilità del a giovinezza: a Parigi, in un bar non lontano dalla Bastiglia, dove il famigerato marchese ha scontato la pena per i suoi abietti e audaci crimini, una prostituta è seduta in un angolo con noi e, mentre scherza con me in francese sul mio taglio di capel i, accarezza Birgitta sotto il tavolo. Nel mezzo del a nostra eccitazione - perché anch’io ho una mano che si muove sotto il tavolo - compare un uomo, che mi rimprovera per l’indegno trattamento a cui sottopongo la mia giovane moglie. Mi alzo con il cuore in gola e spiego che non siamo affatto marito e moglie, che siamo studenti, che quel o che facciamo sono affari nostri - ma, nonostante la mia eccel ente pronuncia e le perfette costruzioni grammaticali, lui tira fuori un martel o dalla tuta e lo sol eva in aria. - Salaud! - grida. -
Espèce de con! - Mano nel a mano con Birgitta, per la prima volta in vita mia, scappo a gambe levate per mettermi in salvo. Fra noi non parliamo di cosa succederà alla fine del mese. Ciascuno dei due però pensa: Dato quel che è stato, cos’altro potrebbe essere? Cioè, io presumo che tornerò in America da solo per terminare gli studi, questa volta sul serio, e Birgitta presume che quando me ne partirò lei prenderà il suo zaino e verrà con me. I genitori di Birgitta sono già informati che la figlia intende andare a studiare per un anno in America, e a quanto pare non hanno nul a da eccepire. E se anche così non fosse, Birgitta farebbe come le pare e piace. Quando ripasso la difficile conversazione che prima o poi dovrà aver luogo, mi sento parlare con voce debole e lamentosa. Niente di quel che dico viene fuori nel modo giusto, niente di quel che dice lei suona sbagliato, nonostante sia io, ovviamente, a inventare il dialogo. - Vado a Stanford. Voglio laurearmi. - E allora? - Faccio sogni terribili sul a scuola, Gittan.
Non mi è mai successa una cosa simile. Ho sprecato la mia Fulbright. -
Davvero? - E, quanto a noi due. . - Sì? - Be’, non credo che abbiamo un futuro. Non sei d’accordo? Non potremmo mai tornare al sesso normale.
Non potrebbe più funzionare. . abbiamo alzato troppo la posta. Ci siamo spinti troppo in là per poter tornare indietro. - Dici? - Credo proprio di sì. - Ma non è stata solo una mia idea, mi pare. - Non ho detto questo. - Be’, allora smettiamo di spingerci troppo in là. -
Ma noi non possiamo, lo sai benissimo. - Ma io faccio quel che vuoi tu. - Questo non è più possibile. O vuoi dire che ti ho sempre tenuta in mio potere, che sei un’altra Elisabeth che io ho corrotto? - Mi rivolge il suo seducente sorriso cavallino. - Chi è allora l’altra Elisabeth? -
chiede. - Tu? Oh, no di certo. Lo dici anche tu. Sei un puttaniere di natura, sei poligamo di natura, sei anche un po’ stupratore. . - Be’, si vede che ho cambiato idea. Forse era solo un mucchio di sciocchezze. - Ma come puoi cambiare idea su quel a che è la tua natura? -
chiede lei. In realtà, per tornare a casa a riprendere seriamente gli studi, non ho alcun bisogno di superare, a suon di frasi sciocche e impotenti, questo fuoco di fila di lusinghiere obiezioni. No, non è necessaria nessuna estenuante discussione sul a mia «natura» per liberarmi di lei e del a nostra fantastica vita di piaceri elettrizzanti - quantomeno non qui e adesso. Ci stiamo spogliando per andare a letto nel a camera affittata per la notte in una cittadina nel a valle del a Senna, a una trentina di chilometri da Rouen dove l’indomani intendo visitare la casa natale di Flaubert, quando Birgitta comincia a parlare degli ingenui sogni evocati in lei da adolescente dal nome California: auto sportive, milionari, James Dean. . La interrompo: - In California ci vado da solo. Ci vado da solo. . per conto mio.
Qualche minuto dopo è di nuovo vestita, con lo zaino pronto. Mio Dio, è ancora più audace di quando immaginassi! Quante ragazze come lei possono esserci al mondo? Avrebbe il coraggio di fare qualunque cosa, eppure è altrettanto sana di me. Sana, intel igente, coraggiosa, padrona di sé - e fol emente lasciva! Proprio quel che ho sempre desiderato.
Perché allora sto scappando? In nome di cosa? Altre leggende arturiane e saghe islandesi?
21
Se solo mi svuotassi le tasche dalle lettere di Elisabeth e dalle fotografie di Elisabeth - e mi svuotassi l’immaginazione dal padre di Elisabeth -, se mi lasciassi del tutto andare a ciò che ho, alla persona con cui sono, a quel a che potrebbe davvero essere la mia natura.. - Non essere ridicola, - dico,
- dove la trovi una camera a quest’ora? Oh, dannazione, Gittan, devo andarci da solo in California! Devo rimettermi a studiare! In risposta, niente lacrime, niente rabbia, neanche un’ombra di disprezzo. Anche se non si tratta tanto di ammirazione per me quanto di impudica energia carnale. Dice dalla porta: - Come hai fatto a piacermi così tanto? Sei solo un ragazzino, - ed è il suo unico contributo alla diatriba sul mio carattere, tutto ciò che, a quanto pare, la sua dignità richiede o permette. Non il magistrale addestratore di concubine e puttane, non il precoce drammaturgo del satirico e del ‘osceno, e neppure lo stupratore in erba - no, solo «un ragazzino». E poi, con delicatezza, con estrema delicatezza (perché nonostante sia una ragazza che geme quando le si tirano i capel i e grida «ancora» quando la sua carne freme dal dolore, nonostante la sua sicurezza da amazzone nel e più oscure bettole e i nervi di ferro che esibisce nel rischioso mondo del ‘autostop, accanto allo sconvolgente senso di inalienabile diritto con cui fa quel che vuole, alla totale immunità al rimorso o al dubbio che più di ogni altra cosa mi affascina in lei, Birgitta è anche cortese, rispettosa e amichevole, l’educatissima figlia di un medico di Stoccolma e di sua moglie), si chiude la porta alle spalle in modo da non svegliare la famiglia da cui abbiamo affittato la camera. Sì, con cotanta disinvoltura la giovane Birgitta Svanstròm e il giovane David Kepesh si sbarazzano l’uno del ‘altra. Sbarazzarsi del a sua natura potrebbe essere più difficile, dato che il giovane Kepesh non sembra aver molto chiaro, per il momento, quale sia davvero la sua natura. Resta sveglio tutta la notte domandandosi cosa farà se Birgitta dovesse insinuarsi di nuovo in camera prima del ‘alba: si domanda se non dovrebbe andare a chiudere a chiave la porta. Poi, quando arriva l’alba, quando arriva mezzogiorno, e di lei non c’è traccia, né nel a cittadina di Les Andelys né a Rouen - né al Grosse Horloge, né alla cattedrale, né alla casa natale di Flaubert o nel luogo in cui Giovanna d’Arco fu data alle fiamme -, si domanda se conoscerà mai più qualcosa di simile a lei e alla loro avventura.
Helen Baird compare qualche anno più tardi, quando sto per terminare il dottorato in Letterature comparate e sono fiero del a determinazione che ho dimostrato. Più o meno allo scadere di ogni semestre la noia, l’irrequietezza e l’impazienza - nonché il crescente imbarazzo che provo sapendo di essere troppo vecchio per starmene ancora seduto in un banco a farmi interrogare - mi hanno quasi indotto a lasciar perdere tutto. Ma adesso che il traguardo è in vista mi congratulo ad alta voce con me stesso mentre faccio la doccia a fine giornata, esaltandomi con semplici affermazioni tipo «Ce l’ho fatta» e «Ho tenuto duro», come se per accedere agli orali avessi dovuto scalare il Cervino. In seguito all’anno con Birgitta, sono giunto alla conclusione che per raggiungere qualcosa di duraturo dovrò tenere a freno quel lato di me stesso fortemente attratto dalle tentazioni più sbalorditive e debilitanti, tentazioni che fin dalla notte alle porte di Rouen considero in contraddizione con i miei interessi prevalenti. Perché, per quanto con Birgitta mi sia spinto in là, so quanto mi sarebbe facile spingermi ancora più in là - ricordo il brivido che ho provato più di una volta immaginandola insieme ad altri uomini, immaginandola che intascava i soldi e me li portava a casa.. Ma davvero lo avrei fatto con tanta disinvoltura? Sarei diventato il magnaccia di Birgitta? Be’, per quanto talento possa avere per quel a professione, certo il dottorato mi ha dissuaso dal coltivarlo. . Sì, adesso che la battaglia appare ormai vinta, mi consola la mia capacità di padroneggiare il buonsenso ponendolo al servizio di una vocazione seria - sono addirittura commosso dalla mia virtù. Poi compare Helen a farmi capire, con il suo esempio e a chiare lettere, che mi sono tristemente il uso e ingannato. E per non dimenticare mai quest’accusa che la sposo? Il suo è un eroismo di impronta differente da quel o che, al 22
tempo, ritengo sia il mio - ne è anzi l’antitesi. Un anno alla University of Southern California quand’era diciottenne, per poi fuggire con un giornalista del doppio dei suoi anni a Hong Kong, dove lui viveva con la moglie e tre figli. Armata di una stupefacente avvenenza, una maschera di spavalderia e un temperamento fortemente romantico, aveva lasciato gli studi, il fidanzato e la paghetta settimanale e, senza una parola di scusa o una spiegazione per i genitori sconcertati e mortificati (che per una settimana avevano pensato che fosse stata rapita o uccisa), si era lanciata verso un destino più esaltante del secondo anno di col ege in seno alla congregazione studentesca femminile. Un destino che aveva affrontato a viso aperto - e a cui si era sottratta solo di recente. Da sei mesi, mi racconta, ha rinunciato a tutti e a tutto quel di cui era andata in cerca otto anni prima - al piacere e all’eccitazione di vagabondare fra le antichità e immergersi nel fascino esotico di luoghi meravigliosi e sconosciuti - per tornare in California e ripartire da zero. - Spero di non passare mai più un anno come quest’ultimo, - è fra le prime cose che mi dice la sera in cui ci incontriamo a un party organizzato dai giovani e ricchi finanziatori di una nuova rivista
«artistica» di San Francisco. Scopro che Helen è pronta a raccontare la propria storia senza ombra di pudore; ma del resto anche a me non è mancata la spudoratezza, dopo che ci hanno presentato, di seminare la ragazza con cui mi accompagnavo per dar la caccia a lei in mezzo alle centinaia di persone di cui brulicavano i tre piani del a casa. -
Perché? - le domando, ed è il primo dei miei perché e quando e come cui avrà la cortesia di rispondere. - Com’è andato l’ultimo anno? Cosa ti è successo di male? - Be’, tanto per cominciare, era da quando ho smesso di studiare che non stavo più nel o stesso posto per sei mesi di fila. -
Perché allora sei tornata? - Uomini. Amore. Mi è sfuggito tutto di mano
-. Al ‘istante sono pronto ad attribuire il suo «candore» a una mentalità da settimanale femminile, nonché a una pura e semplice predilezione per la promiscuità.
Oddio, penso, così bel a, e così melensa. Dalle storie che continua a raccontarmi sembra che abbia già avuto una cinquantina di appassionate relazioni - su una cinquantina di panfili in navigazione sul Mar del a Cina con uomini che la coprono di antichi gioiel i ma sono sposati con un’altra. - Senti, - dice, essendosi fatta un’idea del ‘idea che io mi sono fatta di una tale esistenza, - cos’hai contro la passione? Cos’è quel calcolato distacco, Mr Kepesh? Vuoi sapere chi sono. . be’, te lo sto spiegando. - E una vera saga, - dico io. Lei domanda con un sorriso: - Perché non dovrebbe esserlo? Meglio una «saga» che un sacco di altre cose che mi vengono in mente. Andiamo, cos’hai contro la passione? Che male ti ha fatto? O
forse dovrei dire, che bene ti ha fatto? - Adesso la domanda pertinente è quale male o bene ha fatto a te. - Un gran bene. Un bene meraviglioso.
Lo sa Dio, niente di cui vergognarmi. - Al ora perché sei qui e non laggiù a farti travolgere dalla passione? - Perché, - risponde Helen, senza nascondersi dietro alcuna ironia, ed è forse per questo che io comincio a rinunciare a parte del a mia, e a vedere che lei non solo è di una strepitosa avvenenza, ma è anche vera, ed è lì con me, ed è forse anche mia se solo la volessi. - Perché - mi dice - sto invecchiando. Ha ventisei anni, e sta invecchiando.
Laddove la ventiquattrenne candidata al dottorato con cui ero uscito quel a sera - e che alla fine se ne va stizzita, senza di me - mi stava giusto dicendo che, mentre quel pomeriggio riordinava lo schedario in biblioteca, si chiedeva se e quando la sua vita sarebbe davvero cominciata. Chiedo a Helen com’è stato tornare. Adesso ci siamo allontanati dalla festa, e siamo seduti uno di fronte all’altra in un bar nel e vicinanze. Meno passivamente di me, anche lei ha congedato l’accompagnatore con cui aveva cominciato la serata. Se la volessi. .
ma la voglio? Dovrei volerla? Sentiamo prima com’è stato tornare dopo essere fuggita. Per me ovviamente il sol ievo è stato maggiore del a delusione, ed era solo da un anno che andavo alla deriva. - Be’, ho firmato un armistizio con la mia povera madre, e le mie sorel ine hanno preso a venirmi dietro adoranti come se fossi una star del cinema. Il resto 23
del a famiglia è rimasta a bocca aperta. Le brave ragazze repubblicane non fanno quel o che ho fatto io. Se non che ovunque andassi ne incontravo a bizzeffe, dal Nepal a Singapore.
Laggiù c’è un piccolo esercito di noialtre, sai. Metà del e ragazze che volano sul trabiccolo che fa la spola fra Rangoon e Mandalay vengono da Shaker Heights. - E adesso cosa fai? -
Prima di tutto dovrò escogitare un modo per smettere di piangere. I primi mesi dopo il ritorno piangevo ogni santo giorno. Adesso a quanto pare ho smesso, ma francamente, da come mi sento quando mi alzo la mattina, tanto varrebbe piangere. E che là era tutto così bel o. Vivere in mezzo a tutta quel a grazia.. era travolgente. Ero sempre elettrizzata. Ogni primavera andavo ad Angkor, e in Thailandia volavamo da Bangkok a Chiang Mai insieme a un principe che aveva degli elefanti. Avresti dovuto vederlo con tutti i suoi elefanti.
Un vecchietto color nocciola che si muoveva come un ragno in mezzo a un branco di quegli animali giganteschi. Avrebbero potuto avvolgerlo due volte in una del e loro orecchie.
Loro barrivano in continuazione e lui continuava a camminare tutto tranquil o. Forse tu pensi che vedere una cosa del genere sia, be’, vederlo e basta. Io la pensavo diversamente.
Pensavo: «Questa è la vita». Quand’ero a Hong Kong, a fine giornata andavo a prendere il mio amico al lavoro in barca a vela. La mattina lo portava in barca il ragazzo, e la sera ci andavamo a casa insieme, passando in mezzo alle giunche e ai cacciatorpediniere statunitensi. -
La bel a vita del e colonie. Mica per niente gli spiace tanto rinunciare ai loro imperi.
Ma ancora non capisco perché tu hai rinunciato al tuo.
Nel e settimane successive continuo a trovare difficile credere -
nonostante i piccoli Buddha d’avorio, le sculture di giada e la fila di pesi da oppio a forma di gallo che ha sistemato sul comodino - che sia stato davvero quel o il suo stile di vita. Chiang Mai, Rangoon, Singapore, Mandalay. . perché non Giove, perché non Marte?
Certo, lo so che questi posti esistono, non solo sul a mappa Rand McNally su cui traccio il corso del e sue avventure (come una volta avevo rintracciato il molestatore di Birgitta sul a guida telefonica di Londra) e nei romanzi di Conrad dove mi ci sono imbattuto per la prima volta - e so pure che esistono «personaggi» in carne e ossa che hanno scelto di andare incontro al proprio destino nel e più bizzarre città del mondo. .
Perché allora non riesco a persuadermi che la Helen in carne e ossa sia una di loro?
E io dovrei mettermi con lei? Il personaggio incredibile è Helen con i suoi orecchini di bril anti a lobo o è piuttosto il coscienzioso assistente universitario nel suo completo in cotone rigato lava e indossa? Comincio a essere sospettoso e critico anche verso la sua serena bel ezza muliebre, o piuttosto verso la considerazione in cui tiene i propri occhi, naso, gola, seni, fianchi e gambe - anche i suoi piedi rappresentano per lei piccoli affascinanti trionfi che devono essere celebrati. Da dove le viene questo portamento regale, questo aristocratico senso di sé che si fonda semplicemente sul a levigatezza del a pel e, sul a lunghezza degli arti, sul a larghezza del a bocca e sul a distanza fra gli occhi, nonché sul a fossetta proprio in punta a quel o che lei definisce, senza battere ciglio (ciglio ombreggiato da un lievissimo verde), il suo naso «fiammingo?» Io non sono abituato a una persona che esibisca la propria bel ezza con tale compiacimento e tanta autostima. La mia esperienza - che va dalle studentesse di Syracuse che non volevano «relazionarsi» con me
«a quel livel o» fino a Birgitta Svanstròm, per cui la carne non era altro che un territorio da esplorare alla ricerca di fremiti - consiste in giovani donne che non fanno gran caso al proprio aspetto, o che quantomeno ritengono indecoroso dar mostra di farci caso. E vero, Birgitta sapeva bene che il taglio corto e sbarazzino dei suoi capel i incrementava il suo fascino volpino, ma quanto al resto non si dava gran pensiero di come incorniciare il proprio viso acqua e sapone. Ed Elisabeth, con capel i non meno fluenti e degni di nota di quel i di Helen, se li pettinava dritti lungo la schiena, lasciandoli a penzolare come faceva da quando aveva sei anni.
24
Per Helen invece i suoi meravigliosi capel i - di una sfumatura che ricorda un setter irlandese, sono una sorta di corona, o guglia, o aureola, che non solo adorna e abbel isce, ma esprime, simbolizza. Forse questo dà la misura di quanto sia diventata angusta e claustrale la mia vita - o forse dà la misura del ‘energia da cortigiana che emana da Helen come da un oggetto idolatrato che potrebbe essere stato scolpito con cinquanta chili di giada -, ma quando si raccoglie i capel i in una morbida crocchia sul a nuca e traccia una linea nera sopra le ciglia -
sopra occhi di per sé non più grandi e non più azzurri di quel i di Elisabeth -, quando si infila una dozzina di braccialetti e come una Carmen si annoda intorno ai fianchi un foulard di seta con le frange solo per andare a comprare le arance per colazione, io non resto indifferente. Niente affatto. Da sempre mi lascio sopraffare dalla bel ezza fisica nel e donne, ma da Helen non sono solo attratto ed eccitato, sono anche allarmato, e reso profondamente, profondamente incerto - del tutto soggiogato dall’autorevolezza con cui lei rivendica e conferma e rende peculiare la propria avvenenza, eppure sospettoso al massimo grado del e prerogative, del posto, che lei conferisce a se stessa nel a propria immaginazione. La sua concezione di sé e del ‘esperienza a volte mi sembra così banale, eppure nel o stesso tempo la trovo ammaliante e piena di fascino. Per quanto ne so, magari ha ragione. - Com’è, - domando, continuo a domandare, ancora sperando di portare alla luce la parte di finzione nel favoloso personaggio che dice di essere e nel a romantica avventura asiatica che rivendica come proprio passato. - Com’è che hai rinunciato alla bel a vita del e colonie, Helen? - Ho dovuto. - Perché i soldi del ‘eredità ti avevano resa indipendente? - Sono seimila pidocchiosi dol ari all’anno, David.
Li guadagna persino un ascetico professore di col ege. - Volevo solo dire che forse hai deciso che non avresti potuto contare per sempre sul a giovinezza e la bel ezza. - Senti, ero una bambina, e per me la scuola non significava niente, e la mia famiglia era come quel a di chiunque53 altro, dolce, noiosa e rispettabile, e vivevamo anno dopo anno sotto una coltre di ghiaccio al 18 di Fern Hil Manor Road. L’unico momento eccitante erano i pasti. Ogni sera quando arrivavamo al dessert mio padre diceva: «Tutto qui?», e mia madre scoppiava in lacrime. Così a diciott’anni ho incontrato un uomo fatto, ed era bel issimo, e sapeva parlare bene, e aveva tante cose da insegnarmi, e capiva tutto di me, quel o che nessun altro capiva, e aveva modi distinti, meravigliosi, e non era certo un brutale tiranno, pur essendo un tiranno; e mi sono innamorata di lui - sì, in due settimane, capita, e non solo alle scolarette - e lui ha detto: «Perché non vieni via con me?», e io ho detto di sì. . e sono partita. - Su un «trabiccolo?» - Quel a volta no.
Pàté sul Pacifico e fel atio nel a toilette di prima classe. Lasciamelo dire, i primi sei mesi non sono stati una passeggiata. Non li rimpiango affatto. Sai, ero solo una ragazza di buona famiglia di Pasadena, con tanto di gonna scozzese e mocassini di cuoio - le figlie del mio amico avevano più o meno la mia età. Oh, erano splendidamente nevrotiche, ma non più giovani di me. Non riuscivo neanche a imparare a mangiare con i bastoncini, talmente avevo paura. Ricordo una sera, la mia prima grande festa a base di oppio. In qualche modo sono finita in una limousine insieme a quattro finocchi scatenati, quattro inglesi, in abito da donna e scarpette dorate. Non riuscivo a smettere di ridere. «E surreale, -
continuavo a dire, - è surreale», finché il più grasso dei quattro ha abbassato la lorgnette e ha detto: «Certo che è surreale, mia cara, hai diciannove anni». - Però sei tornata. Perché? - Non me la sento di raccontarlo. - Chi era quel ‘uomo? - Oh, stai diventando uno studente cum laude del a vita reale, David. - Sbagliato. Ho imparato tutto ai piedi di Tolstoj. Le do da leggere Anna Karenina. Dice: - Non male. .
solo che non era un Vrònskij, grazie a Dio. Di Vrònskij ce n’è un tanto al chilo, amico mio, e ti annoiano a morte. Era un uomo. . una sorta di Karenin, in effetti. Però per nul a patetico, ci tengo a precisare -.
25
Questo mi lascia interdetto: che modo originale di vedere il celebre triangolo! - Un altro marito, - dico. - Ben più di questo. - Suona misterioso, suona come un dramma sublime. Forse dovresti scrivere. -
Invece tu dovresti piantarla di leggere tutto ciò che è stato scritto. -
E cosa dovrei fare nel tempo libero? - Immergerti nel a vita vera. - C’è un libro che parla proprio di questo, sai. Si intitola Gli ambasciatori
-. Penso: E c’è anche un libro che parla di te. Si intitola Fiesta e la protagonista si chiama Brett, ed è altrettanto superficiale di te. E
così tutti i suoi compari, proprio come i tuoi. - Ci scommetto che c’è un libro che ne parla, - dice Helen, abboccando beatamente all’esca con un sorriso fiducioso. - Scommetto che ci sono migliaia di libri. Me li ricordo allineati in ordine alfabetico nel a biblioteca. Senti, in modo da sgombrare il campo da ogni fraintendimento, lascia che ti spieghi una cosa, esagerando giusto un po’: io odio le biblioteche, odio i libri e odio le scuole. A quanto ricordo, tendono a trasformare tutto quel che riguarda la vita in qualcosa di leggermente diverso - «leggermente»
quando va bene. Ci pensano poi quei poveri innocenti insegnanti, topi di biblioteca infarciti di teorie, a trasformarla in qualcosa di peggio.
Qualcosa di orrendo, a ben pensarci. - E allora cosa ci vedi in me? -
Be’, anche tu li odi. Per quel o che ti hanno fatto. - E cioè? - Ti hanno trasformato in qualcosa di. . - Orrendo? - dico con una risata (perché questo piccolo duel o si svolge sotto le lenzuola nel letto accanto ai piccoli pesi da oppio in bronzo). - No, non proprio. In qualcosa di leggermente diverso, di leggermente. . sbagliato. Tutto ciò che ti riguarda è un po’ una bugia.. eccetto i tuoi occhi. Li ci sei tu. Non riesco a sostenere il tuo sguardo troppo a lungo.
E come ficcare la mano in un lavandino pieno d’acqua bol ente per togliere il tappo. -
Hai una vivida immaginazione. Sei una creatura vivida. Anch’io ho notato i tuoi occhi. - Fai cattivo uso di te stesso, David. Cerchi55
disperatamente di essere qualcosa che non sei. Ho la sensazione che ci sia una brutta caduta in serbo per te. Il tuo primo errore è stato abbandonare quel a temeraria svedese con lo zaino. Doveva essere un po’
rozza e, lasciamelo dire, quanto a bocca ricordava vagamente un roditore, a giudicare dalla foto, però almeno con lei ti divertivi. Ma certo, questa è una parola che disprezzi, giusto? Come «trabiccolo» per dire un aeroplano scalcinato. Ogni volta che dico
«divertirsi», hai una fitta di dolore. Dio, ti hanno veramente ridotto male. Ti dai tante di quel e arie, eppure mi sa che sotto sotto lo sai di aver perso il tuo nerbo. - Oh non farmi tanto semplice. E non fare la romantica sul mio
«nerbo», per favore. Ogni tanto mi piace passarmela bene. Fra l’altro me la passo bene venendo a letto con te. - Fra l’altro non te la passi
«bene» venendo a letto con me: te la passi meglio che con chiunque altra. E, caro amico mio, - aggiunge, - non farmi tanto semplice neanche tu. - Oh, Dio mio, - dice Helen la mattina dopo stirandosi languida, -
scopare è una cosa così piacevole. E’ vero, vero, vero, vero, vero. La passione è smodata, inesauribile e, nel a mia esperienza, particolarmente appagante. Ripensando a Birgitta, mi sembra, col senno di poi, che fra le altre cose ci aiutassimo, all’età di ventidue anni, a trasformarci in qualcosa di lievemente corrotto, ciascuno lo schiavo e lo schiavista del ‘altro, ciascuno il piromane e l’incendiato.
Esercitando un potere sessuale così forte l’uno sul ‘altra, nonché su perfetti sconosciuti, avevamo creato un’atmosfera profondamente ipnotica, che però permeava innanzitutto la mente inesperta: io ero affascinato ed elettrizzato prima di tutto dall’idea di quel che stavamo facendo, e poi dalle sensazioni, da ciò che provavo e che vedevo. Con 26
Helen non è così. Certo, prima devo abituarmi a ciò che va a cozzare contro la mia diffidenza di fronte a un esibizionismo tanto teatrale; ma presto, col crescere del a comprensione, col crescere del a familiarità, e anche del sentimento, comincio ad accantonare parte dei miei sospetti, a dare un taglio ai miei interrogatori, e a vedere quel e appassionate prestazioni come derivanti da quel a stessa spavalderia che mi ha tanto attratto in lei, da quel peculiare abbandono con cui si concede a qualunque cosa la richiami con forza, incurante di quanto dolore o quanto piacere ne deriverà. Ero nel torto marcio, mi dico, nel disprezzare la sua mentalità melensa e triviale come se provenisse dalle pagine di «Screen Romance» - in realtà lei è priva di fantasia, non ha spazio per la fantasia, tanto esclusiva è la sua concentrazione, e l’ingenuità con cui sonda il proprio desiderio. Adesso, dopo l’orgasmo, cedo alla gratitudine e a un profondo sentimento di resa incondizionata.
Sono il meno protetto, se non il più semplice, organismo sul a terra. In tali momenti non so neppure cosa dire. Helen invece sì. Sì, ci sono cose che questa ragazza sa e sa e sa. -
Ti amo, - mi dice. Bene, se qualcosa dev’essere detto, cosa c’è di più sensato? Così cominciamo a dirci a vicenda che siamo amanti che si amano, anche se a ogni conversazione si rinnova la mia idea che siamo su due strade assai divergenti. Per quanto possa essere convinto che alla base del nostro rapporto passionale esiste un’affinità rara e preziosa, non riesco a liberarmi dall’enorme disagio che Helen continua a suscitare in me. Altrimenti perché non riusciamo a smetterla - non riesco a smetterla - con le nostre schermaglie? Al a fine acconsente a raccontarmi perché ha rinunciato a tutto ciò che aveva in Estremo Oriente, non so se per sbaragliare i miei sospetti oppure per alimentare quel a fascinosa mistica cui a quanto pare non so resistere. Il suo amante, l’ultimo dei suoi Karenin, stava architettando un piano per simulare un «incidente» in cui sua moglie avrebbe perso la vita. -
Chi era? - Un uomo importante e molto noto, - è l’unica cosa che è disposta a dire.
L’inghiotto e domando: -
Adessovdov’è? - E ancora li. - Non ha cercato di rivederti? - E’ venuto qui per una settimana. - E sei andata a letto con lui? - Certo che sono andata a letto con lui. Come avrei potuto non farlo? Ma alla fine l’ho rimandato a casa. A momenti ne morivo. E stato atroce, vederlo andarsene per sempre. - Be’, magari non mol a l’osso e fa uccidere lo stesso la moglie, per farti un regalino. . - Perché devi prenderti gioco di lui?
E’ così difficile capire che anche lui è umano come te? - Helen, esistono altri modi di sbarazzarsi di una compagna indesiderata, oltre all’omicidio. Ad esempio puoi andartene e basta. - Andartene «e basta?»
E’ così che si fa al dipartimento di Letterature comparate? Mi chiedo come sarà per te, - dice, - quando non riuscirai a ottenere qualcosa che desideri. - Farò saltare le cervel a a qualcuno? Butterò giù qualcuno nel a colonna del ‘ascensore? Tu che dici? - Senti, sono io quel a che ha rinunciato a tutto e ne è quasi morta.. perché non sopportavo neanche di sentirlo dire. Ero terrorizzata all’idea che potesse anche solo avere un pensiero simile. O
forse la tentazione era così irresistibile che per questo sono scappata. Perché sarebbe bastato che dicessi di si; non aspettava altro. Era disposto a tutto, David, faceva sul serio. E
sai quanto sarebbe stato facile dire quel che lui voleva sentire? E solo una parolina, basta un decimo di secondo: sì. - Magari però te l’ha chiesto perché era sicuro che avresti detto di no.
- Non poteva esserne sicuro. Io stessa non ne ero sicura. - Ma un uomo così noto e importante avrebbe potuto non mol are e fare di testa sua, non credi?. . e senza che nessuno scoprisse che c’era il suo zampino. Di certo un uomo così noto e importante ha tutti i mezzi necessari per far fuori una miserabile moglie: limousine che vanno a sbattere, barche che affondano, aeroplani che esplodono in aria. Se lo avesse fatto senza consultarti, quel o che tu pensavi in proposito non sarebbe mai venuto fuori. Se ha chiesto la tua opinione, forse è stato perché voleva sentirsi dire di no. - Oh, interessante. Continua. Io dico no, e lui cosa ci guadagna? - Quel o che ha: la moglie e te. Continua a tenersi tutto quanto, e ha pure 27
fatto il grandioso. Che tu scappassi, che la sua idea assumesse consistenza ai tuoi occhi, che avesse del e conseguenze morali su di te. . be’, probabilmente non immaginava una reazione simile da una bel a e avventurosa fuggiasca americana. - Davvero molto arguto.
Dieci e lode, soprattutto la parte sul e «conseguenze morali». L’unica pecca è che tu non hai la minima idea di quel o che c’era fra noi. Solo perché è un uomo che ha potere, pensi che non abbia sentimenti. Ma esistono uomini, devi sapere, che hanno entrambe le cose. Per due anni ci siamo visti due volte alla settimana. A volte di più, mai di meno. E
non è mai cambiato. E sempre stato semplicemente perfetto. Tu non credi che tali cose possano accadere, vero? O se anche accadono, non vuoi credere che abbiano importanza. Ma è accaduto, e per me e per lui aveva più importanza di qualunque altra cosa. - Ma è accaduto anche che sei tornata. Ed è accaduto che l’hai mandato via. E
accaduto che hai avuto paura, e repulsione. Il punto non sono le macchinazioni di quel ‘uomo.
Quel che importava per te, Helen, era che i tuoi limiti erano stati raggiunti. - Forse mi sono ingannata, è stato un eccesso di sentimentalismo su me stessa. O una sorta di speranza infantile. Magari avrei dovuto rimanere, andare oltre i miei limiti. . e scoprire che dopotutto non era troppo per me. - Non potevi, - dico, - e non l’hai fatto. E chi, oh, chi è adesso a peccare di sentimentalismo? Ormai mi è chiaro che è la sua capacità di dolorosa rinuncia, unita alla virtù del ‘abbandono sensuale, a rendere irresistibile la sua attrattiva.
Non riusciamo mai a intenderci del tutto, non mi sento mai veramente sicuro, in qualche modo lei manca di profondità, la sua vanità è sconfinata, certo, ma tutto questo non conta nul a - vero? - in confronto alla stima che sono giunto ad avere per questa bel a e drammatica giovane eroina che ha già rischiato e vinto e perso così tanto, pur di guardare dritti in faccia i propri appetiti. E poi c’è la sua bel ezza. Non è forse la più desiderabile creatura che io abbia mai conosciuto? Con una donna fisicamente tanto accattivante, una donna cui non riesco a togliere gli occhi di dosso neanche quando beve il caffè o fa una telefonata, una donna il cui minimo movimento del e membra esercita una così possente presa sessuale su di me, non corro il rischio di cedere alla tentazione di riprendere le mie avventure nel sordido e nel o sconcertante. Non è forse Helen l’incantatrice di cui vado alla ricerca fin dai tempi del col ege, quando il labbro inferiore di Seta Walsh mi spingeva a darle la caccia dalla mensa universitaria alla palestra e alla lavanderia del dormitorio - una creatura per me così bel a da poter concentrare su di lei, e solo su di lei, tutta la mia bramosia, tutta la mia adorazione, tutta la mia curiosità, tutta la mia lussuria? E se non Helen, allora chi? Da chi sarò mai altrettanto stuzzicato? Eh, ahimè, ho ancora tanto bisogno di essere stuzzicato. Se ci sposassimo. . be’, il lato cavil oso del a nostra relazione non finirebbe per svanire, lasciando il posto a una sempre più profonda intimità, alla certezza del a stabilità, dissolvendo qualunque residuo impulso alla presunzione e all’autodifesa?
Certo non sarebbe così azzardato se solo Helen fosse un po’ più così e un po’ meno cosà; ma, come mi appresto a ricordare a me stesso -
immaginando di assumere così una posizione matura -, non è questo che dobbiamo aspettarci l’un l’altra nel mondo che sta al di qua dei sogni.
Inoltre, ciò che io definisco la sua «vanità» e la sua «mancanza di profondità» è proprio ciò che la rende così interessante! Perciò posso solo sperare che le mere divergenze di «opinione» (che, lo ammetto - se questo può aiutare -, sono spesso io il primo a sottolineare e a drammatizzare) finiscano per passare in secondo piano rispetto al legame passionale che, finora, è rimasto immutato nonostante i nostri caustici, e piuttosto evangelici, dialoghi. Posso solo sperare che, così come in precedenza mi sono ingannato riguardo ai suoi moventi, mi sbaglio anche quando la sospetto di voler con il matrimonio porre fine alla sua storia d’amore con il nient’affatto patetico Karenin di Hong Kong. Posso 28
solo sperare che sposerà davvero me e non l’argine che potrei costituire contro il passato la cui perdita l’ha quasi uccisa. Posso solo sperare .
(perché non lo potrò mai sapere) che vada davvero a letto con me, e non con i ricordi del a bocca e del e mani e del membro del più perfetto di tutti gli amanti, colui che sarebbe disposto ad ammazzare la moglie pur di far sua la propria concubina. Così, pieno di dubbi e speranze, di desideri e timori (e passando in continuazione dalle più rosee previsioni di un radioso futuro a quel e più terrificanti), sposo Helen Baird, dopo quasi tre anni di dubbi-speranze-desideri-e-timori. C’è a chi, come a mio padre, basta vedere una donna che canta Amapola accanto a un pianoforte per decidere in un lampo: «Ecco. . ecco mia moglie», e c’è chi arriva a sospirare «Sì, è lei» solo dopo un interminabile dramma di incertezze che l’ha portato all’ineluttabile conclusione che quel a donna non dovrebbe mai più vederla. Sposo Helen quando il peso del ‘esperienza richiesta per raggiungere la monumentale decisione di rinunciare a lei per sempre si rivela così gigantesco e così commovente che non riesco più a immaginare di vivere senza di lei. Solo quando finalmente so per certo che questo deve finire subito, solo allora mi rendo conto di quanto io sia già profondamente sposato dai miei mil e giorni di indecisione, dallo scrupoloso esame di ogni possibile eventualità, così che una relazione del a durata di tre anni mi sembra ormai ricca di eventi umani quanto un matrimonio lungo mezzo secolo.
Sposo Helen - e lei mi sposa - nel momento di impasse e stanchezza che prima o poi arriva per tutti coloro che hanno dedicato anni e anni e anni a far patti chiari e accordi complicati a base di appartamenti separati e vacanze in comune, profferte di fedeltà e serate libere pianificate in anticipo; relazioni terminate con sol ievo ogni cinque o sei mesi e felicemente dimenticate per settantadue ore, per poi ricominciare, spesso con una deliziosa, per quanto effimera, frenesia sessuale, in seguito a un incontro semifortuito al supermercato; o ripartite da zero dopo una telefonata fatta nel solo intento di comunicare alla compagna abbandonata il passaggio, quel a sera alle dieci, di un bel documentario alla Tv; o in seguito a una cena cui la coppia aveva promesso di partecipare così tanto tempo prima che sarebbe stato sconveniente non adempiere insieme a quel ‘ultimo obbligo mondano.
Certo, uno dei due avrebbe potuto andare alla cena da solo, ma da solo non avrebbe avuto un complice al di là del tavolo con cui scambiare segnali di noia e divertimento, e più tardi, al momento di tornare a casa in macchina, non ci sarebbe stata una persona di mentalità affine con cui passare in rassegna le attrattive e le carenze degli altri ospiti; e neppure, al momento di spogliarsi per andare a letto, ci sarebbe stata un’amica bramosa e sorridente sdraiata nuda sopra le lenzuola con cui concordare sul fatto che l’unica persona davvero interessante presente alla cena era proprio il precedentemente sottovalutato ex partner. Ci sposiamo e, come avrei dovuto sapere e non potevo non sapere e forse ho sempre saputo, la disapprovazione e le reciproche critiche continuano ad avvelenare la nostra vita, a dimostrazione non solo del profondo baratro caratteriale presente fin dall’inizio, ma anche del a mia persistente sensazione che un altro uomo eserciti ancora le sue pretese sui più profondi sentimenti di lei, e che, per quanto possa tentare di nascondere questa triste verità e di occuparsi di me e del a nostra vita, lei sa altrettanto bene di me che è mia moglie solo perché non esisteva altro mezzo se non l’omicidio (o almeno cosi pare) perché lei potesse diventare la moglie di quel suo importante e molto noto amante. Quando siamo al nostro meglio, quando tocchiamo il vertice del coraggio, del ‘assennatezza e del a devozione, ci sforziamo di odiare ciò che ci divide invece di odiarci a vicenda. Se solo il suo passato non fosse così vivido, così grandioso, così melodrammatico - se in qualche modo uno di noi due riuscisse a dimenticarlo! Se io riuscissi a colmare quel ‘assurdo baratro di sfiducia che si spalanca fra di noi! O a ignorarlo!
A vivere al di là di esso! Quando siamo al nostro meglio prendiamo del e decisioni, ci 29
offriamo le reciproche scuse, cerchiamo di rimediare, facciamo l’amore.
Ma quando siamo al nostro peggio. . be’, il nostro peggio è schifoso come quel o di chiunque altro, presumo.
Su cos’è che litighiamo di più? Al principio - come c’era da immaginarsi per chi, dopo tre anni di indugi, si getta a testa bassa e con scarsa convinzione nel e fiamme del matrimonio - litighiamo per il pane tostato. Perché, mi domando e chiedo, non tostare il pane mentre cuociono le uova, invece che prima? In questo modo potremmo mangiarlo caldo invece che freddo. - Non posso credere che stiamo litigando su questo, - dice lei. - La vita non è un toast! - finisce per sbottare. -
E invece sì! - mi sento sostenere. - Quando ti metti a tavola a mangiare un toast, la vita è un toast. E quando porti fuori la spazzatura, la vita è spazzatura. Non puoi lasciare la spazzatura a metà scala, Helen.
Deve arrivare fino al bidone in cortile. E il bidone va chiuso. - L’ho dimenticata. -
Come hai fatto a dimenticartela, se ce l’avevi in mano? -
Forse, caro, perché è solo spazzatura.. e comunque che differenza fa! -
Dimentica di firmare gli assegni che compila e di affrancare le lettere che spedisce, mentre le lettere che le do da spedire per me o per la famiglia saltano fuori con una certa regolarità dalle tasche di impermeabili e calzoni mesi dopo che è uscita di casa per imbucarle. -
Cosa ti salta in mente mentre vai da Qui a Li? Come puoi essere così distratta, Helen? E la nostalgia per la vecchia Mandalay? I ricordi del
«trabiccolo», del e lagune e degli elefanti, del ‘alba che sorge in un lampo. . - Non posso mica pensare alle tue lettere per tutto il tragitto. - Ma allora cosa esci a fare con la lettera in mano? - Vado a prendere un po’ d’aria, ecco cosa! A vedere il cielo! A respirare!
Ben presto, piuttosto che sottolineare i suoi errori e le sue sviste, o ripercorrere i suoi passi, o raccogliere i suoi cocci, o trattenere la rabbia (per poi sfogarmi a maledirla dietro la porta del bagno), tosto io il pane, friggo le uova, porto giù la spazzatura, pago le bol ette e spedisco le lettere. Anche quando lei ha la cortesia di dire (nel tentativo di superare lo spaventoso baratro dalla sua sponda): «Vado a fare la spesa, vuoi che faccia un salto. .», l’esperienza, se non la saggezza, mi porta a dire: «No. . no, grazie». Dal giorno in cui perde il portafoglio dopo aver fatto un prelievo dal conto corrente, mi incarico io anche del e transazioni con la banca. Dal giorno in cui lascia il pesce a marcire sotto il sedile anteriore del ‘auto dopo essere uscita la mattina a comprare il filetto di salmone per cena, mi incarico del a spesa. Dal giorno in cui fa lavare ad acqua la camicia di lana che andava pulita a secco, mi incarico del e consegne alla lavanderia. Col risultato che nel giro di un anno sono occupato - e lieto di esserlo - sedici ore al giorno, fra l’insegnamento e il libro in cui sto trasformando la mia tesi sul a disil usione romantica nei racconti di Anton Cechov (un argomento scelto prima ancora di incontrare mia moglie), mentre Helen ha preso a bere e a farsi le canne.
Le sue giornate cominciano in acque aromatizzate al gelsomino. Con olio d’oliva nei capel i per renderli luccicanti dopo il lavaggio, e il viso unto da creme vitaminiche, ogni mattina si adagia per venti minuti nel a vasca da bagno, con gli occhi chiusi e il prezioso cranio posato su un cuscinetto gonfiabile; si muove solo per strofinarsi dolcemente con la pietra pomice la ruvida pel e dei piedini. Tre volte alla settimana il bagno è seguito dalla sauna facciale: nel kimono di seta blu mezzanotte, ricamato con papaveri rosa e rossi e uccel i gialli mai visti né in terra né in mare, siede al bancone del nostro minuscolo cucinino, il capo avvolto in un turbante e reclinato su una tazza d’acqua bol ente aromatizzata al 30
rosmarino, alla camomil a e ai fiori di sambuco. Poi, suffumigata e truccata e pettinata, è pronta a vestirsi per la palestra
- o per dove diavolo va mentre io sono a lezione: abito cinese aderente in seta blu marina col col o alto e uno spacco sul e cosce, orecchini di bril anti a lobo, braccialetti di giada e oro, il suo anel o di giada, i suoi sandali, la sua borsa di paglia.
Quando più tardi rincasa - dopo lo yoga ha deciso di andare a San Francisco «a dare un’occhiata in giro»: ha in mente (ce l’ha in mente da anni) di aprire in centro un negozio di antichità del ‘Estremo Oriente -
è già un po’ su di giri, e per l’ora di cena è tutta sorrisi: allegra, sbronza, sarcastica. -
La vita è un toast, - sorseggiando quattro dita di rum mentre io condisco le costolette d’agnel o. - La vita sono le croste e gli avanzi. La vita sono suole di cuoio e tacchi di gomma.
La vita è riportare il saldo nel nuovo libretto degli assegni. La vita è scrivere nel a matrice la cifra esatta che hai pagato. E il giorno, mese e anno esatti. - Tutto vero, - dico io. - Ah, - dice lei, standomi a guardare mentre apparecchio, - se solo sua moglie non si dimenticasse di aver messo la roba sul fuoco e non facesse bruciare tutto; se solo sua moglie si ricordasse che quando David cenava in Arcadia, la madre metteva sempre la forchetta a sinistra e il cucchiaio a destra e mai, mai dallo stesso lato. Oh, se solo sua moglie sapesse arrostirgli e imburrargli le patate come faceva mammina in quei lunghi inverni.
Passati i trent’anni la nostra reciproca insofferenza si è talmente esacerbata da ridurre ciascuno dei due esattamente a ciò che l’altro temeva fin dal principio. La
«presunzione» e il «perbenismo» per cui Helen mi detesta con tutte le sue forze -
«Finalmente c’è l’hai fatta, David. . sei diventato a tutti gli effetti un giovane parruccone» -
non sono meno evidenti del a sua «assoluta noncuranza», «stupida dissipatezza»,
«adolescenziale trasognatezza», eccetera. Però non riesco a lasciarla, né lei a lasciare me, fino a quando un completo disastro non rende semplicemente ridicolo continuare ad attendere la miracolosa conversione del ‘altro. Con grande meraviglia nostra e di chiunque altro, restiamo sposati quasi altrettanto a lungo di quanto siamo stati insieme come amanti, forse a causa del ‘opportunità che questo matrimonio ci offre di scagliarci a testa bassa contro quel o che ciascuno ritiene il proprio demone (mentre sul e prime pareva un’opportunità di salvezza!) Passano i mesi e noi rimaniamo insieme, domandandoci se un figlio ci farebbe superare questa assurda situazione di stallo. . oppure un negozio di antiquariato per Helen. . o una gioiel eria.. o la psicoterapia per entrambi. Gli altri continuano a vederci come una coppia incredibilmente «attraente»: ben vestiti, con esperienze all’estero, intel igenti, mondani (soprattutto in confronto alle giovani coppie di universitari), una rendita complessiva di dodicimila dol ari all’anno. . eppure la vita è semplicemente atroce.
Negli ultimi mesi di matrimonio il poco spirito che in me ancora cova sotto le ceneri emerge solo a lezione; altrimenti sono così apatico e passivo che fra i miei col eghi più giovani gira voce che io sia «sotto sedativi». Da quando ho concluso il dottorato insegno, oltre al corso per matricole «Introduzione alla Narrativa», anche due parti del corso del secondo anno di letteratura «generale». Nel e settimane conclusive del semestre, mentre affrontiamo i racconti di Cechov, scopro, leggendo ad alta voce agli studenti i passaggi su cui voglio che si concentrino, che ogni singola frase mi sembra alludere alla mia specifica situazione, come se ormai ogni sil aba che penso o pronuncio dovesse prima essere filtrata dai miei problemi. E poi ci sono i sogni a occhi aperti durante le lezioni, a un tratto tanto frequenti quanto irreprensibili, e così esplicitamente ispirati alla smania di una miracolosa salvezza -
31
ritrovare una vita perduta molto tempo fa, reincarnarmi in un essere completamente diverso da me -, che in un certo senso sono grato di essere depresso, privo del a forza di volontà di mettere in atto anche la più morigerata del e fantasie. «Capi che quando si ama, nei propri ragionamenti su questo amore bisogna partire da qualcosa che sta più in alto, che è più importante dei concetti di felicità o infelicità, di peccato o di buona condotta nel e loro accezioni correnti o non bisogna ragionarci affatto»1. Chiedo ai miei studenti cosa significa questo brano, e mentre me lo spiegano, noto che in fondo all’aula la ragazza posata e dalla voce sommessa che è la mia studentessa più intel igente e carina -
nonché più arrogante e annoiata - sta terminando il suo pranzo a base di Coca-Cola e barrette di croccante ricoperto Peanut Chews. «Oh, non mangiare schifezze», le dico in silenzio, e vedo me e lei sul a terrazza del Gritti che strizziamo gli occhi nel luccichio del Canal Grande ammirando la facciata ocra del perfetto piccolo palazzo sul ‘altro lato in cui abbiamo preso una camera appartata.. consumiamo il nostro pranzo a base di pasta al sugo e scaloppine di vitel o al limone. . al medesimo tavolo a cui io e Birgitta, giovinastri arroganti e sfacciati, pressappoco del ‘età di questi ragazzi e ragazze, ci eravamo seduti una sera a mangiare mettendo insieme buona parte del e nostre ricchezze per celebrare l’arrivo nel ‘Italia di Byron. . Nel frattempo il mio altro studente bril ante sta spiegando cosa intende dire il proprietario terriero Alèchin quando, alla fine di Del ‘amore, parla di «qualcosa che sta più in alto. . dei concetti di felicità o infelicità, di peccato o buona condotta nel e loro accezioni correnti».
Il ragazzo dice: - Alèchin rimpiange di non aver dato ascolto ai propri sentimenti e non essere fuggito con la donna di cui si è innamorato.
Adesso che lei se ne sta andando, lui è triste per aver permesso che i suoi scrupoli di coscienza, e la sua timidezza, lo trattenessero dal confessare il proprio amore solo perché lei è già moglie e madre -.
Annuisco, ma evidentemente senza comprendere, e il ragazzo intel igente sembra costernato. - Mi sbaglio? - chiede, arrossendo. - No, no, - dico io, però nel frattempo sto pensando: «Ma cosa fa, Miss Rodgers, sgranocchia Peanut Chews? Dovremmo invece sorseggiare vino bianco. .»
Poi mi viene in mente che probabilmente Helen aveva la stessa aria annoiata di Miss Rodgers quando studiava alla University of Southern California, nei mesi prima che quel ‘uomo più vecchio - un uomo all’incirca del a mia età! - la distogliesse dai suoi studi per trascinarla in una vita romantica e avventurosa.. Più tardi alzo gli occhi dalla lettura ad alta voce del a Signora col cagnolino e mi trovo davanti lo sguardo puro e innocente del a florida, buona, zelante ragazza ebrea di Beverly Hil s che dall’inizio del ‘anno siede al primo banco e scrive tutto ciò che dico. Leggo alla classe l’ultimo paragrafo del racconto, in cui la coppia adultera, turbata dallo scoprire quanto è profondo l’amore che la unisce, cerca invano di capire «perché lui fosse ammogliato e lei maritata». - «E sembrava che, ancora un poco, e la soluzione si sarebbe trovata, e allora sarebbe iniziata una vita nuova, meravigliosa; e a entrambi era chiaro che mancava molto, molto tempo alla fine, e che la parte più complessa e difficile stava solo iniziando»1 -. Odo me stesso parlare del a toccante trasparenza di questa conclusione: niente falsi misteri, solo i fatti nudi e crudi, esposti in modo diretto.
Parlo del a quantità di storia umana che Cechov riesce a racchiudere in quindici pagine, di come il ridicolo e l’ironia cedono a poco a poco il passo, pur in uno spazio così ridotto, al pathos e alla sofferenza, del a sua abilità nel rendere il momento del a disil usione e i processi attraverso cui la realtà sembra frustrare anche le nostre più innocue il usioni, per non dire dei grandi sogni di appagamento e avventura. Parlo del suo pessimismo riguardo a quel a che lui definisce «la questione del a felicità personale», e per tutto il tempo vorrei chiedere alla ragazza paffutel a del primo banco, che prende febbrilmente nota del e mie parole sul suo quaderno, di diventare mia figlia. Vorrei occuparmi di lei, assicurarmi che sia 32
tranquil a e felice. Vorrei comprarle i vestiti e pagarle le visite mediche, e vorrei che venisse a gettarmi le braccia al col o quando si sente triste e incompresa. Se solo fossimo stati io e Helen a crescere una ragazza così dolce! Ma come potremmo io e lei crescere qualunque cosa? Più tardi ancora, quando la incrocio lungo una strada del campus, provo di nuovo l’impeto di dirle, anche se non ha che dieci o dodici anni meno di me, che vorrei adottarla, che vorrei che dimenticasse i propri genitori, di cui non so niente, e lasciasse che fossi io a proteggerla e a farle da padre. - Salve, Mr Kepesh, - dice lei con un piccolo cenno di saluto, e quel gesto caloroso produce il suo effetto. Mi sento diventare sempre più leggero, mi sento invadere da un’emozione che mi sol everà in aria e mi trasporterà lontano per depositarmi chissà dove. Sto per avere una crisi di nervi proprio qui sul viottolo di fronte alla biblioteca?
Le prendo una mano fra le mie e dico, con un groppo di commozione in gola:
- Sei una brava ragazza, Kathie -. Lei inclina la testa, e le si imporpora la fronte. - Be’,
- dice, - sono lieta di piacere a qualcuno.
- Sei una brava ragazza, - ripeto, poi le lascio la soffice mano e vado a casa a vedere se la mia Helen senza figli è abbastanza sobria da preparare una cena per due. Al ‘incirca in questo periodo ci passa a trovare un finanziere inglese di nome Donald Garland, il primo dei suoi amici di Hong Kong a venire a cena da noi. Certo, è già capitato che Helen si facesse spettacolarmente bel a per andare in città a pranzare con qualche emissario del suo paradiso perduto, ma non l’ho mai vista prepararsi a un incontro con una tale gioiosa, quasi infantile aspettativa. In passato è anzi accaduto che, dopo aver trascorso ore e ore a imbel ettarsi per l’appuntamento a pranzo, emergesse dal bagno nel a sua vestaglia più scialba e annunciasse di non essere in grado di uscire né di vedere nessuno. - Sono orrenda.
- Non è affatto vero. -
Invece sì, - e con questo se ne tornasse a letto per tutto il giorno.
Donald Garland, mi dice adesso, è «l’uomo più gentile» che abbia mai conosciuto. -
La prima settimana che ero a Hong Kong mi ha subito invitata a pranzo a casa sua, e da allora è stato il mio migliore amico.
Ci siamo subito adorati. Il centrotavola era cosparso di orchidee raccolte dal suo giardino - in mio onore, aveva detto - e il patio dove mangiavamo si affacciava sul a mezzaluna di Repulse Bay. Avevo diciotto anni. Lui doveva averne cinquantacinque. Mio Dio.
Adesso ne avrà una settantina! Mi sembrava impossibile che ne avesse più di quaranta; era sempre così allegro, così giovanile, così entusiasta di ogni cosa.
Viveva con un ragazzo americano con un carattere meraviglioso, un cuore d’oro.
Chips allora doveva avere ventisei o ventisette anni. Questo pomeriggio Donald al telefono mi ha dato una notizia terribile - una mattina, due mesi fa, Chips è morto di aneurisma mentre faceva colazione; è stramazzato al suolo, morto sul colpo. Donald ha riportato il corpo a Wilmington, Delaware, e l’ha sepolto, poi non è riuscito a venir via. Continuava a prenotare i voli e poi a cancel arli. Adesso, finalmente, è sul a strada del ritorno. Chips, Donald, Edgar, Brian, Colin. . Non ho alcuna reazione, alcuna domanda, alcun contraddittorio, niente di vagamente simile a comprensione, curiosità o interesse. O
pazienza. Già da tempo ho sentito tutto ciò che potevo sopportare del e imprese del circolo di ricchi omosessuali inglesi di Hong Kong che la
«adoravano». Non lascio trasparire altro che uno zotico moto di sorpresa nel o scoprire che sarò anch’io parte di questa rimpatriata tanto eccezionale. Lei serra forte gli occhi, come se avesse bisogno di cancel armi per un momento dalla vista per poter sopravvivere. - Non parlarmi così. Non assumere quel tono orribile. Era il mio più caro amico. Mi ha salvato la vita centinaia di volte -.E tu perché l’hai messa a repentaglio centinaia di volte? Ma questa domanda accusatoria, con il tono orribile che l’accompagna, riesco a rimangiarmela, perché ormai persino io ho capito che ci rimetto molto più arrabbiandomi per qualunque cosa lei faccia o abbia fatto in passato piuttosto che 33
sopportando i suoi atteggiamenti, che da molto, molto tempo dovrei aver imparato a ignorare, se non ad accettare con una certa grazia.. Solo col trascinarsi del a serata, mentre Garland si fa sempre più ispirato nel e sue reminiscenze, io mi domando se lo abbia invitato da noi per farmi capire di prima mano quanto in basso l’abbia fatta cadere la fol e decisione di unire il suo destino a un parruccone come me. Sia o meno tale la sua intenzione, di sicuro tale è il risultato. In loro compagnia non mi rivelo un Chips dal meraviglioso carattere, dal cuore d’oro, ma piuttosto un rigido maestro vittoriano il cui spirito si anima solo allo schiocco del a frusta o al sibilo del a bacchetta. Nel vano tentativo di liberarmi dal ruolo di pedante, acido e censorio moralista, faccio il possibile per convincermi che Helen vuole solo mostrare a quest’uomo che ha significato così tanto per lei ed è stato così gentile con lei, e che ha appena subito un terribile colpo, che nel a sua vita va tutto bene, che lei e il marito vivono in armonia e amicizia, e che il suo protettore non deve più essere in pensiero per lei.
Sì, Helen si sta comportando come farebbe qualunque figlia devota che desideri risparmiare all’amato genitore una dura verità.. In breve: per quanto semplice potrebbe sembrare a qualcun altro la ragione del a presenza di Garland, a me sfugge del tutto, come se adesso che la vita con Helen non ha più il minimo senso, non ci fosse per me più modo di distinguere cosa è vero e cosa no. A settant’anni, il delicato, minuto Garland ha ancora un certo fascino giovanile, e un modo di fare smaliziato e allo stesso tempo fanciul esco. Ha una fronte dall’aspetto così fragile che basterebbe un cucchiaino per romperla, o almeno così sembra, e le gote sono le piccole gote rotonde e vitree di un Cupido di alabastro. Sopra la camicia aperta, porta al col o un foulard rosa pallido, che cela alla vista la gola, le cui grinze sono l’unico segno del a sua età. In questo volto stranamente giovanile l’unico barlume di dolore proviene dagli occhi, dolci, marroni, e inondati dal sentimento anche quando dal suo accento crepitante non traspare la minima afflizione. - Il povero Derek è stato ucciso, sai -.
Helen non lo sapeva. Si copre la bocca con una mano. - Ma come Derek, - dice rivolgendosi a me -, era un socio di Donald. A volte faceva del e sciocchezze, era un gran pasticcione, però aveva un cuore grande così, davvero. . - La mia espressione cadaverica la riporta in fretta a Garland. - Sì, - dice lui, - era una persona molto gentile, e io gli ero affezionato. Oh, quando si metteva a chiacchierare. . però bastava dirgli: «Derek, adesso basta», e lui subito la piantava. Be’, due ragazzi cinesi hanno pensato che non gli avesse dato abbastanza soldi, e l’hanno buttato a calci giù da una rampa di scale. Derek si è rotto l’osso del col o. - E’
terribile. Atroce.
Povero, povero Derek. E tutti i suoi animali, - chiede Helen, - che fine hanno fatto? -
Gli uccel i sono spariti. Un qualche virus li ha spazzati via la settimana dopo la morte di Derek. Gli altri li ha adottati Madge.
Madge li ha adottati e Patricia se ne occupa. Se non fosse per gli animali, quel e due non si rivolgerebbero neanche la parola. - Ancora? -
Oh sì. Quando vuole, quel a Madge sa essere una vera carogna. Un anno fa, quando Chips le ha ristrutturato la casa, lei l’ha fatto impazzire con il bagno di sopra -. Helen fa un altro tentativo di riportarmi nel novero dei viventi: spiega che Madge e Patricia, che abitano vicino a Donald lungo la baia, erano star del cinema inglese negli anni Quaranta.
Donald snocciola i titoli dei film che hanno fatto. Io continuo ad annuire, proprio come una persona ammodo, ma il sorriso che vorrei rivolgergli non riesce a farsi strada sul e mie labbra. Lo sguardo che Helen mi scocca riesce invece nel suo intento. - E com’è adesso Madge? -gli chiede Helen.- Be’, quando si trucca fa ancora una gran figura.
Certo però sarebbe meglio se non si mettesse in bikini -. Io dico: -
Perché? - ma nessuno mi sente. La serata si conclude con Garland, a questo punto un po’ ubriaco, che tiene la mano di Helen e mi racconta di un famoso ballo in maschera in una radura nel a giungla su un’isoletta del Golfo del Siam di proprietà di un suo amico thai, 34
un chilometro al largo del a punta meridionale del a Thailandia. Il costume di Helen l’aveva disegnato Chips: tutta in bianco, come il principe Ivan neh”
Uccel o di fuoco. - Era uno schianto. Una camicia di seta da cosacca e calzoni di seta infilati in morbidi stivaletti di capretto color argento, e un turbante in tinta con una spil a di diamante. E intorno alla vita una cintura tempestata di smeraldi -. Smeraldi? Comprati da chi? Ovviamente da Karenin. Adesso dov’è la cintura?, mi chiedo. Cos’hai dovuto restituire e cos’hai potuto tenere? Sicuramente ti sono rimasti i ricordi, questo è certo. - Una principessina thai è scoppiata in lacrime appena l’ha vista. Povera piccola. Era venuta alla festa indossando tutto quel o che aveva tranne il fornel o da cucina e si aspettava che la gente la guardasse estasiata. Ma quel a sera la reginetta era questa cara ragazza. Oh, ha fatto davvero furore. Helen non ti ha mai fatto vedere le fotografie? Non hai del e fotografie, tesoro? - No, - dice lei, - non più. - Oh, perché non ho portato le mie? Ma non avrei mai pensato di vederti. . quando sono partito da casa non sapevo neanche più chi ero.
E te li ricordi i ragazzini? - dice, dopo una lunga sorsata dal suo bicchiere di brandy. -
Naturalmente Chips tutti quei ragazzini indigeni li ha messi nudi, con solo un piccolo guscio di cocco davanti ai loro affarini, e stel e filanti al col o. Che spettacolo erano quando si alzava il vento! Be’, la barca è approdata e c’erano questi fanciul i che ci hanno dato il benvenuto e ci hanno scortato lungo un sentiero fiancheggiato di torce fino alla radura dove si sarebbe tenuto il banchetto. Oh, già, dimenticavo. . Madge si è presentata con il vestito che Derek aveva messo per la sua festa dei quarant’anni. Mai che spenda un soldo, se può evitarlo.
Sempre arrabbiata per qualcosa, ma soprattutto per i soldi che secondo lei tutti le portano via. Aveva detto: «Non è che ci si possa mettere una cosa qualsiasi, bisogna indossare qualcosa di speciale». Così io le ho detto, ma solo per scherzo: «Perché non ti metti il vestito di Derek? E di chiffon bianco coperto di lustrini, con un lungo strascico. Ed è molto scol ato sul a schiena. Ti starebbe a meraviglia, tesoro». E Madge ha risposto: «Come può essere scol ato dietro, Donald? Derek non avrebbe mai avuto la faccia tosta di indossarlo, con tutti i peli che ha sul a schiena. Che disgusto». E io ho detto: «Oh, cara, gli basta radersi una volta ogni tre anni». Vedi, - mi dice Garland, - Derek sembrava un ufficiale del a guardia reale. .
snel o, elegante, con una carnagione rosea, e soprattutto completamente glabro. Oh, c’è una fotografia di Helen che dovresti vedere, David. Te la devo mandare. E Helen che scende dalla barca scortata da quegli incantevoli piccoli indigeni con le stel e filanti al col o. Con le sue gambe lunghe e la seta che la fascia stretta stretta, oh, è la perfezione assoluta. E il suo viso. . il suo viso in quel a fotografia è classico. Devo spedirtela, devi assolutamente averla.
Helen era davvero strepitosa. La prima volta che ha posato gli occhi su di lei - eravamo a pranzo a casa mia, e la povera cara aveva ancora addosso uno dei suoi umili vestitini -, Patricia ha detto che Helen aveva la stoffa di una diva, che avrebbe potuto essere una stel a del cinema. E in effetti è vero. La stoffa ce l’ha ancora. Ce l’avrà sempre. - Lo so, - replica il maestro vittoriano, facendo sibilare in silenzio la bacchetta. Dopo che se n’è andato, Helen dice: - Be’, inutile che ti chieda cosa pensi di lui, no?- E come mi avevi detto: ti adora.- Sul serio, cos’è che ti autorizza a ergerti a giudice del e passioni altrui? Non hai sentito? Il mondo è grande, c’è abbastanza spazio perché ognuno faccia quel che gli pare. Anche tu una volta facevi quel che ti pareva, David. O almeno così vuole la leggenda.
- Io non mi ergo a giudice di niente e nessuno. Se ti dicessi la sola cosa di cui mi ergo a giudice, non ci crederesti mai. - Ah, di te stesso. Sei esigente solo con te stesso. Me n’ero scordata. - Io sono stato ad ascoltare da bravo, Helen, e non ricordo di aver detto niente sul e passioni o preferenze o parti intime di nessuno da qui al Nepal. -
Donald Garland è l’uomo più gentile sul a faccia del a terra. -
Benissimo. - Quando avevo bisogno di qualcuno, lui c’era. Per intere settimane mi sono trasferita a vivere da lui. Mi ha protetta da persone terribili -. E perché non ti 35
proteggevi da sola standotene lontana da loro? - Bene, - dico, - per fortuna che conoscevi lui. - Gli piace spettegolare e ricordare i vecchi tempi, e ovviamente stasera era un po’
lacrimoso. . se pensi a quel o che ha passato. Ma è uno che sa leggere dentro le persone, nei loro pregi e nei loro difetti - ed è devoto ai suoi amici, anche ai più scapestrati.
La lealtà di persone come lui è una cosa straordinaria, e nessuno ha il diritto di infangarla. E
non devi lasciarti ingannare dalle apparenze. Quando sta bene sa essere duro come il ferro.
Sa essere irremovibile, e sublime. - Non metto in dubbio che per te sia stato uno splendido amico. - Lo è ancora! - Senti, cosa stai cercando di dirmi? In questi giorni a volte non mi raccapezzo. Gira voce che saranno gli studenti a interrogare me alla fine del ‘anno, per vedere se sono riusciti a ficcarmi qualcosa nel a cucuzza. Di cosa stiamo parlando, esattamente? - Del fatto che agli occhi di alcune persone io sono ancora una persona di valore, anche se tu e i tuoi eruditi col eghi e le loro vispe e dozzinali mogliettine non fate altro che disprezzarmi. E’ vero che non sono abbastanza intel igente da preparare il pane di banane e il pane di carote e coltivare i germogli di soia e fare da «uditrice» ai seminari e
«capitanare» un comitato per bandire la guerra per sempre, però la gente si volta ancora a guardarmi, David, ovunque io vada. Avrei potuto sposare uno di quegli uomini che fanno girare il mondo! Non avrei nemmeno dovuto guardarmi tanto intorno.
Odio dover parlare di me in modo così volgare e dozzinale, ma è a questo che ti riduci quando parli con qualcuno che ti trova ripugnante. - Io non ti trovo ripugnante. Mi riempie ancora di stupore che tu abbia scelto me invece del presidente del a Itt. Come potrebbe un uomo che non riesce neppure a concludere un libercolo su Anton Cechov non essere colmo di gratitudine per il fatto di vivere con la finalista per il titolo di regina del Tibet? E per me un onore essere stato scelto come tuo personale cilicio. - Bisognerebbe discutere su chi sia qui il cilicio. Tu mi trovi ripugnante, David, e trovi ripugnante anche Donald. . - Helen, quel tipo non mi è né piaciuto né dispiaciuto. Cazzo, ho cercato di fare del mio meglio. Senti, già ai tempi del col ege il mio migliore amico era l’unico finocchio in circolazione. Avevo un amico finocchio nel 1950. . quando ancora non ne esistevano! Non sapevo neanche cosa fossero, ma ne avevo uno come amico. Però non me ne frega niente di chi indossa il vestito di chi. . oh, cazzo, lasciamo perdere, mi arrendo. Poi, un sabato mattina di primavera inoltrata, proprio mentre sono seduto alla scrivania e mi accingo a correggere le prove d’esame, sento la porta del nostro appartamento che si apre e si richiude - e finalmente ha inizio la dissoluzione di questo matrimonio pazzescamente male assortito.
Helen se n’è andata. Trascorrono diversi giorni - giorni spaventosi, che comprendono due visite all’obitorio di San Francisco, di cui una in compagnia del a sconcertata, contegnosa madre di Helen, che insiste per venire in aereo da Pasadena a dare un’occhiata al corpo straziato di una donna «caucasica» morta affogata, di un’età fra i trenta e i trentacinque anni - prima che io venga a sapere dove si trova. La prima telefonata - che mi informa che la mia sposa è detenuta in un carcere di Hong Kong - viene dal Dipartimento di Stato. La seconda viene da Garland, che aggiunge alcuni dettagli sordidi e chiarificatori: arrivata all’aeroporto di Hong Kong, ha preso un taxi e si è fatta portare a Kowloon alla vil a del suo ben noto ex amante. Si tratta del ‘Onassis inglese, mi dice, figlio ed erede del fondatore del a MacDonald-Metcalf Line, e re del e rotte Mercantili dal Capo di Buona Speranza alla baia di Manila. A casa di Jimmy Metcalf non le è stato permesso di superare il servitore di guardia all’ingresso, non dopo che il suo nome è stato annunciato alla moglie di Metcalf. E
quando, qualche ora dopo, ha lasciato l’albergo per raccontare alla polizia il piano architettato alcuni anni prima dal presidente del a MacDonald-Metcalf per far ammazzare la moglie simulando un incidente, l’agente in servizio alla stazione di polizia ha fatto una telefonata in seguito alla guale nel a sua borsa è stato trovato un pacchetto di cocaina. - E
adesso cosa capita? - gli domando. - Mio Dio, Donald, e adesso? - La tiro fuori io, - dice 36
Garland. - Si può fare? - Sì. - E
come? - Secondo te? Soldi? Ricatto? Ragazze? Ragazzi? Non lo so, non mi importa, meglio non chiedere. Sia quel che sia, purché funzioni. - La domanda è, - dice Garland, - cosa succede quando Helen torna libera? Le posso trovare una sistemazione qui. Posso fornirle tutto ciò di cui ha bisogno per rimettersi in piedi e tirare avanti. Però vorrei sapere cosa è meglio secondo te. Non reggerebbe a trovarsi di nuovo presa in mezzo.
- In mezzo fra cosa? Donald, è tutto così confuso. Francamente non ho idea di cosa sia meglio. Per favore, spiegami perché non è venuta da te quando è arrivata li. - Perché aveva in mente di vedere Jimmy. Sapeva che se fosse venuta da me io non le avrei mai permesso di avvicinarsi a lui. Io lo conosco, meglio di quanto lo conosca lei. - E lo sapevi che sarebbe arrivata? - Sì, certo. - Già la sera in cui sei venuto a cena da noi? - No, no, caro ragazzo mio. Solo una settimana fa. Ma avrebbe dovuto mandarmi un telegramma. Sarei andato a prenderla all’aeroporto.
Invece ha voluto fare a modo suo. - Non avrebbe dovuto, - borbotto io. -
La domanda è: Helen torna da te o rimane con me? Vorrei che tu mi dicessi cosa ritieni meglio. - Sei sicuro che uscirà di prigione, sei sicuro che le accuse verranno lasciate cadere. . - Altrimenti non ti avrei telefonato per dirti quel o che ti sto dicendo. - Al ora quel o che succederà.. be’, spetta a Helen deciderlo, no? Cioè, dovrei prima parlare con lei. - Ma non puoi. E’ una fortuna che abbia potuto farlo io. E una fortuna che non sia in catene, o in volo per la Malesia. Il nostro capo del a polizia non è un uomo caritatevole, se non verso se stesso. E il tuo rivale non è Albert Schweitzer. - Questo è evidente. -
Mi diceva sempre: «E’ così difficile andare a far compere con Jimmy. Se vedo una cosa che mi piace, lui me ne compera dodici». Lei gli diceva:
«Ma Jimmy, posso indossarne solo uno alla volta». Però Jimmy non capiva, Mr Kepesh. Lui moltiplica tutto per dodici. - Okay, è chiaro. - Non voglio che le capiti più niente di male. . mai più, - dice Garland. -
Voglio sapere esattamente come stanno le cose per lei. E lo voglio sapere adesso.
Ha passato anni d’inferno. Era una creatura meravigliosa, sfolgorante, e la vita l’ha trattata in modo ignobile. Non permetterò a nessuno di voi due di torturarla ancora. Ma io non lo so come stanno le cose per lei - non so neppure come stanno le cose per me. Prima di tutto, dico, devo chiamare i genitori di Helen e rassicurarli. Poi mi farò risentire. Mi farò risentire?
E perché? Come se le avessi comunicato che la figlia si è trattenuta a una riunione dopo la scuola, la madre di Helen dice in tono cortese: - E quando torna a casa? - Non lo so. Ma a quanto pare neppure questo scoraggia la madre del ‘avventuriera. - Spero che mi terrà informata, - dice in tono vivace. - Certo. - Be’, grazie del a chiamata, David. Cos’altro può fare la madre di un’avventuriera se non ringraziare la gente di chiamarla e tenerla informata? E cosa fa il marito di un’avventuriera mentre la moglie è agli arresti in Estremo Oriente? Be’, per cena mi preparo un’omelette, la cucino per bene, alla temperatura giusta, e me la servo con un po’ di prezzemolo tritato, un bicchiere di vino e una fetta di pane tostato e imburrato. Poi mi faccio una lunga doccia calda. Lui non vuole più che io la torturi; benissimo, non la torturerò - ma soprattutto, non torturerò me stesso. Dopo la doccia decido di infilarmi il pigiama e di dedicarmi alla lettura serale, a letto, tutto solo.
Niente ragazza, per il momento. Ogni cosa a suo tempo. Sta accadendo davvero?
Sono tornato al punto di sei anni fa, la sera prima di aver mol ato la mia sensibile partner ed essermi portato a casa da quel a festa la Helen di Hong Kong. Eccetto che adesso ho il mio lavoro, ho il mio libro da concludere, e a quanto pare ho questo appartamento confortevole, arredato in modo così elegante e raffinato, tutto per me.
Com’è quel a frase di Mauriac? «Mi crogiolo nei piaceri di un letto incondiviso». Per qualche ora la mia felicità è completa. Ho mai letto o sentito raccontare una cosa del genere, una persona catapultata direttamente dalla sventura alla beatitudine? Il senso 37
comune dice che funziona all’inverso. Be’, io posso testimoniare che in qualche raro caso funziona anche così. Mio Dio, come mi sento bene. Non torturerò mai più né lei né me.
Affare fatto.
Duecentoquaranta minuti così, più o meno. Il giorno dopo, grazie a un prestito di Arthur Schonbrunn, il correlatore del a mia tesi, acquisto un biglietto di andata e ritorno per l’Asia e parto. (Al a banca scopro che l’intero ammontare dei nostri risparmi è stato ritirato da Helen la settimana prima, per il suo volo di sola andata verso una nuova vita).
Sul ‘aereo ho tempo per pensare - e pensare e pensare e pensare.
Evidentemente la rivoglio con me, non riesco a rinunciare a lei, che me ne renda conto o meno sono innamorato, lei è il mio destino. . Non una sola parola di questa manfrina mi convince. Sono parole che disprezzo: il tipo di parole che usa Helen, il tipo di ragionamenti che fa Helen.
Non posso vivere senza questo, non posso vivere senza quel o, la mia donna, il mio uomo, il mio destino. . Roba infantile! Roba da film!
«Screen Romance»! Ma se questa donna non è la mia donna, cosa ci faccio qui? Se non è il mio destino, perché sono stato al telefono dalle due alle cinque del a mattina? E’
solo l’orgoglio a impedirmi di abdicare a favore del suo protettore omosessuale? No, le cose non stanno così. E
neppure sto Agendo in Modo Responsabile, o spinto dalla vergogna, o dal masochismo, o dall’euforia vendicativa.. Perciò rimane solo l’amore.
Amore! A questo punto! Amore! Dopo tutto quel che abbiamo fatto per distruggerlo! Più amore, tutt’a un tratto, di quanto ce ne sia mai stato in tutto questo tempo! Trascorro il resto del e mie ore di veglia su quel volo ricordando ogni singola parola dolce, incantevole, seducente che lei abbia mai pronunciato. Al ‘aeroporto mi viene a prendere Garland
- mesto, cortese, impeccabile, un vero banchiere e uomo d’affari, adesso
- con un ispettore del a polizia di Hong Kong e un giovanotto ammodo del consolato americano, e tutti insieme mi accompagnano al carcere a vedere mia moglie. Mentre lasciamo il terminal per andare all’auto, dico a Garland: - Pensavo che ormai fosse fuori. - I negoziati vanno per le lunghe, - dice lui, - ci sono più parti in causa del previsto. - Hong Kong
- mi informa con una smorfia divertita il giovane funzionario del consolato - è la patria del a contrattazione col ettiva -. Tutti in quel ‘auto sembrano conoscere la posta in gioco, tutti tranne me. Vengo perquisito, poi mi viene concesso di incontrarla in una stanzetta la cui porta viene drammaticamente sprangata alle nostre spalle. Il rumore del chiavistel o la spinge ad afferrarmi convulsamente la mano. Ha il viso chiazzato, le labbra piene di vesciche, e gli occhi. . non riesco a guardarla negli occhi senza che mi si torcano le budel a. E
poi Helen puzza. E nonostante tutto ciò che provavo per lei quand’ero in mezzo alle nuvole, adesso che sono di nuovo coi piedi per terra non riesco proprio ad amarla. Non l’ho mai amata davvero, coi piedi per terra, e non comincerò adesso, in una prigione. Non sono quel tipo di idiota. Il che forse mi rende un idiota di un altro tipo. . ma questo lo scoprirò solo in seguito. - Me l’hanno messa addosso loro la cocaina. - Lo so. -
Lui non la passerà liscia, - dice. - No. E Donald ti tirerà fuori da qui. - Deve farlo! - Sì, e lo farà. Perciò non preoccuparti. Uscirai molto presto. - Devo raccontarti una cosa terribile. Tutto il nostro denaro è sparito, se l’è rubato la polizia. E’ stato lui a dirgli cosa fare di me. . e loro l’hanno fatto. Mi hanno riso in faccia. Mi hanno toccata. - Helen, adesso dimmi la verità. Devo saperla. Tutti noi dobbiamo saperla. Quando uscirai da qui, vuoi restare con Donald a casa sua? Dice che si occuperà lui di te. . - Ma non posso! No! Oh, non lasciarmi qui, ti prego! Jimmy mi ucciderà! Durante il volo di ritorno Helen beve finché l’hostess si rifiuta di servirla ancora. - Scommetto che mi sei anche stato fedele, - dice, 38
all’improvviso stranamente
«ciarliera». - Sì, ci scommetto, - ripete, in una sorta di serenità narcotizzata adesso che il whiskey ha in qualche modo attenuato gli orrori del a carcerazione e lei si è lasciata alle spalle l’incubo del a vendetta di Jimmy Metcalf. Non rispondo né sì né no. Sul e due insignificanti copulazioni del ‘ultimo anno non c’è niente da dire; scoppierebbe a ridere se le raccontassi chi sono state le sue rivali. Né mi aspetto una gran comprensione se le spiegassi quanto è stato insoddisfacente tradirla con donne che non avevano neppure un centesimo del suo fascino - neppure un centesimo del suo carattere, per non parlare del a sua avvenenza - e a cui avrei sputato in faccia una volta compreso quanto la loro soddisfazione derivasse dall’essersi prese una rivincita su Helen Kepesh. Abbastanza presto - quasi abbastanza presto -
mi sono reso conto che era impossibile tradire una moglie detestata dalle altre donne quanto Helen senza ricavarne un’umiliazione. Non ho il dono di Jimmy Metcalf, non so contrattaccare con freddezza sferrando un grandioso colpo letale alla mia avversaria; no, il suo stile è la vendetta, il mio una bisbetica malinconia.. Mentre parla, Helen farfuglia pesantemente per effetto del ‘alcol e del a stanchezza, ma adesso che ha fatto un bagno, ha pranzato, si è cambiata d’abito e si è rifatta il trucco, ha voglia di fare conversazione, dopo giorni e giorni che non parla con nessuno. Intende riprendere il proprio posto nel mondo, e non nel ruolo del a perdente, ma nel ruolo di se stessa. - Sai,
- dice, - non c’era bisogno che facessi tanto il bravo ragazzo. Avresti potuto farti le tue storie, se questo ti rendeva più felice. L’avrei accettato. - Buono a sapersi, - dico. - Sei tu, David, che non ne saresti uscito vivo. Vedi, io ti sono stata fedele, che tu ci creda o meno.
L’unico uomo a cui sia stata fedele in vita mia -. Ci devo credere? Ci posso credere? E se anche ci credessi? Dove mi porta tutto questo? Non dico niente. - Non lo sai ancora dove andavo a volte dopo la palestra. - No, non lo so. - Non sai perché la mattina uscivo indossando il mio abito preferito. - Mi sono fatto le mie idee. - Be’, erano sbagliate. Non ho mai avuto un amante. Mai, mai mentre stavo con te.
Mai, perché sarebbe stato troppo odioso. Tu non l’avresti sopportato, perciò non l’ho fatto. Ti avrebbe distrutto; mi avresti perdonata ma non saresti mai più stato lo stesso.
Le tue ferite non si sarebbero più richiuse. - In ogni caso non si sono più richiuse. E neanche le tue. Dove te ne andavi tutta in ghingheri?- Andavo all’aeroporto.- E?- E
sedevo nel a sala d’attesa del a Pan Am. Avevo il passaporto nel a borsetta. E i miei gioiel i. Me ne stavo li a leggere il giornale finché qualcuno mi chiedeva se volevo bere qualcosa nel a sala di prima classe.
- E scommetto che arrivava sempre qualcuno. - Sempre. . è vero. E io andavo a bere qualcosa. Parlavamo. . poi quegli uomini mi chiedevano di partire con loro. Per il Sudamerica, per l’Africa, qualunque posto. Un uomo mi ha anche chiesto di accompagnarlo in viaggio d’affari a Hong Kong. Ma io non ho mai accettato. Mai, mai con te. Invece tornavo a casa a sentire i tuoi predicozzi sul e matrici degli assegni. - L’hai fatto spesso? - Abbastanza spesso, - replica lei. - Abbastanza per cosa, per vedere se avevi ancora il potere? - No, idiota, per vedere se tu avevi ancora il potere -. Comincia a singhiozzare. - Ti stupisce - chiede - se ti dico che avremmo dovuto averlo quel bambino? - Non avrei mai corso un tale rischio, non con te -. Le mie parole le mozzano il fiato, il poco fiato che le è rimasto. - Oh, che stronzo, non ce n’era bisogno. Ci sono modi meno crudeli. . - dice. - Oh, perché non ho lasciato che Jimmy la ammazzasse quand’era disposto a farlo! - grida. - Abbassa la voce, Helen. - Dovresti vederla adesso. . se ne stava li in piedi tre metri dentro casa, e mi guardava in un modo!
Dovresti vederla, sembra una balena. Quel ‘uomo così bel o va a letto con una balena. - Ti ho detto di abbassare la voce. - E’ stato lui a dir loro di mettermi addosso la cocaina, a me, la persona che ama! Ha permesso che mi prendessero la borsa e mi rubassero i soldi! A me, 39
che lo amavo tanto! Se l’ho lasciato è stato solo per impedire che commettesse un omicidio!
E adesso lui mi odia perché sono troppo rispettabile, e tu mi disprezzi perché lo sono troppo poco, e la verità è che io sono migliore e più forte e coraggiosa di voi due messi insieme. O
almeno lo ero. . e lo ero quando avevo solo vent’anni! Tu non avresti corso il rischio di fare un figlio con me? E
cosa dire di uno come te? Non ti è mai passato per la testa che per un bambino sarebbe stato l’inverso? No? Sì? Rispondimi! Oh, non vedo l’ora di vedere la piccioncina con cui correrai un tale rischio. Se solo tu avessi preso in mano la cosa tanto tempo fa, anni fa, al principio!Alora non avrei avuto nula da dire!- Helen, sei esausta, sei ubriaca e non sai quel che dici. Non te n’è mai importato niente di avere un figlio. - Me ne importava eccome, stupido imbecil e! Oh, perché sono salita con te su questo aereo! Avrei dovuto restare con Donald! Ha bisogno di qualcuno quanto ne ho bisogno io. Avrei dovuto restare con lui e dire a te di tornartene a casa. Oh, perché in quel a prigione mi sono persa d’animo! - Ti sei persa d’animo a causa del tuo Jimmy.
Pensavi che ti avrebbe ucciso quando fossi uscita. - Ma non lo avrebbe mai fatto. .
che assurdità! Ha fatto quel che ha fatto solo perché mi ama tanto, e anch’io lo amavo! Ho aspettato, e aspettato, e aspettato. .
ti ho aspettato per sei anni! Perché non mi hai portata nel tuo mondo da uomo! -
Forse intendi dire perché non ti ho portata fuori dal tuo. Non potevo. Gli unici in grado di portarti fuori da quel mondo sono quel i che ti ci hanno portato dentro. Certo, lo so che ho un tono odioso, che ogni tanto mi scappano sguardi sprezzanti, ma non ho mai assoldato un kil er solo per averla vinta sul a faccenda del pane tostato. La prossima volta che vuoi essere salvata da un tiranno, trovati un altro tiranno che se ne occupi. Io mi do per vinto. - Oddio, oh, Cristo santo, possibile che o sono dei bruti oppure dei chierichetti? Hostess, - dice, abbrancando per un braccio la ragazza che passa fra i sedili, - non voglio da bere, ho bevuto già abbastanza. Voglio solo farti una domanda.
Non avere paura. Perché o sono bruti oppure chierichetti, lo sai? - Chi, signora? -
Non è questa la conclusione cui sei giunta nei tuoi viaggi intercontinentali? Persino una creatura dolce come te li spaventa. E per questo che devi andare in giro con quel sorriso stampato. Li guardi fissi negli occhi e questi bastardi o cadono in ginocchio o ti si avventano alla gola. Quando infine Helen si addormenta - poggiando familiarmente il viso sul a mia spalla -, tiro fuori dalla valigetta le prove d’esame e ricomincio da dove mi sono dovuto interrompere un centinaio d’ore fa. Sì, mi sono portato dietro i compiti da correggere -
ed è una buona cosa. Non so come potrei sopravvivere alle milioni di ore di volo rimanenti senza questi compiti a cui aggrapparmi. «Senza questo. .», e mi vedo strangolare Helen con una ciocca dei suoi capel i lunghi fino alla vita. Chi è che strangola l’amante con i suoi capel i?
E qualcuno in una poesia di Browning? Oh, che importa! «La ricerca del ‘intimità, non perché renda necessariamente felici, ma perché è necessaria, è uno dei temi ricorrenti di Cechov». Il compito da cui ho deciso di cominciare - di ricominciare - è quel o di Kathie Steiner, la ragazza che avevo sognato di adottare. «Bene», scrivo in margine accanto alla frase d’apertura; poi la rileggo, e dopo «necessaria» faccio una graffa e scrivo: «alla sopravvivenza(?)» Nel frattempo sto pensando: «E
qualche chilometro qui sotto ci sono le spiagge del a Polinesia. Be’, mia cara, sfolgorante creatura, sai cosa ce ne viene! Hong Kong! Tanto valeva essere stati a Cincinnati!
Una camera d’albergo, una stazione di polizia, un aeroporto. Un megalomane vendicativo e un pugno di sbirri corrotti! E un’aspirante Cleopatra! I nostri risparmi andati in fumo per questo schifoso thril er di serie B! Questo viaggio è un’allegoria del matrimonio - una doppia traversata di seimila chilometri fino in capo al mondo, e senza alcuna buona ragione!»
40
Cercando di concentrarmi sul lavoro che ho davanti - e non su di me e Helen, e se avremmo dovuto avere un figlio, o di chi è la colpa se non l’abbiamo avuto; rifiutando di accusarmi ancora una volta di tutto quel che avrei potuto fare e non ho fatto, e tutto quel che ho fatto e non avrei dovuto -, torno al compito di Kathie Steiner. Jimmy Metcalf istruisce i poliziotti:
«Datele un bel calcio in culo, signori, le farà bene a quel a puttana», mentre tengo a bada le mie emozioni leggendo con cura ogni pagina di Kathie, correggendo ogni minima virgola, ricordandole il suo problema con i participi posizionati in modo ambiguo, e riempiendo doverosamente i margini di commenti e domande. Io e i miei esami finali, la mia penna indelebile e le mie graffette. Che spettacolo divertente per l’imperatore Metcalf - e anche per Donald Garland e il suo spietato capo del a polizia! Forse dovrei farmi anch’io una risata; ma dato che sono un professore di letteratura e non un poliziotto, e da tempo ormai mi sono sbarazzato - forse un po’ troppo frettolosamente - di quel po’ di tiranno che c’era in me, invece di farmi una risata giungo alla frase conclusiva di Kathie, e crol o. La padronanza che ho mantenuto dal momento del a scomparsa di Helen si dissolve, e devo voltarmi dall’altra parte e premere il viso contro il finestrino oscurato del ‘aereo ronzante che ci riporta a casa, dove avremo da districare, in modo ordinato e legale, il garbuglio del e nostre due vite allo sbando.
Piango per me stesso, piango per Helen, e soprattutto piango perché non ogni singola cosa è stata distrutta e - nonostante la mia logorante ossessione per l’infelicità maritale e il mio languido desiderio di rivolgermi alle giovani studentesse in cerca di aiuto -
in qualche modo sono riuscito a ottenere che una dolce, paffuta, disarmata e ancora ingenua figlia di Beverly Hil s concludesse il suo secondo anno di col ege componendo questa triste e bel issima elegia per quel a che lei definisce «la globale filosofia del a vita di Anton Cechov». Ma può essere stato il professor Kepesh a insegnarle tutto questo? Come?
Come? Io quela filosofia sto cominciando a comprenderla appena adesso, su questo volo!
«Nasciamo innocenti, - ha scritto la ragazza, - patiamo atroci disil usioni prima di accedere alla saggezza, viviamo nel a paura del a morte. . e a compensare il dolore non abbiamo che frammenti di felicità».
Vengo finalmente estratto dalle macerie del divorzio grazie a un’offerta di lavoro da parte di Arthur Schonbrunn, che ha lasciato Stanford ed è ora direttore del dipartimento di Letterature comparate alla State University di New York, a Long Island. Quand’ero ancora a San Francisco ho cominciato ad andare dallo psicanalista - poco dopo aver cominciato ad andare dall’avvocato - ed è lui che mi consiglia, una volta tornato a est, di continuare la terapia con un certo dottor Frederick Klinger, uno che non ha paura di dire ai suoi pazienti le cose come stanno, «un uomo solido e ragionevole», così lo definisce, «uno specialista in buonsenso». Ma la ragione e il buonsenso sono quel o che mi serve? Se mi sono rovinato la vita, non è proprio per un eccesso di devozione a questi due attributi? Frederick Klinger è solido, senza dubbio: un tipo dal viso tondo, affabile e dinamico, che, con il mio permesso, fuma il sigaro per l’intera seduta. Non posso dire che quel ‘odore mi piaccia, ma lo sopporto perché fumare sembra acuire ancora di più la perspicacia con cui Klinger si prende cura del a mia disperazione. Non molto più vecchio di me, e con meno capel i grigi di quanti ormai ne abbia io, trasmette il senso di appagamento e sicurezza di un uomo di successo giunto alla mezza età. Dalle telefonate a cui, con mio gran dispetto, risponde durante la mia ora, mi rendo conto che è già una figura di spicco nei circoli psicanalitici, che appartiene ai corpi dirigenti di scuole, case editrici, riviste e istituti di ricerca, ed è soprattutto l’ultima fonte di speranza per un gran numero di anime in rovina. Sul e prime mi lascia un po’ sconcertato l’estremo godimento con cui il dottore pare divorare le sue responsabilità - mi lascia sconcertato, a dire il vero, quasi tutto ciò che lo riguarda: il doppiopetto gessato e il 41
farfallino floscio, il logoro soprabito Chesterfield che tira sul ventre grassoccio, le ben due valigette straboccanti sul ‘appendiabiti, le foto dei figli sorridenti e pieni di salute sul a scrivania carica di libri, la racchetta da tennis nel portaombrel i - mi lascia sconcertato anche la borsa per la palestra infilata dietro la grossa e lisa poltrona Eames da cui, sigaro in mano, lui affronta la mia confusione. Come può questo conquistador sciccoso ed energico capire che ci sono giorni in cui, sul a strada dal letto allo spazzolino da denti, fatico a non lasciarmi cadere a terra e rannicchiarmi sul pavimento del soggiorno? Io stesso non comprendo appieno il baratro in cui sono precipitato. Non sono stato capace di essere un marito per Helen - non sono stato capace di escogitare un modo per fare di Helen una moglie - e adesso la mia vita più che viverla la trascorrerei dormendo. Ad esempio, come ho fatto a ridurmi in questo stato nel mio rapporto con la sensualità? - Proprio lei, - replica il dottor Klinger, - lei che ha sposato una femme fatale?
- Ma solo per sfatalizzarla, per levarle le zanne. Tutte quel e scenate per la spazzatura e il bucato e il toast a colazione. Mia madre non avrebbe saputo fare di meglio.
Mi attaccavo a ogni piccolezza! - E lei era troppo divina per tali piccolezze? Sa, non è la Elena nata da Leda e Zeus. E una creatura del a terra, Mr Kepesh, una gentile, una Helen nata in grembo alla piccola borghesia di Pasadena, California, abbastanza carina da rimediare ogni anno un viaggio gratis fino ad Angkor Wat, ma nul a di più quanto a imprese soprannaturali.
E un toast freddo è un toast freddo, non importa quanti gioiel i la cuoca abbia ricevuto in dono nel corso degli anni da ricchi uomini sposati con un debole per le ragazzine. - Mi faceva paura. - Lo credo bene -. Gli squil a il telefono. No, non può assolutamente arrivare in ospedale prima di mezzogiorno. Sì, ha visto il marito. No, il signore non sembra disposto a col aborare. Sì, è un gran peccato. Ora torniamo a quest’altro signore poco col aborativo. -
Lo credo che le faceva paura, - dice, - non poteva fidarsi di lei. - Non volevo fidarmi di lei. E
lei mi è stata fedele. Ne sono convinto. - Non è questo il punto. Quel o era solo un giochetto che lei faceva con se stessa. E poi che importanza ha, dal momento che voi due non avete mai avuto niente in comune? A quanto pare l’unica cosa del tutto fuori dal personaggio che avete fatto è stata sposarvi. - Anche Birgitta mi faceva paura. - Mio Dio, - esclama, - a chi non avrebbe fatto paura? - Senta, o non mi spiego bene oppure lei non fa alcuno sforzo per capirmi. Le dico che si trattava di creature speciali, piene di audacia e di curiosità.. creature libere. Non erano giovani donne qualunque. - Oh, capisco. - Davvero? A volte mi sembra che lei preferisca liquidarle mettendole nel novero del e persone dozzinali. Ma quel che le rendeva speciali è che non erano dozzinali, non per me, nessuna del e due. Erano eccezionali. - Garantito -. Squil a il telefono. Sì, che c’è? Sono in seduta, sì. No, no, dica pure.
Sì. Sì. Certo che capisce. No, no, è un bluff, non ci badi. Sì, aumenti la dose a quattro al giorno. Non di più. E mi chiami se continua a piangere. Mi chiami in ogni caso. Arrivederci. -
Garantito, - dice, - ma cosa credeva di fare, sposando una di queste «creature speciali?»
Passare tutto il giorno e tutta la notte ad accarezzare i suoi seni perfetti? Unirsi a lei nel a fumeria d’oppio? L’altro giorno mi ha detto che l’unica cosa che ha imparato in sei anni con Helen è stata rol are le canne. - L’avrò detto per blandire l’analista. Invece ho imparato un sacco di cose. -
Resta il fatto che lei aveva il suo lavoro da fare. - Il lavoro è solo un’abitudine, - dico, senza nascondere il fastidio per la sua implacabile «smitizzazione». - Forse, - suggerisco fiaccamente, -
leggere libri è l’oppio del e classi colte. - Lei dice? Ha in mente di diventare un figlio dei fiori? - mi chiede accendendosi un altro sigaro.
- Una volta io e Helen stavamo prendendo il sole nudi su una spiaggia in Oregon.
Eravamo in vacanza, diretti a nord. Dopo un po’ ci siamo accorti che fra i cespugli c’era un uomo che ci guardava. Abbiamo fatto per coprirci, ma lui è venuto fuori e ci ha chiesto se 42
eravamo nudisti.
Quando ho detto di no, lui ci ha dato una copia del suo giornale nudista chiedendoci se volevamo abbonarci -. Klinger si fa una risata. - Helen ha commentato che doveva essere stato Dio in persona a mandarlo, perché era da almeno un’ora e mezza che non leggevo niente -. Di nuovo Klinger si fa una risata di gusto. - Senta, - gli dico, - lei non sa cos’ha significato per me incontrare Helen. Non può sottovalutare la cosa. Lei non sa com’ero allora, non può vedermi com’ero. . neppure io posso più farlo. Ma a vent’anni ero un ragazzo spavaldo. Più audace dei miei coetanei, soprattutto in quel ‘era desolata del a storia del piacere. Io facevo quel che gli artisti del a masturbazione si limitano a sognare.
Quando ho debuttato nel mondo ero, se così posso dire, una sorta di prodigio sessuale. - E vorrebbe tornare a esserlo, ora che ha passato i trenta? - Non mi do neanche la pena di rispondere, tanto mi sembra meschino e fuori luogo il buonsenso padroneggiato dal mio analista. -
Perché permette a Helen, - continua Klinger, - che si è a tal punto degradata nel frenetico sforzo di diventare la grande sacerdotessa del ‘Eros, che è arrivata quasi a distruggerla con i suoi proclami solenni e le sue insinuazioni, perché permetterle ancora di giudicarla?
Ha ancora intenzione di lasciarsi rimproverare da lei nei momenti di debolezza? Ha ancora intenzione di sentirsi debole a causa di tali assurdità? In cosa consisteva questa sua
«audace» ricerca?. . - Il telefono. - Mi scusi, - dice. Sì, sono io. Sì, dica pure. Salve. . sì, ti sento bene. Com’è Madrid? Cosa? Be’, certo che ha dei sospetti, ci mancherebbe. Tu digli che è uno stupido a comportarsi così e poi lascia perdere. No, certo che non vuoi litigare.
Capisco. Diglielo e basta, poi cerca di farti coraggio. Gli puoi tenere testa. Torna in quel a stanza e diglielo. Su, forza, sai benissimo di potercela fare. Bene. Buona fortuna. Divertiti. Ho detto divertiti. Arrivederci. - In cosa consisteva la sua ricerca, - dice, - se non in un’evasione, un’infantile fuga dai veri progetti che si possono realizzare nel a vita? - Però, d’altro canto, -
dico, - i «progetti» potrebbero essere una fuga dalla ricerca. - Senta, le piace leggere libri e le piace scriverne. Questo, per sua stessa ammissione, le dà enorme soddisfazione. . gliel’ha data in passato e continuerà a dargliela in futuro. In questo momento lei è stufo di tutto.
Però le piace insegnare, giusto? E mi sembra di capire che non le manchi il talento. Ancora non capisco quali alternative ha in mente. Vuole trasferirsi nei Mari del Sud e insegnare i grandi libri alle ragazze in sarong all’università di Tahiti? Vuole di nuovo mettere su un harem? Tornare a essere un prodigio di spavalderia, fare le porcherie con la sua piccola scavezzacol o svedese nei bar dei quartieri operai di Parigi? Vuole di nuovo un martel o sul a testa.. e che questa volta lasci il segno? - Mettendo in ridicolo quel che le racconto non mi fa alcun bene. Tornare con Birgitta non è quel o che ho in mente. E
piuttosto come andare avanti. Non riesco ad andare avanti. - Forse andare avanti, quantomeno su quel a strada, è un’il usione. - Dottor Klinger, le assicuro di essere abbastanza imbevuto di pregiudizi cechoviani da averne anch’io il sospetto. Dal Duel o e da altri racconti ho imparato tutto ciò che c’è da sapere sul a fallacia del a libidine.
Ho anche letto e studiato la sapienza occidentale in merito. L’ho anche insegnata.
L’ho addirittura praticata. Ma, se mi è concesso, come lo stesso Cechov ha avuto il buonsenso di scrivere: nel e questioni psicologiche «Dio ci salvi dalle generalizzazioni». -
Grazie per la sua lezione di letteratura. Mi dica una cosa, Mr Kepesh: è davvero così depresso per quel o che è capitato a Helen, per quel o che lei sembra credere di averle
«fatto», o sta solo cercando di dimostrare di essere un uomo sensibile e coscienzioso? Se è così, non esageri. Perché era inevitabile che questa Helen trascorresse prima o poi una notte in guardina. Era un destino che la attendeva da ben prima di incontrare lei. A quanto pare Helen ha fatto rotta su di lei proprio nel a speranza di essere salvata dalla gattabuia e 43
dalle altre inevitabili umiliazioni.
E questo lei lo sa quanto me. Ma qualunque cosa lui dica, per quanto si sforzi, strattonandomi, sbeffeggiandomi o perfino tentando la via del a lusinga, di convincermi a lasciare alle spalle il matrimonio e il divorzio, non riesco a non sentirmi in colpa quando mi giungono all’orecchio le traversie che stanno trasformando l’ex principessa occidentale del ‘Oriente in una megera inacidita. Vengo a conoscenza di una rinite debilitante che nessun farmaco tiene a bada e che la costringe a soffiarsi continuamente il naso - quel e narici scolpite che si dilatavano come se si riempissero di vento quando Helen raggiungeva l’acme del piacere. Vengo a conoscenza di estese eruzioni cutanee, sul e sue abili dita («Ti piace così?. . e così?. . oh, sì, ti piace, caro mio!»), e sul e sue carnose, adorabili labbra («Qual è la prima cosa che noti su una faccia? Gli occhi o la bocca? Mi piace che tu abbia scoperto per prima la mia bocca»). Del resto Helen non è l’unica la cui carne sta a poco a poco prendendosi una rivincita, o facendo penitenza, o perdendosi d’animo, o tirandosi in disparte. Io da quando ho divorziato non mangio quasi più, così ormai peso quanto uno spaventapasseri, e per la seconda volta nel a mia vita sono impotente, non riesco a portare a termine neanche un semplice intrattenimento privo d’ambizioni come l’amore solitario. -
Non avrei mai dovuto tornare a casa dall’Europa, -
dico a Klinger, che su mia richiesta mi ha prescritto un farmaco antidepressivo che la mattina mi tira su dal letto ma poi mi lascia per il resto del a giornata con la sensazione vaga e straniante di trovarmi in un bozzolo, come se sconfinate distese mi separassero dalle orde di gente vigorosa. - Avrei dovuto andare fino in fondo e diventare il magnaccia di Birgitta.
Sarei un esponente del a società più felice e più sano. Qualcun altro potrebbe insegnare i grandi capolavori del a disil usione e del a rinuncia. - Davvero? Preferirebbe essere un magnaccia che un professore universitario? - Se vuol metterla così. . -
La metta come vuole lei. - Questa cosa dentro di me contro cui mi sono rivoltato, -
dico in un attacco di disperazione, - prima ancora di averla compresa, o di averla fatta vivere. . l’ho soffocata a morte. .
da un giorno all’altro ho deciso di ammazzarla. Perché? Che bisogno c’era di un assassinio? Nel e settimane seguenti cerco, fra una sua telefonata e l’altra, di ricostruire la storia di questa cosa che, nel mio stato di disperazione e spossatezza, continuo a pensare di aver
«assassinato». Adesso parlo a lungo non solo di Helen ma anche di Birgitta.
Rispolvero Louis Jelinek, addirittura Herbie Bratasky, spiego cosa ognuno di loro ha significato per me, quali desideri e paure hanno suscitato in me, e come ho affrontato, a mio modo, ognuno di loro. - La galleria del e sue canaglie, - la definisce Klinger alla ventesima o trentesima settimana del nostro argomentare. - La delinquenza morale -
osserva - esercita un singolare fascino su di lei. - Lo esercita anche -
osservo io - sugli autori di Macbeth e di Delitto e castigo. Mi scusi se ho nominato due opere d’arte, dottore. - Non si preoccupi. Qui ne sento di tutti i colori. Ci sono abituato.
- Ho l’impressione che sia contro il regolamento chiamare a soccorso i miei rinforzi letterari nel e nostre schermaglie, ma volevo dire che da molto tempo le persone serie sono interessate alla «delinquenza morale». E poi perché definirli
«delinquenti?» Perché non «spiriti indipendenti?» Non sarebbe meno accurato. -
Intendevo solo suggerire che non sono tipi del tutto innocui. - I tipi del tutto innocui tendono a condurre vite piuttosto anguste, non crede? - D’altro canto non bisogna sottovalutare il dolore, l’isolamento, la confusione e tutte le altre conseguenze sgradevoli di questo tipo di «indipendenza». Guardi come si è ridotta Helen. - Guardi me, allora. - Lo faccio. Ma Helen mi sembra messa peggio. Almeno lei non ha rotto tutte le uova del suo paniere. - Non riesco a mantenere un’erezione, dottor Klinger. Del resto non riesco neppure 44
a mantenere un sorriso -. Ed ecco che squil a il telefono. Ho mol ato gli ormeggi che mi legavano a qualunque cosa o persona, vado alla deriva, alla deriva, a volte con la terrificante sensazione di affondare; e intanto continuo, con l’arguto e benpensante dottore, a discutere, disputare e dibattere, tornando in continuazione sul ‘argomento che è stato la causa di tanta amarezza matrimoniale - solo che da sdraiato di solito sono io che faccio la parte di Helen, mentre lui che sta seduto fa la mia. Ogni inverno i miei genitori scendono tre o quattro giorni a New York per far visita a parenti, amici e clienti affezionati. In tempi ormai lontani alloggiavamo tutti in West End Avenue con il fratel o minore di mio padre, Larry, un prospero organizzatore di banchetti kasher, e sua moglie Sylvia, la Benvenuto Cel ini del o strudel, nonché, da bambino, la mia zia preferita. Fino a quattordici anni, ogni volta, con mia stupefatta delizia, venivo messo a dormire nel a stessa camera di mia cugina Lorraine.
Dormire accanto a un letto che ospita una ragazza in carne e ossa - e una ragazza nel a fase
«del o sviluppo» -, andare a cena da Moskowitz e Lupowitz (dove, così diceva mio padre, si mangiava quasi bene come all’Hungarian Royale), aspettare con temperature sotto lo zero di entrare a vedere le Rockettes, sorseggiare una cioccolata fra i pesanti tendaggi e l’imponente mobilio di merciai e grossisti che fino ad allora avevo visto solo in camicia con le maniche corte o in costume da bagno, e che mio padre chiamava il Re del e Mele e il Re del e Aringhe e il Re dei Pigiami - tutto in quel e visite a New York aveva in serbo per me un brivido segreto, e ogni volta la «sovreccitazione»
faceva sì che sul a via di casa mi prendesse uno «streptococco alla gola», così che tornati in vetta alla nostra montagna mi toccava stare due o tre giorni a letto per riprendermi. - Non siamo passati a trovare Herbie, - dicevo imbronciato, pochi secondi prima di lasciare la città.
Al che mia madre invariabilmente rispondeva: - L’estate con lui basta e avanza.
Dobbiamo pure andare apposta fino a Brooklyn? - Bel e, ti prende in giro, - diceva mio padre, e intanto di nascosto mi mostrava il pugno, come se, solo per aver ricordato a mia madre il Re del e Scoregge, meritassi un cazzotto in testa. Adesso che io sono di nuovo nel ‘Est e lo zio e la zia vivono a Cedarhurst, Long Island, rispondo per telefono a una lettera di mio padre e invito i miei genitori a stare da me invece che in albergo quando scenderanno in città il prossimo inverno per la loro visita annuale. Le due stanze su West Seventy-fifth Street non sono propriamente mie, ma, tramite annuncio sul «Times», mi sono state subaffittate, arredate, da un giovane attore partito per tentare la sorte a Hol ywood. Le pareti del a camera da letto sono tappezzate di damasco cremisi, su una mensola in bagno sono allineate boccette di profumo e, in scatole che scopro in fondo all’armadio del a biancheria, ci sono cinque o sei parrucche. La sera in cui le trovo mi lascio prendere dalla curiosità e ne provo un paio. Sembro la sorel a di mia madre. Abito li da poco quando una sera squil a il telefono e un uomo chiede: - Dov’è Mark? - E’ in California. Ci resta un paio d’anni. -Già, come no. Senti, digli che è arrivato Wally in città.- Ma non c’è.
Ho il suo nuovo indirizzo -. Comincio a dettarlo, però la voce, adesso roca e ansimante, mi interrompe: - E allora tu chi sei? - Il suo affittuario. - E’ così che si dice fra la gente di teatro? E tu come sei fatto, zuccherino? Hai anche tu gli occhioni azzurri? - Quando le chiamate continuano, mi faccio cambiare il numero di telefono, ma a quel punto la commedia continua attraverso il citofono che col ega l’appartamento all’ingresso del palazzo. - Di’ al tuo amichetto. . -
Mark è in California, puoi cercarlo li. - Ah ah. . questa è buona. Tu come ti chiami, coccobel o? Scendi un po’ giù e vediamo se ti prendo. -
Dai, Wally, lasciami in pace. Non c’è. Vattene. - Anche a te piacciono le maniere forti? - Oh, la vuoi piantare? - Piantarla, zuccherino? E
dove vuoi che te la pianto? - E il corteggiamento continua su questo tono. Certe 45
notti, quando mi sento davvero solo, quando comincio a parlare con me stesso e con persone che non sono presenti, devo soffocare l’impulso di chiedere aiuto al citofono.
Quel o che mi blocca non è tanto che sia un segno di pazzia, quanto che uno dei miei vicini, o peggio ancora Wally il Tenace, potrebbe trovarsi nel ‘ingresso proprio nel momento in cui giungono i miei striduli lamenti; ho paura del tipo di aiuto che potrei ricevere - se non il mio pretendente omosessuale, il pronto soccorso psichiatrico del Bel evue. Perciò vado invece a chiudermi in bagno, e allungandomi verso lo specchio per osservare la mia faccia tirata, mi libero: - Voglio qualcuno! Voglio qualcuno! Voglio qualcuno! - A volte vado avanti così per interi minuti, nel tentativo di suscitare un attacco di pianto che mi lasci fiacco e, almeno per un po’, mi faccia passare la voglia di qualcuno. Però non sono ancora così ammattito da credere che singhiozzando in una stanza chiusa farò apparire quel qualcuno che voglio. E
poi, chi è che voglio? Se lo sapessi non avrei bisogno di ululare davanti allo specchio, potrei scrivere o telefonare. Voglio qualcuno, piagnucolo - e ad arrivare sono i miei genitori. Porto di sopra le loro valigie mentre mio padre trascina dentro la borsa termica in cui è stipata una decina di recipienti di plastica tondi pieni di zuppa di cavolo, polpette di matzoh in brodo, kugel e flanken, tutto surgelato e ben etichettato.
Dentro l’appartamento mia madre tira fuori dalla borsa una busta -
esattamente al centro c’è scritto a macchina «DAVID», sottolineato in rosso. La busta contiene del e istruzioni per me su carta intestata del ‘albergo: tempo necessario per scongelare e scaldare ogni piatto, dettagli riguardanti il condimento. - Leggi, - dice, - e dimmi se hai domande -. Mio padre interviene: - Perché prima non ti levi il cappotto e ti siedi? - Sto bene così, - dice lei. - Sei stanca, - ribatte lui. -
David, hai abbastanza spazio nel congelatore? Non sapevo quanto fosse grosso il tuo congelatore. - Mamma, c’è spazio a sufficienza, - dico con leggerezza. Ma quando apro il frigo lei geme come se le avessero appena tagliato la gola. - Tutto qui? - stril a. - Guarda quel limone, è più vecchio di me. Ma cosa mangi? - Di solito mangio fuori. - E tuo padre mi diceva che esageravo. - Eri stanca, - interviene lui, - e hai esagerato.
- Lo dicevo io che si trascurava, - continua lei. - Sei tu che ti trascuri, - dice lui. - Cosa c’è? - chiedo. - Cosa c’è che non va, mamma? - Ho avuto un po’ di pleurite, e tuo padre ne fa una questione capitale. Mi fa un po’ male se lavoro troppo a maglia. Ecco a cosa sono serviti tutti quei soldi buttati in medici ed esami. Non sa - e non lo so neanch’io, finché la mattina dopo mio padre mi accompagna a comprare il giornale e qualcosa per colazione e poi mi conduce con aria seria fino a dove Larry e Sylvia ci ospitavano tutti in West End Avenue, che sta morendo di un cancro che dal pancreas si è diffuso in tutto il corpo. Questo spiega la sua lettera che diceva: «Se magari questa volta potessimo stare da te. .» Spiega anche la richiesta di mia madre di visitare luoghi celebri che non vede da decenni? Forse anche lei sa cosa sta succedendo, e quel far mostra di esuberanza è solo perché lui non capisca che lei ha capito. Ciascuno protegge l’altro dall’orribile verità, e i miei genitori mi appaiono ora come due bambini coraggiosi e inermi. . E io mi sento impotente. - Sta morendo. . ma quanto le resta? - gli chiedo mentre torniamo, entrambi in lacrime, al mio appartamento.
Resta a lungo in silenzio prima di rispondere. - Questo è l’aspetto peggiore, - riesce finalmente a dire. - Cinque settimane, cinque mesi, cinque anni. . cinque minuti. Ogni medico dice una cosa diversa! Tornati a casa, lei di nuovo mi chiede: - Ci porti al Greenwich Vil age? Ci porti al Metropolitan Museum of Art? Quando lavoravo per Mr Clark una del e ragazze andava sempre a mangiare dei deliziosi spaghetti verdi in un ristorante italiano al Greenwich Vil age. Se solo mi ricordassi come si chiamava. Forse era Tony’s, che dici Abe? -
Tesoro, - dice mio padre, già con una sfumatura di lutto nel a voce, - dopo tutto questo tempo non ci sarà neanche più. - Possiamo verificare. . magari c’è ancora! -
ribatte lei, rivolgendosi a me tutta eccitata. - Oh, David, quanto piaceva quel museo 46
a Mr Clark! Quando i figli stavano crescendo li portava tutte le domeniche a vedere i quadri.
Li accompagno dappertutto: a vedere i famosi Rembrandt al Metropolitan, a cercare un Tony’s che serve gli spaghetti verdi, a trovare gli amici più vecchi e più cari, alcuni che non vedo da quindici anni ma che mi baciano e mi abbracciano come se fossi ancora un bambino, e poi, dato che sono un professore, mi pongono domande serie sul a situazione mondiale. Andiamo come un tempo allo zoo e al planetario, e infine in pel egrinaggio all’edificio dove una volta mia madre è stata segretaria legale. Dopo un pranzo a Chinatown, ci troviamo all’angolo fra Broadway e Wall Street in una gelida domenica pomeriggio, e come sempre con perfetta innocenza lei si abbandona ai ricordi dei bei tempi andati, quand’era ancora allo studio legale. Come sarebbe stato diverso per lei, rifletto, se fosse rimasta per tutta la vita una del e ragazze di Mr Clark, una di quel e zitel e vergini che adorano il loro paterno capo e durante le vacanze fanno da ziette ai suoi figli. Senza le estenuanti responsabilità di un albergo a gestione famigliare, magari avrebbe avuto un po’
di serenità, avrebbe vissuto in armonia con il suo umile talento per l’ordine e la precisione, piuttosto che alla sua mercé. D’altro canto non avrebbe mai conosciuto mio padre e me -
noi non saremmo mai esistiti. Se solo, se solo. . Se solo cosa? Ha il cancro. Dormono nel letto matrimoniale in camera mia mentre io resto sveglio sotto una coperta sul divano del soggiorno. Mia madre sta per scomparire - tutto si riduce a questo. E il suo ultimo ricordo del ‘unico figlio sarà quest’esistenza scarna e sradicata, il suo ultimo ricordo sarà questo limone con cui vivo! Oh, con quanto disgusto e rimorso ripenso alla serie di errori - anzi, all’unico, eterno errore ricorrente - che ha fatto di queste due camere la mia casa. Invece di essere nemici, di fornire l’uno all’altra il nemico ideale, perché io e Helen non abbiamo concentrato i nostri sforzi sul soddisfarci a vicenda, sul costruirci una vita stabile e laboriosa?
Sarebbe stato così difficile per due persone dotate di tanta forza di volontà? Avrei dovuto dire fin dall’inizio: «Senti, facciamo un figlio?»
Mentre, sdraiato sul divano, ascolto gli (ultimi) respiri di mia madre, cerco di prendere una nuova risoluzione: devo assolutamente smetterla con questa assurda, vana..
e nei miei pensieri, fra tutte le persone, si fa strada Elisabeth, con il medaglione al col o e il braccio rotto ormai guarito. Quanto sarebbe stata dolce, accogliente, con mio padre vedovo! Ma senza una Elisabeth, cosa potrò fare per lui? Come farà a sopravvivere lassù da solo? Oh, perché nel a mia vita devono esserci Helen e Birgitta a un estremo e un limone all’altro? Mentre i minuti insonni trascorrono - o meglio, sembrano non trascorrere affatto -, tutti i pensieri capaci di angosciarmi si coagulano in una parola incomprensibile e priva di senso che non riesco più a togliermi dalla testa. Per liberarmi dalla sua insipida malia mi giro e mi rigiro sul divano. Mi sento mezzo dentro e mezzo fuori da una profonda anestesia -
immerso nel a claustrofobica agonia dalla sala di risveglio postoperatorio, in cui sono stato l’ultima volta a dodici anni, dopo l’appendicectomia - finché la parola si rivela essere nul ‘altro che la fila di tasti, letti da sinistra a destra, su cui mia madre mi insegnava a posare i polpastrel i quando imparavo a battere a macchina con la Remington Noiseless del ‘albergo. Ma adesso che ho capito da dove viene questo banale scarabocchio alfabetico, è ancora peggio di prima. Come se dopotutto si trattasse davvero di una parola, una parola che nel e sue sil abe impronunciabili racchiude tutto il dolore del e energie sprecate e del a vita frenetica di lei. E anche il mio dolore. Al ‘improvviso mi vedo litigare con mio padre a proposito del ‘epitaffio: ci scagliamo addosso enormi macigni e io insisto con lo scalpel ino perché sotto il suo nome sul a lapide venga inciso asdfghjkl. Non riesco a dormire, mi chiedo se ci riuscirò mai più. Qualunque mio pensiero è sciocco oppure fol e, e dopo un po’ non colgo più la differenza. Voglio entrare in camera, ficcarmi nel loro letto. Architetto un piano.
Per vincere la loro iniziale timidezza, sul e prime mi limiterò a sedermi sul bordo del letto raccontando come se niente fosse i momenti migliori del passato.
47
Guardando i loro visi familiari uno accanto all’altro sul e federe fresche di bucato, i loro due visi che mi fissano da sopra il lenzuolo tirato fino al mento, ricorderò loro quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo rannicchiati tutt’e tre sotto un’unica coperta.
Non fu in un bungalow poco fuori Lake Placid? Ricordate che stanza microscopica? Era il 1940 o il ‘41? Ed è vero che a papà era costata solo un dol aro a notte? Mamma pensava che mi avrebbe fatto piacere vedere le Thousand Islands e le cascate del Niagara durante le vacanze di Pasqua. Era lì che eravamo diretti, con la Dodge. Ricordi, ci raccontavi che Mr Clark ogni estate portava i suoi ragazzi a vedere i luoghi celebri del ‘Europa; ricordi tutte quel e cose che mi raccontavi e che non avevo mai sentito? Dio santo, vi ricordate di me, voi due, e la piccola Dodge, prima del a guerra.. e poi, quando staranno sorridendo, mi leverò la vestaglia e mi infilerò a letto in mezzo a loro. E prima che muoia ci terremo ancora stretti per un’ultima notte, fino al mattino. Nessuno verrà mai a saperlo, a parte Klinger, e non me ne importa niente di quel che potrebbe pensare, lui o chiunque altro. .
E’ quasi mezzanotte quando squil a il citofono. Vado in cucinino, schiaccio il pulsante e chiedo: - Chi è? - L’idraulico, coccobel o.
L’ultima volta non c’eri. Come va il rubinetto, perde ancora? Non rispondo. Mio padre è entrato in soggiorno, in veste da camera. -
Qualcuno che conosci? A quest’ora? - E’ un idiota, - dico, mentre il campanel o adesso squil a al ritmo di Shave and a Haircut. - Che c’è? -
chiede mia madre dalla camera da letto. - Niente, mamma. Dormi. Decido di parlare un’ultima volta nel citofono. - Dacci un taglio o chiamo la polizia. - E chiamala. Non sto mica commettendo un reato, ragazzino.
Perché non mi fai salire? Non sono mezzo matto, sai. Sono matto del tutto. Mio padre, che adesso è in piedi di fianco a me, è impallidito. -
Papà, - dico, - torna a letto. Sono cose che capitano a New York. Non ti preoccupare.
- Ti conosce? -No. - Al ora cosa ci fa qui? Perché parla in questo modo? Una pausa, e il citofono torna a squil are. Ormai esasperato, dico: - Perché il tipo da cui subaffitto è omosessuale. . e a quanto ho capito questo è un suo amico. - Ebreo? - Quel o da cui affitto?
Sì. - Gesù, - sbotta mio padre, - cosa diavolo gli passa per la testa, a certa gente? - Forse è meglio se scendo. - Da solo? - Andrà tutto bene. - Non scherzare. . due è meglio di uno.
Vengo con te. -
Papà, non c’è bisogno. Dalla camera mia madre chiama: - Al ora? -
Niente, - dice mio padre. - Il campanel o si è incantato. Scendiamo a sistemarlo. - A quest’ora? - grida lei. - Torniamo subito, - replica mio padre. - Resta a letto -. A me sussurra:
- Hai un bastone, una mazza o qualcosa? - No, no. . - E se è armato? Hai almeno un ombrel o? Nel frattempo gli squil i sono cessati. - Forse se n’è andato, - dico. Mio padre tende l’orecchio. - Andato, - dico. - Ha smesso. Mio padre però ormai non ha intenzione di tornare a letto. Chiudendo la porta del a camera, - Shhh, - sussurra a mia madre, - va tutto bene, dormi, - poi viene a sedersi di fronte al divano. Sento quant’è affannoso il suo respiro ora che si accinge a parlare. Neanch’io sono molto rilassato.
Appoggio la schiena rigida contro il cuscino, nel ‘attesa che il campanel o si rimetta a squil are. - Forse ti sei cacciato in qualche impiccio, - si schiarisce la gola, - di cui mi vorresti parlare. . - Non dire sciocchezze. - Ci hai lasciato quando avevi diciassette anni, e da allora non ci siamo mai intromessi con le influenze che subisci. - Papà, non subisco nessuna
«influenza». - Voglio farti una domanda. Diretta. -
Dimmi. - Non si tratta di Helen. Non ti ho mai chiesto di lei, e non intendo cominciare adesso. L’ho sempre trattata da nuora. Io e tua madre l’abbiamo sempre rispettata, non è vero? - Sì, certo. - Ho tenuto a bada la lingua. Non volevamo mettercela contro. Non può avere niente da rimproverarci. Tutto considerato, direi che siamo stati impeccabili. Io sono una persona liberale, figliolo. . e in politica sono ancor più che liberale.
48
Sai che nel 1924 ho votato per Norman Thomas come governatore di New York la prima volta che sono andato a votare? E nel ‘48 ho votato per Henry Wallace. . magari è stato un errore, un’assurdità, ma il punto è che sono stato forse l’unico albergatore del ‘intero paese a votare per un uomo a cui tutti davano del comunista. E non lo era.. ma il punto è che non sono mai stato un uomo dalle vedute ristrette, mai. Tu sai, e se non lo sai lo dovresti sapere, che quel che mi dava fastidio non era che fosse una shiksa. Le shiksa fanno parte del a vita, e non scompariranno solo perché così i genitori ebrei si sentirebbero meglio.
Del resto perché dovrebbero? Io credo nel ‘armonica convivenza di tutte le razze e tutte le religioni, e per me e tua madre il problema non era che tu avessi sposato una gentile. Su questo punto siamo stati irreprensibili. Ma ciò non significa che io riuscissi a mandar giù tutto il resto, a cominciare dai suoi modi. La verità, se vuoi saperla, è che nei tre anni del tuo matrimonio non ho dormito tranquil o neanche una notte. - Be’, neppure io. -
Davvero? E allora perché diavolo non te la sei filata? E soprattutto perché ti sei ficcato in quel pasticcio? -
Vuoi proprio che ne parliamo? - No, no. . hai ragione. . al diavolo. Per quanto mi riguarda, se non dovessi mai più sentirla nominare sarebbe solo un sol ievo. E’ per te che mi preoccupo. - Cosa volevi chiedermi? -
David, cos’è il Tofrinal? Nel ‘armadietto dei medicinali ne ho visto un flacone bel o grosso. Per cosa lo prendi? - E’ un antidepressivo.
Tofranil. Sibila. Disgusto, frustrazione, incredulità, disprezzo. Quel suono l’ho sentito la prima volta un centinaio d’anni fa quando mio padre ha dovuto licenziare un cameriere che aveva bagnato il letto appestando la soffitta dove dormiva. - E perché ne hai bisogno?
Chi ti ha detto di prendere una roba del genere e mandartela in circolo nel sangue? - Uno psichiatra. - Vai dallo psichiatra? - Sì? - Perché? -
stril a. - Per tenermi a galla. Per fare chiarezza. Per avere qualcuno con cui parlare. .
in confidenza. - Perché non ti prendi una moglie per confidarti? E’ a questo che servono le mogli! E intendo una moglie vera, non una che ti scialacqua l’intero stipendio in saloni di bel ezza. E’
tutto sbagliato, figliolo. Non è questo il modo giusto di vivere! Uno psichiatra, farmaci pesanti, gente che si fa viva a tutte le ore. .
persone che non sono neanche persone. . - Non c’è niente per cui scaldarsi tanto. -
C’è tutto per cui scaldarsi. - No, no, - dico abbassando la voce. - Papà, c’è solo mamma.. Si mette una mano sugli occhi e comincia a piangere in silenzio. L’altra mano la stringe a pugno e me la mostra. - Così ho dovuto essere per tutta la mia vita! Senza psichiatri, senza pil ole del a felicità! Non mi sono mai dato per vinto! Ancora una volta squil a il citofono. - Lascia stare. Lascia che suoni, papà. Se ne andrà. - Per poi tornare? Gli spacco la testa e allora, credimi, non si farà più vedere! A quel punto la porta del a camera si apre e appare mia madre in camicia da notte. - A chi spacchi la testa? - A una lurida checca che non lo lascia in pace! Di nuovo il campanel o: due brevi, una lunga; due brevi, una lunga. Wally è ubriaco.
Adesso anche lei, la mia minuscola madre, ha le lacrime agli occhi, e dice: - Capita spesso? No. - Ma.. perché non lo denunci? - Perché prima che la polizia arrivi lui se n’è già andato. Per cose del genere non si chiama la polizia. - E mi giuri - dice mio padre - che non è una persona che conosci? - Te lo giuro. Mia madre entra in soggiorno e si siede accanto a me. Mi prende la mano e la stringe. Ascoltiamo tutt’e tre il campanel o: madre, padre e figlio. - Sai cosa ci vorrebbe per sistemare quel figlio di puttana una volta per sempre? - dice mio padre. - Acqua bol ente. - Abel - stril a mia madre. - Gli insegnerebbe a starsene al suo posto! - Papà, non farla più grossa di quel o che è. - E tu non farla più piccola! Perché giri con gente simile? - Ma non giro con loro.
- Perché allora vivi in un posto come questo, dove vengono a darti il tormento? Devi proprio cacciarti in altri guai? - Calmati, ti prego, -
49
dice mia madre. - Non è colpa sua se un maniaco gli suona il campanel o.
Siamo a New York. Te l’ha detto. Sono cose che capitano. - Ciò non significa che non bisogna difendersi, Bel e! - Balza in piedi, si precipita al citofono. - Ehi tu! - urla. - Dacci un taglio! Sono il padre di David. .! Io accarezzo il braccio, già scheletrico, di mia madre e sussurro: - Va tutto bene, in ogni caso non lo sa far funzionare. Mamma, non preoccuparti, quel o non lo sente. - . . se vuoi una scottatura di terzo grado, te la procuriamo subito! Fa’
quel che vuoi nel e fogne da cui sei uscito, ma da’ retta a me, è meglio che giri alla larga da mio figlio!
Due mesi dopo, all’ospedale di Kingston, mia madre muore. Dopo che gli ospiti del funerale se ne sono andati, mio padre mi dice di prendere il cibo che lei mi ha surgelato appena un mese prima, le ultime cose da lei cucinate su questa terra. Dico: -E tu cosa mangerai? - Io preparavo piatti veloci prima ancora che tu nascessi. Prendile. Prendi le cose che ti ha cucinato. - Papà, come farai a vivere qui senza nessuno? Come te la caverai con la stagione? Perché hai cacciato via tutti? Non fare l’eroe. Non puoi stare qui da solo. - So badare a me stesso. La sua scomparsa non è giunta imprevista. Per favore, prendile. Prendi tutto quanto. Lei voleva così. Diceva che ogni volta che le veniva in mente l’interno del tuo frigorifero, vedeva rosso. Le ha cucinate per te, -
dice con voce tremante, - e poi se n’è andata -. Comincia a singhiozzare. Lo abbraccio. - Nessuno la capiva, - dice lui, - gli ospiti non l’hanno mai capita, mai. Era una brava persona, Davey. Da giovane tutto la entusiasmava, anche le minime cose. La sua natura nervosa emergeva solo d’estate, quando il lavoro diventava frenetico, sfuggiva di mano. E loro la prendevano in giro. Ma ricordi l’inverno? La pace e la tranquil ità? Quanto ci divertivamo? Ricordi le lettere che leggevamo la sera? - E’ troppo: per la prima volta, dalla sua morte il giorno prima, scoppio a piangere. - Certo che me ne ricordo, certo. -
Oh, figliolo, in quei momenti era se stessa. Però chi lo veniva a sapere? - Noi, -
rispondo io, ma lui ripete con un singhiozzo rabbioso:
- Chi lo veniva a sapere! Mi porta alla macchina il cibo surgelato in una borsa del a spesa. - Ecco, ti prego, alla sua memoria -. Così parto per New York con cinque o sei contenitori ognuno con la medesima etichetta scritta a macchina: «Lingua con la famosa salsa di uva passa del a nonna - 2 porzioni». Nel giro di una settimana, sono nuovamente di ritorno in montagna, questa volta insieme allo zio Larry, per accompagnare mio padre a Cedarhurst, dove si trasferirà a vivere col fratel o e la cognata. Ma solo temporaneamente, dice mentre carichiamo in macchina la valigia; solo finché non si sarà ripreso dal trauma. Gli basterà qualche giorno per rimettersi in sesto. Deve farcela, punto e basta. - Lavoro da quando avevo quattordici anni. Non posso cedere adesso, - dice. - Bisogna stringere la cinghia e tirare avanti -.
Inoltre è inverno, e lassù c’è sempre il rischio di un incendio. Sì, resteranno il factotum e la moglie, ma nul a vieta che l’albergo prenda fuoco durante la sua assenza. E’
vero, in effetti, che decine di alberghi e pensioni abbandonati sono bruciati in misteriosi incendi da quando la regione ha cominciato a passare di moda fra gli ebrei come località turistica estiva, all’incirca negli anni in cui io ero al col ege; ma dato che lui e mia madre sono riusciti, anche in anni recenti, a conservare almeno una parte del a vecchia clientela così da mantenere in buono stato l’edificio principale e il terreno circostante, i piromani non gli sono mai sembrati una minaccia seria. Invece adesso, mentre scendiamo lungo la superstrada, non riesce a pensare ad altro.
Nomina a me e a mio zio i teppisti locali - «Uomini fatti, uomini di trenta o quarantanni!» - su cui cadono i suoi sospetti. - No, no, - dice a mio zio che ha emesso il suo solito verdetto sul ‘origine del problema, - non sono neppure antisemiti. Troppo stupidi 50
anche per quel o! Sono semplici idioti, dementi buoni a nul a che dovrebbero starsene in manicomio. Gente a cui piace vedere le fiamme! E quando tutto sarà in cenere, lo sapete chi accuseranno? E’ già successo un sacco di volte. Me! Diranno che l’ho fatto per l’assicurazione! Perché mia moglie se n’è andata e io volevo chiudere! Macchieranno il mio buon nome! A volte mi viene un sospetto. E se fossero i vigili del fuoco volontari? Sì. . così possono sfrecciare con i loro camion nel cuore del a notte e fare su e giù per le montagne in stivali ed elmetto!
Anche una volta comodamente sistemato nel ‘ex camera di Lorraine, non c’è modo di tranquil izzare le sue ansie per l’impero costruito col suo sangue e il suo sudore. Ogni sera lo chiamo al telefono e lui mi dice che non riesce a dormire per paura di un incendio. Adesso ha anche altre cose di cui preoccuparsi. - Quel a checca non è più tornata, vero? - No,
- dico, sapendo che è meglio mentire. - Hai visto? Le minacce sono servite.
Purtroppo con certa gente funzionano solo le maniere forti, -
dice mio padre, che non ha mai picchiato nessuno in vita sua. - Come stanno zio Larry e zia Sylvia? - chiedo. - A meraviglia. Non potrebbero essere più gentili. E’ tutto un resta qui e rimani là. - Sarebbe una buona idea, - dico. Ma no, ancora dieci giorni, dice, e il peggio sarà passato quanto a solitudine. Per forza. Deve tornare lassù finché quel a maledetta roba è ancora in piedi! Poi sono ancora cinque giorni, poi altri cinque, finché finalmente, dopo una commovente gita domenicale in auto con me, accetta di mettere in vendita l’Hungarian Royale. Con la faccia nascosta fra le mani dice: - In tutta la vita non mi sono mai dato per vinto. - Non c’è niente di cui vergognarsi, papà. Le cose sono cambiate, tutto qui. - Ma io non mi sono arreso, - stril a. - Nessuno lo penserà, - dico io, e lo riaccompagno da suo fratel o. In questo periodo, di rado passa una notte senza che io pensi alla ragazza che ho frequentato per due mesi scarsi quando ero un prodigio sessuale di ventidue anni, la ragazza che portava al col o un medaglione con la foto del padre. Mi viene anche in mente di scriverle presso i genitori. Mi alzo addirittura dal letto per cercare fra le mie carte il suo indirizzo di Stoccolma. Ma ormai Elisabeth sarà sposata e madre di due o tre figli, e di certo non pensa a me. Nessuna donna al mondo pensa a me, quantomeno non con amore. Il direttore del mio dipartimento, Arthur Schonbrunn, è un bel ‘uomo di mezza età, dai modi squisiti, meticoloso e pieno di fascino - l’essere sociale più abile e cortese che abbia mai visto in azione -, sua moglie Deborah invece non ha mai suscitato in me un grande entusiasmo, anche quand’ero il dottorando preferito di Arthur e lei era molto ospitale con me. In quei primi anni a Stanford mi chiedevo spesso cosa legava a lei un uomo tanto scrupoloso nel e questioni formali, così tenacemente dedito ad avversare, in nome dei più alti principi, le nascenti aggressioni politiche al curriculum universitario - cosa legava un uomo tanto coscienzioso a una donna che amava esibirsi nel e situazioni pubbliche nel ruolo del a dama svampita il cui ammaliante fascino si basa su un «candore» sfacciato e impudente.
La prima volta che Arthur mi aveva invitato a cena, al termine del a conversazione serale - conversazione il cui ingrediente principale erano state le civettuole chiacchiere
«oltraggiose» di Deborah - ricordo di aver pensato: «Quest’uomo deve sentirsi davvero solo». Che doloroso disincanto quel primo sguardo gettato a ventitre anni nel a vita domestica del mio paterno professore. . e tutto per sentir vantare il giorno dopo da Arthur la «meravigliosa perspicacia» del a moglie, il suo
«dono» per «arrivare dritto al nocciolo del problema». Ricordo anche un’altra serata, anni dopo, in cui io e Arthur ci eravamo fermati fino a tardi a lavorare nei nostri uffici
- cioè, Arthur lavorava, io me ne stavo immobile alla scrivania, sconfortato come al solito dal vicolo cieco sentimentale in cui io e Helen ci eravamo cacciati, da cui non avevo né la forza né il coraggio di tirarmi fuori. Quando Arthur mi aveva visto ancora più inebetito del solito, 51
era venuto da me e, fino alle tre del mattino, aveva fatto del suo meglio per proteggermi dalle fol i idee che possono venire in mente a un marito terribilmente infelice che non si decide a tornare a casa. Mi ripeté che avevo scritto una bel issima tesi, che la cosa importante adesso era sistemarla per la pubblicazione. In effetti le cose che mi aveva detto Arthur quel a sera somigliavano a quel e che avrebbe detto in seguito il dottor Klinger a proposito di me, del mio lavoro e di Helen. Io ribattei confidandogli le mie pene, e a un certo punto chinai il volto sul a scrivania e scoppiai a piangere. - Me l’immaginavo che le cose non andassero bene, - disse Arthur. - Ce lo immaginavamo tutt’e due. Ma anche se ci stai molto a cuore, pensavamo non fosse il caso di metter becco. Abbiamo abbastanza esperienza da sapere che intromettersi fra amici prima o poi si paga.
Eppure certe volte avrei voluto scuoterti e farti ragionare. Non sai quante volte ho parlato con Debbie di cosa fare per salvarti da questa infelicità. Niente ci turbava più del ricordo di com’eri quando sei arrivato qui per la prima volta, vedendo ora come ti eri ridotto con lei. Ma non potevo farci niente, David, a meno che facessi tu il primo passo. . e non è da te. Tu sei uno che fatica ad aprirsi con le persone, e il risultato è che sei molto più solo di tanti altri. Anch’io sono un po’ come te.
Verso la fine di quel a notte in bianco - e per la primissima volta -
Arthur mi aveva parlato del a sua vita privata come se fossimo stati uomini del medesimo rango e del a medesima età. Intorno ai vent’anni, quand’era assistente all’università del Minnesota, anche lui aveva avuto una relazione con «una donna distruttiva, una pazza nevrotica».
Scandalosi litigi in pubblico, due laceranti aborti, una disperazione così nera che era arrivato a pensare al suicidio come unica via di scampo dalla confusione e dalla sofferenza.
Mi mostrò una piccola cicatrice sul a mano, dove quel a fol e, patetica piccola bibliotecaria, che lui non poteva sopportare eppure non riusciva a lasciare, una volta a colazione l’aveva ferito con una forchetta.. E mentre Arthur cercava di darmi speranza (e consigli) paragonando la sua disavventura giovanile
- e il successivo rinsavimento - a quel o che stavo passando io, avrei voluto dirgli:
«Ma come osi? Che ne dici allora di quel o che hai adesso? Debbie è così banale; la sua spontaneità è una subdola messinscena; il suo candore un esibizionismo di pessimo gusto; capricciosa in compagnia, indiavolata con il paparino. . Arthur, tutto questo non significa niente, un comportamento audace privo d’ogni sostanza! Mentre Helen. . mio Dio, Helen è cento volte, Helen è mil e volte. .» Ma ovviamente non mi ero levato a tali altezze di virtuosa indignazione, non avevo pronunciato parole tanto sventate sul a falsità e superficialità di sua moglie a paragone del ‘integrità, intel igenza, fascino, bel ezza e coraggio del a mia - dopotutto lui si trincerava proprio dietro la figura dominante del a moglie, mentre nel a mia mente non albergavano che pensieri uxoricidi. La cavalleria di Arthur è da compiangere o da invidiare? Il mio ex mentore e attuale benefattore è un mezzo bugiardo e un mezzo masochista oppure è solo innamorato? O forse questa Debbie, con le sue smancerie lievemente petulanti e le sue grazie vagamente sciatte, fornisce quel tocco di sconvenienza che gli permette di sopportare una vita altrimenti troppo irreprensibile?
Vizzied è la diagnosi del nostro poeta residente, Ralph Baumgarten: vizzied o vizzified - entrambi aggettivi derivanti da vizzy, termine, da lui stesso coniato, di cui Baumgarten dissemina i propri versi, assonante con fizzy e tizzy, strettamente imparentato con fuzzy e buzz, e riferito ovviamente alle pudende. I vizz-succubi - a questa categoria di mariti il poeta scapolo consegna Arthur Schonbrunn - sono coloro che si conformano come schiavi agli standard di decoro e rispettabilità che, a modo di vedere di Baumgarten, generazioni di donne hanno stabilito al fine di disarmare e addomesticare gli uomini.
52
Addomesticamento cui il poeta stesso si è evidentemente sottratto. Tendo a dar ragione a Baumgarten quando sostiene che proprio a causa del a sua attitudine per nul a deferente verso l’altro genere - nonché per il complesso del e sue abitudini sessuali - il giovane attaccabrighe letterario non si vedrà rinnovare il contratto alla scadenza. Tuttavia, per quanto i suoi modi l’abbiano fatto cadere in disgrazia presso taluni nostri col eghi e le rispettive mogli, ciò non lo ha reso meno esplicito su cosa gli piace e come. Per lui il divertimento sta proprio nel ‘essere esplicito. - Ho rimorchiato una tipa al Modem Museum, e mentre uscivamo ci siamo imbattuti nei tuoi amichetti, Kepesh. Debbie ha pilotato la ragazza verso i bagni del e donne per carpirle qualche maldicenza fresca su di me, mentre Arthur, fra i suoi vari convenevoli, mi ha chiesto da quanto tempo io e Rita eravamo insieme. Un’ora e mezza, ho risposto. Gli ho detto che stavamo uscendo da lì perché il museo non offriva alcun angolino comodo in cui darci dentro. Che gli pareva, gli ho chiesto, del ‘appetitoso sederino di quel a ragazza? Non ha risposto. Ha preferito tenermi una conferenza sul a compassione. Baumgarten getta una rete molto ampia per acchiappare i suoi pesciolini. Quando camminiamo insieme per le strade di Manhattan, difficilmente una donna sotto i cinquanta o una ragazza sopra i quindici ci passa accanto senza che lui riesca a estorcerle un’informazione assolutamente vitale, così sostiene, per la sua sopravvivenza. -
Accipicchia, che bel a giacca! - dice, rivolgendo uno smagliante sorriso a una giovane donna con una pel iccia pulciosa che spinge una carrozzina. - Oh, grazie. - Posso chiederle di cosa è fatta? Che animale è? Non ho mai visto prima una giacca simile. -
Questa? E falsa. - Davvero? - Nel giro di qualche minuto è fuori di sé dallo stupore (non del tutto simulato) nel o scoprire che questa giovane donna con la pel iccia falsa è già divorziata, madre di tre figli piccoli e si è ritirata dall’Università di Chissà Dove. Rivolgendosi a me, che me ne sto li imbarazzato al suo fianco, dice: - Hai sentito, Dave? Ti presento Alice.
Alice è nata in Montana.. ed eccola qui a spingere una carrozzina a New York -. E anche la giovane madre adesso sembra sbigottita all’idea di aver coperto una tale distanza in soli ventiquattro anni. Il successo con le sconosciute, mi informa Baumgarten, sta nel non porre mai una domanda cui non possano rispondere senza pensare, e poi nel prestare la massima attenzione alla loro risposta, per quanto banale. - Ricorda il tuo Henry James, Kepesh:
«Drammatizzare, drammatizzare». Devi far capire a queste persone che quel che loro sono, il luogo da cui provengono e gli abiti che indossano sono interessanti. Per così dire, imprescindibili. Ecco cos’è la compassione. E per favore niente ironia. Il tuo problema è che le spaventi con la tua straordinaria presa sul a complessità del reale.
L’esperienza mi dice che la donna del a strada non apprezza l’ironia.
Anzi, l’ironia la manda in bestia. Vuole attenzione. Vuole apprezzamento. Di sicuro non vuole fare a gara d’arguzia con te, ragazzo. Risparmiati le sottigliezze per i saggi critici.
Quando esci per strada, apriti. E a questo che servono le strade.
Nel corso dei miei primi mesi all’università, ogni volta che fra col eghi viene fuori il nome di Baumgarten, c’è sempre qualcuno che non lo sopporta e che spiega volentieri perché. Debbie Schonbrunn sostiene che l’«abominio residente» sarebbe ridicolo se non fosse - la parola è una del e preferite di lei e Arthur - «distruttivo». Ovviamente sarebbe meglio che non replicassi: che mi limitassi a bere il mio bicchiere e a tornare a New York. - A me non sta antipatico, - dico invece. - Anzi, -
aggiungo, - in un certo senso mi piace. - E cos’è che ti «piace?» -
Vattene a casa, Kepesh. Il tuo posto è in quel ‘appartamento vuoto; fra questa prevedibile discussione e quel ‘appartamento da finocchi non c’è dubbio su cosa ti si addice di più. - E cos’è che a te non piace? -
ribatto. - Da dove cominciare? - si chiede Deborah. - Il suo disprezzo per le donne, ad esempio. E un donnaiolo micidiale, privo di coscienza.
53
Odia le donne. - A me sembra invece che gli piacciano. - David, sei aggressivo e insincero, e anche un po’ ostile, non capisco perché. Ralph Baumgarten è un abominio, e anche la sua poesia. Non ho mai letto in vita mia niente di altrettanto disumanizzante. Leggi il suo primo libro e lo vedrai da te quanto gli piacciono le ragazze. - Be’, in effetti non l’ho ancora letto, - mento, - ma qualche volta abbiamo pranzato insieme.
E non mi è sembrato così riprovevole. Forse, Deborah, l’uomo non è come la sua poesia. - Invece sì. Meschino, compiaciuto e prepotente, e anche piuttosto stupido. E
quanto all’«uomo». . Il modo in cui cammina, con quel passo strascicato, gli abiti militari, la faccia.. be’, non che abbia propriamente una faccia. Solo occhi spenti e cattivi e quel ghigno burbero. Il mistero è come una qualunque ragazza possa avvicinarsi a lui. - Si vede che qualche pregio ce l’ha. - O forse sono loro a non averne nessuno. Sul serio, tu hai un’eleganza innata, lui invece è un avvoltoio, con tanto di artigli, non capisco perché lo frequenti. . - Ci vado d’accordo, - dico, facendo spallucce, e solo ora poso il bicchiere e vado a casa.
Poco dopo vengo a sapere che conclusione ha tratto Debbie dal nostro col oquio con la sua ben nota perspicacia. Avrei dovuto aspettarmelo, e forse me lo merito anche.
L’unica sorpresa è la mia sorpresa.. e la mia vulnerabilità. A quanto pare a una cena dagli Schonbrunn la padrona di casa ha annunciato a tutti i presenti che Baumgarten è diventato l’«alter ego» di David Kepesh, «agendo le fantasie aggressive contro le donne» che David cova in seguito al suo matrimonio con la sua
«mortificante» conclusione. La mortificante conclusione a Hong Kong - la cocaina, i poliziotti e tutto il resto - nonché altre mortificanti ghiotte indiscrezioni sul ‘intera vicenda sono poi state narrate per l’edificazione dei commensali. Vengo a sapere questi particolari da un uomo piuttosto gentile, ospite quel a sera dagli Schonbrunn, che non ha parte in questa storia, e che pensava di farmi un favore. Segue uno scambio epistolare. Iniziato da me e, purtroppo, da me portato avanti.
Cara Debbie, mi è giunta voce che a una cena la scorsa settimana hai parlato con una certa disinvoltura del a mia vita privata - in particolare del mio matrimonio, del e mie
«mortificazioni» e di quel e che mi risulta tu abbia definito le mie «fantasie aggressive contro le donne». Come fai a conoscere le mie fantasie, se mi è lecito? E perché io e Helen dobbiamo essere argomento di conversazione fra persone che perlopiù nemmeno conosco?
In nome del ‘amicizia ormai di lunga data con Arthur, che solo di recente ho avuto occasione di riallacciare, spero che in futuro ti tratterrai dal discutere con perfetti sconosciuti le mie fantasie aggressive e la mia storia mortificante. Altrimenti sarà difficile per me essere me stesso con Arthur, e ovviamente anche con te.
Cordialmente, David
Caro David, ti chiedo scusa per aver chiacchierato con persone che non ti conoscono, e ti prometto che non succederà più. Però ti sarei estremamente grata se tu mi dicessi il nome del figlio e/o figlia di puttana che ha fatto la spia. Giusto per evitare che addenti un’altra volta le mie costolette d’agnel o. Come balsamo per le tue ferite, vorrei aggiungere, primo, che il tuo nome è stato citato solo di passaggio - ahimè, non sei stato al centro del a conversazione per l’intera serata -, secondo, che a mio parere hai tutte le ragioni per avercela con Helen, e terzo, che non c’è niente di strano o di cui vergognarsi se la tua rabbia verso Helen ha preso la forma di un legame con un giovane uomo che punisce le donne alla maniera degli avvoltoi. Ma se tu vedi la tua amicizia con lui in un certo modo e io la vedo in un altro, per me non è un problema - e credo che non dovrebbe esserlo nemmeno per te. Infine, se ho parlato di Helen ai miei ospiti senza farmi troppi scrupoli 54
forse è perché a Stanford lei era, come tu ben sai, piuttosto esibizionista nel suo modo di fare, e di conseguenza era argomento di conversazione per tanta gente, inclusi i tuoi amici. E
tu stesso non avevi niente in contrario a parlare di lei ogni volta che venivi a trovare Arthur.
Ma, caro David, chiudiamola qui. Verresti a cena da noi - magari venerdì sera? Vieni solo o con chi ti pare (purché non sia il visigoto). Se porti una ragazza ti prometto che non farò parola del a tua misoginia fintanto che vorrai trattenerti. Con affetto, Debbie P.S. Darei qualunque cosa per sapere il nome del farabutto che mi ha tradito.
Cara Debbie, non posso dire di aver trovato soddisfacente la tua risposta. Sembri non cogliere in alcun modo quanto tu sia stata indiscreta con le cose che sai, o credi di sapere, su di me. Il fatto che io mi sia confidato con Arthur, e lui a sua volta si sia confidato con te, non può in alcun modo essere considerato un’attenuante. Lo capisci? Mi stupisce anche che tu non ti renda conto di come il mio matrimonio per me è ancora motivo di sofferenza, una sofferenza non certo alleviata dal sapere che le persone da cui avevo cercato conforto ne parlano come di una soap opera. Lo spirito in cui è stata scritta la tua lettera non fa che peggiorare la situazione, e non vedo come potrei accettare il tuo invito.
David
Caro David, mi spiace che tu abbia trovato insoddisfacente il mio biglietto. Il tono era volutamente superficiale - mi sembrava adeguato alla portata di quel o che consideri il mio crimine. Davvero mi vedi come una turpe megera bramosa di insozzare la tua immacolata reputazione o violare la tua privacy con allusioni maligne e velenose?
Evidentemente sì, ed è mostruoso, ma il fatto che tu la veda così non significa che sia così davvero. Ti ho chiesto scusa per aver parlato avventatamente di te con degli estranei, perché so che a volte mi capita. Davo per scontato che ciò che ti è stato riferito fosse quel che ho detto realmente - parole sciocche e avventate. So di non aver detto nul a di così terribile da poterti causare una sofferenza. Ripensando ai giudizi da te stesso espressi sul e tue relazioni con le signore - storie di quand’eri studente, ricordi? -, non avrei immaginato che ti considerassi irreprensibile. Ammetto di non averti mai visto come un angelo nel tuo rapporto con le donne, ma neppure ho mai pensato che la tua persona si riducesse a questo aspetto. Mi piacevi e tenevo a te come amico. Devo dire che mi spiacerebbe apprendere che hai maltrattato in questo modo anche altri di coloro che erano tuoi amici in California solo perché sono stati così «indiscreti» da fare il tuo nome nel corso di una conversazione. E
non per cattiveria, malignità o malizia, ma solo perché sapevano quel che stavi attraversando. Purtroppo la tua lettera mi dice su di te più di quel che avrei voluto sapere.
Debbie Caro David, Debbie sta rispondendo alla tua ultima lettera, ma a questo punto mi sento chiamato in causa anch’io. Mi pare che Debbie, arrivando quasi a umiliarsi prostrandosi al tuo cospetto, si sia sforzata di chiederti scusa, trovando giustificate le tue rimostranze. Nel o stesso tempo ha cercato di suggerire col suo tono scherzoso che quel che aveva fatto non era così grave come tu parevi considerarlo. Per quanto ne so del ‘accaduto, concordo con lei, e mi sembra evidente che la tua ultima lettera, con il suo tono aggressivo, esasperato, moralistico, sia più offensiva di qualunque cosa possa aver fatto Deborah. Fra l’altro non ho idea di cosa pensi che Deborah abbia detto su di te (qui un minimo di documentazione sarebbe stata utile), ma ti assicuro che non si è trattato che di qualche scambio di battute, durato cinque minuti e privo d’ogni malignità nei tuoi confronti. Ho il sospetto che tu abbia detto ben di peggio su di lei nel corso di qualche conversazione (anche se magari non di fronte a estranei). Gli amici dovrebbero essere più disponibili a perdonarsi a vicenda certe occasionali debolezze.
Cordialmente, Arthur
55
Caro Arthur, non possono essere vere entrambe le cose: che Debbie ha assunto un
«tono scherzoso» o, come l’ha definito lei, un «tono (. .) volutamente superficiale» in modo da dare la giusta misura alla sua colpa e, nel o stesso tempo, che «arrivando quasi a umiliarsi prostrandosi al tuo cospetto, si sia sforzata di chiederti scusa».
Ovviamente l’indiscrezione di Debbie è perdonabile, e nel a mia prima lettera ciò era implicito. Ma il fatto che lei continui a mostrarsi non solo tanto ottusa ma anche così disinvolta sul ‘accaduto mi porta a considerare la sua scorrettezza come qualcosa di diverso dall’«occasionale debolezza» di un’amica. David Caro David, ho esitato prima di rispondere alla tua ultima lettera, perché mi lascia ben poco da dire. Trovo incredibile che tu possa pensare che Deborah volesse ferirti. Trovo altrettanto incredibile che tu non capisca come nel gonfiare a tal punto l’accaduto non fai che dimostrare la verità del ‘osservazione di Deborah riguardo alla natura aggressiva del tuo atteggiamento verso le donne in questi ultimi tempi.
Invece di continuare ad attaccarci, perché non ti fermi a riflettere un istante sul perché hai rifiutato di accettare le sue scuse e hai preferito invece mettere a repentaglio la nostra amicizia pur di poterla sferzare con la tua ira per la sua presunta cattiva condotta? A parte divorziare da Debbie e cacciarla in mezzo alla strada vestita di stracci non so cosa potrei fare per ristabilire relazioni amichevoli tra di voi.
Sarei lieto di avere da te un suggerimento. Cordialmente, Arthur E’ Klinger a pronunciare misericordiosamente la formula magica che pone fine a tutto questo. Gli spiego ciò che ho in mente di scrivere nel mio prossimo messaggio ad Arthur - sono già a metà del a seconda stesura -
circa il cappio freudiano che vorrebbe mettermi al col o. E sono ancora imbestialito dalla sua richiesta (infilzata fra due parentesi), due lettere fa, di «un minimo di documentazione». Cosa crede, che siamo ancora studente e professore, laureando e correlatore? Quel e lettere non gliele ho mandate per farmi dare il voto! Sarò anche legato a lui da un debito di riconoscenza, ma non mi lascerò dire che sono una persona diversa da quel che sono! Non mi lascerò denigrare e sminuire dalle calunnie sconsiderate di quel a nevrotica. E non lascerò neppure ingiuriare Helen! «Fantasie aggressive»! Solo perché non sopporto lei. E
perché diavolo non la caccia davvero in mezzo alla strada vestita di stracci? E’ una splendida idea! Si guadagnerebbe il mio rispetto. E quel o del ‘intera comunità! Quando la mia sfuriata giornaliera è giunta al termine, Klinger dice: - Dunque spettegola su di voi. . e chi diamine se ne frega? Undici parole, ma all’improvviso sono davvero
«mortificato», e mi rendo conto che il pazzo nevrotico sono io. Così stizzoso! Ancora così sconclusionato! Privo di scopo, privo di senso. .
privo di amici! Buono solo a farmi dei nemici! Le furibonde lettere alla Coppia Affiatata costituiscono la mia intera produzione critica da quando sono tornato a est, l’unica opera per cui sono riuscito a chiamare a raccolta concentrazione, vigore e sapienza bastanti per mettere giù qualche rigo. Be’, ho trascorso intere serate riscrivendole in cerca del a giusta misura e del giusto tono. . mentre il mio libro su Cechov giace praticamente abbandonato. Pazzesco. . stesure e stesure, e di cosa? Di niente! Oh, c’è qualcosa che non va nel corso che hanno preso gli eventi. Tenere a bada Wally, litigare con Debbie, aggrapparmi a lei, dottore, per tirare avanti. . oh, come posso ridurre tutta questa nul aggine veramente a nul a, mentre adesso è tutto ciò che ho e tutto ciò che faccio?
Stranamente, il battibecco con gli Schonbrunn ha l’effetto di ravvivare l’amicizia con Baumgarten, che finora non aveva una gran sostanza - o forse non è così strano, dati i vecchi interessi che premono per farsi di nuovo spazio nel a mia nuova vita, così poco vissuta.
56
Obbedendo a quel i che considero gli ordini del dottore, lascio cadere la corrispondenza con gli Schonbrunn - anche se ulteriori risposte indignate, risposte stringenti, continuano a farmi buona compagnia mentre ogni mattina percorro in macchina la Expressway diretto all’università -, poi un tardo pomeriggio, seguendo quel o che al momento mi sembra un impulso innocente, passo da Baumgarten e lo invito a prendere un caffè. E la domenica sera successiva, quando, di ritorno da una visita a mio padre, una volta nel mio appartamento scopro di essere, sul a scala del a solitudine, quasi a cento - a pari merito col mio genitore -, spengo il fuoco sotto la zuppa che mi sto scaldando nel pentolino da zitel a e telefono a Baumgarten per invitarlo a dividere l’ultimo contenitore di cibo cucinato e surgelato da mia madre. Prendiamo a vederci una volta alla settimana per andare a cena in un piccolo ristorante ungherese su Upper Broadway, non lontano da dove entrambi viviamo.
Baumgarten non è più di quanto lo sia Wally la persona che invocavo fra le lacrime davanti allo specchio del bagno nei primi mesi di lutto a New York (il lutto che ha preceduto il lutto per l’unica di noi che è morta veramente). Ma del resto quel a persona tanto bramata probabilmente non si presenterà mai - perché di fatto si è già presentata: era qui, era mia, e l’ho persa, a causa di un terribile meccanismo che mi porta a combattere e combattere - a combattere fino a distruggerlo - ciò che prima pensavo di desiderare di più. Sì, Helen mi manca! Al ‘improvviso voglio Helen! Quanto sembrano insensati e ridicoli adesso tutti quei litigi! Era una creatura stupenda, appassionata, vitale! Bril ante, spiritosa, misteriosa.. e se n’è andata! Oh, perché mai ho fatto quel che ho fatto? Tutto avrebbe dovuto essere diverso!Quando mai ne troverò un’altra come lei? Così.. poco più di un decennio di vita adulta alle spalle e già ho la sensazione di aver sparato tutte le mie cartucce; rimuginando su quel patetico pentolino smaltato, sento di essermi lasciato alle spalle non un cattivo matrimonio, ma l’intero sesso femminile, e di essermi scoperto incapace di vivere in armonia con una donna. Mentre mangiamo insalata di cetrioli e cavolo ripieno (non male, ma niente a che vedere, informo Baumgarten - scimmiottando mio padre -, con quel i del ‘Hungarian Royale del periodo d’oro), gli mostro una vecchia fotografia di Helen, la fototessera più ammiccante e seduttiva che abbia mai passato un control o di frontiera. L’ho staccata dalla sua patente internazionale, saltata fuori di recente - a ognuno le proprie discordanze e incongruità - da uno scatolone di carte di Stanford, in mezzo agli appunti per una lezione su François Mauriac.
Porto a cena con me la fotografia di Helen, poi per metà del tempo mi chiedo se è il momento giusto per tirarla fuori dal portafoglio, e perché dovrei farlo. Una decina di giorni prima ho fatto vedere la foto a Klinger, per dimostrargli che, se anche sono stato cieco sul e atroci conseguenze del e mie azioni, non ero cieco del tutto. - Una vera bel ezza, - dice Baumgarten quando, con l’ansia di uno studente che consegna un compito copiato, gli passo la foto sopra il tavolo. Ed eccomi pronto a bere ogni sua parola! - Un’ape regina, niente da dire, - aggiunge.- Sissignore, con i fuchi che le girano intorno-. La assapora a lungo.
Troppo a lungo. - Sono geloso, - mi informa, e non lo dice per essere gentile. Mi sta riferendo le sue vere emozioni. Be’, penso, almeno lui non la denigrerà, e non denigrerà me. . tuttavia esito a discutere qualcosa di davvero personale in presenza di Baumgarten, come se un’eventuale sfida da lui offerta al punto di vista di Klinger - e alla buona volontà con cui adesso cerco di farlo mio - potesse farmi vacil are, riportandomi magari a quando cominciavo la giornata prostrato sul e ginocchia. Non mi fa piacere scoprirmi ancora così vulnerabile alla confusione, scoprire che la terapia offre una ben misera protezione dalla furia degli elementi, e che, in questo momento, tendo a trovarmi d’accordo con Debbie Schonbrunn: Baumgarten è una fonte di contagio.
57
Però attendo con impazienza le nostre serate insieme, mi piace ascoltare le storie che racconta, storie di una persona, al pari di Helen, in intimi rapporti con la sorgente del a propria eccitazione, e determinata a resistere - divertendosi pure - a tutto ciò che le fa resistenza.
Eppure, man mano che la nostra amicizia cresce, il mio attaccamento per Baumgarten è sempre più marcato dall’incertezza, se non da vere e proprie crisi di dubbio.
La storia familiare di Baumgarten è una storia di sofferenza e poco più. Il padre, un fornaio, è morto di recente, solo e in miseria in un ospedale pubblico, - aveva abbandonato la famiglia quando Baumgarten era adolescente («meglio tardi che mai»), e solo dopo anni di terribili depressioni che avevano trasformato la vita familiare in una lunga lacrimevole veglia. La madre di Baumgarten, una donna piena di paure, ha lavorato per trent’anni a cucire guanti in una soffitta dalle parti del a Penn Station, ed era terrorizzata dal capo, dal rappresentante sindacale, dal marciapiede del a metropolitana e dalla terza rotaia; poi tornava a casa, ed era terrorizzata dalle scale del a cantina, dal forno a gas, dalla scatola dei fusibili, addirittura da chiodi e martel o. Quando Ralph era al col ege, lei ha avuto un infarto invalidante, e da allora fissa la parete in un ospizio ebraico per vecchi e malati a Woodside.
Ogni domenica mattina, quando il figlio minore la va a trovare - con incol ato in faccia il suo ghigno impertinente, sottobraccio il «Sunday News» e in mano un sacchetto di carta del a pasticceria con dentro un bagel per lei -, l’infermiera lo introduce in camera con una simpatica battuta volta a sol evare lo spirito di quel a fragile donnetta seduta come un sacco di patate sul a sedia, finalmente al riparo dai mil e pericoli del mondo: - Guarda un po’ chi ti ha portato i bonbon, Mildred. Il tuo professore! Oltre alla parte di spese per le cure del a madre non coperta dal governo, che spetta a lui pagare attingendo al suo stipendio, Baumgarten si sente investito anche di responsabilità paterne nei confronti di una sorel a maggiore che vive in New Jersey con tre figli e un marito che stenta a sbarcare il lunario con la sua tintoria. I tre bambini lo zio Baumgarten li definisce «mol accioni»; la sorel a la definisce «smarrita», cresciuta fra le paure del a madre e la malinconia del padre, e adesso, all’incirca alla mia età, piena di superstizioni importate direttamente dallo shtetl. A causa del suo aspetto, del suo abbigliamento e del e cose strane che dice ai compagni di classe dei figli, la chiamano la
«zingara» nel quartiere di case popolari di Paramus dove abita la famiglia. Mi sorprende, ascoltando dal suo inestinguibile sopravvissuto le traversie di questo clan prostrato da una sorte impietosa, che Baumgarten non abbia mai, a mia conoscenza, scritto un singolo verso su come la sua famiglia infelice sia diversa da ogni altra, o sul perché lui non volga le spalle ai relitti del naufragio, nonostante il disgusto che gli procurano i ricordi del ‘infanzia in quel a casa dei morti. No, non una singola parola sul ‘argomento nei suoi due libri di poesia, il primo sfacciatamente intitolato, a ventiquattro anni, Anatomia di Baumgarten, e il più recente, che prende nome da un verso di una poesia erotica di Donne: Dietro, Davanti, Sopra, In mezzo, Sotto. Devo ammettere con me stesso - se non con uno degli Schonbrunn - che dopo una settimana di Baumgarten come lettura del a buonanotte, l’interesse che da tempo nutro per gli attributi del ‘altro sesso è quasi saziato.
Tuttavia, per quanto il suo tema -? piuttosto il suo metodo d’indagine -
a me appaia angusto, trovo, in quel miscuglio di sfrontata erotomania, feticismo microscopico e abbagliante imperiosità, un carattere all’opera il cui indefettibile senso dei propri imperativi accende la mia curiosità. Del resto sul e prime anche guardarlo mangiare accende la mia curiosità - a volte è altrettanto difficile osservarlo quanto distogliere lo sguardo. E’ l’indomato animale che è in lui a spingere questo carnivoro a straziare le vivande fra i denti con tale forsennata potenza muscolare, oppure non mastica il suo cibo con delicatezza solo perché il resto di noi concorda nel farlo? Dov’è che ha assaggiato la carne per la prima volta, nel Queens? in una caverna? Una sera la vista degli incisivi di Baumgarten 58
che strappano la carne dall’osso di una braciola di vitel o mi spinge una volta tornato a casa a tirare giù dagli scaffali del a libreria la raccolta dei racconti di Kafka per rileggere l’ultimo paragrafo di Un digiunatore, la descrizione del a giovane pantera messa in esposizione nel a sua gabbia per rimpiazzare il digiunatore professionista dopo la sua morte per fame. «Il cibo, che le piaceva, glielo portavano senza tante storie i guardiani; non sembrava neppure che la belva rimpiangesse la libertà; quel nobile corpo, perfetto e teso in ogni parte sin quasi a scoppiarne, pareva portar con sé anche la libertà; sembrava celarsi in qualche punto del a dentatura.. »
Nota. 1 Franz Kafka, Racconti, Mondadori, Milano 1970, p. 576, trad. di R. Paoli ed E.
Pocar [N.d.t.]
Sì, e cosa si cela tra le forti fauci di Baumgarten? Sempre la libertà?
O qualcosa di simile alla rapacità di un essere che un tempo ha rischiato di venir sepolto vivo? Le sue sono le fauci del a nobile pantera o del topo affamato? Gli chiedo: -
Com’è che non hai mai scritto del a tua famiglia, Ralph? - Di loro? - dice, rivolgendomi il suo sguardo condiscendente. - Di loro, - dico, - e di te. - E a che scopo?
Per riempire le sale all’Y/1? Oh, Kepesh, - nonostante sia cinque anni più giovane, gli piace rivolgersi a me come se fossi un bambino, e per giunta un incorreggibile benpensante,
- risparmiami il tema del a famiglia ebraica e del e sue traversie. Davvero avresti voglia di leggere di un altro figlio e un’altra figlia e un’altra madre e un altro padre che si rovinano la vita a vicenda? Tutto quel ‘amore; tutto quel ‘odio; tutti quei pasti. Per non parlare del a Menschlichkeit. E
del a vana lotta per la dignità. Oh, e la bontà. Non si può scrivere di quel a roba lasciando fuori la bontà. Mi pare che qualcuno abbia appena pubblicato un intero libro sul a nostra letteratura ebraica del a bontà.
Mi aspetto da un giorno all’altro che un critico irlandese se ne esca con un’opera sul a giovialità in Joyce, Yeats e Synge. O un bravo ragazzo del a Vanderbilt con un articolo sul ‘ospitalità nel romanzo sudista: Mettetevi comodi: il tema del ‘ospitalità in «Una rosa per Emily» di Faulkner/2.
- Mi chiedevo solo se non potesse aprire la strada ad altri sentimenti.
Sorride. - Lasciamo che siano gli altri ad avere altri sentimenti, okay?
Ci sono abituati. Gli piace averli. La virtù non fa per me. Troppo no-io-sa -. Una del e sue parole preferite, cantata da Baumgarten con un intervallo di una terza fra le sil abe.
Note.
1 Abbreviazione per Ymha: Young Men’s Hebrew Association [N. d. T.].
2 Nel racconto di Faulkner Una rosa per Emily un’anziana donna vive per anni segregata in casa con la sola compagnia del cadavere del promesso sposo da lei stessa assassinato [N.d.T.]
- Senti - dice, - Non riesco neppure a sopportare Cechov, il santo dei santi. Perchè non si lascia mai toccare da tutta quel a merda? Tu sei un’autorità. Perché il bruto non è mai Anton ma sempre qualche altro tanghero? - Strana cosa da chiedere a Cechov. Non è mica Celine. OGenet. O te. Del resto forse neppure Baumgarten è un bruto fino in fondo. Che mi dici del e visite a Paramus, o all’ospizio? In effetti mi fa pensare a Cechov. Il servo di famiglia. - Non esserne troppo sicuro.
59
Comunque, perché darsi la briga di scrivere quel a roba? Non l’hanno già fatto, e rifatto? C’è bisogno che anch’io incida il mio nome sul Muro del Pianto? Per me i libri, i miei inclusi, contano se l’autore incrimina se stesso. Altrimenti, chi se ne frega. Incriminare gli altri? Meglio lasciarlo fare ai nostri maggiori, e a quela scaltra evoluzione del teatro yiddish che chiamano Critica Letteraria. Ah, questi nobili figli ebrei di mezza età, con i loro rituali di ribel ione ed espiazione! Leggi mai i loro articoli sul a prima pagina del «Sunday Times?» Tutti quei cacciatori di fighe in incognito che si atteggiano a vecchi Tolstoj. Tutta quel a simpatia per gli umili del a terra, tutta quel a sol ecitudine per la sacra fiamma, che fra l’altro non gli costa il cazzo di un centesimo. Tutti questi addolorati alfieri del a cultura ebraica hanno bisogno di un culo ebraico caduto per espiare i loro peccati in pubblico. . e allora perché non il mio? Così tengono all’oscuro le loro mogli e danno alle amichette una sofferente anima bel a da spompinare; e vai con il Brandeis Kol ege of Musical Knowledge.
Ogni anno leggo sui giornali che le autorità costituite gli elargiscono qualche onorificenza da appuntarsi all’occhiel o. Virtù, virtù, chi ce l’ha la virtù? Il più grosso racket ebraico dai tempi d’oro del gangster Meyer Lansky. Sì, ormai è su tutte le furie, e senza preoccuparsi di abbassare il tono di voce o di smetterla di mulinare le braccia - è un violento attacco di bile, non privo di compiacimento -, passa alla licenziosità (ben nota in tutta Manhattan, sostiene Baumgarten) del ‘«esimio professore» che ha stroncato il suo secondo libro di versi citandolo di passaggio in una recensione sul «Times». - Senza «cultura», senza
«cuore», e quel che è peggio, senza «prospettiva storica», così l’ha definito. Come se l’esimio professore avesse prospettiva storica quando si sbatte una del e sue assistenti! No, a lui non basta ficcare il muso in mezzo alle gambe di una ragazza solo per amor di figa. No, no, se sei un vero uomo di lettere nel a tradizione umanista devi avere una prospettiva storica anche mentre scopi. Solo quando ci siamo scolati il tè e sbafati lo strudel, lui conclude (per il momento) la sua analisi del ‘ipocrisia, bigotteria e complessiva no-io-si-tà del mondo letterario e del a tradizione umanista (così come si incarna nei recensori dei suoi libri e nei membri del suo dipartimento) e si mette a parlare, con un diverso tipo di soddisfazione, del suo altro argomento preferito. Come molte altre del e sue storie sul e piacevoli sorprese del a caccia grossa, anche questa mi riporta alla mente alcune mie antiche ma vivide memorie. In effetti talvolta, mentre lo ascolto parlare con tanta impudicizia del ‘ampio raggio dei suoi piaceri, ho la sensazione di trovarmi alla presenza di una parodia di me stesso. Una parodia, cioè una possibilità. Forse io trasmetto la stessa sensazione a Baumgarten, e questo spiega la curiosità da entrambi i lati. Io sono un Baumgarten chiuso nel penitenziario, ingabbiato nel canile, un Baumgarten sottomesso, klingerato e schonbrunnato, mentre lui è un Kepesh - e che Kepesh! - con la bava alla bocca e la lingua di fuori, un cane rabbioso il cui guinzaglio è sfuggito di mano.
Perché sono qui con lui? Per passare il tempo, certo, certo. . e intanto cosa passa fuori e dentro di me? Al a presenza del vorace Baumgarten mi espongo al virus in dosi control ate così da esserne immunizzato per sempre? Oppure in fondo spero di essere reinfettato? Ho preso finalmente in pugno la mia guarigione o invece la convalescenza è finita e adesso sono pronto a cospirare contro il dottore e i suoi no-io-si ammonimenti?
- Una sera, l’inverno scorso, - racconta, occhieggiando il tondo fondoschiena del a prosperosa cameriera ungherese che, ciabattando, rientra in cucina per farci altro tè, -
curiosavo da Marboro’s fra i libri scontati. . - me lo vedo; l’ho visto curiosare, almeno una decina di volte. baumgarten: Hardy? ragazza: Be’. . sì. baumgarten: Non è Tess dei d’Urbervil e quel o li? ragazza (guardando la copertina): Già, esatto. . - e ho attaccato bottone con questa graziosa ragazza dalle gote rosse appena tornata da Westchester, dov’era stata a trovare i suoi. In treno, un paio di sedili davanti a lei, c’era un tipo in giacca e 60
cravatta che continuava a girarsi a guardarla e intanto se lo menava sotto il cappotto. Le ho chiesto come aveva reagito. «Come vuoi che abbia reagito? - mi ha risposto. - L’ho guardato dritto negli occhi e quando siamo arrivati alla Grand Central sono andata da lui e gli ho detto: “Ehi, dovremmo uscire insieme noi due, mi piacerebbe conoscerti meglio”». Be’, lui era scappato via dritto filato, ma mentre quel o correva fuori dalla stazione, lei l’aveva raggiunto, cercando di spiegargli che diceva sul serio. . le piaceva il suo aspetto, ammirava il suo coraggio, era molto lusingata da ciò che aveva fatto, ma il tipo era sparito in taxi prima che lei riuscisse a convincerlo che era disposta a spassarsela con lui. Una cosa tira l’altra, e siamo finiti a casa di lei. Era un appartamento sul ‘East River, in uno di quei palazzoni alti tutti uguali. Saliamo su e lei mi fa vedere il panorama del fiume e la cucina con i libri di ricette, poi mi chiede di spogliarla e di legarla al letto. Be’, è dai tempi dei boy-scout che non gioco con le corde, ma me la cavo lo stesso. La lego col filo interdentale, Kepesh, dodici metri, con le braccia e le gambe larghe, esattamente come vuole lei. Ci metto tre quarti d’ora. E avresti dovuto sentire i suoni che uscivano da quel a ragazza. Avresti dovuto vedere quant’era eccitata. Un’immagine molto toccante. Adesso li capisco meglio i maniaci.
Comunque, lei mi dice di andare a prendere le anfetamine nel ‘armadietto dei medicinali.
Be’, non ci sono più. A quanto pare qualche amico gliele ha rubate. Così le dico che a casa ho un po’ di coca, e che posso andare a prenderla se vuole. «Va’, va’ a prenderla», mi dice lei.
Perciò ci vado. Ma quando esco da casa mia e salgo in taxi per tornare da lei, mi rendo conto che non so come si chiama.. e non riesco nemmeno a ricordare in quale di quei palazzoni abita. Cazzo, Kepesh, sono fottuto, - dice, e allungando pol ice e indice sul tavolo per prendere le briciole del o strudel dal mio piatto, con la manica del cappotto militare mi rovescia addosso il bicchiere del ‘acqua. Per qualche ragione Baumgarten mangia sempre con quel cappotto addosso.
Forse lo faceva anche Jesse James. - Oops, - grida, vedendo cadere il bicchiere, ma ovviamente non è la prima volta; anzi, «oops» dev’essere la parola di quattro lettere che sale più di frequente alle sue labbra, più ancora di «figa», soprattutto quando fa del tavolo il suo trogolo personale. - Scusa, - dice. - Tutto a posto? - Asciugherà, - dico io, -
come sempre. Continua. A quel punto cos’hai fatto? - Cosa potevo fare?
Niente. Ho cominciato a vagare da un palazzone all’altro guardando i nomi sui campanel i. Il suo nome di battesimo era Jane, o almeno così aveva detto, perciò ogni volta che vedevo una «J» suonavo il campanel o come un teppistel o. Naturalmente non sono riuscito a trovarla, anche se nel frattempo ho fatto qualche conversazione promettente. Al a fine è arrivata una guardia e mi ha chiesto cosa cercavo. Gli ho detto che dovevo essere nel ‘edificio sbagliato, ma quando sono uscito lui mi ha seguito fuori sotto il colonnato, così sono rimasto lì fermo uno o due minuti con gli occhi al cielo contemplando la luna. Poi sono tornato a casa. Da allora ogni giorno andando all’università compravo il «Daily News». Mi aspettavo sempre di leggere che gli sbirri avevano trovato uno scheletro legato al letto con il filo interdentale nel decadente East Side. Al a fine ho lasciato perdere. Poi quest’estate stavo uscendo da un cinema in Eighth Street, e li a fare la fila per lo spettacolo successivo c’era quel a ragazza. Jane la Sfacciata. E sai cosa mi dice?
Mi riconosce e con un gran sorriso mi fa: «Che esperienza, amico». Sono scettico, però dico con una risata: - E’ successo davvero? - Dave, basta che esci in strada e rivolgi la parola alla gente. Succede di tutto.
Poi, dopo che ha chiesto alla cameriera - è nuova del ristorante, e lui ha deciso di esplorare a fondo quel a matura sovrabbondanza campagnola -
se può raccomandargli qualcuno per del e lezioni di ungherese, e dopo che lei gli ha dato nome e numero di telefono - «Abiti da sola, vero, Eva?» -, Baumgarten si scusa e si dirige verso il retro, dove c’è un telefono a scatti. Per appuntarsi il numero di Eva ha tirato 61
fuori dalla tasca del cappotto una manciata di buste e fogli, con nomi e indirizzi del e altre donne incrociate nel corso del a giornata. Il numero di quel a che sta chiamando adesso se l’è portato con sé al telefono, lasciandomi tutto l’agio di contemplare quel piccolo guazzabuglio di carte personali, con la vita che c’è dietro. Spostando con un’unghia una lettera scritta a macchina su una pesante carta color crema, riesco a leggere l’ultimo paragrafo… Ti ho procurato la tua quindicenne (diciottenne, per la verità, ma dal suo fisico giuro che non ti accorgerai del a differenza, e in ogni caso per una quindicenne c’è il carcere)
- una succulenta studentessa del secondo anno, non solo giovane ma una vera bel ezza, una ragazza dolce e nel o stesso tempo smaliziata, insomma non vedo cosa potresti desiderare di meglio. L’ho trovata per te tutta da sola, si chiama Rona e la prossima settimana mangiamo insieme, perciò se dicevi davvero (sempre che ti ricordi di avermi menzionato questa tua fantasia), in quel ‘occasione aprirò le trattative. Con buone speranze di successo.
Abbi la cortesia di segnalarmi le tue intenzioni la prossima volta che capiti in studio, un battito di ciglia per sì, due per no, così saprò se devo procedere. Ecco adempiuta la mia metà del ‘accordo, - l’ho adescata per te come desideravi, anche se col cuore in gola -, adesso per favore mettimi in contatto con gli orgiasti. Le uniche due buone ragioni che mi vengono in mente perché tu non lo faccia sono (a) ci sei coinvolto anche tu, nel qual caso posso astenermi da quel e serate, se preferisci così, oppure (b) temi di essere compromesso da qualcuno nel cuore del Cremlino, nel qual caso tu passami il nome e io dirò di averlo sentito da qualcun altro. Altrimenti perché non far fare un po’ d’esercizio alla tua facoltà (quasi atrofizzata) di compassione umana (ho letto da qualche parte che un tempo la si riteneva una qualità essenziale per un poeta) dal momento che non ti costa nul a, e potrebbe portare un piccolo raggio di luce nel a triste vita di una zitel a in (rapido) declino?
La tua complice, T. Chi è «T», mi domando, al «Cremlino?» L’assistente del rettore o la direttrice del programma sanitario per gli studenti? E chi è la «L» su un altro foglio? Le parole cancel ate e riscritte a ogni riga, il pennarel o sul ‘orlo del ‘anemia.
E cosa vuole dal poeta con il cuore quasi atrofizzato? Appartiene a «L»
la voce supplichevole che Baumgarten sta pazientemente ascoltando nel a cabina telefonica? Oppure è «M», o «N», o «O», o «P?». Ralph, mi rifiuto di scusarmi per ieri notte a meno che tu non possa dimostrarmi in modo credibile che c’era qualcosa di contorto o di meschino nel mio desiderio di vederti. Avevo pensato che se solo avessi potuto trovarmi nel a stessa stanza con un uomo che non mi avesse fatto pressioni, che non avesse cercato di convincermi o confondermi, qualcuno che mi piacesse e che rispettassi, allora avrei potuto scovare in me stessa qualcosa di concreto e reale. Avevo l’impressione che tu non vivessi in un mondo di sogni, mentre dopo il bambino spesso a me è parso di viverci. Non volevo fare l’amore. A volte ti comporti come uno a cui interessa solo sfilare le mutande alle signore. Di sicuro non mi presenterò più di mia iniziativa dopo le dieci di sera. E’ solo che avevo voglia e bisogno di parlare con qualcuno con cui non sono coinvolta, e ho scelto te, anche se, lo ammetto, in un certo senso vorrei essere coinvolta, una parte di me vorrebbe trovarsi fra le tue braccia, mentre l’altra insiste che ho solo bisogno del a tua amicizia, dei tuoi consigli. . e di tenermi a distanza. Probabilmente non voglio ammettere che mi hai colpito. Ciò non toglie che in te trovo qualcosa di fol e. . Nel a cabina, Baumgarten riappende la cornetta, e io smetto di leggere la posta del e sue ammiratrici. Paghiamo il conto a Eva, Baumgarten raccoglie le sue cose, e insieme - l’«amichetta» al telefono è meglio lasciarla perdere per stasera, mi informa - ci dirigiamo verso il più vicino BookMasters, dove come al solito uno dei due mol erà cinque dol ari per cinque libri a prezzo scontato che sicuramente non leggerà mai. «Ebbri di figa e di carta stampata!», come esclama il mio socio segreto a un certo punto del canto di se stesso dietro, davanti, sopra, in mezzo, sotto. Mi ci vogliono due intere settimane, sei intere sedute, prima di decidermi a raccontare allo psicanalista, cui in teoria dovrei raccontare tutto, che quel a sera, poco più 62
tardi, abbiamo incontrato una ragazza del liceo che comprava dei tascabili per il corso di letteratura, (baumgarten: Emily o Charlotte? ragazza: Charlotte, baumgarten: Vil ette o Jane Eyre? ragazza: Il primo non l’ho mai sentito. Jane Eyre). Briosa, disinvolta, e solo un po’
atterrita, ci ha seguito nel monolocale di Baumgarten, e lì, sul tappeto messicano, in mezzo a svariate pile dei due suoi libri di poesia erotica, ha fatto il provino come model a per la nuova rivista di fotografia erotica fondata sul a West Coast dai nostri capi, gli Schonbrunn.
Rivista che si chiamerà «Figa». - Gli Schonbrunn - spiega lui - sono stufi marci di mordere il freno. Alta e magra, con i capel i ramati, in jeans e giacca di pel e con le frange, la ragazza aveva dichiarato, durante il col oquio in libreria, che per lei spogliarsi davanti a un fotografo non sarebbe stato un problema - perciò, una volta a casa, Baumgarten le mostra una del e sue riviste danesi perché ne tragga ispirazione. - Questo lo faresti, Wendy? - le chiede serissimo mentre lei, seduta sul sofà, con una mano sfoglia la rivista e con l’altra tiene il cono gelato Baskin-Robbins che Baumgarten (impeccabile scenografo) non si è trattenuto dal comprarle sul a via di casa. («Qual è il tuo gusto preferito, Wendy? Serviti, prego, prendi quel o doppio, prendi la panna, prendi tutto. E tu, Dave? Anche tu al cioccolato?») Schiarendosi la gola, lei si chiude la rivista in grembo, morsica quel che resta del cono, e nel modo più disinvolto possibile, dice: - Per me è un po’ troppo ardito. - Cos’è che non sarebbe troppo per te? - le chiede lui. - Dimmi tu cosa non sarebbe troppo. - Qualcosa più in stile
«Playboy», - dice lei. Al ora, lavorando all’unisono, un po’ come compagni di squadra che si passano la palla a centrocampo cercando di sfondare la difesa, un po’ come metodici manovali che infilano un paletto nel terreno colpendolo alternativamente con la mazzuola -
un po’ come me e Birgitta sul continente europeo nel’Età del’Esplorazione -, riusciamo, facendole attraversare una serie di pose provocanti in progressivi stadi di svestizione, a farla sdraiare sul a schiena in stivali e mutandine. E questo, dice la diciassettenne studentessa del ‘ultimo anno del a Washington Irving High - con un leggero tremito mentre alza lo sguardo sui nostri quattro occhi che la divorano -, è il massimo cui è disposta ad arrivare. E
adesso? Sul fatto che il suo limite sia il limite io e Baumgarten concordiamo senza bisogno di consultarci. Questo a Klinger lo chiarisco subito - preciso anche che non sono state sparse lacrime, non è stata usata la forza e la sua carne non è stata sfiorata nemmeno dalla punta di un dito. - E questo quand’è successo? - mi chiede Klinger. - Due settimane fa, - dico, e mi alzo dal lettino per prendere il cappotto. E me ne vado. Ho rimandato la mia confessione per due intere settimane, e fino al termine di questa seduta. Adesso riesco a malapena a infilare la porta, e non me la sento di aggiungere - né mai lo farò - che a impedirmi di raccontare prima l’avvenimento non è stata la vergogna di un recidivo ma piuttosto la piccola istantanea a colori del a figlia adolescente di Klinger, in calzoncini sbiaditi e maglietta del a scuola, scattata in spiaggia e incorniciata in un trittico sul a scrivania in mezzo a quel e dei due figli maschi. Poi l’estate dopo il mio ritorno a est incontro una giovane donna del tutto diversa dalla pattuglia di consolatori, consiglieri, tentatori e provocatori - le «influenze», come le avrebbe definite mio padre - fra cui è stata sballottata la mia carcassa intontita e asessuata da quando sono un uomo solo senza donne, senza piaceri, senza passioni. Vengo invitato per un fine settimana a Cape Cod da una coppia di col eghi appena conosciuti, e lì mi viene presentata Claire Ovington, la loro giovane vicina, che affitta per sé e per il suo labrador dorato un piccolo bungalow fra le rose selvatiche vicino alla spiaggia di Orleans.
Una decina di giorni dopo la mattinata trascorsa a chiacchierare in spiaggia - e dopo che le ho inviato da New York una lettera dolorosamente seduttiva, e mi sono consultato con Klinger per molte ore sudate - prendo l’impulso per le corna, torno a Orleans e mi sistemo in una pensione. Sul e prime vengo attratto dal suo aspetto morbido e voluttuoso, lo stesso che tanto ha contribuito (contro ogni ragionevole riserva) ad attrarmi verso Helen, e per la 63
prima volta da oltre un anno sento crescere in me un sentimento spontaneo e caloroso.
Tornato a New York dopo la breve visita del fine settimana, non pensavo che a lei.
Percepisco un rinnovarsi del desiderio, del a fiducia, del a potenza sessuale? Non ancora.
Durante la settimana nel a pensione mi comporto come un bambino troppo zelante a lezione di ballo, non riesco a varcare una porta o a prendere in mano una forchetta senza far sfoggio del e più inamidate buone maniere. E dopo aver già dato sfoggio di me in quel a lettera. Che virtuosistico spettacolo di arguzia e fiducia in me stesso! Perché ho dato retta a Klinger? - Certo, vada.. cos’ha da perdere? - Ma cos’ha lui da perdere se fallisco? Dov’è la sua visione tragica del a vita, dannazione? L’impotenza non è uno scherzo - è una piaga! C’è gente che si uccide! E quando, dopo un’altra serata in cui ho mantenuto le distanze da Claire, mi ritrovo da solo nel mio letto alla pensione, capisco perché. La mattina, prima di ripartire per New York, vado al suo bungalow per una colazione anticipata, e mangiando pancake freschi ai mirtil i cerco di redimermi confessando la mia vergogna.
Altrimenti non saprei come mantenere un minimo di autostima, anche se non riesco a immaginare perché mi preoccupo ancora del ‘autostima. - A quanto pare sono venuto fin qui, dopo averti scritto in quel modo ed essere comparso dal nul a, dopo tutta quel a fanfara, solo per..
scomparire - . E mi sento pervadere - fino alla radice dei capel i - da qualcosa di molto simile alla vergogna che, scomparendo, mi ero il uso di evitare. - Deve sembrarti strano. A questo punto sembra strano anche a me. E’ da un bel po’, a dire il vero, che sembra strano anche a me.
Sto solo cercando di dirti che se mi sono comportato con tanta freddezza non è per qualcosa che hai fatto o detto tu. - Però è stato così piacevole, - dice lei prima che io possa riattaccare con una nuova sfilza di scuse per la mia «stranezza». - In un certo senso è stata la cosa più dolce. - Davvero? - dico, percependo dietro l’angolo un inedito tipo di umiliazione. -
Cosa? - Conoscere un uomo timido una volta tanto.
E’ bel o sapere che ne esistono ancora nel ‘Era del Totale Abbandono.
Dio mio, tenera dentro quanto fuori! Che tatto! Quanta calma! Quanta saggezza! E
fisicamente non la trovo meno seducente di Helen - ma le somiglianze finiscono qui.
Posatezza e fiducia e determinazione, ma in Claire tutto al servizio di qualcosa di più di un’avventura d’alto sibarismo. A ventiquattro anni, ha una laurea a Cornel in psicologia sperimentale, un dottorato alla Columbia in pedagogia e lavora in una scuola privata di Manhattan, dove insegna a ragazzi di undici e dodici anni e, dal prossimo semestre, dirigerà il comitato per la riforma dei piani di studio. Eppure, per una persona che nel suo ruolo professionale, come scoprirò, appare serena, lucida, impeccabile, avvolta da una forte aura di riservatezza, Claire è sorprendentemente innocente e ingenua riguardo al lato personale del a vita, e, per quanto concerne gli amici, le piante, il giardino degli aromi, il cane, la cucina, la sorel a Olivia che trascorre l’estate a Martha’s Vineyard, e i tre figli di Olivia, non è più riservata di una sana bambina di dieci anni. Insomma, questo luminoso miscuglio di sobrio aplomb sociale, entusiasmi domestici e suscettibilità giovanile è semplicemente irresistibile. Intendo dire che non è necessario fare resistenza. E una tentatrice a cui posso finalmente soccombere. Adesso è come se mi risuonasse un gong nel o stomaco quando ricordo - e lo faccio ogni giorno - che dopo aver scritto a Claire la mia lettera ingegnosa e civettuola ero stato sul punto di lasciar perdere. Avevo anche detto a Klinger che aver scritto di punto in bianco a una voluttuosa giovane donna con cui avevo chiacchierato due ore su una spiaggia era la spia del livel o di disperazione a cui ero giunto. Avevo quasi deciso di non presentarmi a colazione da lei quel ‘ultima mattina a Cape Cod, tanto temevo di essere tradito dal mio desiderio convalescente nel caso che avessi cercato, con la valigia in una mano e il biglietto del ‘aereo nel ‘altra, di metterlo alla prova in un fol e test del ‘ultimo minuto.
64
Come ho potuto farcela nonostante il mio vergognoso segreto? E’ stata pura fortuna, o merito del ‘esuberante, ottimista Klinger, oppure devo tutto ciò che ho adesso ai seni di lei in quel costume da bagno? Oh, se è così, sia benedetto mil e volte ciascun seno!
Perché adesso, adesso sono veramente euforico, elettrizzato, stupefatto - grato per tutto ciò che la riguarda, per l’autorevole efficienza con cui organizza la sua vita, per la pazienza con cui si dedica al fare l’amore con me, per la cura che mette nel dosare cruda carnalità e tenera sol ecitudine in modo da tenere a bada la mia tenace ansia e nel o stesso tempo rinnovare la mia fede nel ‘accoppiamento e in tutto ciò che ne può derivare. Tutta la competenza pedagogica che mette a frutto con i suoi allievi adesso dopo la scuola la mette a frutto anche con me - così ogni giorno nel mio appartamento arriva un tutore gentile e pieno di garbo, ma sempre in compagnia del a donna affamata! E quei seni, quei seni. .
grossi e morbidi e vulnerabili, ciascuno pesa sul mio viso come una mammel a da mungere, e nel a mia mano è caldo e pesante come un paffuto animaletto addormentato. Oh, lo spettacolo di questa ragazzona che mi sovrasta seminuda! Inoltre è anche assidua nel mantenere i ricordi! Conserva la storia di ogni giorno in agende che risalgono fino ai tempi del col ege, la storia del a sua vita in fotografie che scatta fin dall’infanzia, prima con una Brownie, adesso con i migliori apparecchi giapponesi. E
quel e liste! Quel e liste meravigliosamente ordinate! Anch’io ogni giorno scrivo su un blocchetto di fogli gialli le cose che dovrei fare, ma mai una volta al momento di andare a dormire ho la consolazione di aver tracciato accanto a ogni punto una crocetta che mi conferma che la lettera è stata spedita, i soldi ritirati, l’articolo fotocopiato, la telefonata fatta. Nonostante il mio amore per l’ordine, eredità dei cromosomi materni, ci sono mattine in cui non riesco neanche a trovare la lista preparata la sera prima, e di solito quel che non ho voglia di fare lo rimando al giorno dopo senza troppi scrupoli. Ben diverso è per la Signora Maestra Ovington - a tutti i compiti che si prefigge, per quanto ardui o spiacevoli, dedica la sua completa attenzione, affrontandoli uno dopo l’altro e portandoli invariabilmente a conclusione. E, per mia gran fortuna, riedificare la mia vita pare uno di tali compiti. E’ come se in cima a uno dei suoi foglietti gialli avesse scritto per chiaro il mio nome e poi, sotto, nel a sua grafia ariosa e tondeggiante, si fosse appuntata del e istruzioni, tipo:
«Fornire a DK: 1. Amorevole comprensione. 2. Amplessi appassionati. 3.
Un ambiente sano». Perché nel giro di un anno l’opera in qualche modo è compiuta, e accanto a ogni voce c’è una bel a crocetta. Abbandono gli antidepressivi, e non si apre nessun abisso sotto di me. Subaffitto l’appartamento subaffittato e, senza lasciarmi troppo soggiogare dai ricordi dei bei tappeti, tavoli, piatti e sedie un tempo proprietà comune di me e Helen e adesso del a sola Helen, arredo una nuova casa tutta mia. Accetto addirittura un invito a cena dagli Schonbrunn, e alla fine del a serata bacio educatamente la guancia di Debbie mentre Arthur bacia con fare paterno quel a di Claire. Facile. Insignificante. Sul a soglia, mentre Arthur e Claire concludono la loro conversazione sul piano di studi per le superiori che Claire sta mettendo a punto, Debbie e io scambiamo qualche parola in privato.
Per qualche strana ragione -
presumo il tasso alcolico di entrambi - ci teniamo per mano! - Un’altra del e tue alte bionde, - dice Debbie, - però questa sembra un po’ più adatta a te. L’abbiamo trovata molto dolce. E molto bril ante. Dove l’hai conosciuta? - In un bordel o a Marrakesh. Senti, Debbie, perché non la pianti di rompermi le palle? Cosa significa le mie «alte bionde?»
- E un fatto. - No, non è neppure un fatto. Helen era di un castano ramato. Ma immagino che per te sia la stessa cosa.. Il fatto è che, in questo contesto e con quel tono,
«bionde», come saprai, è un termine spregiativo usato dagli intel ettuali e da altre persone serie per sminuire le bel e donne. Inoltre si carica di ulteriori implicazioni sgradevoli quando lo si usa parlando di uomini con le mie origini e la mia carnagione. Ricordo quanto ti piaceva con la gente di Stanford sottolineare l’anomalia di un letterato come me proveniente dal 65
circuito turistico del a «Borscht Belt». Anche quel o lo trovavo un po’
riduttivo. - Oh, ti prendi troppo sul serio. Perché non ammetti di avere un debole per queste bionde grandi e grosse e la finisci li? Non c’è niente di cui vergognarsi. Sono adorabili quando fanno sci d’acqua, con quei capel i svolazzanti. Anzi, saranno adorabili in qualunque circostanza. - Debbie, facciamo un patto. Io ammetterò di non sapere niente di te se tu ammetti di non sapere niente di me. Sono certo che hai una meravigliosa vita interiore di cui io sono all’oscuro. - Ti sbagli, - dice lei, - c’è solo quel o che vedi. Prendere o lasciare -.Scoppiamo tutt’e due a ridere. Io dico:- Mi spieghi cosa ci trova Arthur in te? E
veramente uno dei misteri del a vita. Che cos’hai che io non riesco a vedere? - Tutto, -
ribatte lei. Risaliti in macchina, fornisco a Claire un resoconto abbreviato del a conversazione. - Quel a donna è una degenerata, - dico. - Oh, no, - dice Claire, - è solo sciocca. - Ti sei lasciata ingannare, Clarissa. La stupidità è una copertura per il vero crimine: l’assassinio. - Oh, caro, - dice Claire,
- sei tu che ti sei lasciato ingannare. Questo per quanto riguarda la mia riabilitazione in seno alla società. Quanto a mio padre e alla sua terrificante solitudine, be’, adesso una volta al mese prende il treno da Cedarhurst per venire a cena a Manhattan; più di così non riesco a convincerlo a fare, ma per la verità, prima di avere il nuovo appartamento, e Claire ad aiutarmi con la conversazione e la cucina, non ci mettevo troppo impegno a convincerlo, per poi trovarci uno di fronte all’altro a fissarci a vicenda mentre infilziamo costolette di maiale, due orfani a Chinatown. . per poi sentirlo chiedere una volta giunti ai litchi: «E quel tipo, non è più venuto a disturbarti, vero?» Per sicurezza mi sono anche sottratto alle fauci di quel gorgo di nome Baumgarten. Di tanto in tanto pranziamo ancora insieme, ma i festini grossi lascio che li celebri per conto suo. E non lo presento a Claire.
Accidenti, com’è facile la vita quando è facile, e com’è dura quando è dura!
Una sera, dopo cena a casa mia, mentre Claire prepara sul a tavola sparecchiata le lezioni per il giorno dopo, finalmente trovo il coraggio, o forse non ho più bisogno di
«coraggio», per rileggere quel che c’è del mio libro su Cechov, accantonato ormai da più di due anni.Nel mezzo dela faticosa e mortale erudizione rivelata da quei capitoli frammentari che dovrebbero concentrarsi sul tema del a disil usione romantica, trovo cinque pagine un minimo leggibili - riflessioni suscitate da un breve racconto comico di Cechov, L’uomo nel ‘astuccio, che racconta la tirannica ascesa e la celebrata caduta - «Confesso -
dice il buon narratore dopo il funerale del tiranno - che è un vero piacere seppel ire gente come Belikov» -, l’ascesa e la caduta di un funzionario scolastico di provincia il cui amore per le proibizioni e odio per ogni violazione del e regole tengono in pugno per quindici anni un’intera cittadina di «gente premurosa e rispettabile». Rileggo il racconto, poi rileggo anche quel i scritti subito dopo da Cechov, Uvaspina e Del ‘amore, che insieme all’Uomo nel ‘astuccio formano un trittico narrativo sul e sofferenze causate dalla prigionia spirituale -
il dispotismo meschino, il banale autocompiacimento umano e le inibizioni del sentimento con cui un uomo coscienzioso puntel a il proprio senso del ‘onore. Nel mese successivo, con in grembo un taccuino e in mente alcune riflessioni appena abbozzate, torno ogni sera alla narrativa di Cechov, tendendo l’orecchio al grido angosciato di miseri esseri umani intrappolati nel e convenzioni, mogli bene educate che nel mezzo di una cena con gli ospiti si chiedono «Perché sorrido e dico bugie?» e mariti apparentemente solidi e sicuri di sé «pieni di verità convenzionali e menzogne convenzionali». Nel o stesso tempo osservo con quanta semplicità e chiarezza, anche se non con la spietatezza di un Flaubert, Cechov 66
il ustra le umiliazioni e i fallimenti - e soprattutto il potere distruttivo - di coloro che cercano di evadere dall’astuccio del e regole acquisite e del e consuetudini, del a noia mortale e del ‘opprimente disperazione, del e penose situazioni matrimoniali e del ‘endemica falsità sociale, alla ricerca di una vita vibrante e desiderabile. C’è l’agitata giovane moglie di Calamità che, offesa nel a sua rispettabilità, cerca proprio malgrado «un po’ di eccitazione»; c’è il possidente malato d’amore di Ariàdna, che confessa con herzoghiana rassegnazione una disavventura romantica con una volgare sgualdrina con gli artigli che a poco a poco lo trasforma in un incurabile misogino, ma da cui nondimeno lui si lascia umiliare; c’è la giovane attrice di Una storia noiosa, il cui anelante entusiasmo per una vita sul palcoscenico, e una vita con gli uomini, viene amaramente meno dopo le prime esperienze del palcoscenico e degli uomini, e del a propria mancanza di talento - «Io non ho talento, vede, non ho talento. . e ho un sacco di vanità». E c’è Il duel o. Ogni sera per una settimana (con Claire li a due passi) rileggo il capolavoro di Cechov, la storia del subdolo, trasandato, intel igente seduttore Lajèvskij, con la testa piena di libri, bugie e autocommiserazione, e del suo antagonista, il loquace scienziato Von Koren, la spietata coscienza punitiva da cui Lajèvskij viene quasi annientato. O almeno è così che io interpreto il racconto: Von Koren è l’impietoso e ferocemente razionale persecutore che suscita in Lajèvskij un senso di vergogna e di peccato da cui purtroppo, ormai ridotto a una larva umana, non può più liberarsi. Grazie a questa immersione nel Duel o, finalmente mi rimetto a scrivere, e nel giro di quattro mesi le cinque pagine estratte dal vecchio, incompiuto rimaneggiamento del a mia tesi sul a disil usione romantica si trasformano in quarantamila parole intitolate L’uomo nel ‘astuccio, un saggio sul a licenza e la repressione nel mondo di Cechov: bramosie soddisfatte, piaceri negati, e la sofferenza che entrambe le cose comportano; uno studio, in fondo, del totale pessimismo di Cechov circa i metodi - coscienziosi, odiosi, nobili, ambigui -
con cui gli uomini e le donne del suo tempo cercano invano di raggiungere quel «senso di libertà personale» a cui lo stesso Cechov è tanto devoto. Il mio primo libro! Con una dedica che recita «A C. O.». - Lei è per la stabilità, -
dico a Klinger (e a Kepesh, che non deve mai, mai, mai dimenticare), -
quel che Helen era per l’impetuosità. E per il buonsenso quel che Birgitta era per l’impulsività. Non avevo mai visto una tale devozione per le più banali incombenze del a vita quotidiana. E’ davvero impressionante il modo in cui affronta ogni giornata così come viene, l’attenzione che dedica a ogni singolo minuto. Non c’è spazio per sognare. . solo per uno stabile, impegnato vivere. Mi fido di lei, è questo il punto. E questo il segreto, - proclamo trionfante, - la fiducia. A tutto ciò Klinger reagisce congedandomi e augurandomi buona fortuna. Il pomeriggio di primavera in cui ci salutiamo, sul a porta del suo studio mi domando se davvero non ho più bisogno di sproni e freni, ascolto e incoraggiamento, ammonimenti, complicità, consolazioni, conferme e opposizioni - insomma, dosi professionali di attenzione materna e paterna o semplicemente amicale per un’ora tre volte alla settimana. Davvero sono guarito? Con così poco? Solo grazie a Claire? E
se domani mattina mi sveglio di nuovo con un cratere al posto del cuore, privo del e capacità e degli appetiti e del a forza e del giudizio di un uomo, privo del a minima padronanza sul a mia carne o la mia intel igenza o i miei sentimenti. . - Restiamo in contatto,
- dice Klinger, stringendomi la mano. Come non sono riuscito a guardarlo negli occhi il giorno in cui ho evitato di menzionare l’impatto sul a mia coscienza del a foto di sua figlia -
il udendomi, sopprimendo quel fatto, di evitare il suo giudizio inespresso, o il mio -, così ora non riesco a guardarlo negli occhi mentre ci diciamo addio. Ma adesso è perché temo di dare la stura al mio senso di esultanza e gratitudine scoppiando a piangere. Tiro su col naso per mettere a tacere ogni sentimento - nonché, per il momento, ogni dubbio - e dico: -
Speriamo che non sia necessario, - ma, una volta uscito per strada e rimasto solo, ripeto ad alta voce quel e incredibili parole, dando finalmente espressione adeguata alle mie 67
emozioni: - Sono guarito!
Il giugno successivo, quando l’anno scolastico si è concluso per entrambi, io e Claire prendiamo un aereo per l’Italia del Nord, la prima volta che torno in Europa da quando un decennio prima vagavo in cerca di prede insieme a Birgitta. A Venezia trascorriamo cinque giorni in una tranquil a pensione vicino all’Accademia. Ogni mattina facciamo colazione nel giardino degli aromi del a pensione e poi, con scarpe comode per camminare, percorriamo ponti e calli per raggiungere i monumenti che Claire ha deciso di visitare quel giorno e si è segnata sul a mappa. Ogni volta che lei fotografa i palazzi e le piazze e le chiese e le fontane io mi allontano, ma non senza lanciare un ultimo sguardo per trattenere un’immagine di lei e del a sua bel ezza disadorna. Ogni sera, dopo la cena sotto il pergolato del giardino, ci offriamo un piccolo giro in gondola. Con Claire accanto a me nel a poltrona che Mann definisce «il più morbido, più lussuoso, più rilassante sedile al mondo», mi domando di nuovo se questa serenità esiste davvero, se questo appagamento, questo meraviglioso accordo è reale. Il peggio è davvero passato? Ho ancora qualche terribile errore da compiere? Ho ancora da pagare per quel i già compiuti? Si trattava solo di un Debutto, di una lunga e malaccorta giovinezza che mi sono finalmente lasciato alle spalle? - Sei sicura che non siamo morti, - le chiedo, - e saliti in paradiso? - Non saprei, - risponde lei, - dovresti chiedere al gondoliere. L’ultimo giorno la porto a pranzo al Gritti.
Sul a terrazza do una mancia al cameriere e gli indico il tavolo a cui avevo immaginato di sedere insieme alla graziosa studentessa che in classe pranzava con i Peanut Chews; ordino esattamente quel che ho mangiato quel giorno a Palo Alto mentre studiavamo i racconti di Cechov sul ‘amore e io mi sentivo sul ‘orlo di una crisi isterica - solo che questa volta il delizioso pranzo insieme a una compagna fresca e immacolata non lo sto immaginando, questa volta è tutto vero, e io sto bene. Mentre ci accomodiamo - io con un calice di vino ghiacciato; Claire, figlia astemia di genitori che bevono troppo, con la sua minerale -, contemplo le acque scintil anti di quel a città giocattolo di indescrivibile bel ezza e le dico: - Secondo te Venezia sta davvero affondando? Mi sembra più o meno nel a stessa posizione del ‘ultima volta che ci sono stato. - Con chi eri quel a volta? Con tua moglie? -
No. Era il mio anno di Fulbright. Con una ragazza. - Chi era? Ora, se le raccontassi tutto, si turberebbe o si spaventerebbe? cosa rischierei di risvegliare? Oh, che esagerazione!
Cosa sarà mai quel «tutto», se non un giovane marinaio che sbarca nel suo primo porto all’estero? Un gusto da marinaio per l’il ecito, senza però, come si sarebbe dimostrato, né il fegato né la forza di un marinaio. . Tuttavia, di fronte a una persona tanto misurata e ordinata, una persona che ha rivolto tutta la sua considerevole energia a rendere normale e ordinario ciò che nel ‘infanzia era stato disperatamente irregolare, preferisco rispondere: -
Oh, nessuno, - e passare oltre. Se non che questo nessuno che da più di dieci anni è scomparso dalla mia vita è ora l’unica cosa a cui riesco a pensare. Durante le lezioni su Cechov il marito male assortito aveva ricordato giorni più luminosi sul a terrazza del Gritti, un indenne, audace, giovane Kepesh che ancora si aggirava impunito per l’Europa; adesso, sul a terrazza del Gritti dove sono venuto a festeggiare la trionfante fondazione di una nuova vita dolce e stabile, a festeggiare lo stupefacente ristabilimento del a salute e del a felicità, mi tornano in mente le prime, inebrianti ore del mio sceiccato, la notte nel nostro seminterrato londinese quando è il mio turno di chiedere a Birgitta che cosa lei desidera più di tutto. Ciò che desidero io le due ragazze me l’hanno già dato; ciò che desidera Elisabeth lo lasciamo per ultimo - dice di non saperlo. . anche se nel suo cuore, come scopriremo quando il camion la investe, non vuole niente di tutto ciò. Ma Birgitta ha desideri di cui non ha paura di parlare, e che procediamo a soddisfare. Sì, seduto di fronte a Claire, che ha detto che il mio seme che le riempie la bocca le dà la sensazione di affogare, che quel a è una cosa che preferisce non fare, ripenso a Birgitta in ginocchio di fronte a me, con il viso 68
sol evato a ricevere i morbidi fiotti di seme che le schizzano sui capel i, sul a fronte, sul naso.
-
Hà‘r! - grida, - harl - mentre Elisabeth, sdraiata sul letto nel a sua vestaglia rosa di lana, guarda ipnotizzata il masturbatore nudo e la supplice mezza svestita ai suoi piedi.
Come se queste cose importassero!
Come se Claire mi negasse qualcosa che importa! Ma per quanto mi ammonisca per la mia amnesia, stupidità, ingratitudine, immaturità, per la stolta e suicida mancanza di ogni senso del e proporzioni, l’impeto di selvaggia lussuria che mi assale non è rivolto a questa squisita giovane donna con cui solo di recente sono emerso a una vita che promette il più profondo appagamento, ma per la minuta compagna perduta coi denti da coniglio che ho visto l’ultima volta mentre usciva dalla mia camera più di dieci anni fa a trenta chilometri da Rouen, desiderio per la mia lasciva anima gemel a, che, prima che il mio senso del lecito cominciasse a implodere, accoglieva con la mia stessa frenesia e giocosità gli atti più insoliti e i pensieri più alieni. Oh, Birgitta, va’ via! Ma questa volta siamo nel a nostra stanza proprio qui a Venezia, in un albergo su uno stretto vicolo dalle parti del e Zattere, non lontano dal ponticel o dove qualche ora prima Claire mi ha scattato una fotografia. Le bendo gli occhi con un fazzoletto, stringendo con cura il nodo sul a nuca, e poi sono in piedi sul a ragazza bendata e la frusto, all’inizio senza fare troppo forte - in mezzo alle gambe dischiuse. La osservo inarcare la schiena per accogliere ogni colpo del a mia cintura sul a piega del sesso.
La guardo come non ho mai guardato nient’altro in vita mia. - Dimmi tutte quel e cose, -
sussurra Birgitta, e io lo faccio, con un grugnito roco e sommesso con cui non mi sono mai rivolto prima a niente o nessuno. Per Birgitta dunque - e per quel a che adesso preferisco liquidare come la mia «lunga e malaccorta giovinezza» - un crescente senso di licenziosa affinità.. e per Claire, per questa mia appassionata e affettuosa salvatrice? Rabbia; delusione; disgusto - disprezzo per tutto ciò che lei fa così meravigliosamente bene, risentimento per quel a piccola cosa che non si degna di fare.
Vedo con quanta facilità potrei non sopportarla più. Le foto. Le liste.
La bocca che non berrà il mio sperma. Il comitato per la riforma dei piani di studio.
Tutto. Reprimo l’impulso di scattare in piedi e telefonare al dottor Klinger. Non sarò uno di quei pazienti isterici che fanno chiamate intercontinentali. No, questo no. Mangio il cibo che ci viene servito e, effettivamente, al momento di ordinare il dessert, la nostalgia per Birgitta che mi supplica, per Birgitta sottomessa e soggiogata da me, tutta questa nostalgia ha cominciato a placarsi, come accade alla nostalgia quando si riesce a ignorarla. E anche la rabbia scompare, rimpiazzata da una tristezza piena di vergogna. Se Claire avverte l’andirivieni di tutte queste angosce - e come potrebbe non avvertirlo? come altro spiegare il mio silenzio, la mia gelida cupezza?
-, preferisce far finta di niente, e parlare dei suoi progetti per la riforma dei piani di studio finché la cosa che ci ha allontanato non si è dissipata. Da Venezia affittiamo un’auto per andare a Padova a vedere i Giotto. Claire scatta altre foto. Le svilupperà quando arriviamo a casa poi, seduta a gambe incrociate sul pavimento - la postura del a tranquil ità, del a concentrazione, la postura di una gran brava ragazza
-, le incol erà, nel a giusta sequenza, sul ‘album di quest’anno. E
allora l’Italia settentrionale sarà nel a libreria ai piedi del letto dove sono conservati i suoi volumi di fotografie, l’Italia settentrionale sarà sua, insieme a Schenectady, dove è nata e cresciuta, Ithaca, dove è andata al col ege, e New York, dove vive e lavora e ultimamente si è innamorata. E io sarò lì ai piedi del letto, insieme ai suoi luoghi, alla sua famiglia e ai suoi amici. Benché gran parte dei suoi venticinque anni siano stati rovinati dagli alterchi di due genitori litigiosi - battibecchi spesso incoraggiati da troppi bicchieri di scotch -, lei considera il passato meritevole di essere registrato e ricordato, se non altro perché è riuscita a sopravvivere alla sofferenza e al disordine e a farsi una vita decente. Come ama dire, è 69
l’unico passato che ha da ricordare, per quanto possa essere stata dura quando le bombe le scoppiavano tutt’attorno e lei faceva del suo meglio per non finire dilaniata. E poi, ovviamente, il fatto che Mr e Mrs Ovington dedicassero più energie a essere avversari che a essere i consolatori dei propri figli non significa che la loro figlia debba negare a se stessa i normali piaceri che le famiglie normali (se esistono) danno per scontati. Sia Claire sia la sorel a più grande sono devote alle piacevoli cerimonie del a vita famigliare - scambio di fotografie, consegne di doni, celebrazione di feste, telefonate frequenti e regolari
- come se di fatto lei e Olivia fossero i genitori premurosi, e i genitori la progenie immatura. Da un albergo in un paesino di montagna dove abbiamo trovato una stanza con una terrazza, un letto e una vista arcadica, facciamo puntate in giornata a Verona e Vicenza.
Foto, foto, foto. Qual è il contrario di un chiodo piantato in una bara? Be’, è quel o che provo quando odo il clic del a macchina fotografica di Claire. Sento ancora una volta di venir sigil ato in qualcosa di meraviglioso. Un giorno ci limitiamo a passeggiare con un cestino da picnic lungo i sentieri di campagna, attraverso prati in cui fioriscono intere nazioni di fiordalisi e piccoli ranuncoli laccati e irreali papaveri. Posso passeggiare in silenzio con Claire per ore e ore. Mi basta starmene sdraiato sul ‘erba sostenendomi su un gomito e osservarla mentre raccoglie fiori di campo da portare in camera e sistemare in un bicchiere d’acqua accanto al mio cuscino. Non mi serve niente di più.
Il «di più» non ha alcun senso. Anche Birgitta sembra non avere alcun senso, come se «Birgitta» e il «di più» fossero solo modi diversi di dire la stessa cosa. Dopo la performance al Gritti, ha evitato di fare apparizioni altrettanto sensazionali. Nel e notti seguenti mi viene a trovare ogni volta che io e Claire facciamo l’amore - in ginocchio, sempre in ginocchio, mi supplica per ciò che più la eccita - ma poi se ne va, e io sono sopra il corpo cui sono sopra, e solo con esso condivido tutto il «di più» che ora posso desiderare, o desiderare di desiderare. Sì, mi tengo stretto a Claire e la visitatrice inopportuna finisce per battere in ritirata, lasciandomi a godere ancora una volta, con riverente timore, la mia grande fortuna. L’ultimo giorno ci portiamo da mangiare in cima a una balza affacciata su alte, verdi col ine, fino alle splendide cime innevate del e Dolomiti. Claire è distesa di fianco a dove sono seduto io, e l’ampio profilo del suo corpo si alza e si abbassa a ogni respiro.
Guardando fisso questa ragazzona con gli occhi verdi nel suo leggero abito estivo, il suo viso pallido, minuto, ovale, levigato, la sua semplice, eterea avvenenza - la bel ezza, mi rendo conto, di una giovane donna amish o shaker -, dico a me stesso: «Claire è abbastanza. Sì,
“Claire” e “abbastanza” sono anch’esse un’unica parola». Da Venezia voliamo a Vienna - e alla casa di Sigmund Freud - e da lì a Praga. Nel ‘ultimo anno ho tenuto un corso su Kafka all’università - l’intervento che devo fare tra qualche giorno a Bruges ha come tema le preoccupazioni di Kafka riguardo all’inedia spirituale -
ma non ho ancora visto la sua città, se non in qualche libro di fotografie. Prima di partire ho corretto le relazioni finali dei quindici studenti del seminario, che hanno letto tutti i romanzi e i racconti, i diari, la biografia di Max Brod e le lettere a Milena e al padre. Una del e domande era questa: Nel a sua Lettera al padre Kafka scrive: «Nei miei scritti parlavo di te, vi esprimevo quanto non riuscivo a sfogare sul tuo cuore, era un congedo da te volutamente dilazionato, un congedo che avevi messo in moto tu, ma che si dipanava lungo un percorso stabilito da me. .»’. Cosa intende Kafka quando dice al padre: «Nei miei scritti parlavo di te», e aggiunge: «ma che si dipanava lungo un percorso stabilito da me?»
Immaginate di essere Max Brod e di scrivere una lettera al padre di Kafka spiegando cosa ha in mente il vostro amico. . Mi ha fatto piacere che molti fra gli studenti abbiano accolto il mio suggerimento e abbiano finto di essere l’amico e biografo del o scrittore - e, nel ‘il ustrare al più convenzionale dei padri il lavorio interiore del più inusuale dei figli, abbiano dato prova di una matura sensibilità per l’isolamento morale di Kafka, per il suo peculiare temperamento e punto di vista, e per i processi immaginativi attraverso i quali un 70
fantasista a disagio con la quotidianità com’era Kafka trasforma in favole le sue lotte quotidiane.
Neanche un ottenebrato dottorando in letteratura che si fosse lasciato andare a un’ingenua esegesi metafisica! Oh, sono compiaciuto, certo, dal seminario su Kafka, e da me stesso per quel che sono riuscito a fare. Ma in questi primi mesi con Claire, cosa non è stato fonte di piacere?
Prima di partire ho avuto il nome e il numero di telefono di un americano che da un anno insegna a Praga, e fortuna vuole (come sempre in questi giorni) che lui e un suo amico ceco, un altro professore di letteratura, abbiano il pomeriggio libero e siano disponibili a portarci in giro per la vecchia Praga. Da una panchina in Piazza del a Città Vecchia contempliamo il sontuoso edificio in cui Franz Kafka ha frequentato il ginnasio. A destra del colonnato del ‘ingresso c’è al pianterreno la sede del negozio di Hermann Kafka. - Non poteva sfuggire alle sue grinfie neanche a scuola, - dico. - Peggio per lui, - replica il professore ceco, - e meglio per i suoi racconti -. Nel ‘imponente chiesa gotica li accanto, in alto su una parete del a navata, una piccola finestra quadrata dà su un appartamento dove, mi informano, una volta abitava la famiglia di Kafka. Perciò Kafka, dico, da lì poteva guardare di nascosto i peccatori che si confessavano e i fedeli in preghiera.. L’interno di questa chiesa non potrebbe aver fornito, se non ogni singolo dettaglio, almeno l’atmosfera per la Cattedrale del Processo? E quel e viuzze ripide e tortuose che dal fiume salgono al grosso castel o degli Asburgo, di sicuro anche quel e devono essergli state di ispirazione. . Forse, dice il professore ceco, però si ritiene che a fornire il model o principale per la topografia del Castel o sia stato un piccolo vil aggio fortificato nel a Boemia settentrionale, dove Kafka andava a trovare il nonno. Poi c’è il paesino di campagna dove la sorel a aveva trascorso un anno mandando avanti una fattoria e dove Kafka era stato convalescente per un periodo. Se ne avessimo il tempo, io e Claire potremmo approfittarne per una scampagnata, ci consiglia il professore ceco. - Andate a vedere una di quel e grette cittadine xenofobe, con la taverna fumosa e la barista pettoruta, e vi renderete conto di quale meticoloso realista fosse Kafka.
Per la prima volta percepisco qualcos’altro oltre alla giovialità in questo elegante accademico piccolo e occhialuto - percepisco tutto ciò che la giovialità cerca di sopprimere.
Vicino alle mura del castel o, sul ‘acciottolato di Via degli Alchimisti, c’è la minuscola casa -
che sembra uscita da una fiaba del a buonanotte, degna dimora di uno gnomo o di un elfo -
che la sorel a minore affittò un inverno perché Kafka ci andasse ad abitare, in uno dei suoi sforzi per svezzare il figlio scapolo dal padre e dalla famiglia. Il piccolo edificio adesso è un negozio di souvenir. Cartoline il ustrate e ricordini di Praga sono in vendita nel luogo in cui Kafka scriveva maniacalmente sul suo diario dieci varianti del o stesso paragrafo, in cui disegnava le sue sardoniche caricature di se stesso, gli «ideogrammi privati» che nascondeva, insieme a praticamente tutto il resto, in un cassetto. Claire scatta una fotografia dei tre professori di letteratura davanti alla camera del a tortura del o scrittore perfezionista. Presto sarà al suo posto in uno degli album ai piedi del letto. Mentre Claire va con il professore americano, e con la macchina fotografica, a visitare i giardini del castel o, io vado a prendere un tè con il professor Soska, la nostra guida ceca. Quando i russi hanno invaso la Cecoslovacchia ponendo fine al movimento riformista del a Primavera di Praga, Soska è stato licenziato dal suo posto all’università e, a trentanove anni, «col ocato a riposo» con una minuscola pensione. Anche la moglie, una ricercatrice scientifica, è stata allontanata dalla sua posizione per ragioni politiche e, per mantenere la famiglia di quattro persone, da un anno lavora come dattilografa in uno stabilimento di confezione del a carne.
Mi chiedo come faccia il professore in pensione a tenere alto il morale. Il suo abito con gilè è impeccabile, l’andatura scattante, la parlata briosa e puntuale - come fa? Cos’è che lo fa alzare la mattina e addormentare la sera? Cos’è che lo tiene su nel corso del a giornata? -
Kafka, ovviamente, - dice sfoderando di nuovo il suo sorriso. - Già, è così; molti di noi 71
sopravvivono grazie a Kafka, e a poco altro. Anche gente del a strada che non l’ha mai letto.
Quando succede qualcosa si scambiano un’occhiata è dicono: «E Kafka». Intendendo: «E’
così che vanno le cose». Intendendo: «Cos’altro ti aspettavi?» - E la rabbia? Si placa quando scrol ate le spalle e dite: «E Kafka?» - Per i primi sei mesi dopo l’arrivo dei russi ero in un continuo stato di agitazione.
Ogni notte andavo a riunioni clandestine con i miei amici. Un giorno su due facevo circolare una nuova petizione il egale. E nel tempo restante scrivevo, nel a mia prosa più lucida e precisa, con le mie frasi più eleganti e ponderate, enciclopediche analisi del a situazione che poi circolavano in samizdat fra i miei col eghi. Poi un giorno sono svenuto e mi hanno portato in ospedale con un’ulcera perforata. Sul e prime ho pensato, bene, me ne starò a riposo per un mese, prenderò le medicine e mangerò la mia sbobba e poi. . ebbene, poi cosa? Cosa farò quando smetto di sanguinare? Tornerò a interpretare K. per il loro Castel o e il loro Tribunale? Potrebbe continuare per sempre, come sanno bene Kafka e i suoi lettori. Quei suoi patetici, speranzosi, testardi K. che corrono come matti su e giù per tutte quel e scale in cerca di una soluzione e attraversano febbrilmente la città contemplando i nuovi sviluppi che li porteranno, nientemeno, al successo. Inizio, sviluppo e, cosa più inverosimile di tutte, fine. . è così che si il udono di far svolgere gli eventi. - Ma, lasciando da parte Kafka e i suoi lettori, come si possono cambiare le cose senza opposizione? Di nuovo il suo sorriso, che nasconde Dio solo sa quale espressione che gli piacerebbe mostrare al mondo. - Signore, io ho reso nota la mia posizione. L’intero paese ha reso nota la sua posizione. Il modo in cui viviamo adesso non è quel o che avevamo in mente. Per quanto mi riguarda, non posso rovinarmi quel che mi resta del ‘apparato digerente continuando a chiarirlo alle autorità sette giorni alla settimana. - E cosa fa invece?
- Traduco Moby Dick in ceco. Ovviamente esiste già una traduzione, e anche molto buona.
Non c’è alcun bisogno di un’altra traduzione. Ma è una cosa che ho sempre avuto in mente, e adesso che non ho nessun altro impegno, be’, perché no? - Perché quel libro?
Perché Melvil e? - gli domando. - Negli anni Cinquanta ho passato un anno a New York nel ‘ambito di un programma di scambi culturali. Camminando per le strade, mi sembrava che la città brulicasse del a ciurma di Achab. E al timone di ogni cosa, piccola o grande, vedevo un Achab ruggente. Quel a brama di raddrizzare le cose, di arrivare ai vertici, di essere considerato un «campione». . E non solo per mezzo del ‘energia e del a forza di volontà, ma per mezzo di un’enorme rabbia. Ed è quel a, la rabbia, che mi piacerebbe tradurre in ceco. . se - sorridendo - potesse essere tradotta in ceco. Ora, come può immaginare, questo ambizioso progetto, una volta completato, sarà del tutto inutile, per due ragioni. Primo, non c’è alcun bisogno di un’altra traduzione, soprattutto una che probabilmente risulterà inferiore a quel a, eccel ente, che già abbiamo; secondo, nessuna mia traduzione potrebbe venir pubblicata in questo paese. Vede, in questo modo posso intraprendere un’impresa a cui altrimenti non avrei mai osato accingermi, senza dovermi chiedere se ha senso o meno. Anzi, certe notti in cui lavoro fino a tardi, la futilità di quel che sto facendo mi appare come la più profonda fonte di soddisfazione. Forse a lei questo può sembrare nient’altro che una pretenziosa forma di resa, un modo per prendermi in giro da solo. Anche a me talvolta appare così. Nondimeno, resta la cosa più seria che posso fare durante la pensione. E lei, -
chiede, nel suo solito tono gioviale, - cosa l’ha portata a Kafka? - E’
una lunga storia. - E riguarda? - Non la disperazione politica. - Questo lo immagino. -
Riguarda piuttosto - dico - lo scoramento sessuale, i voti di castità che a quanto pare ho pronunciato a mia insaputa, e con cui ho vissuto mio malgrado. O io mi sono ribel ato contro la mia carne oppure è stata lei a ribel arsi contro di me. . non l’ho ancora ben capito. - Non si direbbe che lei abbia del tutto soppresso questo tipo di impulsi. La giovane donna con cui viaggia è molto attraente. - Be’, il peggio è passato. Potrebbe essere passato. O almeno è 72
passato per ora. Ma finché è durato, quando non riuscivo a essere quel o che avevo sempre presunto di essere, ebbene, era diverso da qualunque cosa avessi vissuto prima.
Naturalmente è lei a essere in stretti rapporti con il totalitarismo. . ma, se me lo permette, mi sentirei di paragonare la spietata risolutezza del corpo, la sua fredda indifferenza e il suo assoluto disprezzo per il benessere del o spirito, a un inflessibile regime autoritario. E si possono presentare tutte le petizioni che si vogliono, escogitare gli appel i più accorati, nobili e logici. . non si ottiene alcuna risposta. Al massimo una sorta di risata. Ho presentato le mie petizioni attraverso uno psicanalista; un giorno su due andavo per un’ora nel suo studio per richiedere il ristabilimento di una libido robusta. E, le assicuro, con perorazioni e argomenti non meno involuti, tediosi, scaltri e astrusi di quel i che si incontrano nel Castel o.
Se lei pensa che il povero K. sia astuto. . dovrebbe sentire quel che ho escogitato io per raggirare l’impotenza. - Immagino. Non dev’essere una faccenda piacevole. - Certo, però, paragonata a quel che lei. . - La prego, non ha bisogno di dire queste cose. Non è una faccenda piacevole, e il diritto di voto non è, al riguardo, di gran consolazione. - Questo è vero. In quel periodo ho votato e la cosa non mi ha reso più felice.
Quel che volevo dire a proposito di Kafka, del leggere Kafka, è che le storie dei suoi K. frustrati che sbattono la testa contro muri invisibili avevano a un tratto per me una nuova inquietante risonanza. A un tratto mi era tutto meno estraneo di quando avevo letto Kafka al col ege. A mio modo, vede, adesso conoscevo anch’io quel a sensazione di essere chiamato, o immaginare di essere chiamato, a un compito che si rivela superiore alle proprie forze, e tuttavia, nonostante le compromettenti e imbarazzanti conseguenze, non riuscire a sottrarsi e a rinunciare. Vede, una volta vivevo come se il sesso fosse un terreno sacro. -
Perciò la «castità». . - dice in tono comprensivo. - Molto spiacevole. - A volte mi chiedo se Il castel o non sia in realtà legato al blocco erotico di Kafka.. un libro il cui tema è, a ogni livel o, l’impossibilità di raggiungere un climax. Ride per la mia congettura, ma ancora una volta con gentilezza e assoluta cordialità. Già, il professore in pensione ha il suo modo di vedere la cosa, preso com’è fra l’incudine del regime e il martel o del a coscienza, fra l’incudine di un bruciante dolore addominale e il martel o del a coscienza. - Dunque,
- dice, mettendomi una mano sul braccio con fare paterno e cortese, - a ogni cittadino frustrato il proprio Kafka. - E a ogni uomo arrabbiato il proprio Melvil e, - ribatto. -
Del resto cosa dovrebbero fare i cultori del a letteratura con tutta la grande prosa che leggono. . - . . se non affondarci i denti. Esatto. Nei libri, anziché nel a mano che li strangola.
Più tardi quel pomeriggio saliamo sul tram il cui numero il professor Soska ha scritto a matita sul retro di un pacchetto di cartoline consegnate a Claire con fare cerimonioso sul a porta del ‘albergo. Le cartoline riportano fotografie di Kafka, del a sua famiglia e di luoghi di Praga legati alla sua vita e alla sua opera.
Questa preziosa serie non è più in circolazione, ci ha spiegato Soska, ora che i russi occupano la Cecoslovacchia e Kafka è uno scrittore proibito, anzi lo scrittore proibito. -
Spero però che ne abbia un’altra, - ha detto Claire, - per lei. . - Miss Ovington, - ha risposto lui, con un inchino cavalleresco, - io ho Praga. Per favore, le accetti.
Sono certo che chiunque la incontra desidera farle un regalo - . E a quel punto ci ha consigliato di andare a visitare la tomba di Kafka, a cui però non sarebbe stato prudente per lui accompagnarci. . e indicando con la mano, ha diretto la nostra attenzione su un uomo appoggiato con la schiena a un taxi parcheggiato a una ventina di metri dalla porta del ‘albergo: quel o era l’agente in borghese, ci ha informato, che seguiva lui e Mrs Soska nei mesi dopo l’invasione russa, quando il professore col aborava con l’opposizione clandestina al nuovo regime fantoccio, e il suo duodeno era ancora intatto. - E sicuro che sia lui?
- gli ho chiesto. - Sicuro quanto basta, - ha detto Soska, e dopo essersi alla svelta chinato a baciare la mano di Claire, è partito con una rapida e un po’ comica andatura da podista, svanendo in mezzo alla fol a che scendeva la scalinata del a sotterranea. - Mio Dio, -
73
ha detto Claire, - è atroce. Sempre quel sorriso pazzesco stampato in faccia. E
adesso questa fuga! Siamo entrambi un po’ sbalorditi, soprattutto, nel mio caso, per il fatto di sentirmi inviolabile e al sicuro, con il passaporto nel a giacca e la giovane donna al mio fianco. Il tram ci porta dal centro di Praga al quartiere periferico dov’è sepolto Kafka.
Il cimitero ebraico è circondato da un alto muro che confina da un lato con un cimitero cristiano molto più esteso - attraverso la recinzione vediamo i visitatori che accudiscono alle tombe, inginocchiati a strappare le erbacce come pazienti giardinieri - e dall’altro con un anonimo stradone percorso da file di camion che vanno e vengono dalla città. Il cancel o del cimitero ebraico è chiuso con una catena. La scuoto chiamando in direzione di quel a che sembra la casa di un custode. Dopo un po’ ne emerge una donna con un bambino. Dico in tedesco che siamo venuti in aereo da New York per vedere la tomba di Franz Kafka. Sembra che abbia capito, ma dice di no, non oggi. Tornate martedì, dice. Ma sono un professore di letteratura, ebreo, spiego, e le allungo una manciata di corone fra le sbarre del cancel o. Compare una chiave, il cancel o si apre e il bambino viene incaricato di accompagnarci. Seguiamo un cartel o indicatore in cinque lingue - tante sono le persone affascinate dalle invenzioni spaventose di questo tormentato asceta, milioni di persone spaventate: Khrobu / kmogile / Zum Grabe / To the Grave of / à la tombe de / franze kafky.
Fra tutte le cose possibili, a distinguere i resti di Kafka c’è una lapide in pietra bianca alta e stretta - diversa da qualunque altra nel e vicinanze - che punta verso il cielo il suo glande appuntito: un fallo come pietra tombale. Questa è la prima sorpresa. La seconda è che il figlio tormentato dalla famiglia è - pure! - sepolto per sempre nel mezzo fra la madre e il padre che gli erano sopravvissuti. Prendo un sasso dall’acciottolato e lo poso su uno dei mucchietti accatastati dai pel egrini che mi hanno preceduto. Non ho mai fatto altrettanto per i miei nonni, sepolti insieme ad altri diecimila accanto a una superstrada a venti minuti dal mio appartamento di New York, e neanche per mia madre, alla cui tomba ombreggiata da un albero sul e Catskil non ho più rimesso piede da quando ho accompagnato mio padre allo scoprimento del a lapide. Le scure lastre rettangolari intorno alla tomba di Kafka portano familiari nomi ebraici. Mi sembra di sfogliare la mia rubrica telefonica,? di guardare oltre le spalle di mia madre la lista degli ospiti registrati all’Hungarian Royale: Levy, Goldschmidt, Schneider, Hirsch. . Le tombe sono moltissime, ma solo quel a di Kafka è ben tenuta. Gli altri morti non hanno nessun sopravvissuto nei paraggi che venga a svel ere le piante infestanti e a tagliare l’edera che serpeggia fra i rami formando un baldacchino che congiunge l’uno all’altro i sepolcri degli ebrei estinti. A quanto pare solo lo scapolo senza figli ha una progenie ancora in vita. Quale luogo più adatto all’ironia se non
«à la tombe de Franze Kafky?» Incastonata nel muro di fronte al sepolcro di Kafka c’è una lapide con il nome del suo grande amico Brod. Anche qui metto un sassolino. Poi per la prima volta noto le targhe affisse per tutta la lunghezza del muro, dedicate alla memoria dei cittadini ebrei di Praga sterminati a Terezin, Auschwitz, Belsen e Dachau. Non ci sono abbastanza sassi per tutti. Con il bambino silenzioso alle calcagna, io e Claire torniamo al cancel o. Quando ci arriviamo Claire scatta una fotografia del bambino intimidito e, ricorrendo al linguaggio dei segni, gli chiede di scrivere il suo nome e il suo indirizzo su un pezzo di carta. Con una gran pantomima di gesti ed espressioni facciali che m’inducono a chiedermi quanto sia di fatto infantile questa giovane donna - quanto puerile e bisognoso sia diventato io stesso -, riesce a comunicare al bambino che quando la fotografia sarà pronta gliene manderà una copia. Fra due o tre settimane anche il professor Soska riceverà una fotografia da Claire, quel a scattata qualche ora prima davanti al negozio di souvenir dove tanto tempo prima Kafka aveva trascorso un inverno. Ora, perché mi ostino a considerare infantile il mio legame con lei? Perché mi ostino a dare un nome a questa felicità?
74
Lascia che accada! Lascia che sia! Smettila di far resistenza prima ancora di cominciare! Hai bisogno di ciò di cui hai bisogno! Fattene una ragione! Arriva la donna per aprire il cancel o. Di nuovo ci scambiamo qualche battuta in tedesco. - Vengono molti visitatori alla tomba di Kafka? - chiedo. - Non molti. Ma sempre persone distinte come lei, professore. O giovani studenti molto seri. Era un grand’uomo. Abbiamo avuto tanti grandi scrittori ebrei a Praga. Franz Werfel. Max Brod.
Oskar Baum. Franz Kafka. Ma ormai, - dice, rivolgendo per la prima volta uno sguardo, breve e con la coda del ‘occhio, alla mia compagna, - se ne sono andati tutti. -
Magari da grande il suo bambino diventerà un celebre scrittore ebreo. Lei ripete le mie parole in ceco. Poi traduce la risposta data dal bambino che continua a guardarsi le scarpe. -
Vuole diventare un aviatore. - Gli dica che di rado viene gente da tutto il mondo a vedere la tomba di un aviatore. Di nuovo uno scambio con il bambino poi, con un cortese sorriso rivolto a me (sì, è solo al professore ebreo che si rivolge col suo grazioso sorriso), dice: - A lui non importa un granché. E, signore, come si chiama la sua università?
Glielo dico. - Se le fa piacere, le faccio vedere la tomba del barbiere del dottor Kafka.
Anche lui è sepolto qui. - Grazie, è molto gentile. -
Era anche il barbiere del padre del dottor Kafka. Spiego a Claire cosa ci ha proposto la donna. Claire dice: - Se vuoi, va’ pure. - Meglio di no, - dico. - Se cominciamo con il barbiere di Kafka, prima di mezzanotte finiamo alla tomba di quel o che gli faceva i candelieri.
Al a custode del cimitero dico: - Temo che adesso non sia possibile. -
Ovviamente può venire anche sua moglie, - mi comunica lei seccamente. -
Grazie, ma dobbiamo tornare in albergo. Adesso mi guarda con malcelato sospetto, come se pensasse che in realtà non vengo affatto da una prestigiosa università americana.
Lei ha fatto un’eccezione aprendomi il cancel o in un giorno diverso da quel o prescritto per i turisti e io mi sono dimostrato niente affatto serio, probabilmente un semplice curioso, magari anche ebreo, però in compagnia di una donna palesemente ariana.
Al a fermata del tram dico a Claire: - Sai cos’ha detto una volta Kafka all’uomo con cui divideva l’ufficio alla compagnia di assicurazioni? A pranzo l’ha visto mangiare una salsiccia, e con un brivido ha commentato: «L’unico cibo adatto a un uomo è un mezzo limone». Lei sospira, e dice in tono triste: - Che sciocco, - trovando nel ‘ingiunzione dietetica del grande scrittore un disdegno per appetiti innocui che appare semplicemente stupido alla sana ragazza di Schenectady, New York. Tutto qui - eppure, mentre saliamo sul tram e ci sediamo uno accanto all’altra, le prendo la mano e a un tratto mi sento liberato da un altro fantasma, dekafkaizzato dal pel egrinaggio al cimitero così come ero stato debirgittizzato dalla sua apparizione al ristorante con terrazza a Venezia. I miei giorni di frustrazione sono finiti - insieme a quel i di non frustrazione: non più «di più», e non più nul a, neanche! - Oh, Clarissa, - dico, portandomi alle labbra la sua mano, - è come se il passato non potesse più farmi male.
Semplicemente non ho più rimpianti. E anche le mie paure sono scomparse.
E tutto perché ho trovato te. Pensavo che il dio del e donne, quel o incaricato di distribuirle, avesse chinato lo sguardo su di me e avesse detto: «Impossibile da accontentare. . al diavolo». E poi mi manda Claire. Quel a sera, dopo aver cenato in albergo, saliamo in camera per prepararci a partire l’indomani di buonora. Mentre infilo in valigia i vestiti, e i libri che ho letto in aereo e di notte in camera, Claire si addormenta in mezzo agli indumenti che ha posato sul a trapunta. Oltre ai diari di Kafka e alla biografia di Brod - le mie guide supplementari alla vecchia Praga -, ho con me alcuni tascabili di Mishima, Gombrowicz e Genet, romanzi per il corso di Letterature comparate del prossimo anno. Ho deciso di dedicare il primo semestre al tema del desiderio erotico, a partire da questi inquietanti romanzi contemporanei che trattano di una sessualità pruriginosa e iniqua (inquietanti per 75
gli studenti perché sono il tipo di libri ammirati da un lettore come Baumgarten, romanzi in cui l’autore è egli stesso implicato fino in fondo in ciò che è moralmente più allarmante) per poi concludere con tre capolavori che trattano di passioni il ecite e indomabili il cui assalto si compie con altri mezzi: Madame Bovary, Anna Karenina e La morte a Venezia. Senza svegliarla, raccolgo i vestiti di Claire e li metto nel a sua valigia. Maneggiando le sue cose mi sento traboccare d’amore. Poi le lascio un biglietto per dirle che sono andato a fare una passeggiata e tornerò entro un’ora. Attraversando l’atrio, noto che adesso ci sono quindici o venti giovani prostitute sedute da sole o a coppie dietro la porta a vetri del grande caffè del ‘albergo. Qualche ora prima ce n’erano solo tre, a un unico tavolo, che chiacchieravano amabilmente fra loro. Quando ho chiesto al professor Soska come sono organizzate queste cose sotto il socialismo lui mi ha spiegato che le puttane di Praga sono quasi tutte segretarie e commesse che lo fanno di secondo lavoro con la tacita approvazione del governo; alcune sono addirittura alle dipendenze del ministero del ‘Interno, e hanno l’incarico di carpire informazioni ai delegati del ‘Est e del ‘Ovest che passano dai grandi alberghi. Il gruppetto di ragazze in minigonna che ho visto sedute al caffè è probabilmente lì per intrattenere i membri del a missione commerciale bulgara che occupa la maggior parte del piano sotto il nostro. Una di loro, mentre accarezza la pancia di un bassotto tedesco marrone accucciato fra le sue braccia, mi sorride. Io ricambio il sorriso (non costa nul a) e mi dirigo verso Piazza del a Città Vecchia, dove Kafka e Brod erano soliti andare a passeggio la sera. Quando ci arrivo sono le nove passate, e la grande piazza malinconica è deserta, ci sono solo le ombre del e antiche facciate che la circondano. Dove qualche ora prima erano parcheggiati gli autobus dei turisti adesso c’è solo una conca di acciottolato lucido e consunto. La piazza è vuota - di tutto tranne che di mistero e di enigma. Siedo solitario su una panchina sotto un lampione e, attraverso la tenue patina di foschia, guardo, oltre la sagoma incombente di Jan Hus, la chiesa i cui più intimi recessi l’autore ebreo spiava dalla sua finestrel a segreta. E’ qui che comincio a comporre nel a mia testa quel o che li per li non mi sembra che un capriccio, le prime righe di una prolusione al corso di Letterature comparate ispirata a Una relazione per un’Accademia di Kafka, il racconto in cui una scimmia tiene un discorso a un convegno scientifico.
E’ un raccontino di qualche migliaio di parole, ma mi piace molto, soprattutto l’inizio, che considero uno dei più incantevoli del ‘intera letteratura: «Il ustri signori del ‘Accademia. Mi avete fatto l’onore d’invitarmi a presentare all’Accademia una relazione sul a mia passata vita di scimmia»1.
«Il ustri signori di Letteratura 341», comincio. . ma quando torno in albergo e mi siedo anch’io, con una penna in mano, a un tavolino vuoto in un angolo del caffè, mi sono lasciato alle spalle la maschera di satira accademica con cui avevo esordito, e sul a carta intestata del ‘albergo sto scrivendo in bel a grafia una prolusione vera e propria (sebbene non poco influenzata dall’impeccabile prosa professorale del a scimmia) che vorrei con tutto il cuore pronunciare - e pronunciare non a settembre ma in questo stesso momento! Due tavoli più in là c’è la prostituta con il bassotto; è stata raggiunta da un’amica, il cui animaletto preferito sembrano essere i propri capel i. Li accarezza come se fossero di qualcun altro. Alzando gli occhi dalla mia opera, dico al cameriere di portare un cognac a testa a quel e graziose lavoratrici, entrambe più giovani di Claire, e ordino un cognac anche per me. - Al a salute, - dice la prostituta che coccola il cagnetto, e tutt’e tre ci scambiamo un breve, seducente sorriso. Poi mi rimetto a scrivere quel e che, sul momento, mi sembrano frasi di immensa portata per la mia felice vita nuova. Anziché dedicare il primo giorno di lezione a presentare la lista dei libri da leggere e a il ustrare il tema di questo corso, vorrei raccontarvi alcune cose su di me che non ho mai rivelato prima ad alcuno dei miei studenti.
Non ho nessuna ragione per farlo, e finché non sono entrato in classe e non mi sono seduto 76
non ero sicuro che l’avrei fatto davvero. E ancora potrei cambiare idea. Perché, come giustificare la scelta di raccontarvi i più intimi fatti del a mia vita privata? E’
vero, nei prossimi due semestri passeremo insieme tre ore alla settimana per parlare di libri, e so per esperienza, come lo sapete voi, che in tali condizioni può svilupparsi un forte legame affettivo. Tuttavia questo non giustifica quel a che non può che essere considerata una volgare sconvenienza. Come già sospetterete - dal mio abbigliamento nonché dallo stile del e mie battute d’apertura -, di solito mi attengo, anche negli ultimi, turbolenti anni, alle convenzioni che per tradizione regolano i rapporti fra studenti e docenti. Mi dicono che sono uno dei pochi professori che ancora danno del lei agli studenti.
E in qualunque abbigliamento voi vi presentiate - in tenuta da meccanico, accattone, zingaro o ladro di bestiame - io preferisco far lezione al vostro cospetto in giacca e cravatta.. anche se, come noterà chi ha più spirito di osservazione, saranno di norma la stessa giacca e la stessa cravatta. E quando le studentesse verranno nel mio studio per il ricevimento, constateranno, se mai ci faranno caso, che tengo sempre la porta del a stanza dove sediamo fianco a fianco doverosamente aperta sul corridoio. Alcuni di voi si stupiranno vedendomi togliere l’orologio dal polso, come ho fatto qualche istante fa, per sistemarlo accanto agli appunti all’inizio di ogni lezione. Ormai non ricordo più quale dei miei professori utilizzava questo sistema per non perdere d’occhio il trascorrere del ‘ora, ma evidentemente mi ha colpito come indice di una professionalità cui ancora amo attenermi. Ciò non significa che negherò di essere fatto anch’io di carne e sangue - e di sapere che lo siete anche voi. Prima del a fine del ‘anno forse vi stuferete del a mia insistenza sui nessi fra i romanzi che leggerete per questo corso, anche i più eccentrici e sconcertanti, e ciò che finora avete imparato dalla vita. Scoprirete (e non tutti lo approveranno) che non concordo con alcuni miei col eghi secondo cui la letteratura, nei suoi momenti più validi e interessanti, è
«fondamentalmente non referenziale». Posso anche presentarmi a voi in giacca e cravatta, posso rivolgermi a voi dandovi del lei, tuttavia pretendo che vi tratteniate dal parlare in mia presenza di «struttura», «forma» e «simboli». Mi sembra che siate stati intimiditi a sufficienza nel corso del penultimo anno di col ege, e che ora vi debba essere consentito di riprendervi e di tornare a considerare rispettabili quegli interessi e quegli entusiasmi che con ogni probabilità vi hanno spinto a leggere narrativa, e di cui adesso non dovete vergognarvi. In via sperimentale potreste cercare durante il corso di quest’anno di astenervi da qualunque terminologia accademica, rinunciando a «trama» e «personaggio», nonché a quel e magniloquenti parole con cui non pochi di voi tendono a conferire solennità alle proprie affermazioni, parole come «epifania», «agnizione» e naturalmente
«esistenziale», aggettivo adatto a qualunque cosa esista sotto il sole.
Lo propongo nel a speranza che parlando di Madame Bovary con lo stesso linguaggio che usate con il vostro droghiere, o con il vostro amante, vi troverete in una relazione più intima, più interessante, diciamo pure più referenziale con Flaubert e la sua eroina. Anzi, una del e ragioni per cui i romanzi del primo semestre riguardano tutti, in modo più o meno ossessivo, il desiderio erotico, è che se i libri che leggerete tratteranno un tema con cui tutti voi avete familiarità, spero che vi sarà più facile col ocarli nel mondo del ‘esperienza, scoraggiando la tentazione di relegarli nei docili inferi degli stratagemmi narrativi, dei motivi metaforici e degli archetipi mitici. Soprattutto, spero che leggendo questi romanzi imparerete qualcosa di prezioso sul a vita in uno dei suoi aspetti più enigmatici ed esasperanti. Infine, spero di imparare qualcosa anch’io. Bene. Detto questo, bando agli indugi, è venuto il momento di svelare ciò che non andrebbe svelato - la storia del desiderio del professore. Però non posso farlo senza prima chiarire in modo soddisfacente, almeno per me, se non per i vostri genitori, perché ho deciso di eleggervi a miei voyeur, miei giurati e miei confidenti, perché ho deciso di esporre i miei segreti a persone che hanno la metà dei miei anni, e che perlopiù non ho mai visto né conosciuto.
77
Perché voglio un pubblico, quando la maggior parte degli uomini e del e donne preferiscono tenere tali faccende per sé oppure rivelarle solo ai più fidati confessori, laici o religiosi? Cosa rende necessario, addirittura appropriato, che mi presenti a voi giovani sconosciuti in guisa non di insegnante ma di primo dei testi di questo semestre? Permettetemi di rispondere con un appel o rivolto al cuore.
Adoro insegnare letteratura. Di rado mi sento così bene come quando sono qui con le mie pagine di appunti, i miei testi sottolineati e persone come voi. Per me non c’è altro nel a vita che valga l’ora di lezione. A volte, quando siamo nel mezzo di una discussione -
quando ad esempio uno di voi con una sola frase è arrivato al cuore del libro di cui si parla
-, vorrei urlare: «Amici miei, tenetevi cari questi momenti!» Perché?
Perché una volta usciti da qui accadrà di rado, se non mai, che qualcuno vi parli o vi ascolti nel modo in cui vi parlate e ascoltate fra voi e con me in questa stanzetta spoglia e luminosa. Ed è altrettanto improbabile che troviate altrove un’opportunità di discutere senza imbarazzo di ciò che più contava per uomini in sintonia con le fatiche del vivere come Tolstoj, Mann e Flaubert. Dubito che vi rendiate conto di quanto è emozionante sentirvi parlare con fervore e schiettezza di solitudine, malattia, desiderio, perdita, sofferenza, delusione, speranza, passione, amore, terrore, corruzione, sventura e morte. . è commovente perché avete diciannove e vent’anni, provenite perlopiù da agiate famiglie borghesi e non avete ancora vissuto molte esperienze dolorose - ma anche perché, cosa strana e triste, potrebbe essere la vostra ultima occasione per riflettere in modo serio e sistematico sul e forze irrefrenabili con cui, volenti o nolenti, dovrete tutti prima o poi misurarvi. E’ chiaro adesso perché considero la nostra aula il luogo più adatto a presentare un resoconto del a mia storia erotica? Ciò che ho appena detto rende più legittime le mie pretese sul vostro tempo, la vostra pazienza e la vostra retta? Per dirla tutta - l’aula è per me quel o che è la chiesa per un vero credente. Alcuni la domenica si inginocchiano a pregare, altri ogni giorno all’alba indossano i filatteri. . io compaio qui tre volte alla settimana, con la cravatta al col o e l’orologio sul a cattedra, a insegnarvi le grandi storie.
Classe, oh, studenti miei, quest’anno ho cavalcato l’onda di una grande emozione. Ci arriverò. Nel frattempo, cercate di sopportare il mio tono grandioso. In effetti vorrei solo esibire le mie credenziali per insegnare Letteratura 341. Alcune di queste rivelazioni appariranno certo indiscrete, non professionali e sgradevoli ad alcuni di voi, tuttavia, col vostro permesso, vorrei procedere a fornirvi un franco resoconto del a vita da me precedentemente condotta come essere umano.
Sono devoto alla finzione, e vi assicuro che quando sarà il momento vi spiegherò tutto quel che so in proposito, ma a dire il vero nul a vive in me quanto la mia vita. Le due giovani graziose prostitute sono ancora sole, ancora sedute davanti a me in golfino bianco d’angora, minigonna pastel o, calze a rete scure e scarpe con i tacchi a spil o - un po’
come bambine che abbiano saccheggiato l’armadio del a mamma per travestirsi da maschere di un cinema porno - quando mi alzo con i fogli di carta intestata per uscire dal caffè. - Una lettera per tua moglie? -
dice quel a che accarezza il cane e parla un po’ d’inglese. Non resisto alla provocazione. - Ai figli, - dico. Lei annuisce rivolta all’amica che si accarezza i capel i: sì, conoscono il tipo. A diciott’anni conoscono già tutti i tipi. L’amica dice qualcosa in ceco, e ridono di gusto. - Arrivederci, signore. ‘Notte, - dice quel a più scaltra, offrendomi in ricordo un sorrisetto abbastanza innocuo. Pensano che mi ecciti offrendo da bere alle puttane. E
forse è così. Pazienza. In camera vedo che Claire si è messa in camicia da notte e adesso dorme sotto le coperte. Sul cuscino c’è un biglietto per me: «Mio adorato, oggi ti amavo così tanto. Ti farò felice. C». Oh, sono davvero guarito -
sul cuscino c’è la prova! E le frasi che stringo fra le mani? Adesso non sembrano più 78
così cariche di implicazioni per il mio futuro come quando tornavo in albergo a grandi passi da Piazza del a Città Vecchia e non vedevo l’ora di mettere le mani su un pezzo di carta per fare la mia relazione alla mia accademia. Piego le pagine in due e le infilo con i tascabili sul fondo del a valigia, insieme al biglietto di Claire che promette di far felice il suo adorato. Mi sento assolutamente trionfante: anzi, grandioso. Quando di primo mattino vengo svegliato da una porta che sbatte sotto la nostra camera - giù dove dormono i bulgari, uno di loro senza dubbio in compagnia di una piccola puttana ceca e di un bassotto tedesco -, mi accorgo di non sapermi assolutamente raccapezzare nel sinuoso dedalo di sogni che mi hanno turbato e agitato nel corso del a notte. Mi aspettavo di dormire meravigliosamente bene, invece mi sono svegliato in un bagno di sudore, e per i primi secondi senza tempo non capisco dove, e con chi, sono a letto. Poi, per fortuna, trovo Claire, grosso animale caldo del a mia stessa specie, anima gemel a del ‘altro sesso, e abbracciandola - aderendo alla sua creaturalità con l’intera lunghezza del mio corpo - comincio a ricordare il lungo, scurrile episodio che si svolgeva pressappoco così: Al treno mi viene a prendere una guida ceca. Si chiama X, «come nel ‘alfabeto», spiega. Sono sicuro che si tratti di Herbie Bratasky, il nostro maestro di cerimonie, ma non do segno di riconoscerlo. - E cos’hai visto finora?
- mi chiede X mentre scendo dal treno. - Be’, niente. Sono appena arrivato. - Al ora ho il giusto punto di partenza. Che ne dici di incontrare la puttana da cui andava Kafka? -
Esiste davvero? Ed è ancora viva? - Che ne dici se ti porto a fare due chiacchiere con lei?
Rispondo solo dopo aver control ato che nessuno stia origliando. - Non potevo sperare di meglio. - E com’è stata Venezia senza la svedese? - chiede X
mentre saliamo sul tram per il cimitero. - Morta. L’appartamento è al quarto piano di un decrepito edificio lungo il fiume. La donna che siamo venuti a trovare ha quasi ottant’anni: mani artritiche, guance cascanti, capel i bianchi, occhi celesti, dolci e limpidi.
Vive su una sedia a dondolo con la pensione di reversibilità del marito, un anarchico. Mi chiedo: «La vedova di un anarchico che riceve una pensione dallo stato?»
- E’ stato anarchico per tutta la vita? - domando. - Da quando aveva dodici anni, -
risponde X, - dopo che è morto suo padre. Una volta mi ha raccontato com’è successo. Ha visto il corpo del padre morto e ha pensato: «Quest’uomo che mi sorride e mi ama non c’è più. Nessuno mi sorriderà e mi amerà più come lui. Ovunque andrò sarò per tutta la vita uno straniero e un nemico». A quanto pare è così che nascono gli anarchici. Immagino che tu non sia anarchico. - No. Io e mio padre ci amiamo ancora adesso. Io credo nel principio di legalità. Dalla finestra del ‘appartamento vedo scorrere impetuosa la celebre Moldava. - Qui sul a riva del fiume, ragazzi e ragazze, - adesso mi sto rivolgendo ai miei studenti, - c’è la piscina dove Kafka e Brod andavano insieme a nuotare. Vedete, è come vi avevo detto: Franz Kafka era vero, non se l’è inventato Brod. E anch’io sono vero, non mi ha inventato nessuno, se non io stesso. X e l’anziana donna conversano in ceco. X mi dice: - Le ho spiegato che sei un’insigne autorità americana sul ‘opera del grande Kafka. Puoi chiederle quel o che vuoi. - Che impressione ha avuto di lui? - domando. - Quanti anni aveva quando lei l’ha conosciuto? E lei quanti anni aveva? Quando è accaduto con precisione? X
(traducendo): -
Dice: «E’ venuto da me e io gli ho dato un’occhiata e ho pensato:
“Cos’ha questo ragazzo ebreo da essere tanto depresso?”» Le sembra che fosse il 1916. Dice che lei aveva venticinque anni. Kafka ne aveva più di trenta. - Trentatre, - dico io.
- Era nato, studenti, nel 1883. E
come sappiamo da tutti i nostri anni di scuola, sei meno tre fa tre, uno meno otto non si può fare, perciò dobbiamo prendere un uno dalla cifra precedente; undici meno otto fa tre, otto meno otto fa zero e uno meno uno fa zero. . ecco perché trentatre è la risposta corretta alla domanda: Quanti anni aveva Kafka quando andava con questa puttana?
Domanda seguente: Qual è, se esiste, la relazione fra la puttana di Kafka e il 79
racconto di oggi, Un digiunatore? X dice: - Cos’altro vorresti sapere? - Era in grado di avere regolarmente un’erezione? Di solito raggiungeva l’orgasmo? Trovo che i diari siano poco chiari al riguardo. I suoi occhi sono pieni di espressione mentre risponde, anche se le mani deformi restano inerti in grembo. Nel mezzo del ‘indecifrabile ceco afferro una parola che mi dà i brividi: Franz! X
annuisce con aria grave. - Dice che non era un problema. Lei sapeva cosa fare con un tipo come quel o. Glielo chiedo? Perché no? Dopotutto sono arrivato fin qui non solo dall’America, ma dall’oblio, a cui presto tornerò. - E cioè? In tono prosaico l’anziana donna racconta a X cosa faceva per eccitare l’autore di. . - Elencate le principali opere di Kafka in ordine di composizione. I risultati del ‘esame verranno esposti nel a bacheca del dipartimento. Tutti coloro che desiderano una raccomandazione per un corso avanzato di letteratura sono pregati di mettersi in fila davanti al mio studio per essere frustati a sangue.
X
dice: - Vuole dei soldi. Soldi americani, non corone. Dalle dieci dol ari. Le do i soldi. A cosa mi servirebbero nel ‘oblio? - No, non conterà per gli esami finali. X aspetta che finisca, poi traduce: - Gli faceva un pompino. E probabilmente prendeva meno di quanto ho speso io per venirlo a sapere. Esiste l’oblio ed esiste anche la frode, a cui io sono contrario. Ma certo! Questa donna non è nessuno, e Bratasky si prende la metà. - E di cosa parlava Kafka?
- chiedo con uno sbadiglio, tanto per far vedere quanto prendo sul serio questo col oquio. X
traduce parola per parola la risposta: - Non ricordo più. Probabilmente non me lo ricordavo già il giorno dopo. A volte questi ragazzi ebrei non dicevano proprio niente. Come uccel ini, nemmeno un pigolio. Le dico una cosa, però. . non mi picchiavano mai. Ed erano ragazzi puliti. Biancheria pulita. Coletti puliti. Non si sarebbero azzardati a venire da me neppure con un fazzoletto sporco. Ovviamente io lavavo sempre tutti con uno straccio. Ho sempre tenuto all’igiene. Ma con loro non ce n’era bisogno. Erano puliti ed erano dei gentiluomini.
Dio mi è testimone, non mi hanno mai picchiata sul fondoschiena. Anche a letto erano educati. - Ma c’è qualcosa che ricorda di Kafka in particolare?
Non sono venuto qui da lei, a Praga, per parlare di quant’erano cortesi i ragazzi ebrei. Lei si prende un po’ di tempo per pensare, o più probabilmente per non pensare. Se ne sta li facendo le prove del a morte a venire. - Vede, non era niente di speciale, - dice infine. - Non è che non fosse un gentiluomo. Erano tutti gentiluomini. Dico a Herbie (rifiutando di fingere ancora che sia un ceco di nome X): - Non so cos’altro chiedere, Herb.
Ho la sensazione che confonda Kafka con qualcun altro. - Questa donna ha una mente affilata come un rasoio, -
ribatte Herbie. - Però non è che abbia l’autorevolezza di Brod sul ‘argomento.
L’anziana puttana, forse percependo che ne ho abbastanza, parla di nuovo. Herbie dice: -
Vuole sapere se ti farebbe piacere dare un’occhiata alla sua passera. - A che scopo? -
rispondo. -
Devo chiederglielo? - Oh, sì grazie. Eva (perché questo, sostiene Herbie, è il nome del a signora) risponde per esteso. - Presume che per te potrebbe avere un qualche interesse letterario. Altri come te, venuti da lei a causa del a sua relazione con Kafka, erano ansiosissimi di vederla e, appurato ovviamente che le loro credenziali fossero serie, lei gliel’ha mostrata volentieri. Dice che, dal momento che sei qui su mia raccomandazione, sarebbe lieta di farti dare una rapida occhiata. -
Pensavo che gli facesse solo i pompini. Herb, davvero, che interesse può avere la sua passera per me? Lo sai che non sono qui a Praga da solo.
Traduzione: - Ammette che francamente non sa quale interesse chiunque possa nutrire per lei. Dice che è contenta di poter guadagnare qualche soldo grazie alla sua amicizia con il giovane Franz e che la lusinga che vengano a trovarla uomini colti e distinti.
80
Ovviamente, se a questo gentiluomo non interessa esaminarla.. Ma perché no? Perché venire nel cuore devastato del ‘Europa se non per esaminare proprio questo? Anzi, altrimenti perché venire al mondo? - Studenti di letteratura, dovete superare una volta per tutte la vostra schifiltosità! Dovete affrontare l’indecenza! Dovete scendere dal vostro piedistallo! Ecco, questi sono i vostri esami finali. Mi costerà altri cinque dol ari americani. -
E’ un business fiorente, il business di Kafka, - dico. - Prima di tutto, dato il tuo campo di interessi, è una spesa deducibile dalle imposte.
Secondo, per soli cinque dol ari stai sferrando un colpo letale ai bolscevichi. Lei è una del e ultime persone a Praga che lavora in proprio. Terzo, contribuisci a preservare un monumento letterario nazionale. . stai rendendo un servizio ai nostri scrittori sofferenti.
Infine, ma non meno importante, pensa a quanti soldi hai dato a Klinger.
Cosa sono cinque dol ari in più per la causa? - Scusa, ma quale causa? -
La tua felicità. Noi vogliamo solo renderti felice, renderti finalmente te stesso, caro David. Per troppo tempo hai negato te stesso. Nonostante l’artrite alle mani, Eva riesce da sola a tirarsi su il vestito fino a rimboccarselo in grembo. Herbie, però, deve sorreggerla con un braccio, aiutarla a spostare il peso da una natica all’altra e sfilarle le mutande. Io do il mio riluttante contributo tenendo ferma la sedia a dondolo. Una pancia di pel e di capretto raggrinzita, gambe nude scheletriche e tutte rovinate e, sorprendentemente, una chiazza nera triangolare, che sembra incol ata come un paio di baffi finti. Dubito alquanto del ‘autenticità di quel pelo pubico. - Vorrebbe sapere - dice Herbie - se al gentiluomo interessa toccarla. - Quanto costerebbe?
Herbie ripete la mia domanda in ceco. Poi si rivolge a me con un inchino cerimonioso: - Offre lei. - No, grazie. Di nuovo lei assicura al gentiluomo che non gli costerà nul a. Di nuovo il gentiluomo declina cortesemente. Adesso Eva sorride - fra le labbra dischiuse, la lingua, ancora rossa. La polpa del frutto, ancora rossa! - Herb, cosa ha detto?
- Non credo di poterlo ripetere, non a te. - Cos’era, Herbie? Voglio saperlo! - Una cosa sconveniente, - dice lui ridacchiando, - su quel o che a Kafka piaceva più di tutto. Il suo grande vizio. - Qual era? - Oh, non penso che a tuo papà farebbe piacere che lo sentissi, Dave. O al papà di tuo papà, e così via a ritroso fino al Padre dei Fedeli e all’Amico di Dio.
Inoltre potrebbe trattarsi solo di un’affermazione maliziosa, gratuita, priva di fondamento.
Forse l’ha detto solo perché tu l’hai insultata. Vedi, rifiutandoti di toccare con un dito la sua famosa vizz, hai messo in dubbio - forse non del tutto involontariamente
- il significato stesso del a sua vita. Inoltre teme che adesso tornerai in America e dirai ai tuoi col eghi che lei è un’impostura. Così gli studiosi seri non verranno più a porgerle omaggio - e per lei naturalmente sarebbe la fine, e sarebbe anche, se posso dirlo, la fine del ‘imprenditoria privata nel nostro paese. Si tratterebbe nientemeno che del a vittoria definitiva dei bolscevichi sugli uomini liberi. -
Be’, eccetto per questo nuovo numero in costume da ceco, che devo ammettere avrebbe ingannato quasi chiunque altro tranne me, non sei affatto cambiato, Bratasky. -
Peccato non poter dire lo stesso di te.
Qui Herbie si avvicina all’anziana donna, il cui viso è adesso rigato di lacrime di tristezza, e mette le mani a coppa, come per raccogliere acqua da un ruscel o, fra le sue gambe nude. - Coo, - tuba lei. - Coo.
Coo -. E chiudendo gli occhi celesti, strofina una guancia contro la spalla di Herbie.
La punta del a lingua fa di nuovo capolino dalla bocca. La polpa del frutto, ancora rossa.
Al ritorno dai nostri viaggi nel e città d’arte - dopo che a Praga ho sognato di far visita alla puttana di Kafka, la mattina successiva siamo volati a Parigi, e tre giorni dopo a Bruges, dove a un convegno sul a letteratura moderna europea ho tenuto una conferenza intitolata L’arte del digiuno -, decidiamo di affittare insieme una piccola casa in campagna 81
per luglio e agosto. Quale modo migliore di trascorrere l’estate? Ma una volta presa la decisione, non riesco a pensare ad altro che all’ultima volta che ho convissuto con una donna, i mesi sepolcrali subito prima del fiasco di Hong Kong, quando non riuscivamo a sopportare neppure la vista del e scarpe del ‘altro sul pavimento del ripostiglio.
Di conseguenza, prima di firmare il contratto per la perfetta piccola casa che abbiamo trovato, suggerisco che sarebbe meglio non subaffittare per quei due mesi i nostri appartamenti in città - un piccolo sacrificio finanziario, è vero, ma in questo modo avremmo un posto in cui ritirarci se dovesse accadere qualcosa di disdicevole. Dico proprio
«disdicevole».
Claire - la prudente, paziente, tenera Claire - afferra alla perfezione le mie intenzioni mentre io continuo a blaterare con la penna in mano e intanto l’impiegato del ‘agenzia immobiliare mi lancia sguardi infastiditi dall’altro lato del ‘ufficio. Al evata da due pesi massimi del a lite domestica dal giorno del a nascita fino a quando, giovane donna indipendente di diciassette anni, ha potuto andarsene a studiare e farsi una vita propria, Claire non ha nul a da obiettare all’idea di avere un nido in cui potersi rifugiare, oltre al nido da condividere finché andrà tutto bene. No, non affitteremo i nostri appartamenti, concorda. E a quel punto, con la solennità del comandante in capo giapponese che sigla la fine di un impero a bordo del a corazzata di MacArthur, pongo la mia firma in calce al contratto. Una piccola casa colonica a due piani rivestita di assicel e bianche, dunque, sul fianco di una col ina ricoperta di margherite e denti di leone, lungo una strada rurale poco trafficata, una trentina di chilometri a nord del vil aggio del e Catskil in cui sono cresciuto.
Ho preferito la Sul ivan County a Cape Cod, e anche questo Claire l’ha accettato - a quanto pare la vicinanza con Vineyard e Olivia non conta più come l’anno prima per lei. Quanto a me, le dolci col ine verdi e le verdi montagne in lontananza oltre le finestre del ‘abbaino mi ricordano la vista dalla cameretta del a mia infanzia - per essere precisi la vista dalla stanza all’ultimo piano del a «Dipendenza» - e potenziano la sensazione di stare finalmente vivendo, ora che sono con lei, in armonia con il mio vero spirito, di essere cioè «a casa». E
che estate per lo spirito! Con un quotidiano regime di nuotate al mattino e camminate nel pomeriggio ci sentiamo sempre più in forma, mentre interiormente ingrassiamo come i maiali del nostro vicino. Come esulta lo spirito per il solo fatto di alzarsi al mattino! di aprire gli occhi in una stanza imbiancata a calce e inondata dal sole abbracciando il grande, solido corpo di lei. Oh, quanto amo la sua corposità a letto! La sua tangibilità! E il peso di quei seni nel e mie mani! Oh, quant’è diverso dai mesi e mesi passati a svegliarmi senza nient’altro da stringere se non il cuscino! Più tardi -
non sono ancora le undici? davvero? abbiamo mangiato il nostro toast alla cannel a, fatto il nostro tuffo, ci siamo fermati in paese a comprare qualcosa per cena, abbiamo rimuginato sul a prima pagina del giornale, e sono solo le dieci e un quarto? -, più tardi, dalla sedia a dondolo in veranda su cui mi siedo la mattina a scrivere, la osservo lavorare in giardino. Ho accanto due taccuini a spirale. Su uno prendo appunti per un libro su Kafka, che si chiamerà, dal nome del a conferenza di Bruges, L’arte del digiuno, mentre nel ‘altro, alle cui pagine mi accosto con molta più bramosia - e con molto più successo -, entro nel vivo del a prolusione il cui prologo ho composto nel caffè del ‘albergo di Praga, la storia del a mia vita nei suoi aspetti più enigmatici ed esasperanti, la mia cronaca del ‘iniquo, del ‘ingovernabile e del sensazionale. . ovvero (a mo’ di titolo provvisorio) «Come David Kepesh è finito su una sedia a dondolo in una veranda sul e Catskil Mountains a guardare compiaciuto un’astemia insegnante venticinquenne di Schenectady, New York, che si aggira carponi per il giardino con una tuta che sembra presa a prestito da Tom Sawyer in persona, i capel i trattenuti sul a nuca da un pezzo del a stessa corda verde con cui lega le sue svenevoli begonie, e un delicato, innocente viso mennonita, piccolo e intel igente come quel o di un procione, sporco di terra come in vista di una notte indiana al campo estivo 82
femminile degli scout. E la felicità di lui nel e sue mani». -
Perché non vieni ad aiutarmi con le erbacce? - mi chiama. - Tolstoj l’avrebbe fatto. -
Lui era un romanziere coi fiocchi, - dico. - Loro devono farlo per accumulare Esperienza. Io no. A me basta guardare te che cammini sul e ginocchia. - Be’, se ti piace, - dice lei. Ah, Clarissa, lascia che ti dica una cosa: tutto ciò che è mi piace. Il laghetto in cui nuotiamo. Il nostro meleto. I temporali. Il barbecue. La musica che ascoltiamo. Le conversazioni a letto. Il tè freddo di tua nonna. Le discussioni per decidere quale passeggiata fare al mattino e quale al tramonto. Guardarti mentre sbucci le pesche o sgrani il granturco a capo chino. . Oh, niente di che, davvero, quel che mi piace.
Niente di che! Le nazioni si fanno guerra per questo niente di che, e senza questo niente di che, le persone avvizziscono e muoiono. Certo, ormai la passione fra noi non è più quel a che era nel e domeniche trascorse avvinghiati nel mio letto fino alle tre del pomeriggio - «il fiorito sentiero verso la pazzia», come Claire ha definito una volta quei rapaci esercizi dopo i quali ci alzavamo per cambiare le lenzuola con gambe malferme da viaggiatori esausti, ci abbracciavamo sotto la doccia e infine uscivamo a prendere un po’
d’aria prima che il sole invernale calasse. Che, una volta cominciato, il nostro fare l’amore potesse seguitare con immutata intensità per quasi un anno - che due insegnanti operosi, responsabili, idealisti potessero incol arsi l’uno all’altra come mute creature marine giungendo, prima di traboccare, a un soffio dal lacerarsi le carni con fauci cannibalesche -, ebbene, è assai più di quanto avrei mai osato immaginare, dopo aver già tanto combattuto
- già tanto puntato e già tanto perduto - sotto il cencioso stendardo scarlatto di Sua Altezza Reale, la mia lussuria. Stabilizzazione. La torrida frenesia cede a una pacata affezione fisica. E’ così che preferisco definire quel che sta accadendo alla nostra passione nel corso di questa estate beata. Dovrei pensarla altrimenti - dovrei credere che, invece di adagiarmi su un temperato altopiano di dolce, confortevole intimità, sto scivolando a precipizio giù da una scarpata e prima o poi precipiterò in una fredda e solitaria caverna? Certo, l’elemento vagamente brutale si è volatilizzato; si è persa la miscela di tenerezza e ferocia, i lividi bluastri segno di un completo soggiogamento, l’elettrizzante licenziosità del e parole volgari alitate al picco del piacere. Non soccombiamo più al desiderio, e neppure ci tocchiamo dappertutto palpandoci e impastandoci e manipolandoci con quel a fol e insaziabilità così aliena da quel che altrimenti siamo. E
vero, non c’è più in me quel po’ di bruto, non c’è più in lei quel po’
di sgualdrina, né l’uno né l’altra siamo più il pazzo smanioso, la bambina depravata, l’implacabile stupratore, l’inerme impalata. I denti, che una volta erano lame e tenaglie, denti di gattini e cagnolini pronti a infliggere dolore, sono di nuovo solamente denti, e le lingue sono lingue, e le membra membra. Ed è, come tutti sappiamo, così che dev’essere. E
questa volta non ho intenzione di litigare o deprimermi o struggermi o disperarmi. Non farò una religione di ciò che sta svanendo
- del mio ardore per quel a coppa in cui affondo il viso come per suggere l’ultima stil a di uno sciroppo da ingurgitare a più non posso. . del a cruda eccitazione di quel a stretta, quel pompare così forte, così rapido, così inflessibile che se io non gemessi per avvertirla che sono prosciugato, disfatto, intorpidito, lei continuerebbe, in quel o sfrenato stato di fervore che rasenta l’efferatezza, fino a mungermi la vita stessa dal corpo. Non farò una religione del a meravigliosa visione di lei mezza svestita. No, non voglio farmi il usioni sul ‘eventualità di una replica in grande stile del dramma che a quanto pare abbiamo smesso di recitare, quel teatro clandestino, sotterraneo, incensurato, di quattro identità furtive - le due che ansimano nel a performance e le due che guardano ansimanti -
quando qualsivoglia preoccupazione per l’igiene, il clima, l’ora del giorno o del a notte era una ridicola insulsaggine. Affermo di essere un uomo nuovo - cioè di non essere più un uomo nuovo - e di sapere quando la mia ora è giunta: adesso mi basta carezzarle i 83
lunghi, morbidi capel i, mi basta restarle coricato accanto la mattina nel nostro letto, svegliarmi abbracciato a lei, accoppiato, innamorato. Sì, ho deciso di accontentarmi di questo. Mi basta. Niente più di più. E di fronte a chi cado in ginocchio implorando di accettare questo accordo? A chi spetta decidere quanto lontano da Claire finirò per trovarmi? Il ustri signori di Letteratura 341, concorderete con me che potrei, dovrei, devo essere io. Nel tardo pomeriggio di una del e più bel e giornate di agosto, con quasi cinquanta simili giornate già immagazzinate nel a memoria e la profonda soddisfazione di sapere che ce ne sono in serbo ancora una ventina, un pomeriggio in cui la mia sensazione di benessere è il imitata e non riesco a immaginare nessuno più felice o fortunato di me, ricevo una visita del a mia ex moglie. In seguito ci penserò per giorni, immaginando ogni volta il telefono che squil a oppure l’auto di Helen che compare sul ripido viale d’accesso. Ogni mattina mi aspetterò di trovare una lettera su di lei che mi informa che è di nuovo scappata a Hong Kong, oppure che è morta. Svegliandomi nel cuore del a notte ricordando come vivevo una volta e come vivo adesso - e mi succede ancora, troppo spesso -, mi avvinghierò alla mia compagna addormentata, come se fosse lei ad avere dieci anni più di me - venti, trent’anni più di me - invece che il contrario. Sono fuori su una sedia a sdraio accanto al frutteto, le gambe al sole e la testa all’ombra, quando sento il telefono che squil a dentro casa, dove Claire si sta preparando per andare a nuotare. Non ho ancora deciso - di tali decisioni sono fatte le mie giornate - se la accompagnerò al laghetto o resterò qui tranquil o a lavorare finché sarà ora di dare acqua alle calendule e stappare il vino. E’ da dopo pranzo che sono qui - solo io, i calabroni e le farfalle, e di tanto in tanto Dazzle, il vecchio labrador di Claire - a leggere Colette e prendere appunti per il corso che ormai qui chiamiamo Desiderio 341.
Scorrendo una pila di suoi libri, mi chiedo se ci sia mai stato in America un romanziere con un punto di vista anche solo vagamente simile a quel o di Colette a proposito del prendere e dare piacere, uno scrittore americano, uomo o donna, sensibile quanto lei agli aromi, alle temperature e ai colori, altrettanto devoto all’intera gamma del e voglie del corpo, altrettanto in sintonia con qualsivoglia appagamento sensoriale offerto dal mondo, altrettanto ferrato nel e più sottili gradazioni del sentimento amoroso, e nondimeno immune da ogni sorta di fanatismo, eccetto, nel caso di Colette, una fanatica devozione all’onorevole sopravvivenza del sé. La sua natura appare squisitamente suscettibile a tutto ciò che il desiderio brama e promette - «quei piaceri che con leggerezza si definiscono fisici»
-, ciononostante sembra del tutto esente da scrupoli di coscienza puritani, impulsi omicidi, megalomania, ambizioni sinistre, vendicativa rabbia di classe o lagnanze sociali. La si direbbe un’egotista, nel senso più frizzante del a parola, la più pragmatica dei sensualisti, con una capacità di sana introspezione in perfetto equilibrio con la capacità di lasciarsi andare. . Il primo foglio del mio taccuino giallo è cosparso di disordinati e frammentari appunti per una lezione - lungo un margine c’è una lunga lista di romanzieri moderni, sia europei sia americani, fra cui il rispettabile, robusto paganesimo borghese di Colette mi sembra ancora unico - quando Claire sbuca dalla porta a zanzariera del a cucina, in costume da bagno e con l’accappatoio bianco sottobraccio. Il libro che ha in mano è I turbamenti del giovane Tòrless di Musil, la copia che ho finito di sottolineare solo la sera prima. Quanto mi fa piacere la sua curiosità per i libri che insegnerò! E posare lo sguardo sul a curva dei suoi seni sopra il reggipetto del bikini, be’, è un’altra del e soddisfazioni di questa splendida giornata. - Senti, -
dico, abbrancando il polpaccio del a sua gamba più vicina, - secondo te perché non esiste una Colette americana? Forse è Updike quel o che ci va più vicino? Di sicuro non Henry Mil er. Di sicuro non Hawthorne. - Una telefonata per te, - dice. - Helen Kepesh. - Mio Dio -. Guardo l’orologio, per quel o che può aiutare. - Che ora sarà in California?
Cosa può volere? Come mi ha trovato? - E’ una chiamata locale. -
Davvero? - Credo di sì. Non mi sono ancora mosso dalla sedia. - Ed è così che ha 84
detto, Helen Kepesh? -Sì. - Pensavo che avesse ripreso il suo cognome. Claire fa spallucce. -
Le hai detto che ci sono? - Vuoi che le dica che non ci sei? - Cosa può volere? - Chiedilo a lei,
- dice Claire. - O preferisci di no? - Ci sarebbe qualcosa di male se andassi a riagganciare? -
Niente di male, - dice Claire. - Però rivelerebbe un’ansia eccessiva. - Ma io provo un’ansia eccessiva. Io provo una felicità eccessiva. E tutto così perfetto -. Poso dieci dita sul a morbida curva di carne sopra il reggipetto. - Oh, mia cara, cara amica.
- Io aspetto qui, - dice. - Poi ci vengo a nuotare con te. - Okay. Va bene. - Al ora aspettami! Non sarebbe né crudele né codardo, mi dico abbassando lo sguardo sul telefono sul tavolo del a cucina - sarebbe anzi la cosa più sensata da fare. Se non che Helen è ancora una del e cinque o sei persone più vicine alla mia vita. - Ciao, - dico. - Ciao.
Oh, ciao. Che strano sentirti al telefono, David. Stavo per lasciar perdere. Solo che mi trovo dalle tue parti. Siamo al distributore del a Texaco, davanti a un’agenzia immobiliare. - Sì, ho presente. - Non me la sentivo di passare da qui senza neanche chiamarti. Come stai? - Come hai fatto a sapere che ero qui? - Ti ho cercato a New York qualche giorno fa. Ho chiamato il col ege, e la segretaria del dipartimento ha detto che non era autorizzata a divulgare il tuo indirizzo estivo. Ho detto che ero una tua ex studentessa e che di sicuro non ti sarebbe dispiaciuto. Ma lei è stata inflessibile sul a privacy del professor Kepesh. Niente da fare, con quel a signora. - Al ora come hai fatto a trovarmi? - Ho chiamato gli Schonbrunn. - Perbacco. - Ma è un caso se ci siamo fermati qui a fare benzina. Strano, lo so, ma vero. E non così strano, dopotutto, viste le cose davvero strane che succedono. Sta mentendo e io non mi lascio abbindolare. Dalla finestra vedo Claire con in mano il libro chiuso. Potremmo già essere in macchina, diretti al laghetto. - Cosa vuoi, Helen? - Da te?
Niente, proprio niente. Sono sposata adesso. - Non lo sapevo. - E’ per questo che ero a New York. Siamo stati a trovare i parenti di mio marito. Adesso siamo diretti nel Vermont.
Hanno una casa per le vacanze lì -. Ride, una risata molto affascinante. Mi ricorda quando eravamo a letto insieme. - Ci credi se ti dico che non sono mai stata nel New England? - Be’,
- dico, - non è esattamente Rangoon. - Anche Rangoon non lo è più. - Come va la salute?
Ho sentito che sei stata molto male. - Ora va meglio. Per un po’ me la sono vista brutta. Ma il peggio è passato. E come stai tu? - Anche per me il peggio è passato. - Mi piacerebbe vederti, se possibile. Siamo tanto lontani da casa tua? Mi piacerebbe parlare con te, solo per un po’. . - Di cosa? - Ti devo qualche spiegazione. - No. Non più di quante te ne debba io. A questo punto è meglio lasciar perdere le spiegazioni.
- Ero fuori di testa, David, stavo impazzendo. . David, sono cose difficili da dire in mezzo alle latte di olio per motore. - Al ora non dirle. - Devo dirle. Fuori, seduta sul a mia sdraio, Claire sta sfogliando il «Times». - E’ meglio se vai a nuotare senza di me, - dico.
- Helen sta venendo qui, con il marito. - Si è sposata? - Così dice. -
Al ora perché quel ‘Helen «Kepesh?» - Forse per far capire chi era a te.
O a me. - O a se stessa, - dice Claire. - Ti senti più tranquil o se io non ci sono? -
Certo che no. Solo pensavo che tu preferissi andare a nuotare. - Solo se lo preferisci tu. . -
No, assolutamente no. - Dove sono adesso? - Giù in paese. - E’ venuta fin qui?. . Non capisco. E se non fossimo stati a casa? - Ha detto che sono di passaggio. Vanno nel a casa di famiglia di lui, nel Vermont. - Non hanno fatto la superstrada?
- Tesoro, cosa ti prende? No, non hanno fatto la superstrada. Magari fanno le strade secondarie per godersi il panorama. Che differenza fa?
Sarà una toccata e fuga. Sei stata tu a dire a me di non essere eccessivamente ansioso. - Ma non voglio che lei ti faccia del male. -
Non preoccuparti. Se è per questo che rimani. . A questo punto si alza di scatto e, sul ‘orlo del e lacrime (non l’ho mai vista così!), dice: -
Senti, è evidente che non mi vuoi tra i piedi. . - Si avvia rapida verso il punto dov’è 85
parcheggiata l’auto sul ‘altro lato del a casa, in un tratto di terreno spoglio accanto al vecchio granaio decrepito. E io la inseguo, correndo dietro al cane che pensa sia tutto un gioco. Di conseguenza ci troviamo accanto al granaio, ad aspettare insieme, quando arrivano i Lowery. Mentre la loro auto si inerpica per il lungo viale sterrato, Claire si infila l’accappatoio di spugna sul costume da bagno.
Io sono vestito con un paio di calzoncini di vel uto a coste, una vecchia maglietta sbiadita e scarpe da ginnastica consunte, roba che probabilmente avevo già ai tempi di Syracuse. Helen non faticherà a riconoscermi. E io la riconoscerò? Posso spiegare a Claire, -
avrei dovuto farlo? - che in realtà voglio solo vedere. . Avevo sentito dire che, all’apice del a sua sfilza di malanni, Helen era aumentata di sette o otto chili. Se è vero, adesso tutto quel peso l’ha perso, e anche qualcosa di più. Quando scende dall’auto, è esattamente come la ricordavo. Forse è un po’ più pallida - o meglio, non è pallida nel senso lindo e quacchero a cui ormai sono abituato. Il pallore di Helen è luminoso, trasparente. Solo dalla magrezza del e braccia e del col o si evince che è stata male di salute. E soprattutto, ora è una donna di trentacinque anni. Per il resto, è la solita Sfolgorante Creatura. Il marito mi stringe la mano. Mi aspettavo un uomo più alto e più vecchio,
- forse capita sempre così. Lowery ha una barba nera tagliata corta, occhiali rotondi di tartaruga e un fisico compatto, robusto, atletico.
Entrambi indossano jeans, sandali e polo colorate, e hanno i capel i tagliati in stile Principe Valiant. L’unico gioiel o che indossano è la fede. Il che non significa nul a. Magari gli smeraldi sono in cassaforte. Giriamo intorno alla casa come se fossero potenziali acquirenti mandati dall’agenzia immobiliare; come se fossero la nuova coppia di vicini venuta a fare conoscenza; come se fossero quel o che sono - un’ex moglie con il nuovo marito, una persona che ormai non significa nul a, un artefatto di scarso interesse storico riesumato durante uno scavo archeologico di routine. Sì, darle le indicazioni per raggiungere il nostro perfetto rifugio non è stato un errore né sconsiderato né, lo sa Iddio, pericoloso. Altrimenti come avrei potuto accertarmi di essere ormai dehelenizzato? Come avrei potuto scoprire che questa donna non può più ferirmi né affascinarmi, che solo il più benevolo e volenteroso degli spiriti femminili sa ormai stregarmi?
Quanto aveva ragione Claire a consigliarmi di non essere eccessivamente ansioso; prima, naturalmente, di diventare lei - senza dubbio a causa del a mia confusione dopo la telefonata - eccessivamente ansiosa. Ora Claire ci precede di qualche metro, insieme a Les Lowery. Sono diretti verso la quercia annerita e danneggiata al limitare del bosco.
Al ‘inizio del ‘estate, nel corso di un drammatico temporale durato un giorno intero, l’albero è stato colpito da un fulmine che l’ha spaccato in due. Mentre facevamo il giro del a casa e del giardino, Claire ha raccontato, in tono leggermente sovreccitato, del e violente tempeste dei primi di luglio; un po’ sovreccitata, un po’ infantile. In precedenza non ho mai riflettuto su quanto dovesse apparirle sinistra Helen dai miei racconti sul a sua tendenza a creare problemi; non mi sono mai reso conto di quante volte nei primi mesi le ho raccontato di lei. Non c’è da stupirsi se si è attaccata al silenzioso marito, che fra l’altro sembra più vicino a lei come età e come spirito, e che, si scopre, è come lei abbonato a «Natural History» e all’«Audubon Magazine». Qualche minuto prima, in veranda, Claire ha identificato per i Lowery le conchiglie di Cape Cod disposte su un vassoio di vimini al centro del a tavola, fra gli antichi candelieri di peltro dono di laurea del a nonna. Mentre la mia anima gemel a e la sua anima gemel a esaminano il tronco bruciato del a quercia, io e Helen torniamo in veranda. Lei mi sta ancora raccontando di lui. E’ avvocato, alpinista, sciatore, ed è divorziato, con due figlie adolescenti; in società con un architetto ha fatto fortuna come imprenditore edile; ultimamente è apparso sui giornali per il suo ruolo di consulente investigativo per il comitato statale del a California che indaga sui legami fra il crimine organizzato e la polizia del a Marin County. . Vedo che Lowery si sta allontanando lungo il 86
sentiero che, attraverso i boschi, arriva alle scoscese formazioni rocciose che Claire ha fotografato per tutta l’estate. Claire e Dazzle invece stanno tornando verso casa. Dico a Helen: - Sembra un po’ giovane per essere un tale Karenin. - Anch’io farei del sarcasmo, -
ribatte lei, - se fossi in te e pensassi che io sono ancora la stessa. Mi ha stupito che tu sia venuto al telefono. Ma è perché sei un uomo gentile. Lo sei sempre stato. - Oh, Helen, cosa c’è?
Serba l’«uomo gentile» per la mia lapide. Potrai anche avere una nuova vita, ma questo modo di parlare. . - Quand’ero malata ho avuto un sacco di tempo per pensare. Ho pensato a.. Ma io non voglio saperlo. - Com’è stata, - dico, interrompendola, - la tua conversazione con gli Schonbrunn? - Ho parlato con Arthur. Lei non c’era. - E come ha reagito sentendoti dopo tutto questo tempo? - Oh, ha reagito bene. - Francamente mi ha stupito che abbia accettato di aiutarti. E mi stupisce anche che tu gliel’abbia chiesto. A quanto ricordo, non è mai stato un tuo ammiratore. . e neanche tu eri una loro ammiratrice.
- Io e Arthur abbiamo cambiato idea l’uno riguardo all’altra. - Da quando? Ti facevi sempre beffe di lui. - Non più. Non ridicolizzo le persone che ammettono quel o che vogliono. O
almeno ammettono quel o che gli manca.- E Arthur cosa vuole? Mi stai dicendo che Arthur ha sempre voluto te? - Non so se mi ha sempre voluto. - Oh, Helen, trovo difficile crederci. -
Io non ho mai sentito niente di più facile da credere. - E scusa, cos’è esattamente che dovrei credere? - Quando noi due siamo tornati da Hong Kong, quando tu te ne sei andato e io sono rimasta sola, una sera ha telefonato e ha chiesto se poteva venire da me a fare due chiacchiere.
Era molto preoccupato per te. Così è venuto direttamente dall’università
- erano circa le nove - e per quasi un’ora mi ha parlato di quanto tu eri infelice. Al a fine ho detto che io non potevo farci niente, e allora lui mi ha chiesto se una volta potevamo vederci a pranzo a San Francisco. Ho risposto che non sapevo, che mi sentivo anch’io molto giù, e lui mi ha baciata. Poi mi ha fatta sedere e si è seduto anche lui e mi ha spiegato che non l’aveva fatto con premeditazione e che non dovevo fraintenderlo. Era ancora felicemente sposato, e dopo tutti questi anni aveva ancora una forte relazione fisica con Debbie, anzi le doveva la vita. Poi mi ha raccontato una storia straziante su una ragazza fuori di testa, una bibliotecaria che aveva quasi sposato in Minnesota, e che una volta a colazione l’aveva inseguito con una forchetta e gliel’aveva conficcata nel a mano. Si chiedeva ancora come sarebbe andata a finire se avesse ceduto e l’avesse sposata.. magari con un omicidio.
Mi ha mostrato la cicatrice del a forchetta. Ha detto che incontrare Debbie era stata la sua salvezza, che tutto quel o che ha lo deve alla devozione e all’amore di lei. Poi ha di nuovo cercato di baciarmi, e quando gli ho detto che non pensavo fosse una buona idea, lui mi ha detto che avevo perfettamente ragione e che si era ingannato sul mio conto e che voleva ancora venire a pranzo con me. Io non avrei potuto sopportare altra confusione, perciò ho detto di sì. Lui ha prenotato in un posto a Chinatown dove, te l’assicuro, nessuno che lui conoscesse, o che io conoscessi, o che chiunque conoscesse, poteva sorprenderci insieme.
Ed ecco tutto. Poi quel ‘estate, quando si sono trasferiti a est, ha cominciato a scrivermi del e lettere. Le ricevo ancora, una ogni qualche mese. - Continua. Cosa dicono? - Oh, sono scritte meravigliosamente bene, - dice lei con un sorriso. - Mi sa che le riscrive dieci volte quel e frasi prima di essere soddisfatto. Il tipo di lettere che il redattore del a sezione poesia del a rivista universitaria scrive a tarda notte alla sua ragazza del o Smith Col ege.
«Il clima, rigido e pungente come la lisca di un pesce», e così via. A volte ci infila anche qualche verso da grandi poesie su Venere, Cleopatra ed Elena di Troia. - «Ecco colei che fu il desiderio del mondo»1. - Esatto. . questa è una. In realtà l’ho trovata pure un po’
offensiva. Anche se non può esserlo visto che è una poesia tanto
«grande». Comunque in un modo o nel ‘altro mi fa sempre capire che non c’è 87
bisogno che io risponda; perciò non lo faccio. Perché sorridi? E’
davvero molto dolce. Be’, è qualcosa. Chi l’avrebbe mai detto? -
Sorrido, - dico, - perché anch’io ho le mie lettere da casa Schonbrunn, però me le ha spedite lei. - Questa sì che è difficile da credere. - No, non se tu le avessi viste. Per me niente versi da grandi poesie. Claire è ancora lontana una ventina di metri, tuttavia smettiamo entrambi di parlare mentre lei si avvicina. Perché? Chi lo sa! Se solo non l’avessimo fatto!
Potevo tirare fuori qualche stupidaggine, raccontare una barzel etta, recitare una poesia, qualunque cosa purché Claire non trovasse questo silenzio da cospiratori una volta varcata la porta a zanzariera. Purché non mi vedesse ammaliato mio malgrado dalla presenza di Helen.
Nota: 1 This is She That Was the World’s Desire è il titolo di una poesia di Edith Sitwel [N. d. T.)
Immediatamente si irrigidisce, e prende una decisione. - Vado a nuotare.
- Cosa ne è stato di Les? - chiede Helen. - Fa una passeggiata. - Non vuoi un po’ di tè freddo? - chiedo a Claire. - Perché non ci facciamo tutti un bel bicchiere di tè freddo? - No.
Ciao -. E, con quel secco saluto rivolto all’ospite, se ne va. Da dove sono seduto vedo la nostra auto che scende la col ina fino alla strada asfaltata. Cosa pensa che stiamo complottando? Cosa stiamo complottando? Quando l’auto è scomparsa, Helen dice: - E’ così dolce. - E io sono un «uomo gentile», -
dico. - Scusami se ho irritato la tua amica venendo qui. Non ne avevo intenzione. -
Le passerà. E’ una ragazza forte. - E non avevo intenzione di farti del male. Non è per questo che ho voluto vederti. Taccio. - Una volta invece sì che avevo intenzione di farti del male, -
dice. - Non sei l’unica responsabile di quel ‘infelicità. - Quel o che mi hai fatto tu lo hai fatto senza volerlo, l’hai fatto perché sei stato provocato.
Io invece ti ho torturato volutamente. - Stai riscrivendo la storia, Helen. Non è necessario. Ci siamo tormentati l’un l’altra, certo, ma non è stato per cattiveria. Per confusione, per ignoranza, e per tante altre cose, ma se fosse stato per cattiveria non saremmo rimasti insieme così a lungo. - Lo facevo apposta a bruciare quei cazzo di toast. - A quanto ricordo erano le cazzo di uova quel e che facevi bruciare. I cazzo di toast non li preparavi neanche. - Lo facevo apposta a non spedire le tue lettere. - Perché mi stai dicendo queste cose? Per castigarti, per assolverti in qualche modo, o solo per suscitare una reazione in me?
Anche se è vero, non voglio saperlo. E’ roba morta e sepolta. - E’ solo che ho sempre odiato il modo in cui la gente ammazza il tempo. Io avevo piani grandiosi per la mia vita. -
Ricordo. - Be’, anche quel a roba è morta e sepolta. Adesso mi accontento di quel che c’è, e ringrazio pure.
- Oh, non esagerare con la compunzione. Con Mr Lowery non hai certo raschiato il fondo del barile. Sembra una persona molto determinata, che sa il fatto suo. Sembra uno con cui congiurare, uno che tiene testa contemporaneamente alla mafia e alla polizia.
Sembra un tipo coraggioso, un uomo di mondo. Fa proprio per te. E a quanto pare ve la passate bene.
- Dici? - Sei in splendida forma, - dico, e subito me ne pento. Ma allora perché poi aggiungo: «Sei stupenda?» Per la prima volta da quando Claire è entrata in veranda, restiamo di nuovo in silenzio. Ci guardiamo dritti negli occhi, come estranei che finalmente osano fissarsi apertamente e senza ambiguità - pronti a lanciarsi nel a più svergognata ed eccitante copulazione. Presumo che non ci sia modo di evitare un minimo - se non un po’
più del minimo - di civetteria. Forse dovrei ammetterlo. O forse no. Forse dovrei solo distogliere lo sguardo. - Di cosa ti sei ammalata? - Ammalata? Di un po’ di tutto. Ho visto 88
almeno cinquanta medici. Non facevo altro che sedere in sale d’aspetto e farmi radiografie e prelievi e iniezioni di cortisone e passare in farmacia e buttar giù le pastiglie sperando che mi guarissero all’istante. Avresti dovuto vedere il mio armadietto dei medicinali. Invece del e bel e creme e lozioni del a contessa Olga, boccette e boccette di orribili pasticche
- e nessuna che mi facesse niente, a parte rovinarmi lo stomaco. Per più di un anno il naso non ha smesso di colarmi. Starnutivo per ore e ore, non riuscivo a respirare, ero tutta gonfia in faccia, mi prudevano sempre gli occhi, e poi mi sono venuti degli orribili eczemi.
Quando andavo a dormire pregavo che se ne andassero com’erano venuti, che la mattina fossero scomparsi. Un allergologo mi ha consigliato di trasferirmi in Arizona, un altro mi ha detto che non sarebbe servito perché era tutto nel a mia testa, e un altro mi ha spiegato con dovizia di particolari che ero allergica a me stessa, o qualcosa del genere, così sono tornata a casa, mi sono messa a letto, mi sono tirata le coperte sul a faccia e ho immaginato di farmi togliere tutto il sangue per sostituirlo con il sangue di qualcun altro, un sangue con cui poter passare il resto del a mia vita. Sono quasi uscita di senno. Certe mattine avrei voluto buttarmi dalla finestra. - Però alla fine ti sei rimessa. - Ho cominciato a uscire con Les, - dice Helen. - E’ così che è andata. Mi sono passati tutti i disturbi, uno dopo l’altro. Non so come facesse a sopportarmi. Ero orrenda. - Forse non eri poi tanto orrenda. A quanto pare si è innamorato di te. - Quando sono guarita mi è presa la paura. Pensavo che senza di lui mi sarei ammalata di nuovo. E mi sarei rimessa a bere - perché in qualche modo era riuscito anche a farmi smettere di bere. La prima volta che mi è venuto a prendere, con quel ‘aria così forte e virile e spavalda, gli ho detto: «Senti, Mr Lowery, ho trentaquattro anni, e sto male come un cane, e non mi piace essere sodomizzata». E lui ha detto: «Lo so quanti anni hai, e tutti a volte stanno male, e la sodomia non mi interessa». Così siamo usciti e lui era così sicuro di sé, e si è innamorato di me. . e ovviamente del ‘idea di salvarmi. Ma io non lo amavo. E volevo sempre piantarlo.
Solo che quando era finita, quando avrebbe dovuto essere finita, mi prendeva una tale paura.. Così ci siamo sposati. Non commento. Distolgo lo sguardo. - Sto per avere un bambino, - dice. - Congratulazioni.
Quando? - Appena potrò. Vedi, non mi importa più di essere felice. Ci ho rinunciato.
Mi importa solo di non essere torturata. Sono disposta a tutto. Ad avere dieci figli, ad averne venti, se lui vuole così. E
potrebbe volerlo. E’ un uomo, David, che non esita di fronte a nul a.
Aveva una moglie e due figlie quando ancora studiava legge, - era già nel ‘edilizia quando ancora studiava legge - e adesso vuole una seconda famiglia, con me. E io lo accontenterò. Cos’altro può fare, una che una volta era il desiderio del mondo? Aprire un bel negozietto di antiquariato? Diventare una di quel e bel ezze sfiorite? Laurearsi e trovare un impiego? Diventare una di quel e bel ezze sfiorite? - Se non puoi avere vent’anni e veleggiare fra le giunche al tramonto. . Ma questa discussione l’abbiamo già fatta. Non è più affar mio. - E che mi dici dei tuoi affari? Sposerai Miss Ovington? - Forse. - Cosa ti trattiene?
Non rispondo. - E’ giovane, è graziosa, è intel igente, è colta, e sotto quel ‘accappatoio mi è sembrata ben fatta. E in più ha qualcosa di infantile e innocente che io non ho mai avuto. E’
una che sa accontentarsi, immagino. Come fanno, lo sai? Come fanno a essere così buone?
Mi sarei stupita se non fosse stata così. Bril ante e carina e buona. Anche Leslie è bril ante e carino e buono. Oh, David, come fai a reggere? - Perché anch’io sono bril ante e carino e buono. - No, mio caro vecchio compagno, non come loro. A loro viene spontaneo, naturale.
Tu puoi sforzarti quanto vuoi, ma è diverso, anche per un maestro del a repressione come te. Tu non sei uno di loro, e non sei neanche un povero Arthur Schonbrunn. Non ribatto. - Non ti dà nemmeno un po’ fastidio che lei sia così bril ante e carina e buona? -
chiede Helen. - Con le sue conchiglie e le aiuole e il cagnolino, e le ricette attaccate sopra il lavel o? - E’ questo che sei venuta a dirmi, Helen? - No. Non è questo.
89
Certo che no. Non sono venuta a dirti nessuna di queste cose. Tu sei un tipo bril ante: lo sai benissimo perché sono venuta. Per farti vedere mio marito. Per farti vedere come sono cambiata, in meglio, ovviamente, e. . e altre bugie assortite. Pensavo di ingannare anche me stessa.
David, sono venuta perché volevo parlare con un amico, per quanto possa sembrare strano. A volte penso a te come all’unico amico che mi è rimasto. Era così quando stavo male. Non è bizzarro? Una notte stavo per chiamarti. . ma sapevo che adesso non erano più affari tuoi. Vedi, sono incinta. Voglio che tu mi dica una cosa. Che tu mi dica cosa dovrei fare secondo te. Qualcuno deve dirmelo. Sono già di due mesi, e se aspetto ancora dovrò tenerlo. E non reggo più mio marito. Ma d’altronde non reggo nessuno. Qualunque cosa chiunque dica mi sembra sbagliata, mi fa infuriare. Non ho intenzione di litigare con nessuno. Non oserei mai.
Ascolto e annuisco e sorrido. Dovresti vedere come compiaccio la gente di questi tempi. Ascolto Les, e annuisco e sorrido, e penso che morirò di noia. Qualsiasi cosa faccia mi irrita a morte. Ma non posso stare di nuovo così male e ritrovarmi da sola. Non ce la farei.
Posso affrontare la solitudine, e posso anche affrontare il malessere fisico, ma le due cose insieme no. E stato troppo atroce, ed è durato troppo, non ne ho più il coraggio. A quanto pare ho esaurito le scorte, dentro di me non c’è più un briciolo di coraggio. Devo averlo, questo bambino. Devo dirgli che sono incinta - e che lo avrò. Perché se non lo faccio, non so cosa mi succederà. Non posso lasciarlo. Ho il terrore di stare di nuovo male, con tutto il corpo che mi prude, e il fiato che mi manca - e non serve sentirsi dire che è tutto nel a testa, se poi non passa. Solo lui è riuscito a farmelo passare. Sì, lui ha mandato via tutto! Oh, è tutto così assurdo. Le cose dovevano andare diversamente! Se solo la moglie di Jimmy avesse fatto la fine che lui le aveva architettato, allora sì!
Avrei avuto quel che volevo. E non mi sarebbe neanche dispiaciuto per lei. Che piaccia o meno, è questa la verità. Non mi sarei sentita in colpa nemmeno per un istante.
Sarei stata felice. E lei avrebbe avuto quel che si meritava. Invece sono stata buona - e lei ha rovinato la vita a se stessa e al marito. Ho rifiutato di comportarmi in modo terribile, e il risultato è questa terribile infelicità. Ogni notte mi rigiro nel letto con l’incubo di non amare nessuno. Al a fine, ed è trascorso un bel po’ di tempo, vedo Lowery che sbuca fuori dal bosco e scende verso casa. Si è tolto la maglietta e la tiene in mano. E un giovane forte e attraente, un uomo di grande successo, e la sua presenza nel a vita di lei in qualche modo l’ha rimessa in salute. . Solo che Helen ha la sfortuna di non sopportarlo. Ancora Jimmy -
ancora quei sogni di quel che avrebbe potuto e dovuto essere, se solo gli scrupoli morali non avessero interferito. - Forse amerò il bambino, - dice. -
Forse sì, - dico io. - A volte capita. - Però potrei anche odiarlo, -
dice Helen, alzandosi rigida per accogliere il marito. - Mi sa che a volte capita anche questo.
Dopo che se ne sono andati - proprio come una nuova coppia di vicini, con gran sorrisi e tanti auguri - mi infilo il costume da bagno e percorro a piedi il chilometro e mezzo di strada fino al laghetto. Non penso e non sento niente, sono intorpidito, come uno che si trova a passare sul luogo di un terribile incidente, o di un’esplosione, e dà una breve occhiata alla pozza di sangue e poi se ne va per la sua strada, incolume, per riprendere le sue incombenze quotidiane. Alcuni bambini piccoli giocano con palette e secchiel i sul a riva, sorvegliati dal cane di Claire e da una bambinaia, che alza gli occhi e dice: -
Salve. - La ragazza sta leggendo, guarda caso, Jane Eyre. L’accappatoio di spugna di Claire è sul o scoglio su cui posiamo sempre le nostre cose, poi individuo anche lei: sta prendendo il sole sul a zattera.
90
Quando emergo dall’acqua al suo fianco, vedo che ha pianto. - Scusa se ho reagito così, - dice. - Non scusarti. Eravamo tutt’e due scombussolati. Queste cose non filano mai troppo lisce. Si rimette a piangere, il più silenziosamente possibile. La prima del e sue lacrime che io abbia mai visto. - Cosa c’è, mia adorata? - Mi sento così fortunata. Mi sento così privilegiata. Ti amo. Sei diventato tutta la mia vita. - Davvero? Questo la fa ridere. - Ti spaventa un po’
sentirmelo dire. Lo immaginavo. Non pensavo che fosse vero, fino a oggi.
Ma non sono mai stata tanto felice. - Clarissa, perché sei ancora così turbata? Non c’è nessun motivo, vero? Voltandosi dall’altra parte, borbotta qualcosa su suo padre e sua madre. - Non ti sento, Claire. -
Volevo che venissero a trovarci. Sono sorpreso, ma dico: - Al ora invitali. - L’ho fatto.
- Quando? - Non ha importanza. E’ solo che ho pensato. . niente. - Gli hai scritto? Spiegati, per favore. Vorrei capire cosa c’è che non va. - Non voglio parlarne. E’ stata una sciocchezza, un’ingenuità. Avevo perso la testa. - Gli hai telefonato? -
Sì. - Quando? - Prima. - Dopo che sei uscita di casa? Prima di venire qui? - Sì, giù in paese. - E? - Non avrei dovuto chiamarli senza preavviso. Non lo faccio mai. Non funziona e non funzionerà mai. Ma di sera quando ceniamo, quando siamo felici e contenti e tutto è così piacevole, mi viene sempre da pensare a loro. Metto su un disco, comincio a cucinare, ed eccoli li. Non lo sapevo. Lei non parla mai di ciò che le manca, non indugia neanche per un momento su perdite, disgrazie o delusioni. Dovresti torturarla per convincerla a lamentarsi.
E’ la persona ordinaria più straordinaria che abbia mai conosciuto. -
Oh, - dice, tirandosi su a sedere, - oh, questa giornata sarà bel a quando sarà finita.
Hai idea di quando succederà? - Claire, vuoi stare qui con me o vuoi stare da sola? Vuoi nuotare o vuoi tornare a casa a bere un po’ di tè freddo e a riposarti? - Se ne sono andati? -
Certo, se ne sono andati. - E tu, tutto bene? - Sono ancora intero. Più vecchio di un’ora, ma intero. - Com’è stato? - Per niente gradevole. Non ti è piaciuta, lo so, ma è ridotta male. .
Senti, non dobbiamo parlarne adesso. Non dobbiamo parlarne affatto. Vuoi andare a casa? -
Non ancora,
- dice Claire. Si tuffa dal bordo del a zattera, rimane invisibile per dieci secondi buoni, poi riemerge vicino alla scaletta. Quando si siede di nuovo al mio fianco, dice: - C’è una cosa di cui è meglio se parliamo subito. Un’altra cosa che avrei dovuto dirti. Sono stata incinta. Non volevo, ma adesso ho deciso di dirtelo. - Incinta di chi? Quando? Un debole sorriso. - In Europa, amore. Di te. Ne ho avuto la certezza quando siamo tornati a casa. Ho abortito. Quel e riunioni a cui sono andata.. in realtà ho passato la giornata in ospedale. - E
l’«infezione?» - Non avevo nessuna infezione. Helen è incinta di due mesi, e io sono l’unica persona a saperlo. Claire è stata incinta di me, e io non l’ho saputo. Sento che c’è qualcosa di molto triste sul o sfondo di questa giornata di confidenze e segreti, ma adesso non ho la forza di approfondire. Invece, fiaccato più di quanto pensavo dalla visita di Helen con tutto ciò che ne è derivato, sono pronto a pensare che la tristezza dipenda da qualcosa dentro di me; da come non sono mai riuscito a essere quel che le persone volevano o si aspettavano; da come non ho mai soddisfatto nessuno, neppure me stesso; da come, per quanto mi sia sforzato, non sono mai riuscito a essere né una cosa né l’altra, e probabilmente non ci riuscirò mai. . - Perché hai fatto tutto da sola?
- le chiedo. - Perché non me l’hai detto? - Sai, era proprio nel momento in cui cominciavi a lasciarti andare, e ho pensato che le cose dovevano procedere spontaneamente. Ti stavi arrendendo a qualcosa, e bisognava che fosse chiaro a entrambi di cosa esattamente si trattasse. Questo è chiaro? - Ma tu volevi averlo. - L’aborto? - No, il bambino. - Io voglio avere un bambino, certo. Voglio averlo con te. . non riesco a immaginare di averlo da nessun altro. Ma non prima che sia pronto anche tu. - E
91
quando hai fatto tutto questo, Claire? Com’è possibile che io non me ne sia accorto?
- Oh, me la sono cavata, - dice. - David, il punto è che non volevo neppure che tu lo volessi finché non fossi stato sicuro di essere soddisfatto di me, dei miei modi e di questa vita. Non voglio rendere infelice nessuno. Non voglio causare sofferenza a nessuno. Non voglio essere la prigione di nessuno. Sarebbe il destino peggiore che riesco a immaginare. Ti prego, lascia che ti dica quel che ho da dirti -
non c’è bisogno che tu dica cosa avresti detto o non avresti detto se io ti avessi raccontato ciò che stavo facendo. Non volevo che tu ti sentissi responsabile; non è tua responsabilità, e non può esserlo. Se c’è stato un errore, sono io che l’ho fatto. Adesso voglio solo dirti determinate cose, e voglio che tu le ascolti, poi andremo a casa e preparerò la cena. - Ti ascolto. - Amore mio, io non ero gelosa di lei, per niente. Sono abbastanza carina, e giovane, e grazie a Dio non sono
«dura» o «navigata», se è così che si dice. Davvero, non avevo paura. Se avessi avuto qualche dubbio non sarei venuta a stare qui con te. Ci sono rimasta un po’ male quando volevi che mi togliessi dai piedi, ma sono tornata alla casa solo per prendere la macchina fotografica. Volevo fare qualche foto di loro due insieme. Era un modo come un altro per passare il tempo finché erano qui. Ma quando ti ho visto da solo con lei, all’improvviso ho pensato: «Non posso farlo felice, non ne sono capace».
E all’improvviso mi sono chiesta se un’altra ne sarebbe stata capace.
Questo pensiero mi ha così turbata che sono dovuta andar via. Non so se quel o che ho pensato è vero o no. Forse non lo sai neanche tu. Forse invece sì. Sarebbe straziante lasciarti adesso, ma sono pronta a farlo, se ha un senso. Meglio adesso che fra tre o quattro anni, quando sarai presente in ogni mio respiro. Non è quel o che voglio, David; non è neppure una cosa che intendo proporre, neanche lontanamente. Dicendo queste cose si corre un terribile rischio di essere fraintesi, e ti prego, ti prego di non fraintendermi. Non sto proponendo niente. Ma se pensi di conoscere la risposta alla mia domanda, vorrei che tu me lo dicessi presto, perché se con me non puoi essere davvero soddisfatto, allora lascia che me ne vada a Vineyard. Posso rimettermi in sesto lì con Olivia fino a quando comincia la scuola. Dopo potrò farcela da sola.
Ma non voglio più concedermi a qualcosa che non abbia la prospettiva di evolvere un giorno in una famiglia. La mia famiglia non ha mai avuto un minimo di senso, e ne voglio una che ce l’abbia. Devo averla, non dico domani e nemmeno dopodomani, ma prima o poi la voglio. Altrimenti, meglio strappare subito le radici, prima che sia necessaria una sega.
Vorrei che ce la cavassimo entrambi senza sanguinose amputazioni. A questo punto, anche se il sole l’ha ormai asciugata, trema dalla testa ai piedi. - E’ tutto quel o che ho la forza di dire. Tu non sei tenuto a dire niente. Preferirei che non dicessi niente, non adesso.
Altrimenti il mio suonerebbe come un ultimatum, e non lo è. E’ una chiarificazione, ecco tutto. Non ne avevo intenzione, pensavo che ci avrebbe pensato il tempo. Però il tempo potrebbe anche uccidermi. Ma, ti prego, non ho bisogno di suoni rassicuranti a mo’ di risposta. E’ solo che a un tratto mi è sembrato che tutto potesse risolversi in una terribile delusione. E
stato spaventoso. Ti prego, non parlare. . a meno che tu sappia qualcosa che dovrei sapere anch’io. - No. - Al ora andiamo a casa. E alla fine, ci viene a trovare mio padre. Nel a lettera in cui si profonde in ringraziamenti per l’invito per il ponte del Labor Day che gli ho rivolto per telefono, mio padre chiede se può portare anche un amico, un altro vedovo a cui si è avvicinato negli ultimi mesi e che gli piacerebbe farmi conoscere. Ormai deve aver rinunciato alla carta intestata del ‘albergo, o averla terminata, perché la richiesta è scritta sul retro di un volantino del a federazione ebraica del a nassau county. Sotto l’intestazione è stampata una breve, pregnante epistola agli ebrei scritta in uno stile per me altrettanto riconoscibile di quel o di Hemingway o Faulkner.
92
Caro, accludo il modulo per un’offerta alla Federazione ebraica del a Nassau County.
Io, come ebreo, ti rivolgo un appel o personale. Inutile ribadire il nostro impegno per sostenere una patria per gli ebrei.
Abbiamo bisogno del ‘aiuto finanziario di ogni ebreo. Non dobbiamo mai più permettere un olocausto! Nessun ebreo può restare indifferente! Ti supplico di dare il tuo contributo. Prima che sia troppo tardi.
Cordialmente, Abe Kepesh Garfield Garden Apartments Condirettore Sul retro c’è la lettera per me e Claire, scritta con una penna a sfera nel a sua solita grafia il eggibile e sovradimensionata, e nondimeno altrettanto rivelatrice del ‘appel o stampato alla solidarietà ebraica (anzi, più rivelatrice, con quegli infantili geroglifici) di quali siano le smodate, fanatiche lealtà che adesso, in tarda età, lo affliggono a ogni ora del giorno con un dolore sordo, le acute trafitture di un sentimento selvaggio chiuso in gabbia. La mattina in cui riceviamo la sua lettera gli telefono all’ufficio del o zio Larry per dirgli che se non gli spiace dividere la nostra piccola camera degli ospiti con il suo amico, siamo lieti di ospitare anche Mr Barbatnik. - E’ che mi dispiace da matti lasciarlo qui solo durante le feste, Davey.
Altrimenti non ti darei questa seccatura. Forse sono stato troppo impulsivo a dire subito di sì, - mi spiega. - Spero che non sia un fastidio per Claire. Non voglio gravare su di lei, adesso che inizia la scuola, con tutto il lavoro che avrà da fare per prepararsi. - Oh, è già pronta, non preoccuparti, - e passo il telefono a Claire, che gli assicura che ha finito da tempo di preparare le lezioni, e che sarà un piacere averli tutt’e due da noi per il fine settimana. - E’
un uomo meraviglioso, meraviglioso, - si affretta a garantirle mio padre, come se avessimo ragione di sospettare che un suo amico potrebbe rivelarsi un alcolizzato, o un barbone, - ha avuto una vita incredibile. Lavora con me quando vado porta a porta per l’Uj0a/1. E ti assicuro che ne ho bisogno. Anzi, avrei bisogno di una bomba a mano. Provaci, a far tirar fuori i soldi alla gente. A fargli tirar fuori i sentimenti, e te ne accorgerai. Gli dici che ciò che è accaduto agli ebrei non deve accadere mai più e loro ti guardano come se non capissero a cosa ti riferisci.
Come se Hitler e i pogrom fossero una cosa che mi sono inventato io per spil argli i loro magri risparmi. C’è un tipo nel palazzo di fronte al nostro. Ha tre anni più di me ed è appena rimasto vedovo. Da giovane ha fatto un sacco di soldi con il contrabbando di liquori e chissà che altro e dovresti vederlo da quando gli è morta la moglie: a braccetto con una nuova sciacquetta ogni mese. A quel e li regala abiti costosi, le porta a vedere gli spettacoli a Broadway e mai che le accompagni al salone di bel ezza con qualcosa di meno di una Cadil ac Fleetwood, ma prova a chiedergli cento dol ari per l’Uja e ci manca poco che scoppia a piangere spiegandoti quanto gli vanno male gli affari negli ultimi tempi. Per fortuna mi so control are. Ma devo ammettere che a volte non ce la faccio, e se non fosse per Mr Barbatnik direi a quel figlio di puttana ciò che penso di lui. Quel tipo mi esaspera.
Ogni volta che passo da casa sua, dopo devo farmi dare un barbiturico da mia cognata.
Io che di solito non prendo neanche l’aspirina! - Mr Kepesh, - dice Claire, - si senta libero di portare anche Mr Barbatnik. Ma lui non si dà pace finché non le ha strappato la promessa che se verranno tutt’e due lei non si sentirà in obbligo di preparargli da mangiare tre volte al giorno. - Voglio la garanzia che farai come se non ci fossimo. - Ma che gusto ci sarebbe? Non sarebbe tutto più semplice se mi comportassi come se voi ci foste? - Ehi, - le dice lui, - sembri proprio una ragazza felice.
Nota: 1 United Jewish Appeal, organizzazione di beneficenza ebraica
[N.d.T.].
93
- Lo sono. Il mio calice trabocca. Anche se Claire tiene la cornetta vicino all’orecchio dall’altra parte del tavolo, odo chiaramente il seguito. Ciò dipende dal fatto che mio padre affronta le interurbane allo stesso modo in cui affronta qualunque enigma che sfugge alla sua comprensione - ritiene che le onde elettriche che trasmettono la sua voce non possano farcela senza il suo sentito e generoso supporto. Senza un duro lavoro. - Dio ti benedica, - le grida, - per quel o che stai facendo a mio figlio! - Be’, - sotto la sua abbronzatura è arrossita,
-
be’, anche lui sta facendo del e cose bel e per me. - Non ne dubito, -
dice mio padre. - Mi fa piacere sentirlo. Finora invece non aveva fatto altro che cacciarsi nei guai. Dimmi, si rende conto di quanto è stato fortunato a incontrarti? Ha trentaquattro anni, ormai è adulto, non è più un novel ino. Claire, è in grado di apprezzare quel o che ha? Lei cerca di cavarsela con una risata, e lui insiste per una risposta, ma alla fine se la dà da solo. - Non c’è alcun bisogno di perdere la bussola.. la vita è già abbastanza complicata. Perché farsi del male da soli? E invece è proprio quel che aveva fatto sposando quel a maliarda che si vestiva come Suzie Wong. Oh, meno si dice su di lei e il suo abbigliamento e meglio è. E quei profumi francesi. Scusa la franchezza, ma puzzava come il salone di un dannato barbiere. E poi non capirò mai come gli è saltato in testa di trasferirsi in quel ‘appartamento subaffittato con le pareti di tessuto rosso e tutto il resto. Non voglio neanche pensarci. Cara Claire, ascolta, finalmente con te ha trovato una persona degna.
Manca solo che tu riesca a fargli mettere radici nel a vita vera. - Oddio, - dice lei, non poco lusingata da quel torrente di emozioni che scorre nel a sua direzione, - più radicati di così. .
Prima che la venticinquenne riesca a trovare un modo per finire la frase, mio padre ricomincia a sbraitare: - Splendido, splendido, questa è la più bel a notizia che ricevo su di lui da quando ha finito la borsa di studio per fare lo zingaro in Europa e mi è tornato indietro tutto intero! In paese, nel o spiazzo dietro l’emporio, scende con cautela dall’alto scalino anteriore del ‘autobus da New York, ma poi, nonostante il caldo torrido - nonostante la sua età avanzata -, scatta in avanti, e non verso di me, ma, sul e ali del ‘impulso, verso la persona con cui non è ancora propriamente imparentato. Ci sono state quel e serate in cui lei gli ha servito la cena nel mio nuovo appartamento, e poi, quando ho tenuto all’università le conferenze aperte al pubblico sul ‘Uomo nel ‘astuccio, è stata Claire a scortare lui, mia zia e mio zio attraverso la biblioteca e a sedere loro accanto nel piccolo auditorium, indicando a richiesta quale di quei gentiluomini era il direttore del dipartimento e quale il preside. Ma adesso, mentre allarga le braccia per stringerla, è come se lei fosse già incinta del primo dei suoi nipoti, come se di fatto fosse la genitrice di ciò che c’è di più stimabile in quest’eletta stirpe di creature con cui lui ha legami di sangue e per cui trabocca di ammirazione. . tranne quando quel ‘appartenenza non gli si rivolta contro mostrando fauci e zanne e facendolo imbestialire. Vedendo Claire inghiottita da quel ‘estraneo, Dazzle comincia a fare grandi balzi nel a polvere ai piedi del a sua padrona - e, sebbene mio padre non abbia mai avuto una grande fiducia, né trovato molto da ammirare, negli esponenti del regno animale che si accoppiano al di fuori del vincolo nuziale e defecano per terra, mi sorprende che quel ‘esibizione di ostinata caninità da parte di Dazzle non distolga in alcun modo la sua attenzione dalla ragazza che tiene fra le braccia. Sul e prime mi chiedo se non sia una scena architettata per mettere a proprio agio Mr Barbatnik, dato che stanno per far visita a una coppia di umani non legalmente coniugati - se mio padre non intenda, attraverso l’intensità con cui strizza il corpo di lei, mettere a tacere i propri stessi scrupoli al riguardo. Non ricordo di averlo visto così determinato e vivace da prima del a malattia di mia madre. Oggi mi sembra addirittura un po’ svitato. Ma è sempre meglio di quel che mi aspettavo. Di solito quando ogni settimana lo chiamo, per quanto lui dica di essersi ripreso, c’è nel a sua voce una vena di malinconia così evidente che mi chiedo come possa ostinarsi a sostenere di stare bene, splendidamente bene, di non poter stare meglio. Il cupo «Sì, pronto» con cui 94
risponde al telefono basta a farmi capire cosa c’è sotto le sue
«attive» giornate - le mattine ad aiutare lo zio in ufficio, anche se lo zio non ha alcun bisogno di aiuto; i pomeriggi alla sauna del Centro ebraico a discutere di politica con i
«fascisti», uomini che chiama Von Epstein,Von Haberman e Von Lipschitz - i Gòring, Goebbels e Streicher locali, a quanto pare, che gli fanno venire le palpitazioni al cuore; e poi le interminabili serate a passare di porta in porta dai vicini per le sue varie cause filantropiche, a leggere ogni singolo articolo del
«Newsday», del «Post» e del «Times», a guardare il telegiornale del a Cbs per la seconda volta in quattro ore, e infine, a letto senza riuscire a dormire, ad aprire sul a coperta le copie carbone del e lettere ai suoi amati clienti ormai scomparsi. In alcuni casi forse più amati adesso che sono scomparsi di quando erano ancora vivi e nel a minestra c’era troppo poco orzo, nel a piscina troppo cloro e in sala da pranzo mai abbastanza camerieri. La sua corrispondenza. Ogni mese che passa diventa più arduo per lui tenere le fila di chi fra le centinaia e centinaia di vecchi clienti si è ritirato in Florida, e quindi può ancora rispondergli, e chi invece è morto. E questo non perché stia perdendo la lucidità, ma proprio perché sta perdendo tutti quegli amici,
«uno via l’altro», come dice lui mentre descrive la decimazione avvenuta nel ‘ultimo anno nei ranghi del a sua ex clientela. - Ho scritto cinque pagine piene di notizie a quel ‘uomo squisito, quel vero principe del foro, Julius Lowenthal. Ho anche accluso un ritaglio del «Times» su come hanno rovinato il fiume a Paterson, dove lui aveva lo studio. Ho pensato che potesse interessargli, laggiù dov’era. Quel a faccenda del ‘inquinamento era proprio fatta su misura per lui. Te lo dico io, -
e punta un dito, - Julius Lowenthal era una del e persone con più senso civico che abbia mai conosciuto. La sinagoga, gli orfani, gli sport, gli handicappati, la gente di colore. .
trovava tempo per tutto. Quel o era un uomo di gran classe, di prima classe. Be’, hai già capito. Ho affrancato e sigil ato la busta e l’ho messa accanto al cappel o per imbucarla la mattina dopo, e solo quando mi sono lavato i denti, mi sono infilato a letto e ho spento la luce mi è venuto in mente che il mio caro vecchio amico se n’è andato l’autunno scorso. Io me lo vedevo che giocava a carte accanto a una piscina a Miami - che giocava a pinnacolo come solo lui sapeva fare, con la sua mente da giurista - e invece è sottoterra. Ormai cosa ne rimane? - Quest’ultimo pensiero è troppo, anche per lui, soprattutto per lui, e si passa con rabbia una mano davanti alla faccia, come per scacciarlo via, come una zanzara che lo sta facendo impazzire, la terribile, sbalorditiva immagine di Julius Lowenthal che si decompone. - E, per quanto possa sembrare incredibile a una persona giovane, - dice, recuperando quasi tutto il suo equilibrio,
- ormai mi capita ogni settimana, e ogni volta arrivo a leccare la busta e attaccare il francobol o. Ci vorranno ore prima che Claire e io si resti finalmente soli insieme, e lei possa sgravarsi dall’enigmatico decreto che mio padre le ha sussurrato all’orecchio mentre eravamo raggruppati nel a fumosa scia del ‘autobus appena ripartito. Il sole ci scioglie come catrame; il povero, confuso Dazzle (che si era appena abituato a me, come rivale) continua a girare intorno ai piedi di mio padre; e Mr Barbatnik - un uomo basso dall’aspetto di uno gnomo, con una larga faccia asiatica, orecchie lunghe e mani smisurate attaccate a possenti avambracci solcati da vene da culturista -, Mr Barbatnik si tiene in disparte, timido come una scolaretta, con la giacca piegata con cura sul braccio, in attesa che quel vibrante innamorato di mio padre faccia le presentazioni. Ma mio padre deve prima sistemare una questione urgente, come il messaggero in una tragedia classica che non appena salito sul palcoscenico proclama quel che ha da dire dopo il suo lungo viaggio. - Giovane donna, - bisbiglia a Claire, dato che a quanto pare è questo che lei rappresenta allegoricamente per lui, questo e non altro. - Giovane donna,- ordina mio padre forte del’autorità conferitagli dai suoi sogni a 95
occhi aperti, - ti prego, non lasciare. . non lasciare. .!
Queste, mi racconta Claire al momento di andare a letto, sono le uniche parole che è riuscita ad afferrare, stretta com’era al suo robusto torace; forse, ribatto, perché sono le uniche parole che ha pronunciato.
Per lui, a questo punto, dicono tutto. Avendo così, almeno per il momento, esaurito le sue disposizioni per il futuro, è pronto a passare alla successiva tra le fasi del a cerimonia d’arrivo che deve aver pianificato da settimane. Infila una mano nel a tasca del a ruvida giacca di lino piegata sul suo braccio - e a quanto pare non trova niente. Si mette a battere col palmo del a mano sul a fodera del a giacca come se cercasse di rianimarla. - Oh, Cristo, -
geme, - l’ho perso. Mio Dio, è rimasto sul ‘autobus! - A questo punto Mr Barbatnik si fa avanti e, con la discrezione del testimone di nozze di uno sposo mezzo intontito, dice sottovoce: - Nei pantaloni, Abe. - Ma certo, -
sbotta mio padre, e infilando la mano (ancora con un certo smarrimento negli occhi) nel a tasca dei suoi pantaloni pied-de-poule - è vestito come un figurino - tira fuori un pacchetto che depone sul palmo del a mano di Claire. Adesso è raggiante. - Al telefono non te l’ho anticipato, - le dice, - perché volevo farti una sorpresa. Ti garantisco che ogni anno aumenterà di valore almeno del dieci per cento. Se non del quindici, forse anche di più. E’
meglio del denaro contante. E’ vedrai la manifattura. E splendida. Dai, aprilo. Così, mentre continuiamo tutti a cuocere sul ‘asfalto del parcheggio, la mia affabile compagna, che sa come compiacere, e adora compiacere, slega con destrezza il nastro e rimuove la luccicante carta da regalo gialla, senza tralasciare un commento su quant’è carina. - L’ho scelta io, -
precisa mio padre. - Ho pensato che quel colore ti sarebbe andato a genio. . non è vero, Sol,
-
dice rivolgendosi al suo accompagnatore, - non ho detto che secondo me era una ragazza che ama il giallo? Claire tira fuori dalla custodia foderata di vel uto un piccolo fermacarte d’argento di buona lega con inciso un mazzo di rose. - David mi ha raccontato quanto ti dai da fare in giardino, e quanto ami i fiori. Accettalo, ti prego. Lo puoi mettere sul a cattedra a scuola. Vedrai quando lo vedono i tuoi allievi. . - E’
bel issimo, - dice lei e, lanciando un’occhiata a Dazzle per ammansirlo, bacia mio padre sul a guancia. - Osserva la fattura, - dice lui. - Si distinguono addirittura le spine. E’
fatto a mano. Un’opera d’arte. - E’
squisito. Un regalo squisito, - dice lei. E solo adesso lui si gira ad abbracciarmi. - Ho portato una cosa anche a te, - dice. - Ce l’ho in valigia. - O almeno lo speri, - dico io. - Il solito furbacchione, - e anche noi ci baciamo. Finalmente è pronto a presentarci il suo accompagnatore, che indossa anche lui, mi rendo conto solo adesso, un abito coordinato nuovo di zecca simile al suo, solo che quel o di mio padre è nei toni del marrone chiaro e scuro, invece quel o di Mr Barbatnik è azzurro e argento. - Sia lodato Iddio per quest’uomo, -
dice mio padre mentre usciamo in auto dal paese arrancando dietro il pick-up di un agricoltore che sfoggia sul paraurti un adesivo con la scritta solo L’amore batte il latte.
L’adesivo sul nostro paraurti, appiccicato da Claire per solidarietà con gli ecologisti locali, recita sul e strade sterrate hai i piedi per terra. Eccitato e garrulo come un ragazzino -
più o meno com’ero io quando era lui a guidare lungo queste strade -, mio padre adesso non la smette più di parlare di Mr Barbatnik: uno su un milione, la più brava persona che abbia mai conosciuto. . Nel frattempo Mr Barbatnik siede in silenzio al suo fianco con gli occhi bassi, intimidito, presumo, tanto dalla pienezza del e forme di Claire nel suo abito estivo quanto dal fatto che mio padre stia vantando i suoi meriti più o meno nel o stesso tono con cui, ai bei tempi andati, vantava i benefici effetti che i clienti avrebbero ricavato da un’estate nel nostro albergo. - Mr Barbatnik è l’amico che vi dicevo, mi dà una mano al Centro. Se non fosse per lui sarei una voce nel deserto nel e discussioni su quel figlio di puttana di George Wallace. Claire, ti prego di perdonarmi, ma odio con tutto me stesso quel 96
verme schifoso.
Che tu possa non scoprire mai cosa pensano dentro di loro le cosiddette persone rispettabili. E una vergogna. Ma io e Mr Barbatnik lavoriamo di concerto, e gli teniamo testa.
- Non che - dice filosoficamente Mr Barbatnik in un inglese dal forte accento - faccia una gran differenza.
- E dimmi, cos’è che farebbe la differenza con quei bigotti ignoranti?
Almeno che sentano cosa pensa di loro qualcun altro! Ebrei così pieni d’odio da votare per George Wallace. . va oltre la mia comprensione.
Perché? Persone che da tutta la vita appartengono a una minoranza, e la proposta che avanzano in tutta serietà è allineare la gente di colore davanti a una mitragliatrice e farla finita con loro. Prendere del e persone in carne e ossa e falciarle. - Non è che dicano tutti così, -
interviene Mr Barbatnik. - E solo una determinata persona, ovviamente. -
Io gli dico, guardate Mr Barbatnik. . chiedete a lui se non è la stessa cosa che Hitler ha fatto con gli ebrei. E sapete qual è la loro risposta, uomini adulti che hanno tirato su una famiglia e fatto prosperare le loro aziende e che adesso sono in pensione in qualche condominio come presunte persone civili? Dicono: «Come potete paragonare i negri agli ebrei?» - Quel o che rode a questa determinata persona, e al gruppo di cui è leader.. - E chi è che l’ha nominato leader, già che ci siamo? E di cosa poi? Lui stesso si è autonominato!
Continua, Sol, scusami. Volevo solo mettere in chiaro con che razza di piccolo dittatore abbiamo a che fare. - Quel o che gli rode, - dice Mr Barbatnik, - è che alcuni di loro possedevano del e case, e del e aziende, poi è venuta la gente di colore, e quando hanno venduto cercando di rifarsi, si sono presi una bel a batosta. - Certo, sotto sotto è una questione economica. E’ sempre così. Non era lo stesso con i tedeschi? Non era lo stesso in Polonia? - A questo punto dà un taglio alla sua analisi storica per dire a me e Claire: - Mr Barbatnik è venuto qui dopo la guerra. E in tono drammatico, ma con orgoglio, aggiunge: -
E’ una vittima dei nazisti. Quando imbocchiamo il viale e io indico la casa sul fianco del a col ina, Mr Barbatnik dice: - Lo credo che avete l’aria così felice, voi due. - L’hanno presa in affitto, - interviene mio padre. - Io gliel’ho detto, gli piace così tanto, perché non se la compra? Fa’ un’offerta al proprietario. Digli che gliela paghi in contanti. Almeno tasta il terreno. - Be’, - dico io, - per ora ci va bene stare in affitto. - Pagare l’affitto è come buttare i soldi dalla finestra. Fa’ un tentativo, che male c’è? Soldi sul ‘unghia, e vedi se abbocca. Ti do una mano io, e te la può dare anche lo zio Larry, se il proprietario vuole tutto subito. Al a tua età è ora che tu abbia uno straccio di proprietà. E qui non c’è da sbagliarsi, poco ma sicuro.
Ai miei tempi, Claire, una casetta come questa la compravi per neanche cinquemila dol ari.
Oggi quel a casetta e. . fin dove arriva la proprietà? Fino al filare di alberi? Bene, diciamo quattro, cinque acri. . Su per lo sterrato e fin oltre la soglia del a cucina - e mentre attraversiamo il giardino in fiore di cui ha sentito tanto parlare -, lui continua con il suo imbonimento da agente immobiliare, tanto è in estasi all’idea di essere di nuovo a casa nel a Sul ivan County, e insieme al suo solo caro ancora in vita, il quale ha tutta l’aria di essere stato finalmente tolto dai carboni ardenti e adagiato di fronte al focolare. Dentro casa, prima ancora di potergli offrire qualcosa di fresco, o mostrare la camera e il bagno, mio padre comincia a disfare la valigia sul tavolo del a cucina. - Il tuo regalo, - mi annuncia.
Aspettiamo. Tira fuori le scarpe. Le camicie fresche di bucato. Il kit da barba nuovo di zecca. Il mio regalo è un album rilegato in cuoio nero contenente trentadue medaglioni del e dimensioni di un dol aro d’argento, ognuno chiuso nel a sua cavità circolare e protetto da entrambi i lati da una finestrel a d’acetato trasparente. Le chiama
«medaglie shakespeariane»: su un lato è raffigurata una scena di una del e opere, e sul ‘altra, in caratteri minuscoli, c’è una citazione da quel a stessa opera. Le medaglie sono 97
accompagnate dalle istruzioni per sistemarle nel ‘album. Le istruzioni cominciano così:
«Indossate un paio di guanti privi di lanugine. .» I guanti mio padre me li passa per ultimi. -
Infila sempre i guanti quando maneggi le medaglie, - mi spiega. - Sono inclusi. Altrimenti il contatto con la pel e umana può produrre un effetto chimico dannoso. - Oh, gentile da parte tua, - dico.
- Però non capisco perché mi hai fatto un regalo così elaborato. . -
Perché? Perché è venuto il momento, - risponde con una risata, accompagnata da un ampio gesto che abbraccia tutti gli elettrodomestici del a cucina. - Guarda, Davey, cosa ci hanno inciso sopra. Claire, guarda che bel o. Al centro del disegno arabescato sbalzato in argento che fa da cornice alla funerea copertina del ‘album ci sono tre righe, che mio padre ci indica, parola per parola, con il dito indice. Tutti noi leggiamo in silenzio - tutti tranne lui.
prima edizione del a serie speciale in argento fino coniata per la col ezione personale del professor david kepesh. Non so cosa dire. Dico: - Dev’esserti costato un occhio del a testa. E’
una cosa seria. - Vero? Ma no, non è stata una spesa fol e. Anche perché le hanno messe in vendita una al mese.
Cominciando con Romeo e Giulietta - adesso faccio vedere Romeo e Giulietta a Claire - e via via tutte le altre. E da un bel po’ che le metto da parte per te. L’unica persona che lo sapeva era Mr Barbatnik.
Vieni qui, Claire, vieni a vederle da vicino. . Ci vuole un po’ per trovare il medaglione con la scena di Romeo e Giulietta, perché nel posto designato nel ‘angolo in basso a sinistra del a pagina intitolata
«Tragedie» lui ha messo invece I due gentiluomini di Verona. - Dove diavolo è Romeo e Giulietta? - domanda. Al a fine fra tutti e quattro riusciamo a rintracciarla nel a sezione «Drammi storici» al posto di Vita e morte di re Giovanni. - Al ora Vita e morte di re Giovanni dove l’ho messo? - chiede. - Pensavo che le avessimo sistemate bene, Sol, -
dice a Mr Barbatnik accigliandosi. - Pensavo che avessimo control ato -.
Mr Barbatnik annuisce: hanno control ato. - Comunque, - dice mio padre,
- il punto è. . qual è il punto? Oh, il retro. Ecco, volevo che Claire leggesse quel o che dice sul retro, forte, in modo che tutti possano sentire. Leggi questo, cara. Claire legge ad altra voce l’iscrizione: -
«Quel a che noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo soave profumo». Romeo e Giulietta, atto secondo, scena seconda. -
Notevole, vero? - le dice lui. - Sì. - E se lo può anche portare al col ege. Per questo è utile. Non gli serve solo a casa, magari fra dieci o vent’anni lo potrà ancora mostrare ai suoi studenti. E come il tuo regalo, anche questo è d’argento di buona lega, e garantisco che terrà il passo con l’inflazione, anche quando le banconote saranno carta straccia. Dove lo metterai? - Una domanda rivolta a Claire, non a me. -
Per adesso, - dice lei, - sul tavolino, in modo che la gente lo veda.
Venite tutti in soggiorno, così lo mettiamo subito a posto. - Splendido,
- dice mio padre. - Solo ricordati di non lasciar tirare fuori le medaglie a chi vi viene a trovare, a meno che si mettano i guanti. Il pranzo viene servito in veranda. La ricetta per la zuppa fredda di barbabietole Claire l’ha trovata in Cucina russa, uno del a quindicina di manuali di una col ana di TimeLife sui «Cibi del mondo» ordinatamente allineati fra la radio -
sintonizzata su una stazione che sembra trasmettere solo Bach - e la parete a cui sono appesi due dei placidi acquerel i di sua sorel a: l’oceano e le dune di sabbia. L’insalata di yogurt e cetriolo, insaporita a dovere con aglio schiacciato e menta fresca del suo giardino degli aromi, viene dalla stessa serie, dal volume sul a cucina del Medio Oriente. Il pol o arrosto freddo con rosmarino è invece uno dei suoi classici. - Mio Dio, - dice mio padre, -
che delizia! - Eccel ente, - dice Mr Barbatnik. - Grazie, signori, -
dice Claire, - ma presumo che abbiate mangiato di meglio. - Nemmeno a Leopoli, 98
quando cucinava mia madre, - dice Mr Barbatnik, - ho assaggiato un borscht così meraviglioso. - E Claire, con un sorriso: - Immagino che sia un tantino stravagante, ma grazie ancora. - Ascolta, cara ragazza, -
dice mio padre, - se avessi avuto te in cucina, avrei ancora la mia vecchia attività. E
tu guadagneresti più di quanto prendi come insegnante, credimi. Una buona cuoca, anche ai vecchi tempi, anche nel bel mezzo del a Depressione. . Ma alla fine il maggior successo di Claire non sono gli esotici piatti orientali che, com’è tipico di lei, ha sperimentato oggi per la prima volta nel a speranza di far sentire tutti - lei inclusa - istantaneamente a casa propria, ma il casalingo tè freddo che prepara con foglie di menta e buccia d’arancia secondo la ricetta del a nonna. Mio padre ne beve a non finire, e continua a cantarne le lodi, soprattutto dopo aver saputo, arrivati ai mirtil i, che ogni mese Claire prende l’autobus per Schenectady e va a trovare quel a signora novantenne da cui ha imparato tutto quel o che sa su come preparare un pranzo, tenere un giardino e, presumibilmente, anche crescere un figlio. Sì, a giudicare dalla ragazza, sembra che il figliol prodigo si sia messo sul a buona strada, oltre le più rosee aspettative.
Dopo pranzo suggerisco che i due uomini potrebbero riposarsi un po’ in attesa che faccia meno caldo e si possa andare a fare una passeggiata.
Assolutamente no. Sto scherzando? Appena digerito, dice mio padre, dobbiamo prendere l’auto e andare all’albergo. La cosa mi sorprende, così come mi ha sorpreso mentre mangiavamo sentirlo parlare con disinvoltura del a sua «vecchia attività». Da quando un anno e mezzo prima si è trasferito a Long Island, non aveva mai espresso il desiderio di vedere cosa ne hanno fatto i due successivi proprietari del suo albergo, ribattezzato prima Royal Ski e poi Summer Lodge, che a quanto pare versa in cattive acque.
Credevo preferisse tenersi alla larga, invece ribol e di entusiasmo, e dopo una puntata in bagno misura la veranda a grandi passi in attesa del risveglio di Mr Barbatnik, che sta schiacciando un pisolino sul a mia poltroncina di vimini. E se gli prende un infarto, con tutto questo fervore? E prima che io abbia sposato la ragazza devota, comprato la comoda casetta, cresciuto i bei figlioletti. . Al ora cosa aspetto? Perché rimandare, se posso far felice anche lui, e fargli vedere la sua vita come un successo? Cosa aspetto? Mio padre - solo lui sembra non patire il caldo torrido -
conduce noialtri tre lungo la via principale passando in rassegna ogni singolo negozio ancora aperto. - Ricordo quando c’erano quattro macel ai, tre barbieri, un bowling, tre fruttivendoli, due panetterie, un emporio A&P, tre medici e tre dentisti. E adesso guardate, - dice, e senz’ombra di delusione, anzi con la fiera sagacia di uno che pensa di essersi saputo tirare indietro al momento giusto, - niente macel ai, niente barbieri, niente bowling, un’unica panetteria, niente A&P e, a meno che le cose non siano cambiate dopo che me ne sono andato, niente dentisti e un unico medico. Sì, - proclama guardandosi intorno, adesso nel tono di un vecchio saggio, con una voce che ricorda un po’ il suo adorato Walter Cronkite, - l’era dei vecchi alberghi opulenti è finita.. però è stata fenomenale!
Avreste dovuto vedere questo posto d’estate! Lo sapete chi veniva sempre in vacanza qui?
Indovinate! Il Re del e Aringhe! Il Re del e Mele!.. - E a beneficio di Mr Barbatnik e di Claire (che non gli rivela di aver già fatto quel medesimo viaggio sentimentale qualche settimana prima a fianco di suo figlio, che all’epoca gli aveva appunto spiegato cos’era un re del e aringhe) si lancia in un’aneddotica storia a fuoco di fila del maestoso corso del a sua vita, dall’insediamento di Roosevelt fino a L.BJ. Passando un braccio intorno alla sua camicia a mezze maniche fradicia di sudore, dico: - Se ci pensi bene magari riesci a risalire a prima del Diluvio -.La battuta gli piace.. sì, oggi gli piace qualunque cosa.- Oh, sì. Qui tutto è possibile.
Questo è veramente il Viale del a Memoria! - Fa un caldo tremendo, papà, - lo ammonisco. -
Ci sono più di trenta gradi.
99
Forse è meglio se rallentiamo. . - Rallentare? - stril a lui, e per farsi bel o prende sottobraccio Claire e si lancia in una fol e trottata giù per la strada. Mr Barbatnik sorride, e asciugandosi la fronte col fazzoletto mi dice: - Era da un bel pezzo che ci sperava. - Il ponte del Labor Day! - annuncia tutto allegro mio padre quando sbuchiamo nel parcheggio accanto all’entrata di servizio del ‘«edificio principale». A parte il parcheggio, che è stato riasfaltato, e il rosa carnoso con cui sono stati ridipinti tutti gli edifici, per ora poco altro sembra cambiato, eccetto ovviamente il nome del ‘albergo. Gli attuali gestori sono un tipo dall’aria preoccupata poco più vecchio di me e la sua giovanile, insipida seconda moglie. Ho fatto la loro conoscenza il pomeriggio di giugno in cui sono passato di qui con Claire durante il mio giro nostalgico. Ma in questi due non c’è nostalgia per i bei tempi andati, non più di quanto uno che si aggrappa a un relitto in un torrente in piena senta nostalgia per l’età d’oro del a canoa in corteccia di betul a. Quando mio padre, dopo aver dato un’occhiata in giro, chiede com’è che non hanno il pieno in un fine settimana festivo -
fenomeno per lui inaudito, come si affretta a precisare -, la moglie si fa ancora più arcigna, mentre il marito, un ragazzone gagliardo con occhi chiari, pel e butterata e un’espressione cordiale e inebetita -
insomma un tipo a posto, il che non basta però a convincere i creditori a dar fiducia ai suoi piani cinquantennali -, spiega che non sono ancora riusciti a farsi un’«immagine»
presso il grande pubblico. - Vede, - dice con aria incerta, - per il momento stiamo ancora rimodernando la cucina.. La moglie lo interrompe per dire le cose come stanno: i giovani non vengono perché lo considerano un albergo per la vecchia generazione (cosa di cui, come si evince dal suo tono, ritiene colpevole mio padre), mentre le famiglie si tengono alla larga perché il tipo a cui mio padre aveva venduto - e che era andato in fallimento entro l’agosto del a sua prima e unica estate come proprietario - era uno
«Hugh Hefner dei poveri» che puntava a una clientela di «marmaglia, se non peggio». «L’errore numero uno - dice mio padre prima che io riesca ad abbrancarlo per un braccio e trascinarlo via - è stato cambiare il nome. E come cancel are trent’anni di buona volontà. Pitturate pure le pareti del colore che volete, anche se non capisco cosa c’è che non va in un bel bianco pulito. . ma i gusti sono gusti. Il punto però è, cambiereste nome alle cascate del Niagara? No, se non volete perdere il flusso turistico -. Al a moglie viene da ridergli in faccia, o almeno così dice: - Mi viene da riderle in faccia. - Cosa? Perché? - ribatte il mio oltraggiato padre. - Perché lei non si rende conto che al giorno d’oggi non si può chiamare un albergo Hungarian Royale, se si vuole che ci venga qualcuno. - No, no, - dice il marito, cercando di metter pace, e nel frattempo tirando fuori due compresse di Maalox dal loro involucro argentato. - Il problema, Janet, è che siamo presi in mezzo fra gli stili di vita, ed è questo il dilemma da risolvere. Vedrai che appena finiamo con la cucina.. - Amico mio, lascia perdere la cucina, - dice mio padre distogliendo ostentatamente la sua attenzione dalla moglie per rivolgersi a un essere umano con cui si può almeno conversare da persone civili. - Fate una cosa sensata e rimettete il nome vecchio. Metà del valore di questo posto sta nel nome. Che senso ha Royal Ski? Tenete pure aperto d’inverno, se vi sembra una buona idea.. ma perché usare una parola che spaventa il tipo di persone che prenderebbero in considerazione questo posto? - La moglie: - Devo darle una notizia.
Nessuno al giorno d’oggi vuole andare in vacanza in un posto che dal nome sembra un mausoleo -. Punto. - Oh, - dice mio padre, rispolverando il suo sarcasmo, - oh, il passato è morto e sepolto, vero? - E si lancia in un solenne, sconclusionato monologo filosofico sul a relazione integrale che unisce passato, presente e futuro, come se un uomo sopravvissuto fino a sessantasei anni dovesse sapere di cosa parla, fosse tenuto a fare la morale ai posteri
- soprattutto quando paiono considerarlo l’artefice del e loro disgrazie. Sono pronto a intervenire, o a chiamare un’ambulanza. Vedendo il lavoro del a sua vita mandato a rotoli da questo marito fannul one e dalla sua acida mogliettina, mio padre scoppierà in lacrime o si 100
accascerà cadavere? Le due cose mi sembrano entrambe possibili. Perché mi sono convinto che nel corso di questo fine settimana mio padre morirà e che entro lunedì resterò orfano?
E’ ancora pieno di vigore - pieno di fol ia - quando risaliamo in macchina per tornare a casa. -
Che ne sapevo io che si sarebbe rivelato un hippy? - Chi? - chiedo. - Il tale che ha comprato l’albergo dopo che abbiamo perso la mamma. Credi che avrei venduto a un hippy, se l’avessi saputo? Aveva più di cinquant’anni. E’ vero, aveva i capel i lunghi, ma io non sono mica un perbenista, non giudico la gente dalla lunghezza dei capel i. E comunque cosa diavolo intendeva con
«marmaglia?» Non intendeva quel o che penso io, vero? O sì? - E io: -
Voleva solo dire che gli affari vanno a rotoli, e le dispiace. E’ vero che è una piccola acida rompipalle, ma fallire è brutto per tutti. - Sì, ma perché dare la colpa a me? Io gli ho lasciato una gallina dalle uova d’oro, gli ho lasciato una solida tradizione e una clientela affezionata, bastava che mantenessero quel che c’era. Bastava questo, Davey! «Sci»! Lo credo che i miei clienti se la sono data a gambe. Ah, la gente, c’è chi saprebbe far fruttare un albergo nel Sahara e chi parte con le migliori condizioni e perde tutto. - Questo è vero, -
dico.
- Adesso mi sembra impossibile essere riuscito a ottenere così tanto. Un signor nessuno come me, venuto su dal niente! Ho cominciato, Claire, come cuoco di piatti veloci.
Al ora avevo i capel i neri, come i suoi, e anche folti, se riesci a immaginartelo. . Al suo fianco la testa addormentata di Mr Barbatnik è riversa da una parte, come se lo avessero strangolato. Invece Claire - l’amabile, tol erante, generosa e sol ecita Claire - continua a sorridere e a fare si-si-si con la testa mentre segue la storia del a nostra locanda e di com’è fiorita sotto le amorevoli cure di questo signor nessuno operoso, condiscendente, accorto, dinamico e schiavista. Esiste un uomo, mi domando, che abbia condotto una vita più esemplare? Ha mai risparmiato un’oncia di se stesso nel o svolgimento dei suoi doveri?
Perché allora si sente tanto in colpa? Per le mie negligenze, per i miei peccati? Oh, se solo la finisse con la sua arringa, la giuria lo dichiarerebbe «Innocente come un bebé!» senza neppure ritirarsi a deliberare. Solo che non ci riesce.
Fino al tardo pomeriggio la sua perorazione non ci dà tregua. Prima segue Claire per la cucina mentre prepara l’insalata e il dessert.
Quando Claire si ritira per farsi una doccia e cambiarsi per la cena - e per recuperare le forze -, lui viene da me alla griglia dietro casa, dove mi accingo a cuocere le bistecche. -
Ehi, ti ho detto chi mi ha invitato al matrimonio del a figlia? Non lo indovineresti mai. Sono andato a Hempstead per far aggiustare il frul atore di tua zia - hai presente, la caraffa su in cima? - e sai chi è il proprietario del negozio di elettrodomestici che tratta la Waring? Non puoi indovinarlo, forse non te lo ricordi neanche -. E invece lo indovino. E’ il mio congiurato.
- Herbie Bratasky, - dico. - Giusto! Te l’avevo già raccontato? - No. - Ma è proprio lui. Roba da non crederci, quel paskudnyak pel e e ossa si è fatto uomo, e va alla grande. Tratta la Waring, tratta la General Electric, e mi ha raccontato che adesso si sta mettendo in affari con una società giapponese, ancora più grande del a Sony, e avrà l’esclusiva per Long Island.
E la figlia è una bambolina.
Mi ha fatto vedere la fotografia. Poi due giorni fa ricevo per posta questo bel issimo invito. Volevo portartelo, accidenti, ma devo essermene dimenticato perché avevo già fatto le valigie -. Le valigie con due giorni di anticipo. - Te lo mando, - dice. - Vedrai che classe.
Senti, stavo pensando, è solo un pensiero, ma perché tu e Claire non venite con me. . al matrimonio? Per Herbie sarebbe una bel a sorpresa. -
Be’, ci pensiamo. Com’è diventato Herbie? Quanti anni ha adesso? Più di quaranta? -
Oh, ne avrà quarantacinque o quarantasei. Ma è ancora una forza del a natura, bel o e scattante come da ragazzino. Non ha un chilo di troppo, e non ha perso un capel o - anzi, ce li ha tanto folti che sembra abbia il parrucchino. In effetti, ora che ci penso, magari ha il 101
parrucchino. Ed è abbronzatissimo. Che dici, si farà la lampada? E poi, Davey, ha un figlio piccolo che gli assomiglia un sacco, e che suona il tamburo/1. Gli ho raccontato di te, ovviamente, e lui sapeva già tutto.
Ha letto sul giornale di quando hai fatto quel a conferenza all’università; l’ha visto nel e pagine locali del «Newsday». Ha detto che l’ha raccontato a tutti i clienti. Ma come hai fatto? Herbie Bratasky. Come facevi a saperlo? - Ho tirato a indovinare. - Be’, c’hai azzeccato. Tu leggi nel pensiero, ragazzo mio. Uau, che bel pezzo di carne. Quanto te la fanno al chilo da queste parti? Anni fa, un taglio di lombata come questo. . - E io vorrei avvolgerlo fra le mie braccia, stringermi al petto quel a bocca irrefrenabile, e dire: «Va bene, resta per sempre, non devi andartene più». Invece fra meno di cento ore dovremo andarcene tutti. E - finché morte non ci separi - la tremenda vicinanza e la tremenda distanza fra mio padre e me riassumerà le abituali problematiche proporzioni. Quando Claire scende di nuovo in cucina, lui mi lascia a sorvegliare la brace e rientra in casa «a vedere come si è fatta bel a». - Calmati. . - gli grido dietro, ma sarebbe come chiedere a un ragazzino di calmarsi la prima volta che varca la soglia del o Yankee Stadium. La mia yankee lo mette al lavoro a sbarbare le pannocchie di granturco. Ma ovviamente sbarbare le pannocchie non impedisce di parlare. Nel a bacheca di sughero sopra il lavandino Claire ha attaccato, oltre alle ricette del «Times», alcune fotografie che le ha appena mandato Olivia da Martha’s Vineyard. Attraverso la porta a zanzariera sento che discorrono dei figli di Olivia. Rimasto solo, e con un po’ di tempo davanti prima di mettere a cuocere la bistecca, finalmente ho modo di aprire una busta che l’università mi ha recapitato qui. Ce l’ho con me nel a tasca di dietro dei pantaloni fin da quando, ore e ore fa, siamo scesi in paese a prendere la posta e i nostri ospiti. Finora non l’ho aperta perché non è la lettera che aspetto da giorni, quel a del a casa editrice accademica a cui, appena tornato dall’Europa, ho proposto L’uomo nel ‘astuccio nel a versione finale riveduta e corretta. No, è una lettera del dipartimento di Inglese del a Texas Christian University, e mi regala il primo momento luminoso del a giornata. Oh, Baumgarten, sei un diabolico buontempone!
Caro professor Kepesh, Mr Ralph Baumgarten, candidato per la posizione di Scrittore Residente alla Texas Christian University, ha fatto il suo nome come persona che ben conosce le sue opere. Mi rincresce disturbarla, sapendola molto occupato, ma le sarei estremamente grato se trovasse il tempo di spedirmi una lettera contenente le sue opinioni sul modo di scrivere e di insegnare, nonché sul profilo morale, del nostro candidato. Le garantisco che i suoi commenti resteranno strettamente confidenziali. Le sono estremamente grato per il suo aiuto.
Cordialmente, John Fairbairn Direttore
Caro professor Fairbairn, forse le interesserebbe conoscere anche la mia opinione sul vento, le cui opere conosco altrettanto bene. . Mi infilo di nuovo la lettera in tasca e metto a cuocere le bistecche. Caro professor Fairbairn, sono certo che gli orizzonti dei vostri studenti si allargheranno a dismisura, e senza dubbio il loro senso del e opportunità del a vita si arricchirà.. Chi manca ancora, mi domando.
Quando mi siederò a cena ci sarà sul a tavola un piatto in più per Birgitta, o forse lei preferirà mangiare accanto a me, in ginocchio?
Sento che in cucina Claire e mio padre sono finalmente arrivati a parlare dei genitori di lei. - Ma perché? - lo sento domandare. Dal suo tono capisco che, qualunque sia la domanda, la risposta non gli è ignota, ma è del tutto incompatibile con il suo appassionato ottimismo.
Claire ribatte: - Probabilmente perché non erano fatti l’uno per l’altra. - Ma con due 102
bel e figlie, un’istruzione universitaria, eccel enti posizioni dirigenziali. . Non capisco. Perché bevevano? Che senso ha? Con tutto il dovuto rispetto, mi sembra da stupidi. Certo, io non ho mai avuto il privilegio di una buona istruzione. Se l’avessi avuta.. ma non l’ho avuta, così è stato. Però mia madre, lascia che te lo dica, mi basta pensare a lei per sentirmi in pace col mondo intero.
Che donna! Mamma, le direi, che ci fai ancora li ginocchioni sul pavimento? I soldi te li diamo io e Larry, però i pavimenti li fai lavare a qualcun altro. Ma niente da fare. .
E’ durante la cena che, finalmente, come dice Cechov, l’angelo del silenzio passa su di lui. Ma subito è seguito dall’ombra del a malinconia. Si trova sul ‘orlo del e lacrime perché, dopo aver parlato e parlato e parlato, non è riuscito a dire l’essenziale? Finirà per crol are e piangere. . o forse sto proiettando su di lui il mio umore?
Perché mi sento come se avessi perso una sanguinosa battaglia, quando con ogni evidenza ho vinto? Mangiamo di nuovo in veranda, dove nei giorni precedenti mi sono sforzato, con penna e taccuino, di articolare quel che ho da dire io. Candele di cera si consumano impercettibilmente negli antichi candelieri di peltro; le candele di resina aromatica, arrivate per posta da Vineyard, colano filamenti sul tavolo. Ci sono candele accese ovunque si posi lo sguardo, - Claire ha una passione per le candele in veranda la sera; sono forse la sua unica stravaganza.
Prima, mentre lei passava di candeliere in candeliere con una scatola di fiammiferi, mio padre - già seduto a tavola con il tovagliolo fermato in vita - le ha recitato la litania degli alberghi del e Catskil tragicamente divorati dal fuoco negli ultimi vent’anni. Al che lei gli ha promesso che avrebbe fatto attenzione. Tuttavia, ogni volta che un alito di brezza si insinua nel a veranda, e tutte le fiammel e tremolano, lui si guarda intorno per control are che non si sia incendiato qualcosa. Adesso udiamo la prima mela matura che cade nel ‘erba del frutteto dietro casa. Udiamo lo strido del a «nostra»
civetta - così Claire identifica per gli ospiti questa creatura che non abbiamo mai visto e che abita nel «nostro» bosco. Se restiamo in silenzio abbastanza a lungo, spiega ai due vecchi - come se fossero due bambini -, forse i cervi verranno fuori dal bosco per andare a brucare fra i meli. Dazzle è stato avvisato di non abbaiare, in modo da non spaventarli. Il cane ansima un poco udendo il proprio nome sul e labbra di lei. Ha undici anni, e le appartiene da quando Claire era una scolaretta quattordicenne, è il suo più caro amico dall’anno in cui Olivia è partita per il col ege, l’essere che le è stato più vicino, finché sono arrivato io. Qualche secondo dopo Dazzle dorme pacifico, e di nuovo si ode solo l’ispirato concerto settembrino del e raganel e e dei gril i, la più popolare fra le dolci melodie estive.
Questa sera non riesco a toglierle gli occhi di dosso. In mezzo alle acqueforti fiamminghe dei due anziani signori imbolsiti, rugosi e il uminati dalle candele, il viso di Claire appare più che mai levigato come una mela, piccolo come una mela, lucido come una mela, semplice come una mela, fresco come una mela.. più che mai disadorno e puro. .
più che mai. . Sì, ma quale aspetto mi rifiuto di vedere, che presto o tardi finirà col separarci? Perché continuo a lasciarmi possedere da questo incantesimo, a non consentire ad altro di filtrare se non ciò che mi compiace? Non c’è qualcosa di disonesto e irrealistico in tutta questa dolce, tenera adorazione? Cosa succederà quando verrà fuori l’altra parte di Claire? E cosa succederà se scoprirò che quest’«altra parte» non esiste! E l’altra parte di me?
Fino a quando potrò ingannarla? Quanto ci vorrà prima di averne abbastanza del a sua sana innocenza - quanto prima che la squisita mitezza di una vita con Claire cominci a nausearmi, ad annoiarmi, e io cominci di nuovo a rimpiangere quel che ho perso e a cercare la mia strada! Finalmente riesco a dar voce - in un assordante unisono - ai dubbi così a lungo taciuti, e ora le meste, solenni emozioni che mi hanno dominato nel corso di questa 103
giornata si coagulano in qualcosa di altrettanto palpabile e terrificante di uno stiletto. Solo un intermezzo, penso, e come se fossi davvero stato pugnalato e la forza vitale sgorgasse fuori da me, mi sento sul punto di ruzzolare giù dalla sedia. Solo un intermezzo. Non conoscerò mai qualcosa di duraturo. Soltanto gli irrinunciabili ricordi di sentimenti discontinui e provvisori; un’interminabile saga di tutto ciò che non ha funzionato. . Certo, certo, Claire è ancora qui, proprio davanti a me, e sta parlando con mio padre e Mr Barbatnik dei pianeti che più tardi mostrerà loro, e che stasera bril ano fra le remote costel azioni. Con i capel i raccolti sul a nuca a rivelare le vulnerabili vertebre che sorreggono lo stelo del suo col o sottile, e con il suo caffettano chiaro con l’orlo ricamato, cucito a macchina al principio del ‘estate, che conferisce un che di regale alla sua irresistibile semplicità, mi appare più preziosa che mai, più che mai la mia vera moglie, la madre dei miei figli non nati. . eppure sono già privo di forza e speranza e gioia. Anche se andremo avanti come previsto e terremo in affitto la casa per usarla nei fine settimana e durante le vacanze scolastiche, sarà solo questione di tempo - occorre solo questo, tempo - prima che quel che abbiamo insieme a poco a poco si dissolva, e l’uomo che adesso tiene in mano un cucchiaio di crema all’arancia lasci il posto al pupil o di Herbie, al complice di Birgitta, al corteggiatore di Helen e, sì, al tirapiedi e difensore di Baumgarten, all’aspirante figlio ribel e e a tutto ciò che egli brama. O se non a questo, all’aspirante cosa? Quando anche questo sarà passato, cosa succederà?
Non posso, per il bene di tutti noi, cadere dalla sedia. Eppure mi sento di nuovo in preda a una tremenda spossatezza fisica. Non ho il coraggio di prendere il bicchiere di vino per paura di non riuscire a portarmelo alla bocca. - Che ne dici di mettere un disco? - dico a Claire. - Il nuovo Bach? La trio sonata. E da tutta la settimana che la ascoltiamo.
La settimana prima era stato un quartetto di Mozart; la settimana prima ancora, il concerto per violoncel o di Elgar. Mettiamo sempre lo stesso disco finché non ci stufiamo. E
l’unica cosa che si sente andare e venire per la casa, una musica che sembra un sottoprodotto dei nostri andirivieni, composizioni che sorgono dal nostro stesso senso di benessere. Non ascoltiamo se non la musica più raffinata. Ora che ho una buona scusa, posso alzarmi da tavola prima che accada qualcosa di terribile. Il giradischi e le casse in soggiorno sono di Claire, portate dalla città sul sedile posteriore del ‘auto. E anche la maggior parte dei dischi sono suoi. E le tende cucite su misura per le finestre, e il copriletto di vel uto a coste che ha tagliato per il divano troppo logoro, e i due cani di porcel ana accanto al caminetto, che una volta appartenevano alla nonna e sono diventati suoi quando ha compiuto venticinque anni. Da bambina quando tornava da scuola si fermava sempre a prendere il tè dalla nonna, e a esercitarsi al pianoforte; poi, armata almeno di questo, poteva continuare verso il campo di battaglia di casa sua. Ha deciso da sola di abortire. In modo da non gravarmi di un dovere? In modo che potessi sentirmi libero di scegliere se restare o meno con lei? Il dovere è dunque una cosa tanto orrenda? Perché non mi ha detto che era incinta? Dovrebbe essere un passo in avanti nel a vita quando uno si abbandona al dovere, accoglie il dovere, come una volta cedeva al piacere, alla passione, all’avventura -
quando è il dovere a essere un piacere, e non più il piacere a essere un dovere. . La musica raffinata comincia. Torno in veranda, non più così pallido come quando mi sono alzato. Mi siedo di nuovo a tavola e sorseggio il mio vino. Sì, riesco ad alzare e abbassare il bicchiere.
Riesco a concentrare i miei pensieri su un altro argomento. Sarà meglio. - Mr Barbatnik, -
dico, - mio padre mi ha raccontato che lei è sopravvissuto al campo di concentramento.
Come ha fatto, se posso domandarglielo? - Professore, lasci prima che le dica quanto apprezzo la vostra ospitalità nei confronti di un perfetto sconosciuto. Da moltissimo tempo non trascorrevo una giornata così felice. Pensavo di aver dimenticato come si faceva a 104
essere felici in compagnia. Vi ringrazio tutti. Ringrazio il mio nuovo e caro amico, il suo meraviglioso padre. E’ stata una bel a giornata e, Miss Ovington. . - La prego, mi dia del tu.
Mi chiami Claire. - Claire, sei più matura dei tuoi anni, e nel o stesso tempo sei giovane e adorabile. E.. è da tutto il giorno che desidero esprimerti la mia profonda gratitudine. Per tutte le premure che hai per le altre persone. I due anziani sono seduti alla sua destra e alla sua sinistra, l’amante è di fronte: con tutto l’amore che riesce a chiamare a raccolta, lui contempla la pienezza del suo corpo appetitoso e i tratti minuti del suo viso sopra gli aster che ha raccolto per lei durante la passeggiata mattutina; con tutto l’amore che riesce a padroneggiare osserva questa munifica creatura femminile, nel momento del a sua piena fioritura, mentre tende la mano al timido ospite, che la prende, la afferra e la stringe, e senza più mol arla comincia a parlare per la prima volta con sicurezza e disinvoltura, finalmente a casa (proprio come lei aveva previsto, proprio come lei ha fatto sì che accadesse). E
in tutto questo l’amante si sente, come mai in precedenza, profondamente radicato nel a propria vita, il suo vero sé al massimo del a propria verità, ancorato da ogni sentimento alla sua vera casa! Eppure continua a immaginare di essere trascinato via da una forza altrettanto incontrovertibile del a forza di gravità, e anche questa non è una menzogna. Come se fosse un corpo che cade, inerme come una qualunque mela del frutteto che si stacca e scende verso il terreno che l’attrae.
Ma invece di gridare, nel a sua lingua madre o in qualche rozzo verso animalesco,
«Non lasciarmi! Non andartene! Mi mancherai tanto! Questo momento, noi quattro insieme. . è così che dovrebbe essere!», tira su l’ultimo cucchiaio di crema e si appresta ad ascoltare la storia del sopravvissuto.
- C’è stato un inizio, - sta dicendo Mr Barbatnik, - e ci dev’essere una fine. Continuo a vivere per vedere la fine di questa mostruosità. E’
questo che mi dicevo ogni singola mattina e sera. - Ma com’è che non l’hanno mandata nei forni? Com’è che lei è qui con noi? E com’è che Claire è qui? Perché non Helen e nostro figlio? Perché non mia madre? E
fra dieci anni. . chi ci sarà? Ricominciare da zero a costruire un’intimità, dal nul a, a quarantacinque anni? Ricominciare di nuovo a cinquanta? Restare per sempre a piangermi addosso per la mia condizione di paria? Non posso! Non voglio!
- Non potevano uccidere tutti, - dice Mr Barbatnik. - Questo lo sapevo.
Qualcuno doveva essere risparmiato, foss’anche un’unica persona. E così mi sono detto, quel a persona sarò io. Lavoravo per loro nel e miniere di carbone dove mi avevano mandato. Insieme ai polacchi. Al ora ero giovane e forte. Lavoravo come se quel a miniera fosse mia, come se l’avessi ereditata da mio padre. Mi dicevo che stavo facendo proprio quel o che volevo. Mi dicevo che stavo lavorando per mia figlia. Ogni giorno mi raccontavo qualcosa di diverso che mi permettesse di tirare avanti fino a sera. Ed è così che ce l’ho fatta. Quando poi i russi hanno cominciato ad avvicinarsi sempre più in fretta, i tedeschi ci hanno preso e alle tre del mattino ci hanno portato via da lì. Giorni e giorni e giorni di marcia, fino a quando ho perso il conto. Continuavamo a camminare, e ovunque guardavi c’era qualcuno che cadeva e non si rialzava più, e di nuovo io mi sono detto che se ne fosse rimasto uno, quel o sarei stato io. Ma ormai avevo capito che se anche fossi giunto alla destinazione dove eravamo diretti, una volta là avrebbero sparato ai superstiti. E’ per questo che sono scappato, dopo settimane e settimane di marcia ininterrotta per chissà dove. Mi nascondevo nei boschi e di notte uscivo e i contadini tedeschi mi davano da mangiare.
Sì, è così, - dice, fissandosi la grossa mano, che alla luce del e candele appare larga 105
come un badile e pesante come un palanchino, stretta com’è intorno alle sottili, tenere dita di Claire con le loro ossa e nocche delicate. - Il singolo tedesco non è cattivo. Ma mettete tre tedeschi insieme in una stanza, e addio mondo. - E poi cos’è successo? - chiedo, ma lui continua a tenere gli occhi bassi, come se contemplasse il mistero di quel e due mani avvinte. - Come si è salvato, Mr Barbatnik? - Una notte una contadina tedesca mi ha detto che erano arrivati gli americani. Pensavo che mentisse. Qui non tornarci più, mi sono detto, sta macchinando qualcosa. Ma il giorno dopo ho visto fra gli alberi un carro armato che scendeva lungo la strada, con una stel a bianca, e sono corso fuori, urlando con tutto il fiato che avevo in gola. Claire dice: - Doveva avere un aspetto bizzarro in quel momento.
Come hanno fatto a capire di chi si trattava? - Lo sapevano. Non ero il primo.
Stavamo tutti sbucando fuori dai nostri nascondigli. Quel i che erano ancora vivi. Io ho perso la moglie, i genitori, un fratel o, due sorel e e una figlia di tre anni. Claire geme: - Oh, - come se si fosse punta con un ago. - Mr Barbatnik, le stiamo facendo troppe domande, non dovremmo. . Lui scuote il capo. - Cara, si vive, si fanno domande. Forse è per questo che viviamo. O almeno così pare. - Gli ho consigliato -
dice mio padre - di scrivere un libro su quel o che ha passato. Ho in mente del e persone a cui lo farei leggere volentieri. Se lo leggessero, magari si vergognerebbero di essere tanto gretti, mentre quest’uomo sa essere così buono e gentile. - E prima del a guerra? - chiedo. - Lei allora era giovane. Cosa avrebbe voluto diventare? Forse a causa del a forza del e sue braccia e del e dimensioni del e sue mani mi aspetto che dica carpentiere o muratore. In America ha fatto il tassista per vent’anni. - Un essere umano, - risponde, - una persona capace di conoscere e comprendere la vita, e ciò che è reale, senza crogiolarsi nel e menzogne. E’ sempre stata questa la mia ambizione, fin da bambino.
Al ‘inizio ero come tutti gli altri, un bravo ragazzo religioso che andava alla cheder.
Ma con le mie sole forze a sedici anni mi sono liberato di tutta quel a roba. Mio padre mi avrebbe ucciso, ma io non volevo assolutamente diventare un fanatico. Credere in ciò che non esiste, no, non faceva per me. Sono i fanatici che odiano gli ebrei. E
ci sono ebrei altrettanto fanatici, - spiega a Claire, - che vivono fuori dalla realtà. Ma io no. Neppure per un secondo, da quando a sedici anni ho detto a mio padre che mi rifiutavo di fingere. - Se scrivesse un libro, - dice mio padre, - dovrebbe intitolarsi L’uomo che non si è mai dato per vinto. - E qui si è risposato? - domando. - Sì. Anche lei era stata in campo di concentramento. Il mese prossimo faranno tre anni che è morta - come sua madre, di cancro. Non ha sofferto. Una sera dopo cena stava lavando i piatti. Io sono andato ad accendere la Tv e a un tratto ho sentito uno schianto in cucina. «Aiutami, sto male».
Sono corso da lei e l’ho trovata stesa per terra. «Non sono riuscita a reggermi al lavacro», mi dice. Dice «lavacro» invece di «lavabo». Basta quel a parola a darmi i brividi. E i suoi occhi. E’
stato orribile. Ho capito subito che era spacciata. Due giorni dopo hanno detto che il cancro era già arrivato al cervel o. E’ accaduto così, dal nul a -. Senza traccia di animosità, solo per mettere in chiaro le cose, aggiunge: - E come se no? - Terribile, - dice Claire.
Dopo che mio padre ha fatto il giro del e candele per spegnerle -
soffiando per maggior sicurezza anche su quel e già spente - passiamo in giardino perché Claire mostri loro gli altri pianeti visibili stasera dalla terra. Rivolgendosi ai loro occhiali rivolti verso il cielo, spiega la Via Lattea, risponde a domande sul e stel e cadenti, indica, come fa con i suoi allievi - come ha fatto con me la prima notte trascorsa qui -, la minuscola stel a accanto all’Orsa Minore che i soldati greci dovevano distinguere per essere considerati abili alle armi. Poi li riaccompagna in casa; se la mattina dovessero svegliarsi prima di noi, vuole che sappiano dove sono caffè e succo d’arancia. Io rimango in giardino con Dazzle. Non so cosa pensare. Non voglio saperlo.
Voglio solo arrampicarmi da solo fino in cima alla col ina. Ricordo i nostri giri in 106
gondola a Venezia. «Sei sicura che non siamo morti e saliti in paradiso?» «Non saprei, dovresti chiedere al gondoliere».
Attraverso la finestra del soggiorno li vedo intorno al tavolino. Claire ha girato il disco e l’ha rimesso a suonare sul piatto. Mio padre ha in mano l’album del e medaglie shakespeariane. Sembra che stia leggendo ad alta voce dal retro dei medaglioni. Qualche minuto dopo lei mi raggiunge sul a panchina di legno consumata dalle intemperie in cima alla col ina.
Fianco a fianco, senza parlare, guardiamo di nuovo le stel e ormai familiari. Lo facciamo quasi ogni notte. Tutto quel o che abbiamo fatto quest’estate, l’abbiamo fatto quasi ogni notte, mattina e pomeriggio.
Ogni giorno gli stessi richiami dalla cucina alla veranda, dalla camera da letto al bagno, «Clarissa, vieni a vedere, il sole sta tramontando»,
«Claire, c’è un colibrì», «Tesoro, come si chiama quel a stel a?» Per la prima volta in tutta la giornata, cede alla stanchezza. - Oddio, - dice, posando la testa sul a mia spalla.
Sento l’aria che riempie lentamente il suo corpo e poi lentamente torna a uscire. Dopo aver composto una mia costel azione con i corpi celesti più luminosi, le dico: - E’ come un racconto base di Cechov, non trovi? - Che cosa? - Questo. Oggi.
L’estate. Tutto in una decina di pagine. Titolo: Una relazione sul a mia vita passata.
Due uomini anziani vanno in campagna a trovare una coppia giovane, bel a e sana, che trabocca di felicità. Il giovane ha trentacinque anni, e si è finalmente lasciato alle spalle gli errori dei vent’anni. La giovane donna è fra i venti e i trent’anni, ed è sopravvissuta a un’infanzia e un’adolescenza dolorose. Hanno tutte le ragioni per pensare di averla scampata. Entrambi hanno la sensazione di essere stati salvati, in gran parte grazie all’altro.
Sono innamorati.
Ma dopo una cena a lume di candela, uno degli uomini anziani racconta la storia del a sua vita, la distruzione di un mondo, e i colpi che la sorte continua a infliggergli. Tutto qui. La storia finisce così: la bel a testa di lei sul a spalla di lui; la mano di lui che le accarezza i capel i; la loro civetta che grida; le loro costel azioni al solito posto - i medaglioni al solito posto; gli ospiti nei letti appena fatti; e il cottage estivo, comodo e invitante, ai piedi del a col ina dove i due siedono insieme chiedendosi di cosa hanno paura. In casa c’è musica.
La più squisita musica che esista. «E a entrambi era chiaro che la parte più complessa e difficile stava solo iniziando». E l’ultima riga del a Signora col cagnolino. -
Davvero c’è qualcosa che ti fa paura? - A quanto pare l’ho detto. - Ma cosa? Adesso i suoi vel utati, intel igenti, fiduciosi occhi verdi sono puntati su di me. Tutta la sua coscienziosa attenzione da aula scolastica è concentrata su di me - e su quel che risponderò. Dopo un istante dico: - In realtà non lo so. Ieri in farmacia ho visto che avevano del e maschere a ossigeno portatili. Il ragazzo mi ha fatto vedere come funzionano, e ne ho comprata una.
L’ho messa nel ‘armadietto del bagno, dietro gli asciugamani da spiaggia. Nel caso che stanotte succeda qualcosa a qualcuno. - Non succederà niente.
Perché dovrebbe? - Non so. So solo che quando lui ha cominciato la sua tiritera sul passato con i gestori del ‘albergo avrei voluto avercela dietro. - David, non morirà solo perché si scalda un po’ a proposito del passato. Oh, amor mio, - dice, baciandomi la mano e portandosela alla guancia, - sei esausto, ecco tutto. Lui si agita così tanto che ti riduce a un cencio, ma le intenzioni sono buone. Ed è in piena forma.
Sta bene. Tu invece sei stravolto. E’ ora di andare a letto, tutto qui.
E ora di andare a letto, tutto qui. Oh, santa innocenza, tu non riesci a capire e io non riesco a spiegare. Non posso dirtelo, non stasera, ma nel giro di un anno la mia passione sarà spenta. Si sta già spegnendo e temo di non poter far nul a per salvarla. E che tu non possa far nul a.
Sono intimamente legato - legato a te come a nessun altro! - eppure non riuscirò 107
neanche a sol evare una mano per toccarti. . a meno di ricordare prima a me stesso che devo farlo. Per questa carne su cui sono stato innestato e riportato a una qualche padronanza sul a mia vita, sarò privo di desiderio. Oh, è stupido! Idiota! Ingiusto! Essere derubato in questo modo di te! E di questa vita che amo e che ho appena cominciato a conoscere! E derubato da chi! Da me stesso, da chi se no!
Così immagino di nuovo di essere nel a sala d’aspetto di Klinger; e nonostante la presenza di tutti quei «Newsweek» e «New Yorker», non sono un cordiale, mite sofferente uscito da un pacato racconto cechoviano di ordinaria afflizione umana. No, sono di gran lunga più sgradevole, somiglio piuttosto al furibondo amputato di Gogol’, che corre all’ufficio del giornale a far pubblicare un delirante annuncio per ritrovare il naso che ha abbandonato la sua faccia. Sì, la vittima di uno scherzo grottesco, maligno, inesplicabile!
Eccomi, terapeuta truffaldino, sono tornato, e ancora più malridotto di prima! Ho fatto tutto ciò che lei mi ha detto, ho seguito tutte le istruzioni, mi sono rigidamente attenuto al più salutare dei regimi - ho addirittura accettato di dedicare il mio corso universitario allo studio del e passioni, di sottoporre a un minuzioso esame gli autori cbe hanno esaminato la questione nel modo più impietoso. . ed ecco il risultato!
Lo so e lo so e lo so, lo immagino e lo immagino e lo immagino, e quando accade il peggio, tanto varrebbe che non lo sapessi! Tanto varrebbe che lei, dottore, non lo sapesse!
E che non mi ammannisse le consolazioni del principio di realtà! Si limiti a rintracciarlo e a restituirmelo prima che sia troppo tardi! La perfetta giovane donna mi attende! Quel sogno di ragazza, e la più vivibile del e vite! E a questo punto allungo all’azzimato, corpulento, arguto medico l’avviso intitolato «scomparso», che descrive com’era l’ultima volta che è stato visto, il suo valore reale e sentimentale, e la ricompensa che offro a chiunque dia informazioni utili al suo ritrovamento: «Il mio desiderio per Miss Claire Ovington - insegnante di scuola privata di Manhattan, altezza un metro e settantacinque, peso sessantadue chili, capel i biondi, occhi grigioverdi, carattere gentile, affettuoso e leale - è misteriosamente scomparso. .» E la risposta del dottore? Che tanto per cominciare potrei non averlo mai avuto? O che, ovviamente, ora che è scomparso devo imparare a farne a meno. . Per tutta la notte brutti sogni scorrono attraverso di me come l’acqua attraverso le branchie di un pesce. Verso l’alba mi sveglio e scopro che la casa non è in cenere e che non sono stato dichiarato incurabile e abbandonato nel mio letto. La mia volenterosa Clarissa è ancora con me! Sollevo la camicia da notte lungo il suo corpo addormentato, e comincio a baciarle e mordicchiarle i capezzoli finché le pallide, vellutate, infantili areole si inturgidiscono, e lei inizia a gemere. Ma anche mentre succhio con disperata frenesia il boccone più prelibato della sua carne, anche mentre contrappongo tutta la felicità accumulata, e tutta la mia speranza, alla paura delle trasformazioni a venire, mi aspetto di udire il più terrificante suono immaginabile provenire dalla camera dove Mr Barbatnik e mio padre giacciono soli e privi di sensi, ciascuno nel suo letto appena fatto.
Stampato per conto del a Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printing SpA., Stabilimento N.S.M., Cles (Trento) nel mese di gennaio 2009
108