CASA HOWARD
E.M. Forster
Trama
Casa Howard è il romanzo da molti considerato il capolavoro di E.M. Forster, un raffinato connubio di ironia e lirismo, realismo e simbolismo. Siamo nell'Inghilterra degli inizi del secolo. Margaret, una giovane donna vivace e sensibile, è felice e stupita nell'apprendere che sua sorella Helen si è innamorata. E' l'interessata stessa a comunicarglielo, in una delle lettere che da casa Howard, la casa di campagna della famiglia Wilcox conosciuta durante un viaggio in Germania, manda alla sorella che vive con lei a Londra. Si tratta di un vero e proprio colpo di fulmine, quello scoccato fra Helen e Paul, il figlio minore dei suoi ospiti, conosciuto solo qualche giorno prima. Di fronte a quella che Margaret considera una felice «crisi», la zia è preoccupata e decide di andare di persona sul luogo per indagare e, se possibile, correre ai ripari.
Da questo momento iniziano i guai che l'intrecciarsi di due mondi così diversi come quello dei Wilcox e delle sorelle Schlegel scatenerà. Fatali equivoci e sconvolgenti rivelazioni provocano una tragedia che miete vittime su tutti i fronti, anche se si consuma in un'atmosfera ovattata di emozioni represse, di orrore soffocato e, nel quadro finale, sembra ristabilirsi una malinconica e rassegnata armonia.
Il fascino di Casa Howard sta soprattutto nel non-detto che si può leggere fra le righe, nella sottile inquietudine suscitata dalle sue allusioni misteriose, nella molteplicità di lettura delle sue metafore. Il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1910, pone la questione del destino dell'Inghilterra, ma anche una moltitudine di interrogativi esistenziali. Impalpabile nella sua complessità, Casa Howard è una delle espressioni più alte del romanzo inglese del Novecento.
Nato a Londra nel 1879 e morto nel 1970, E.M. Forster si laureò al King's College di Cambridge, l'università a cui rimase legato per tutta la vita. Autore di sei romanzi, tra cui Passaggio in India (Mondadori 1985), di racconti e studi critici, è considerato uno dei massimi scrittori inglesi del nostro secolo.
Casa Howard
1
Possiamo cominciare con le lettere di Helen alla sorella.
Casa Howard
Martedì
Carissima Meg, non è affatto come ci aspettavamo. E' vecchia e piccola, e nell'insieme deliziosa - in mattoni rossi. Ci stiamo a stento noi, e Dio sa cosa accadrà domani quando arriverà Paul, il figlio minore.
Dal vestibolo si va o a destra in sala da pranzo o a sinistra in salotto. Il vestibolo stesso è praticamente una stanza. Apri un'altra porta ed ecco le scale, che salgono in una specie di cunicolo al primo piano. Lì tre camere da letto in fila, e altre tre a mansarda di sopra. In realtà la casa non è tutta qui, ma è tutto quello che si vede guardandola dal giardino sul davanti: nove finestre.
C'è poi un grandissimo olmo riccio - a sinistra della facciata che si piega un poco sulla casa e sorge al limite tra il giardino e il prato. Io lo amo già, quell'albero. Inoltre olmi comuni, querce non peggiori delle solite querce - peri, meli e una vite. Niente betulle argentate, però. Comunque, ora devo passare ai miei anfitrioni. Volevo soltanto mostrarti che qui non è affatto come ci aspettavamo. Perché avevamo deciso che la loro casa dovesse essere tutta timpani e arzigogoli, e il loro giardino tutto vialetti color gommagutta? Credo semplicemente perché li abbiamo sempre associati agli alberghi di lusso: la signora Wilcox che incede lenta e stupendamente vestita per lunghi corridoi, il signor Wilcox che angaria portieri, ecc.. Noi femmine siamo così ingiuste.
Sarò di ritorno sabato; ti farò poi sapere con quale treno. I Wilcox sono arrabbiati quanto me che non sia venuta anche tu; Tibby è davvero troppo noioso, si prende una nuova malattia mortale al mese.
Come ha potuto prendersi la febbre da fieno a Londra? E anche se ci è riuscito, mi sembra dura che tu debba rinunciare a una visita per sentir starnutire uno scolaretto. Digli che anche Charles Wilcox (il figlio che è qui) ha la febbre da fieno, ma è coraggioso e si secca molto quando gli chiediamo come sta. Uomini come i Wilcox farebbero a Tibby un mondo di bene. Ma certo tu non sarai d'accordo ed è meglio cambiare argomento.
Questa lettera è così lunga perché ti sto scrivendo prima di colazione. Oh, le belle foglie di vite! la casa è coperta da una vite canadese. Prima ho guardato fuori dalla finestra e la signora Wilcox era già in giardino. E' chiaro che lo ama. Non c'è da stupirsi che a volte abbia l'aria stanca. Stava guardando spuntare i grandi papaveri rossi. Poi è passata dal prato al pascolo, del quale posso appena vedere l'angolo di destra. Strascina, strascina, il suo lungo vestito è passato sull'erba madida, ed ella è tornata con le mani piene di fieno falciato ieri - per i conigli o qualche altro animale, immagino - e continuava a odorarlo. L'aria qui è deliziosa. Più tardi ho sentito il rumore delle palle da croquet, ho guardato di nuovo fuori ed era Charles Wilcox che si esercitava; sono appassionati di tutti i giochi. Ora comincia a starnutire e deve fermarsi. Poi ancora quei colpi secchi, ed è il signor Wilcox che si esercita, ma ad un tratto «etcì, etcì»; anch'egli deve smettere. Quindi esce Evie e fa alcuni esercizi ginnastici con un attrezzo fissato a un albero di susine questa famiglia sa servirsi di qualsiasi cosa - poi fa un «etcì» e rientra in casa. Ed infine riappare la signora Wilcox, strascina, strascina, ancora odorando il fieno e guardando i fiori. Ti infliggo tutto questo perché una volta hai detto che la vita è talora vita e talora soltanto una rappresentazione teatrale, per cui bisogna imparare a distinguere l'una dall'altra, ed io finora l'avevo sempre considerata una delle «intelligenti sciocchezze di Meg». Ma davvero stamane questa non mi sembra vita, bensì teatro, e mi ha divertito moltissimo osservare i Wilcox. Ora la signora Wilcox è rientrata in casa.
Oggi indosserò [omissis]. Ieri sera la signora Wilcox portava un [omissis] ed Evie [omissis]. Dunque non è esattamente un posto alla buona e se chiudi gli occhi ti sembra ancora d'essere nell'albergo di lusso che ci aspettavamo. Non così se li apri. Le rose canine sono incantevoli. Ve n'è una gran siepe oltre il prato - magnificamente alta, così che i tralci ricadono in ghirlande, e sottile in basso, così che attraverso si possono vedere delle anitre e una vacca.
Queste appartengono alla fattoria, che è l'unica casa vicino a noi.
Ecco che ora suona il gong della prima colazione. Ti invio tutto il mio affetto. Un affetto meno sviscerato a Tibby. Saluti affettuosi alla zia Juley; com'è stato gentile da parte sua venire a tenerti compagnia, ma che seccatura. Brucia questa mia. Scriverò di nuovo giovedì.
Helen.
Casa Howard
Venerdì
Carissima Meg, mi sto divertendo enormemente. Mi piacciono tutti. La signora Wilcox, anche se più cheta che in Germania, è più gentile che mai; non ho mai visto nulla di simile al suo costante altruismo e la cosa migliore è che gli altri non se ne approfittano. E' la famiglia più felice, più allegra che si possa immaginare. Sento veramente che stiamo diventando amici. Il buffo è che mi considerano una sempliciotta, e me lo dicono - almeno il signor Wilcox me lo dice - e quando questo avviene, e una non se la prende, è una prova abbastanza sicura, non è vero? Egli dice nel modo più simpatico cose tremende sul suffragio alle donne e quando io ho dichiarato di credere nell'uguaglianza ha incrociato semplicemente le braccia e mi ha «messa a posto» come non mi era mai capitato prima. Meg, quando impareremo a parlare meno? Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia. Non ho saputo indicare un'epoca in cui gli uomini siano stati tutti uguali, e nemmeno una in cui il desiderio di essere uguali li abbia resi più felici in altri modi. Non ho saputo dire una parola.
Avevo semplicemente tratto l'opinione che l'uguaglianza è un bene da qualche libro - probabilmente di poesia - oppure da te. Comunque, me l'hanno ridotta in mille pezzi e, come tutte le persone veramente forti, il signor Wilcox lo ha fatto senza ferirmi. D'altro canto, io rido di loro a causa della febbre da fieno. Viviamo come galli da combattimento, e Charles ci porta ogni giorno fuori in auto - una tomba nascosta tra gli alberi, la casa di un eremita, una bellissima strada che fu fatta dai re di Mercia - tennis - una partita di cricket - bridge - e la sera ci pigiamo tutti in questa bella casa.
Ora l'intero clan si trova qui ed è come una conigliera. Evie è un amore. Vogliono che mi fermi fino a tutta domenica... immagino non ci sia nulla di male se li accontento. Tempo meraviglioso, meravigliose l'aria e la vista delle alture a ponente. Grazie per la tua lettera.
Brucia questa mia.
La tua affezionata Helen.
Casa Howard
Sabato
Carissima carissima Meg, non so cosa dirai: Paul e io ci siamo innamorati - il figlio minore, che è arrivato qui soltanto mercoledì.
2
Margaret diede un'occhiata al biglietto della sorella e lo porse alla zia attraverso il tavolo della colazione. Vi fu un momento di silenzio, poi le cataratte si aprirono.
«Non posso dirti nulla, zia Juley. Non sono più informata di te. Li conoscemmo... soltanto il padre e la madre... la primavera scorsa all'estero. So così poco di loro, che ignoravo perfino il nome del figlio. E' tutto così...» Agitò una mano e fece una risatina.
«In tal caso, è una faccenda troppo improvvisa.» «Chissà, zia Juley, chissà?» «Ma, Margaret cara, voglio dire, non dobbiamo mancare di praticità ora che siamo venute ai fatti. E' veramente troppo improvvisa, senza dubbio.» «Chissà!» «Ma, Margaret cara...» «Ora vado a prendere le altre lettere» disse Margaret. «No, non ci vado, prima finisco di fare colazione. Conoscemmo i Wilcox durante una spaventosa spedizione da Heidelberg a Spira. Helen e io ci eravamo messe in testa che a Spira ci fosse una grandiosa cattedrale antica... l'arcivescovo di Spira era uno dei sette elettori... sai, «Spira, Magonza e Colonia». Queste tre diocesi dominavano un tempo la valle del Reno, procurandole il nome di Strada dei Preti.» «Mi sento ancora inquieta per questa faccenda, Margaret.» «Il treno attraversò un ponte di barche e a prima vista il posto ci parve bellissimo. Ma oh, in cinque minuti avevamo visto tutto. La cattedrale era stata rovinata, assolutamente rovinata, dai restauri: non era rimasto un pollice della struttura originale. Sprecammo così un'intera giornata e incontrammo i Wilcox mentre stavamo mangiando i nostri panini imbottiti ai giardini pubblici. Anche loro, poveretti, c'erano cascati... avevano addirittura preso alloggio a Spira... e furono piuttosto contenti che Helen insistesse perché se ne scappassero con noi a Heidelberg. Infatti, vennero il giorno dopo.
Facemmo alcune gite insieme. Alla fine ci conoscevano abbastanza bene per chiedere a Helen di andare a trovarli; anch'io ero stata invitata, ma la malattia di Tibby mi ha impedito di andare, quindi lunedì scorso Helen è partita sola. Ecco tutto. Ora ne sai quanto me.
Lei sarebbe dovuta tornare sabato, ma ha rimandato fino a lunedì, forse a causa di... non so.» S'interruppe e ascoltò i suoni di un mattino londinese. La loro casa era in Wickham Place e abbastanza tranquilla, perché un alto promontorio di edifici la separava dall'arteria principale. Si aveva l'impressione di una laguna, o piuttosto di un estuario, in cui le acque affluivano da un mare invisibile e rifluivano in un profondo silenzio, mentre le onde fuori stavano ancora frangendosi. Benché il promontorio consistesse di palazzi d'appartamenti - dispendiosi, con atri cavernosi, pieni di portieri e di palme - serviva allo scopo e procurava una certa pace alle case di fronte, più vecchie. Anche queste, col tempo, sarebbero state spazzate via e un altro promontorio sarebbe sorto al loro posto, poiché l'umanità si ammonticchiava sempre più in alto sul prezioso suolo di Londra.
La signora Munt aveva un proprio metodo d'interpretare le sue nipoti. Decise che Margaret era un poco isterica e cercava di guadagnare tempo con un torrente di parole. Sentendosi molto diplomatica, deplorò il destino di Spira, dichiarando che mai e poi mai sarebbe stata così poco avveduta da visitarla e aggiunse di propria iniziativa che i principi del restauro non erano intesi rettamente in Germania. «I tedeschi» disse «sono troppo perfetti, e questo a volte è un bene, ma altre volte non va.» «Esattamente» disse Margaret; «i tedeschi sono troppo perfetti.» E i suoi occhi cominciarono a brillare.
«Naturalmente io considero voi Schlegel come inglesi» si affrettò a dire la signora Munt. «Inglesi fino al midollo.» Margaret si piegò in avanti e le accarezzò una mano.
«E questo mi rammenta... la lettera di Helen...» «Oh sì, zia Janey, anch'io sto pensando alla lettera di Helen. Lo so, devo andare da lei. Ci stavo proprio pensando. Ho intenzione di andare.» «Ma con un piano in mente» disse la signora Munt, introducendo nella sua voce una nota di esasperazione. «Margaret, se posso interferire, non lasciarti prendere di sorpresa. Cosa pensi dei Wilcox? Sono del nostro ceto? Sono persone che danno affidamento?
Sapranno apprezzare Helen, che secondo me è una ragazza molto speciale? S'interessano di letteratura e di arte? Questo è molto importante, se ci pensi. Letteratura e arte. Importantissimo. Che età può avere quel giovane? Lei dice «il figlio minore». Avrà una posizione per potersi sposare? Potrà rendere felice Helen? Hai arguito...» «Non ho arguito nulla.» Cominciarono a parlare contemporaneamente.
«Allora in questo caso...» «In questo caso non posso fare piani, non vedi?» «Al contrario...» «Io odio i piani. Odio le linee d'azione. Helen non è una bambina.»
«Allora, mia cara, perché andare?» Margaret restò silenziosa. Se sua zia non riusciva a capire perché doveva andare, non sarebbe stata lei a spiegarglielo. Non avrebbe detto: «Voglio bene alla mia cara sorella; devo esserle vicina in questa crisi della sua vita». Gli affetti sono più reticenti delle passioni e la loro espressione è più sottile. Se lei stessa si fosse mai innamorata di un uomo, lo avrebbe, come Helen, proclamato dai tetti delle case, ma siccome amava soltanto sua sorella, usava il linguaggio muto della comunione d'idee e sentimenti.
«Io vi considero ragazze fuori dal comune» continuò la signora Munt, «ragazze davvero meravigliose e, per molti versi, molto più vecchie della vostra età. Ma... non ti offenderai?... francamente, credo che tu non sia all'altezza di questa faccenda. Ci vuole una persona più anziana. Cara, io non ho nulla che mi richiami a Swan-age.» Allargò le braccia grassocce. «Sono completamente a vostra disposizione. Lascia che vada al posto tuo in quella casa di cui non ricordo il nome.» «Zia Juley» Margaret balzò in piedi e la baciò, «devo, devo andare io stessa a Casa Howard. Tu non puoi capire esattamente, anche se non potrò mai ringraziarti abbastanza per la tua offerta.» «Capisco benissimo» ribatté la signora Munt con immensa fiducia.
«Non vado certo per interferire, ma per fare indagini. Le indagini sono necessarie. Bene, sarò franca. Tu diresti le cose sbagliate; certamente le diresti. Nella tua ansia per la felicità di Helen offenderesti tutti quei Wilcox facendo una della tue impetuose domande... non che offenderli abbia poi molta importanza.» «Non farò domande. Ce l'ho qui scritto di suo pugno, che Helen e un uomo sono innamorati. Non ci sono domande da fare, finché lei ne è convinta. Tutto il resto non conta. Un lungo fidanzamento, se vuoi, ma indagini, domande, piani, linee d'azione... no, zia Juley, no.» E proseguì in fretta, non bella, non supremamente brillante, ma piena di qualcosa che sostituiva queste due qualità... qualcosa che si può definire nel modo migliore come una profonda vivacità, una continua e sincera reattività a tutto quanto incontrava lungo il cammino della vita.
«Se Helen mi avesse scritto la stessa cosa a proposito d'un commesso di negozio o d'un impiegato senza un soldo...» «Cara Margaret, vieni in biblioteca e chiudi la porta. Le tue brave domestiche stanno spolverando la ringhiera.» «...o se avesse voluto sposare l'uomo che va a trovare Carter Paterson, avrei detto la stessa cosa.» Quindi, con una di quelle virate le quali convincevano sua zia che Meg non era realmente matta e osservatori d'altro tipo che non era un'arida teorica, aggiunse: «Sebbene nel caso di Carter Paterson vorrei che il fidanzamento fosse davvero molto lungo, devo dire».
«Lo credo bene» disse la signora Munt; «però, in effetti, stento a seguirti. Ora, immagina soltanto se tu avessi detto qualcosa del genere ai Wilcox. Io ti capisco, ma quella brava gente ti prenderebbe per matta. Immagina come sarebbe imbarazzante per Helen! Ciò che occorre è una persona che ci vada piano, molto piano in questa faccenda, e veda come stanno le cose e dove possono condurre.» Margaret rimase sconcertata.
«Ma proprio ora hai fatto capire che il fidanzamento deve essere rotto.» «Probabilmente è così, credo; ma a poco a poco.» «Si può rompere un fidanzamento a poco a poco?» I suoi occhi scintillarono. «Di cosa credi sia fatto un fidanzamento? Secondo me, di una qualche materia dura, che può spezzarsi soltanto d'un colpo. E' diverso dagli altri legami della vita. Quelli si allentano o si piegano. Ammettono gradazioni. Sono diversi.» «Esattamente. Ma non vuoi lasciarmi fare una corsa a Casa Howard, risparmiandoti tutto il disagio? Non m'intrometterò, davvero, ma comprendo così bene ciò che ci vuole per voi Schlegel, che mi basterà una tranquilla occhiata in giro.» Margaret la ringraziò di nuovo, di nuovo la baciò, poi corse di sopra a vedere il fratello.
Non stava troppo bene.
La febbre da fieno lo aveva disturbato molto durante la notte. Gli doleva la testa, aveva gli occhi umidi e le sue mucose, come la informò, erano in condizioni del tutto insoddisfacenti. L'unica cosa che rendeva la vita degna d'esser vissuta era il pensiero di Walter Savage Landor, le cui Conversazioni immaginarie ella aveva promesso di leggergli a frequenti intervalli nel corso della giornata.
Era un momento piuttosto difficile. Qualcosa andava fatto riguardo a Helen. Bisognava assicurarle che non era un delitto innamorarsi a prima vista. A questo scopo un telegramma sarebbe stato freddo e ambiguo; una visita personale le sembrava sempre più impossibile. Poi arrivò il medico e disse che Tibby stava piuttosto male. Forse la cosa migliore era davvero accettare la gentile offerta della zia Juley e mandare lei a Casa Howard con un biglietto?
Certo Margaret era impulsiva. Passò rapidamente da una decisione all'altra. Scendendo di corsa in biblioteca, esclamò: «Si, ho cambiato idea; vorrei proprio che andassi tu».
Un treno partiva alle undici da King's Cross. Alle dieci e mezzo Tibby, con raro spirito di sacrificio, si addormentò e Margaret poté accompagnare la zia alla stazione.
«Ricordati, zia Juley, di non lasciarti trascinare a porre in discussione il fidanzamento. Dai a Helen la mia lettera e dille quello che vuoi, ma tienti lontana dai parenti. Sappiamo appena i loro nomi e, inoltre, questo genere di cose è quanto mai incivile e sbagliato.» «Incivile?» chiese la signora Munt, temendo di non aver colto il senso di un'osservazione brillante.
«Oh, ho usato una parola troppo forte. Volevo soltanto dire di non parlare della cosa con altri che con Helen.» «Con nessun altro, certo.» «Perché...» Ma non era il momento di spiegare la natura intima dell'amore. Persino Margaret vi rinunciò, accontentandosi d'accarezzare una mano della buona zia e di meditare, tra il razionale e il poetico, sul viaggio che stava per iniziare dalla stazione di King's Cross.
Come molti altri che hanno vissuto a lungo in una grande capitale, aveva forti sentimenti nei confronti delle sue varie stazioni ferroviarie. Sono le nostre porte verso il glorioso e l'ignoto.
Attraverso di esse andiamo incontro al sole e all'avventura, e a esse, ahimè, torniamo. Nella stazione di Paddington è latente tutta la Cornovaglia e il più remoto occidente; in fondo al pendio di Liverpool Street si stendono le paludi e gli sconfinati Broads; la Scozia è oltre i piloni di Euston; il Wessex dietro l'equilibrato caos della stazione di Waterloo. Gli italiani se ne rendono conto, com'è naturale; quanti fra loro sono tanto sfortunati da lavorare come camerieri a Berlino chiamano la An-halt Bahnhof la Stazione d'Italia, perchè da essa ritornano alle loro case. Ed è un londinese alquanto freddo colui che non attribuisce alle sue stazioni una qualche personalità e non estenda a esse, per quanto timidamente, sentimenti di paura e amore.
A Margaret - spero che questo non disporrà il lettore contro di lei - la stazione di King's Cross aveva sempre suggerito l'infinito. La sua stessa posizione - un po' ritirata dietro i facili splendori di St' Pancras - implicava un commento sul materialismo della vita. Quei due grandi archi, incolori, indifferenti, che spalleggiano un brutto orologio, sono portali degni di un'avventura eterna, il cui esito può essere felice, ma certamente non si esprimerà nel linguaggio ordinario della prosperità. Se questo vi sembra ridicolo, ricordate che non è Margaret a dirvelo; e lasciate che mi affretti ad aggiungere che arrivarono al treno più che in tempo; che la signora Munt si assicurò un comodo posto, che guardava la locomotiva, ma non troppo vicino a essa; e che Margaret, di ritorno a Wickham Place, si trovò di fronte al seguente telegramma: Tutto finito. Vorrei non aver mai scritto. Non parlarne a nessuno.
Helen.
Ma zia Juley era partita... partita irrevocabilmente, e nessuna forza al mondo poteva fermarla.
3
La signora Munt si preparava alla sua missione con grande compiacimento. Le sue nipoti erano giovani donne indipendenti e non le capitava spesso di poterle aiutare. Le figlie di Emily non erano mai state proprio come le altre ragazze. Avevano perduto la madre alla nascita di Tibby, quando Helen aveva cinque anni e la stessa Margaret solamente tredici. Questo era avvenuto prima che fosse approvata la legge su «la sorella della moglie deceduta», quindi la signora Munt aveva potuto, in tutta correttezza, offrirsi di andare a dirigere la casa di Wickham Place. Ma suo cognato, che era un originale e un tedesco, aveva deferito la questione a Margaret, la quale, con la rozzezza della gioventù, aveva risposto: «No, possiamo cavarcela molto meglio da soli». Cinque anni dopo anche il signor Schlegel era morto e la signora Munt aveva ripetuto la sua offerta.
Margaret, non più rozza, si era dimostrata grata ed estremamente gentile, ma la sua risposta era stata la stessa. «Non devo intromettermi una terza volta» pensò la signora Munt. Ma naturalmente lo fece. Aveva appreso con orrore che Margaret, ora maggiorenne, ritirava il suo denaro dai vecchi e sicuri investimenti per impegnarlo in Cose Straniere, che crollano sempre. Tacere sarebbe stato criminale. Il suo patrimonio era investito nelle Ferrovie Nazionali e pregò ardentemente la nipote di imitarla. «Così saremmo insieme, cara.» Margaret, per pura cortesia, investì poche centinaia di sterline nelle Ferrovie di Nottingham e Derby, e, sebbene le Cose Straniere andassero benissimo, mentre le «Nottingham e Derby» continuassero a calare con la stabile dignità di cui soltanto le Ferrovie Nazionali sono capaci, la signora Munt non cessò mai di rallegrarsene e di dire: «Ce l'ho fatta, per ogni eventualità. Quando avverrà il crollo, la povera Margaret avrà un peculio su cui contare». Quell'anno Helen aveva raggiunto la maggiore età ed era avvenuta esattamente la stessa cosa; anche la nipote più giovane aveva ritirato il suo denaro dal Consolidato, ma lei pure, quasi senza esservi spinta, ne aveva consacrato una piccola parte alle Ferrovie di Nottingham e Derby. Fin qui tutto bene, ma nelle faccende sociali la loro zia non era riuscita a nulla. Presto o tardi le due ragazze avrebbero iniziato il processo noto come «buttarsi via» e se finora lo avevano rimandato era soltanto per potervisi gettare con più veemenza nel futuro. Vedevano troppa gente a WickhamPlace: musicisti barbuti, perfino un'attrice, cugini tedeschi (si sa cosa sono gli stranieri), conoscenze raccattate negli alberghi del continente (anche queste si sa cosa sono). Era interessante, certo, e a Swanage nessuno apprezzava la cultura più della signora Munt; tuttavia era pericoloso e poteva portare soltanto a un disastro.
Quanto aveva avuto ragione e che fortuna trovarsi sul posto quando il disastro era avvenuto!
Il treno andava a tutta velocità verso nord, sotto innumerevoli gallerie. Era solo un'ora di viaggio, ma la signora Munt dovette aprire e chiudere il finestrino una quantità di volte. Passò attraverso il South Welwyn Tunnel, vide la luce per un momento ed entrò nel North Welwyn Tunnel, di tragica fama. Percorse l'immenso viadotto le cui arcate si ergono su prati tranquilli e sulla corrente sognante del Tewin Water. Costeggiò i parchi degli uomini politici.
Di tanto in tanto le si affiancava la Great North Road, che suggerisce l'infinito più di qualsiasi ferrovia, risvegliandosi, dopo una dormitina d'un centinaio d'anni, a quel tanto di vita che è conferita dal puzzo delle automobili e a quel tanto di cultura che è contenuta nei cartelloni pubblicitari delle pillole contro le disfunzioni biliari. Ma alla storia, alla tragedia, al passato, al futuro, la signora Munt rimase ugualmente indifferente; i suoi pensieri erano concentrati soltanto sulla fine del viaggio e sul modo di salvare Helen da quel tremendo pasticcio.
Per raggiungere Casa Howard si scendeva a Hilton, uno di quei grossi villaggi così frequenti sulla North Road, i quali devono le loro dimensioni al traffico che scorreva su quella grande strada all'epoca delle diligenze e prima. Essendo vicino a Londra, non aveva partecipato della decadenza rurale e ai lati della sua lunga via principale erano germogliate le residenze private. Per circa un chilometro e mezzo una serie di case dai tetti di tegole o d'ardesia passò davanti agli occhi disattenti della signora Munt, una serie interrotta a un certo punto da sei tumuli danesi che si ergevano fianco a fianco lungo la strada maestra, tombe di soldati. Oltre questi tumuli le abitazioni s'infittivano e il treno si fermò in un groviglio che era quasi una città.
La stazione, come il paesaggio, come le lettere di Helen, aveva un che di indeterminato. In quale paese conduceva, l'Inghilterra o un suo sobborgo? Era nuova, aveva pensiline a isola, un sottopassaggio e quella comodità superficiale che esigono gli uomini d'affari.
Tuttavia conservava accenni di vita locale, di rapporti personali, come perfino la signora Munt doveva scoprire.
«Cerco una casa» confidò al bigliettaio. «Il suo nome è Casa Howard. Sa dove si trova?» «Signor Wilcox!» chiamò il bigliettaio.
Un giovanotto davanti a loro si voltò.
«Questa signora cerca Casa How-ard.» Non c'era altro da fare che avvicinarlo, sebbene la signora Munt fosse troppo agitata anche soltanto per guardarlo in faccia. Ma ricordando che c'erano due fratelli ebbe il buon senso di dire: «Scusi la domanda, ma lei è il più vecchio o il più giovane dei signori Wilcox?» «Il più giovane. Posso fare qualcosa per lei?» «Oh, ecco...» Si controllò con difficoltà. «Davvero? E' il più giovane? Io...» Si allontanò dal bigliettaio e abbassò la voce.
«Sono la zia della signorina Schlegel. Sarà meglio che mi presenti, vero? Sono la signora Munt.» Si rese conto che il giovane si toglieva il berretto e diceva molto freddamente: «Oh, certo; la signorina Schlegel è nostra ospite.
Desidera vederla?» «Se è possibile...» «Le chiamerò un tassì. No; aspetti un momento.» Il giovane rifletté. «La nostra auto è qui. Le darò io un passaggio.» «E' molto gentile...» «Non è nulla, se non le spiace aspettare che portino un pacchetto dall'ufficio. Da questa parte.» «Mia nipote non è con lei, per caso?» «No; sono venuto con mio padre. E' proseguito per il Nord proprio con il suo treno. Vedrà la signorina Schlegel a pranzo. Si unirà a noi per il pranzo, spero?» «Mi piacerebbe unirmi a voi» disse la signora Munt, senza impegnarsi prima d'aver studiato un po' meglio l'innamorato di Helen.
Sembrava un gentiluomo, ma l'aveva così frastornata che la sua capacità d'osservazione era intorpidita. Lo guardò, furtivamente. Per un occhio femminile non c'era nulla che non andasse negli angoli della bocca molto piegati verso il basso, né nella forma piuttosto a scatola della fronte. Era bruno, ben rasato e sembrava abituato al comando.
«Davanti o dietro? Quale sedile preferisce? Davanti può sentire un po' di vento.» «Davanti, se non le spiace; così possiamo parlare.» «Ma ora mi scusi un momento. Non capisco cosa stiano facendo con quel pacco.» Entrò a grandi passi nella biglietteria e disse con voce diversa: «Ehi! Ehi, voi! Mi terrete ad aspettare tutto il giorno? Un pacco per Wilcox, Casa Howard. Cercate di sbrigarvi!». Uscendo, disse in tono più calmo: «Questa stazione è organizzata in modo abominevole; se potessi fare a modo mio, li licenzierei tutti. Posso aiutarla a salire?».
«Molto gentile da parte sua» disse la signora Munt, mentre si accomodava in un lussuoso abitacolo di pelle rossa e permetteva che la sua persona venisse imbottita di scialli e coperte. Si dimostrava più garbata di quanto avesse voluto, ma quel giovane era veramente molto gentile. Inoltre la intimidiva un poco: la sua padronanza di sé era straordinaria. «Molto gentile davvero» ripeté aggiungendo: «Non avrei potuto desiderare di meglio».
«E' molto cortese da parte sua dir questo» replicò il giovane, con un'occhiata leggermente stupita che, come tutte le espressioni non marcate, sfuggì all'attenzione della signora Munt. «Ho soltanto accompagnato mio padre a prendere il treno.» «Vede, stamane abbiamo avuto notizie da Helen.» Intanto il giovane Wilcox riempiva il serbatoio, avviava il motore ed effettuava altre azioni che non hanno attinenza con questa storia.
La grossa auto cominciò a sussultare e la figura della signora Munt, che cercava di spiegare le cose, ballonzolava piacevolmente su e giù tra i rossi cuscini. «Mia madre sarà molto contenta di conoscerla» borbottò il giovane. «Ehi! Dico. Il pacco. Il pacco per Casa Howard.
Portatelo fuori. Ehi!» Apparve un facchino barbuto con un pacco in una mano e un registro nell'altra. Al crescente rombo del motore si mischiarono queste esclamazioni: «Ah, devo firmare? Perchè diavo... dovrei firmare dopo tutte queste seccature? Non ha nemmeno una matita? Si ricordi che la prossima volta farò reclamo contro di lei al capostazione. Il mio tempo è prezioso, anche se il suo non lo è. Tenga...» questa essendo una mancia.
«Mi scusi molto, signora Munt.» «Di nulla, signor Wilcox.» «Le spiace se passiamo per il paese? E' un giro più lungo, ma ho un paio di commissioni da fare.» «Mi fa piacere attraversare il paese. Naturalmente sono ansiosa di discorrere con lei.» Dicendo questo provò vergogna, perché disobbediva alle istruzioni di Margaret. Ma soltanto nella forma, senza dubbio. Margaret l'aveva ammonita di non parlare della faccenda con estranei. Certo non era «incivile o sbagliato» discorrerne con il giovanotto stesso, dato che il caso li aveva fatti incontrare.
Tipo reticente, egli non le rispose. Salito al suo fianco, si mise i guanti e gli occhiali, quindi partirono, mentre il facchino barbuto - la vita è una faccenda misteriosa - li guardava con ammirazione.
Lungo la strada della stazione ebbero il vento di fronte, che soffiava la polvere negli occhi della signora Munt. Ma appena svoltarono nella Great North Road la donna aprì il fuoco. «Può ben immaginarsi» disse «che la notizia è stata un gran colpo per noi.» «Quale notizia?» «Signor Wilcox» fece lei con franchezza, «Margaret mi ha detto tutto... tutto. Ho veduto la lettera di Helen.» Il giovane non poteva guardarla in faccia, poiché i suoi occhi erano fissi su ciò che faceva; stava percorrendo la High Street quanto più velocemente osava. Tuttavia piegò la testa nella direzione della sua passeggera, dicendo: «Mi scusi; non ho capito».
«Riguardo a Helen. Helen, naturalmente. Helen è una persona del tutto fuori dal comune... sono sicura che mi permetterà di dire questo, dati i sentimenti che prova per lei... in effetti, tutti gli Schlegel sono fuori del comune. Io vengo senza intenzione d'intromettermi, ma è stato un gran colpo.» Si fermarono davanti a un negozio di tessuti. Senza rispondere, egli si girò sul sedile e contemplò la nuvola di polvere che avevano sollevato passando attraverso il paese. Si stava posando di nuovo, ma non tutta, sulla strada dalla quale egli l'aveva tolta. Un po' si era insinuata attraverso le finestre aperte, un po' aveva imbiancato le rose e i ribes dei giardini lungo la via, mentre una certa proporzione era entrata nei polmoni degli abitanti del villaggio. «Mi chiedo quando avranno il buon senso di asfaltare le strade» fu il commento del giovane. Poi un uomo corse fuori dal negozio con un rotolo di tela cerata e i due ripartirono.
«Margaret non è potuta venire di persona, a causa del povero Tibby, quindi io sono qui per rappresentarla e fare una bella chiacchierata.» «Mi spiace d'essere così ottuso» disse il giovane, fermandosi di nuovo davanti a un negozio. «Ma ancora non ho ben capito.» «Helen, signor Wilcox... mia nipote e lei.» Egli sollevò gli occhialoni e la fissò, assolutamente allibito. Un profondo orrore colpì la signora Munt, giacché perfino lei cominciava a sospettare che c'era stato qualche malinteso ed ella aveva iniziato la sua missione con un terribile errore.
«La signorina Schlegel e io?» domandò il giovane, stringendo le labbra.
«Confido che non vi sia stato nessun equivoco» disse con voce tremula la signora Munt. «Certamente la sua lettera aveva questo significato.» «Quale significato?» «Che lei e Helen...» S'interruppe, poi abbassò le palpebre.
«Credo di capire a cosa si riferisce» disse lui rigidamente. «Che incredibile sbaglio!» «Allora lei non è affatto...» balbettò, diventando rossa come un papavero e desiderando di non essere nata.
«E' difficile, dato che sono già fidanzato con un'altra signorina.» Ci fu un momento di silenzio, poi il giovane trattenne il respiro ed esplose: «Oh, buon Dio! Non mi dica ch'è una delle solite corbellerie di Paul».
«Ma Paul è lei.» «No, non sono io.» «Allora perché alla stazione ha detto di esserlo?» «Non ho detto niente di simile.» «Le chiedo scusa, ma lo ha detto.» «Le chiedo scusa, ma non l'ho detto. Il mio nome è Charles.» Il termine «giovane» può riferirsi tanto al figlio rispetto al padre, quanto al fratello minore rispetto al maggiore. C'è molto da dire in favore di ciascuno di questi punti di vista e in seguito essi ne parlarono. Ma adesso avevano altre cose da discutere.
«Lei vuole dirmi che Paul...» Ma alla signora Munt non piacque la voce del giovanotto. Era come se si rivolgesse a un facchino e, sicura che egli l'aveva ingannata alla stazione, anche zia Janey andò in collera.
«Lei vuole dirmi che Paul e suo nipote...» La signora Munt - così è la natura umana - decise di schierarsi dalla parte degli innamorati. Non intendeva lasciarsi intimidire da un giovanotto austero. «Sì, tengono molto l'uno all'altra» disse.
«Oso dire che gliene parleranno presto. Noi lo abbiamo saputo questa mattina.» Al che Charles strinse i pugni e gridò: «L'idiota, l'idiota, il piccolo stupido!».
La signora Munt tentò di liberarsi dalle coperte. «Se questo è il suo atteggiamento, signor Wilcox, preferisco andare a piedi.» «La prego di non fare una cosa simile. La porto subito a Casa Howard. Ma mi lasci dire che la cosa è impossibile e deve essere fermata.» La signora Munt non perdeva spesso la calma e quando le accadeva era soltanto per proteggere le persone che amava. In questa occasione andò su tutte le furie. «Sono pienamente d'accordo, signore. La cosa è veramente impossibile e io stessa la fermerò. Mia nipote è una persona eccezionale e non intendo restarmene con le mani in mano, mentre si butta via con chi non saprà apprezzarla.» Charles contrasse le mascelle.
«Considerando che ha conosciuto suo fratello soltanto mercoledì, e ha semplicemente incontrato suo padre e sua madre in un albergo qualsiasi...» «Non potrebbe abbassare la voce? Il negoziante sentirà.» L'«esprit de classe» - se ci è lecito coniare questa espressione era forte nella signora Munt. Rimase seduta a fremere, mentre un membro del ceto inferiore depositava un imbuto di metallo, una casseruola e uno spruzzatore da giardino accanto al rotolo di tela cerata.
«Tutto a posto dietro?» «Sì, signore.» E il ceto inferiore scomparve in una nuvola di polvere.
«L'avverto: Paul non ha un soldo; è inutile.» «Non occorre avvertire noi, signor Wilcox, gliel'assicuro.
L'avvertimento è nella direzione opposta. Mia nipote è stata molto sciocca, le darò una bella lavata di capo e la riporterò a Londra con me.» «Mio fratello deve farsi strada in Nigeria. Non può pensare a sposarsi per anni e, quando sarà in condizioni di farlo, dovrà essere con una donna che possa sopportare quel clima, e anche per altri versi sia... Perché non ce ne ha parlato? Si vergogna, naturalmente.
Sa di essere stato uno sciocco. E lo è stato: un dannato sciocco.» La signora Munt divenne furiosa.
«Mentre la signorina Schlegel non ha perduto tempo a divulgare la notizia.» «Se fossi un uomo, signor Wilcox, per quest'ultima osservazione la prenderei a schiaffi. Non è degno di pulire gli stivaletti di Helen, di sedere nella stessa stanza con mia nipote e osa... osa... mi rifiuto di discutere con una persona come lei.» «Tutto quello che so è che sua nipote ha diffuso la notizia e Paul no, e mio padre è via e io...» «Tutto quello che so io è...» «Mi lascia finire il mio discorso, per piacere?» «No.» Charles strinse i denti e fece scartare l'auto sul lato opposto della strada.
La signora Munt gridò.
Così i due fecero il gioco delle Famiglie in Competizione, una ripresa del quale ha sempre luogo quando l'amore unisce due membri della nostra razza. Ma lo giocarono con insolito vigore, affermando a chiare lettere che gli Schlegel erano meglio dei Wilcox e i Wilcox meglio degli Schlegel. Misero da parte le convenienze. L'uomo era giovane, la donna profondamente agitata; in entrambi era latente una vena di volgarità. La loro lite non fu più sorprendente della maggior parte delle liti: inevitabile al momento, incredibile in seguito. Ma era più futile del solito. Pochi minuti e i due litiganti furono illuminati. L'auto arrivò a Casa Howard e Helen, pallidissima, corse fuori incontro alla zia.
«Zia Juley, ho appena ricevuto un telegramma di Margaret; io... io volevo impedirti di venire. Non è... è tutto finito.» Quel crescendo d'emozioni fu troppo per la signora Munt, che scoppiò in lacrime.
«Zia cara, no. Non far sapere loro che sono stata così sciocca. Non è stato nulla. Porta pazienza per il mio bene.» «Paul» gridò Charles Wilcox, togliendosi i guanti.
«Non farglielo sapere. Loro non devono saperlo mai.» «Oh, mia carissima Helen...» «Paul! Paul!» Un uomo molto giovane uscì dalla casa.
«Paul, c'è qualcosa di vero in questa storia?» «Io non avevo... Non ho...» «Sì o no, ragazzo; domanda semplice, risposta semplice. La signorina Schlegel ha o non ha...» «Charles caro» disse una voce dal giardino, «Charles, caro Charles, non si pongono domande semplici. Non esiste nulla del genere.» Tutti tacquero. Era la signora Wilcox.
Ella avanzò proprio come era descritta nella lettera di Helen, scivolando senza rumore sul prato e stringendo davvero fra le dita una manciata di fieno. Sembrava appartenere non ai giovani e alla loro automobile, ma alla casa e all'albero che gettava la sua ombra su di essa. Si capiva che venerava il passato e che su di lei era discesa l'istintiva saggezza che solo il passato può dare: quella saggezza alla quale diamo il nome di aristocrazia. Forse non era di nobili natali. Ma certamente teneva ai suoi antenati e si lasciava aiutare da loro. Quando vide Charles infuriato, Paul spaventato e la signora Munt in lacrime, udì i suoi antenati dire: «Separa questi esseri umani, che altrimenti si faranno del male l'un l'altro. Il resto può attendere». Quindi non fece domande. Tanto meno finse che non fosse accaduto nulla, come avrebbe fatto un'abile padrona di casa della buona società. Disse: «Signorina Schlegel, le dispiacerebbe accompagnare la zia nella sua camera o nella mia, come preferisce?
Paul, vai da Evie e dille che si pranza alle sei, ma non sono sicura se scenderanno tutti a tavola». E quando le ebbero obbedito si volse verso il figlio maggiore, che stava ancora nella pulsante, puzzolente automobile, gli sorrise con tenerezza e, senza dire una parola, gli girò le spalle e tornò ai suoi fiori.
«Mamma» la chiamò lui, «ti rendi conto che Paul ha fatto di nuovo lo stupido?» «E' tutto a posto, caro. Hanno rotto il fidanzamento.» «Fidanzamento...!» «Non si amano più, se preferisci metterla a questo modo» disse la signora Wilcox, chinandosi a odorare una rosa.
4
Helen e la zia tornarono a Wickham Place in uno stato di collasso e per qualche tempo Margaret dovette occuparsi di tre invalidi. La signora Munt si riprese presto. Ella aveva una notevole capacità di distorcere il passato e, prima che fossero trascorsi molti giorni, aveva dimenticato la parte avuta nella catastrofe dalla propria imprudenza. Perfino al colmo della crisi aveva esclamato «Grazie a Dio, la povera Margaret si è risparmiata tutto questo!», commento che durante il viaggio a Londra si era evoluto in: «Qualcuno doveva pur passarci» per poi maturare a sua volta nella forma definitiva di: « L'unica volta in cui ho realmente aiutato le ragazze di Emily è stato nella faccenda Wilcox». Ma Helen era una malata più grave. Nuove idee erano esplose in lei come un colpo di tuono, e da esse, con le loro ripercussioni, ella era rimasta stordita.
La verità era che si era innamorata, non di un individuo, ma di una famiglia.
In effetti, già prima che Paul arrivasse ella era stata sintonizzata con lui. L'energia dei Wilcox l'aveva affascinata, creando nella sua mente ricettiva nuove immagini di bellezza. Stare tutto il giorno con loro all'aria aperta, dormire la notte sotto il loro tetto, le era parsa la gioia suprema della vita e l'aveva portata a quell'abbandono della personalità che è un possibile preludio all'amore. In realtà le era piaciuto cedere al signor Wilcox, o a Evie, o a Charles; le era piaciuto sentirsi dire che le sue idee di vita erano accademiche o da ragazza inesperta; che l'Uguaglianza era una sciocchezza, il Voto alle Donne una sciocchezza, il Socialismo una sciocchezza, l'Arte e la Letteratura, salvo quando contribuivano a rafforzare il carattere, una sciocchezza. Uno per uno i feticci degli Schlegel erano stati rovesciati e, pur professando di difenderli, ella ne aveva goduto.
Quando il signor Wilcox diceva che un solido uomo d'affari faceva più bene al mondo di una dozzina «dei vostri riformatori sociali», ella ingoiava quella curiosa asserzione senza fiatare e si adagiava voluttuosamente sui cuscini dell'automobile. Quando Charles diceva: «Perchè essere così gentile con i domestici? Tanto non lo capiscono» non dava la classica replica degli Schlegel: «Se loro non lo capiscono, lo capisco io». No; al contrario, si era ripromessa d'essere meno gentile in avvenire con le persone di servizio. «Sono impastoiata nelle convenzioni trite» pensava, «ed è un bene che me le strappi di dosso.» E tutto ciò che pensava o diceva o respirava era una quieta preparazione a Paul. Paul era inevitabile. Charles era impegnato con un'altra ragazza, il signor Wilcox era così vecchio, Evie così giovane, la signora Wilcox così diversa. Intorno al fratello assente ella cominciò a gettare l'alone romanzesco, a irradiare su di lui tutto lo splendore di quei giorni felici, a sentire che in lui avrebbe trovato qualcosa di molto simile al vero ideale. Avevano circa la stessa età, diceva Evie. La maggioranza della gente considerava Paul più prestante del fratello. Certo era un tiratore più bravo, anche se non lo eguagliava nel golf. E quando Paul apparve, eccitato dal trionfo d'aver superato un esame e pronto a flirtare con qualunque ragazza carina, Helen lo incontrò a mezza strada, o più che a mezza strada, e la domenica sera puntò verso di lui.
Paul stava parlando del suo prossimo esilio in Nigeria e avrebbe dovuto continuare a farlo, così che la sua ospite potesse riprendersi. Ma il sollevarsi del seno di lei lo lusingò. La passione era possibile ed egli divenne appassionato. Qualcosa dentro di lui bisbigliava: «Questa ragazza si lascerebbe baciare da te; un'occasione simile potrebbe non capitarti di nuovo».
Ecco «come accadde» o, piuttosto, come Helen lo descrisse alla sorella, usando parole anche più franche delle nostre. Ma la poesia di quel bacio, il meraviglioso che c'era stato in esso, la magia della vita nelle ore che seguirono... chi può descriverli? E' così facile per un inglese dileggiare queste causali collisioni di esseri umani. Al cinico e al moralista insulari esse offrono un'uguale opportunità. E' così facile parlare di «emozione passeggera», dimenticando quanto fosse intensa prima che passasse. Il nostro impulso a deridere, a dimenticare, è buono alla radice. Ci rendiamo conto che l'emozione non basta, che uomini e donne sono personalità capaci di relazioni durature, non semplici opportunità per una scarica elettrica. Tuttavia noi sopravvalutiamo questo impulso. Non ammettiamo che collisioni d'un genere tanto insignificante possano spalancarci le porte del paradiso. A Helen, comunque, la vita non avrebbe dato nulla di più intenso dell'abbraccio di quel ragazzo, che in quella vita non ebbe nessuna parte. Egli l'aveva attirata fuori dalla casa, dove c'era il pericolo di venir sorpresi e di trovarsi alla luce; l'aveva condotta lungo un viottolo a lui noto, finché si erano fermati sotto la colonna del grande olmo. Uomo nel buio, egli aveva bisbigliato: «Ti amo» quando lei desiderava amore. Col tempo la tenue personalità del giovane svanì, ma la scena che egli aveva evocato rimase. In tutti i mutevoli anni che seguirono ella non vide mai più nulla di simile.
«Capisco» disse Margaret, «almeno, capisco quel tanto che si può capire di queste cose. Ora dimmi cosa successe lunedì mattina.» «Tutto finì immediatamente.» «Come, Helen?» «Ero ancora felice mentre mi vestivo, ma scendendo da basso divenni nervosa e quando entrai in sala da pranzo capii che le cose non andavano bene. C'era Evie... non so come spiegarti... che si occupava del samovar eil signor Wilcox che leggeva il«Times».» «Paul c'era?» «Sì; Charles gli parlava di azioni e di titoli, e lui aveva un'aria spaventata.» Mediante lievi indicazioni le due sorelle riuscivano a comunicarsi molto. Margaret vide l'orrore latente nella scena e la successiva osservazione di Helen non la stupì.
«Non so perchè, ma quando un uomo di quel tipo ha l'aria spaventata è una cosa terribile. Avere paura è naturalissimo per noi, o per uomini d'altro genere: nostro padre, per esempio; ma per uomini come quelli! Quando vidi tutti gli altri così tranquilli e Paul folle di terrore all'idea che potessi dire qualcosa di sbagliato, per un momento ebbi l'impressione che l'intera famiglia Wilcox fosse una frode, soltanto un muro di giornali, automobili e mazze da golf, dietro il quale, se fosse crollato, non avrei trovato altro che il panico e il vuoto.» «Non credo. I Wilcox mi hanno colpito come persone autentiche, particolarmente la moglie.» «No, neanch'io lo credo in realtà. Ma Paul aveva spalle così larghe; ogni sorta di cosa straordinaria peggiorava la faccenda e io sapevo che non avrebbe mai funzionato... mai. Dopo colazione, mentre gli altri si esercitavano al golf, gli dissi: «Abbiamo perso completamente la testa», e lui apparve subito sollevato, anche se terribilmente pieno di vergogna. Cominciò un discorso sul non avere il denaro per sposarsi, ma lo feriva farlo e lo interruppi. Poi disse: «Devo chiederle perdono per questo, signorina Schlegel; non so cosa mi sia successo ieri sera». E io dissi: «Neanch'io lo so; ma non importa». Quindi ci separammo... almeno, finché io ricordai che la sera prima ti avevo subito scritto per raccontarti l'accaduto e questo lo spaventò di nuovo. Gli chiesi di spedire un telegramma per me, poiché sapevo che saresti venuta o avresti preso qualche altra iniziativa; Paul tentò di assicurarsi l'uso dell'automobile, ma Charles e il signor Wilcox ne avevano bisogno per andare alla stazione; Charles si offrì di spedire il telegramma per me, allora dovetti dire che non era importante, perchè Paul diceva che Charles avrebbe potuto leggerlo e, sebbene io lo riscrivessi più volte, egli sosteneva sempre che si sarebbe potuto sospettare qualcosa. Alla fine se ne occupò lui stesso, con la scusa di andare a piedi in paese per acquistare delle cartucce, e, tra una cosa e l'altra, il telegramma fu consegnato all'ufficio postale soltanto quando era troppo tardi.
Fu una mattina terribile. Paul provava sempre più antipatia per me ed Evie parlò di punteggi al crick-et finché quasi mi misi a urlare. Non capisco come l'avessi sopportata per tutti i giorni precedenti.
Infine Charles e il signor Wilcox partirono per la stazione e allora giunse il telegramma in cui mi avvertivi che la zia Juley stava arrivando proprio con quel treno, e Paul... ah, fu una cosa orribile... disse ch'ero stata io a combinare il pasticcio. Ma la signora Wilcox sapeva.» «Sapeva cosa?» «Tutto, sebbene nessuno di noi due le avesse detto una parola, e l'aveva saputo fin dal principio, credo.» «Oh, deve avervi sentiti.» «Immagino di sì, ma sembrava un portento. Quando Charles e la zia Juley arrivarono, scambiandosi insulti, la signora Wilcox sopraggiunse dal giardino e rese tutto meno terribile. Ma, puh! è stata una faccenda disgustosa. E pensare che...» Helen sospirò.
«Pensare che perché tu e un giovanotto v'incontrate per un momento devono esservi tutti questi telegrammi e questa rabbia» completò Margaret.
Helen annuì.
«Io ci ho pensato spesso, Helen. E' una delle cose più interessanti del mondo. La verità è che esiste una grande vita esteriore che tu e io non abbiamo mai sperimentato: una vita in cui i telegrammi e le arrabbiature contano. I rapporti personali, che noi consideriamo supremi, non sono considerati tali in essa. Lì amore significa contratti di matrimonio; morte significa tasse di successione. Fin qui ho le idee chiare. Ma ecco dove cominciano le mie difficoltà.
Questa vita esteriore, per quanto ovviamente orrida, spesso sembra quella reale: c'è fermezza in essa. Forma il carattere. I rapporti personali, in fondo, non portano al sentimentalismo?» «Oh, Meg, questo era proprio ciò che pensavo, solo non tanto chiaramente, quando i Wilcox erano così efficienti e sembravano tenere in mano tutte le fila.» «Non lo pensi più adesso?» «Ricordo Paul a colazione» disse Helen con calma. «Non lo dimenticherò mai. Non aveva nulla a cui appoggiarsi. Io so che i rapporti personali sono la vita vera, per i secoli dei secoli.» «Amen!» Così l'episodio Wilcox passò in secondo piano lasciandosi dietro ricordi di dolcezza e di orrore intrecciati e le sorelle perseguirono la vita che Helen aveva lodato. Parlarono fra loro e con altri, riempivano l'alta e stretta casa di Wickham Place con le persone che loro piacevano o con cui potevano fare amicizia. Partecipavano anche a riunioni pubbliche. A modo loro s'interessavano profondamente di politica, sebbene non nel modo in cui gli uomini politici vorrebbero che ce ne interessassimo; esse desideravano che la vita pubblica rispecchiasse tutto quanto c'è di buono nella vita interiore.
Temperanza, tolleranza e uguaglianza dei sessi erano istanze intelligenti per loro, mentre non seguivano la nostra Politica di Progresso nel Tibet con la viva attenzione che merita e a volte liquidavano l'intero Impero britannico con un sospiro perplesso, anche se rispettoso. Non sono i tipi come loro a creare gli spettacoli della storia: il mondo sarebbe un luogo grigio ed esangue se fosse interamente composto di signorine Schlegel. Ma, il mondo essendo quello che è, forse esse vi risplendono come stelle.
Una parola sulle loro origini. Non erano «inglesi fino al midollo», come la loro zia aveva pietosamente asserito. Ma, d'altro canto, non erano nemmeno «tedesche della peggior specie». Il loro padre era appartenuto a un tipo che cinquant'anni fa era molto più diffuso di oggi in Germania. Non era il tedesco aggressivo, tanto caro ai giornalisti inglesi, né il tedesco casalingo, tanto caro all'arguzia britannica. Volendolo proprio classificare, lo si dovrebbe dipingere come compatriota di Hegel e Kant, come un idealista incline a essere un sognatore, il cui imperialismo era l'imperialismo che era nell'aria. Non che la sua vita fosse stata inattiva. Aveva combattuto senza risparmio contro la Danimarca, l'Austria, la Francia. Ma lo aveva fatto senza visualizzare i risultati della vittoria. Un barlume della verità gli balenò dopo Sedan, quando vide i baffi tinti di Napoleone farsi grigi; un altro quando entrò a Parigi e vide le finestre fracassate delle Tuileries. Venne la pace - tutto era immenso, ci si era trasformati in un Impero - ma egli capiva ch'era svanita una qualità, di cui tutta l'Alsazia-Lorena non poteva compensarlo. La Germania potenza commerciale, la Germania potenza navale, la Germania con colonie qua e una Politica di Progresso là, e legittime aspirazioni altrove, poteva attirare altri ed essere servita in modo adeguato da loro; da parte sua, egli si astenne dai frutti della vittoria e prese la cittadinanza inglese. I membri più zelanti della sua famiglia non lo perdonarono mai e capirono che i suoi figli, per quanto non inglesi della peggior specie, non sarebbero mai stati tedeschi fino al midollo. Aveva ottenuto un posto in una delle nostre università di provincia e là sposò la Povera Emily (o die Engländerin, secondo il caso) e poiché questa aveva denaro si trasferirono a Londra, dove fecero una quantità di conoscenze. Ma lo sguardo di lui era sempre fisso oltremare. La sua speranza era che le nubi di materialismo le quali oscuravano la Madrepatria si aprissero col tempo, lasciando riapparire una mite luce intellettuale. «Vorresti insinuare che noi tedeschi siamo stupidi, zio Ernst?» esclamò una volta un altezzoso e magnifico nipote. Lo zio Ernst rispose: «Secondo il mio modo di vedere sì. Voi usate l'intelletto, ma non ve ne importa nulla. Questo io chiamo stupidità». Poiché l'altezzoso nipote non capiva, egli continuò: «Voi vi curate soltanto delle cose che potete usare e pertanto le classificate nell'ordine che segue: denaro, supremamente utile; intelletto, abbastanza utile; immaginazione, di nessuna utilità. No» poiché l'altro aveva protestato, «il vostro pangermanesimo non è più immaginoso del nostro imperialismo di qui. E' il vizio delle menti volgari lasciarsi entusiasmare dalla grandezza, pensare che mille chilometri quadrati siano mille volte più meravigliosi d'un chilometro quadrato e che un milione di chilometri sia quasi lo stesso del paradiso. Questa non è immaginazione. No, la uccide.
Quando i poeti di qui tentano di celebrare la grandezza muoiono subito, e di morte naturale. Anche i vostri poeti stanno morendo, i vostri filosofi, i vostri musicisti, che l'Europa ha ascoltato per duecento anni. Finiti. Finiti come le piccole corti che li nutrirono... finiti con Esterhazi e Weimar. Come? Cosa dici? Le vostre università?
Oh sì, avete uomini dotti, che collezionano più fatti dei loro colleghi inglesi. Collezionano fatti, fatti e imperi di fatti. Ma chi di loro riaccenderà la luce interiore?» Margaret ascoltava tutto questo, seduta sulle ginocchia dell'altezzoso nipote.
Era un'educazione unica per le bambine. Un giorno l'altezzoso nipote si presentava a Wickham Place, portando con sé una moglie ancora più altezzosa, entrambi convinti che la Germania era stata eletta da Dio per governare il mondo. Il giorno dopo arrivava la zia Juley, persuasa che la Gran Bretagna aveva ricevuto lo stesso mandato dalla medesima autorità. Queste parti dalle voci forti avevano ragione entrambe? In un'occasione s'incontrarono e Margaret li supplicò a mani giunte di dibattere la questione in sua presenza. Al che essi arrossirono e cominciarono a parlare del tempo. «Papà» esclamò lei (era una bambina molto impertinente), «perchè non vogliono discutere una questione tanto chiara?» Suo padre, esaminando cupamente le parti, rispose che non lo sapeva. Allora, piegando la testa da un lato, Margaret osservò: «Per me una cosa è chiarissima: o Dio non conosce il suo stesso pensiero riguardo alla Germania e all'Inghilterra, oppure queste non conoscono il pensiero di Dio». Era una ragazzetta odiosa, ma a tredici anni aveva afferrato un dilemma che la maggioranza delle persone non percepisce in tutta la sua vita.
Il suo cervello balzava da una parte e dall'altra; divenne duttile e forte. La sua conclusione fu che ogni essere umano è più vicino all'invisibile di qualsiasi organizzazione e su questo non mutò mai avviso.
Helen avanzava lungo le stesse linee, anche se a un'andatura più irresponsabile. Nel carattere somigliava alla sorella, ma era carina e pertanto tendeva a divertirsi di più. Le persone si riunivano più facilmente attorno a lei, soprattutto quando erano nuove conoscenze, ed ella godeva molto d'ogni più piccolo omaggio. Quando il loro padre morì ed esse regnarono sole a Wickham Place, spesso Helen monopolizzava l'intera compagnia, mentre Margaret - entrambe erano tremende parlatrici - veniva messa in ombra. Nessuna della due sorelle si seccava di questo. Helen non se ne scusava mai, dopo, e Margaret non provava il minimo rancore. Ma l'aspetto ha la sua influenza sul carattere. Le sorelle erano molto simili da piccole, ma al tempo dell'episodio Wilcox i loro metodi cominciavano a divergere: la più giovane era piuttosto incline a incantare le persone e, incantandole, venire a sua volta incantata; la maggiore andava diritta per la sua strada e accettava un eventuale fallimento come parte del gioco.
C'è poco da dire come premessa riguardo a Tibby. Egli era adesso un uomo di sedici anni, intelligente, ma dispeptico e difficile.
5
Sarà generalmente ammesso che la Quinta sinfonia di Beethoven è il rumore più sublime che sia mai penetrato nell'orecchio umano.
Soddisfa gente di tutti i tipi e di tutte le condizioni. Vuoi che siate come la signora Munt e battiate il tempo di nascosto quando attaccano le cadenze... s'intende, in modo da non disturbare gli altri; o come Helen, che riesce a vedere eroi e naufragi nel fiume della musica; o come Margaret, che ci vede soltanto la musica; o come Tibby, che è profondamente versato nel contrappunto e tiene l'intero spartito aperto sulle ginocchia; o come la loro cugina, Fräulein Mosebach, la quale ricorda per tutto il tempo che Beeth-oven è «echt deutsch»; o come il ragazzo di Fräulein Mosebach, il quale non riesce a ricordare che Fräulein Mosebach: in ogni caso, la passione della vostra vita diviene più viva e siete costretti ad ammettere che un rumore simile è a buon mercato per due scellini. E' a buon mercato perfino se l'ascoltate nella Queen's Hall, la sala da concerti più tetra di Londra, sebbene non tanto quanto la FreeTrade Hall di Manchester; e anche se sedete all'estremità sinistra della sala, per cui gli ottoni vi travolgono prima che arrivi il resto dell'orchestra, è ancora a buon mercato.
«Con chi sta parlando Margaret?» disse la signora Munt al termine del primo movimento. Era di nuovo a Londra, in visita a Wickham Place.
Helen guardò in fondo alla lunga fila di poltrone occupate dalla loro comitiva e disse che non lo sapeva.
«Sarà qualche giovanotto che le interessa?» «Immagino di sì» rispose Helen. La musica l'avvolse e non poté addentrarsi nella distinzione tra giovanotti che t'interessano e giovanotti che si conoscono.
«Voi ragazze siete così meravigliose nell'avere sempre... oh cielo!
Non dobbiamo parlare.» Perchè era cominciato l'Andante: bellissimo, ma con una cert'aria familiare a tutti gli altri bellissimi Andanti scritti da Beethoven e che, secondo Helen, staccava gli eroi e i naufragi del primo movimento dagli eroi e folletti del terzo. Ascoltò il tema una volta, poi la sua attenzione divagò e si mise a osservare il pubblico, o l'organo, o l'architettura. Criticò molto gli esili Cupidi che circondano il soffitto della Queen's Hall, chinandosi l'uno verso l'altro con gesti insulsi, vestiti di brache giallastre, su cui batteva il sole d'ottobre. «Che orrore sposare un uomo somigliante a quei Cupidi!» pensò Helen. A questo punto Beethoven cominciò a variare il suo tema, quindi Helen lo ascoltò ancora una volta, poi sorrise alla cugina Frieda. Ma Frieda, ascoltando Musica Classica, non poteva rispondere. Anche Herr Liesecke aveva l'aria di chi non avrebbe potuto essere distratto nemmeno da cavalli selvaggi; aveva la fronte aggrottata, le labbra erano socchiuse, il pince-nez ad angolo retto con il naso e teneva una grossa, bianca mano posata su ciascun ginocchio. E accanto a Helen c'era la zia Juley, così inglese, che desiderava battere il tempo. Come era interessante quella fila di persone! Quante influenze diverse le avevano formate! Ora Beeth-oven, dopo aver canticchiato a bocca chiusa e bisbigliato con grande dolcezza, disse «uffa» e l'Andante finì. Applausi, e una serie di «wunderschön» e «prachtvoll» da parte del contingente tedesco.
Margaret si mise a parlare con il suo nuovo giovanotto; Helen disse alla zia: «Adesso viene il movimento stupendo: prima i folletti e poi un trio di elefanti che ballano»; e Tibby implorò la compagnia in generale di stare attenti al passaggio del tamburo.
«Di che cosa, caro?» «Del tamburo, zia Janey.» «No; state attenti al punto in cui sembra che i folletti se ne siano andati e invece ritornano» sospirò Helen, mentre la musica ricominciava con un folletto che vagabondava tranquillamente per l'universo, da un capo all'altro. Altri lo seguirono. Non erano creature aggressive; era questo che li rendeva così terribili per Helen. Si limitavano a osservare en passant che cose come lo splendore o l'eroismo non esistevano nel mondo. Dopo l'interludio degli elefanti che danzano, i folletti tornarono e osservarono la stessa cosa per la seconda volta. Helen non poteva contraddirli, perché, una volta, aveva fatto la stessa osservazione e aveva visto i saldi muri della giovinezza crollare. Panico e vuoto! Panico e vuoto!
I folletti avevano ragione.
Suo fratello alzò un dito: era il passaggio del tamburo.
Infatti, come se le cose stessero andando troppo oltre, Beethoven afferrò i folletti e fece far loro quello che voleva. Intervenne di persona. Diede loro una piccola spinta ed essi cominciarono ad aggirarsi per l'universo in chiave maggiore, invece che minore, poi... egli soffiò e i folletti si dispersero! Vampate di splendore, dei e semidei che si battono con enormi spade, colore e fragranza diffusi sul campo di battaglia, magnifica vittoria, magnifica morte! Oh, tutto questo esplose davanti alla fanciulla che tese perfino le mani guantate, come se fosse tangibile. Ogni fatto era titanico; ogni lotta desiderabile; conquistatore e conquistato sarebbero stati ugualmente applauditi dagli angeli delle stelle più eccelse.
E i folletti... in realtà non c'erano stati? Erano soltanto i fantasmi della codardia e dell'incredulità? Un sano impulso umano poteva disperderli? Uomini come i Wilcox, o il presidente Roosevelt, direbbero di sì. Beeth-oven la sapeva più lunga. I folletti c'erano stati davvero. Potevano tornare... e lo fecero. Fu come se lo splendore della vita potesse traboccare, consumarsi in vapore e schiuma. Mentre si dissolveva risuonò la terribile nota infausta e un folletto, con accresciuta malignità, si aggirò tranquillamente per l'universo, da un capo all'altro. Panico e vuoto! Panico e vuoto!
Persino i fiammeggianti bastioni del mondo potevano crollare.
Infine Beethoven sceglieva di mettere tutto a posto. Ricostruì i bastioni. Soffiò una seconda volta e di nuovo i folletti si dispersero. Riportò le vampate di splendore, l'eroismo, la gioventù, la magnificenza della vita e della morte e, tra immensi scrosci di gioia sovraumana, portò a conclusione la sua Quinta sinfonia. Ma i folletti c'erano. Potevano tornare. Egli lo aveva detto coraggiosamente, e per questo si può credere a Beethoven quando afferma altre cose.
Helen si fece strada verso l'uscita durante gli applausi.
Desiderava stare sola. La musica aveva sintetizzato tutto quanto le era accaduto o poteva accaderle nella vita. Ella la interpretava come un'affermazione tangibile, che non avrebbe mai potuto essere superata. Le note significavano questo e quello per lei e non potevano avere nessun altro significato, come non poteva averne la vita. Uscì dall'edificio, scese lentamente la scalinata esterna, respirando l'aria autunnale e poi si avviò pian pian verso casa.
«Margaret» fece la signora Munt, «Helen sta bene?» «Oh, sì.» «Se ne va sempre a metà del programma» disse Tibby.
«Evidentemente la musica l'ha commossa profondamente» osservò Fräulein Mosebach.
«Mi scusi» disse il giovanotto di Margaret, che da un po' stava preparando la frase, «ma la signora, certo inavvertitamente, ha preso il mio ombrello.» «Oh, santo Cielo! Sono desolata. Tibby, corri dietro a Helen.» «Perderò i Quattro canti seri, se lo faccio.» «Tibby, tesoro, devi andare.» «Non ha nessuna importanza» disse il giovanotto, in realtà un po' preoccupato per il suo ombrello.
«Ma certo che ne ha. Tibby! Tibby!» Tibby si alzò e di proposito restò impigliato negli schienali delle poltrone. Quando ebbe sollevato il sedile, trovato il cappello e messo in salvo il suo spartito, era «troppo tardi» per inseguire Helen. I Quattro canti seri erano cominciati e non ci si poteva muovere durante l'esecuzione.
«Mia sorella è così sbadata» bisbigliò Margaret.
«Non fa nulla» rispose il giovane; ma la sua voce era atona e fredda.
«Se vuole darmi il suo indirizzo...» «Oh, non fa nulla, non fa nulla» e si sistemò il soprabito sulle ginocchia.
Allora i Quattro canti seri parvero futili agli orecchi di Margaret. Brahms, con tutto il suo brontolare e piagnucolare, non aveva mai immaginato come ci si sente a essere sospettati d'aver rubato un ombrello. Perchè quello stupido giovanotto pensava che lei, Helen e Tibby avessero architettato una truffa all'americana e che, se avesse dato loro l'indirizzo, una notte o l'altra avrebbero fatto irruzione in casa sua e gli avrebbero rubato anche il bastone da passeggio. Molte signore ne avrebbero riso, invece Margaret ne fu davvero dispiaciuta, perché le aprì uno spiraglio sulla miseria.
Fidarsi della gente è un lusso cui possono indulgere soltanto i ricchi; i poveri non possono permetterselo. Appena Brahms ebbe brontolato a sazietà, Margaret gli diede il suo biglietto da visita e disse: «Noi abitiamo qui; se lo preferisce, può venire a prendere l'ombrello dopo il concerto, anche se mi spiace che si disturbi, quando la colpa è tutta nostra».
La faccia del giovane si rischiarò un poco vedendo che Wickham Place era nel West End. Era triste vederlo roso dal sospetto, e tuttavia non osare d'essere sgarbato, nel caso che quella gente ben vestita fosse onesta, dopo tutto. Margaret prese come un buon segno il fatto che le dicesse: «C'è un bel programma oggi pomeriggio, vero?» perchè era l'osservazione con cui aveva attaccato discorso, prima che si mettesse di mezzo l'ombrello.
«La sinfonia di Beethoven è bella» disse Margaret, che non era una donna del tipo incoraggiante. «Ma non mi piace Brahms, né il Mendelssohn che hanno eseguito per primo... e, uff, non mi va proprio l'Elgar che suoneranno adesso.» «Cosa, cosa?» intervenne Herr Liesecke, che aveva sentito. «Questo Pompa e circostanza non sarà bello?» «Oh, Margaret, che noiosa sei!» esclamò la zia. «Stavo convincendo Herr Liesecke a fermarsi per Pompa e circostanza, e tu rovini tutta la mia opera. Ci tengo tanto che senta cosa noi stiamo facendo in campo musicale. Ah, non devi denigrare i compositori inglesi, Margaret.» «Da parte mia, ho sentito questa composizione a Stettino» disse Fräulein Mosebach. «Due volte. E' un po' teatrale.» «Frieda, tu disprezzi la musica inglese. Lo sai che la disprezzi. E l'arte inglese. E la letteratura inglese, a parte Shakespeare, e lui è un tedesco. Molto bene, Frieda, potete andare.» Gli innamorati risero e si guardarono. Mossi da un impulso comune, si alzarono e fuggirono da Pompa e circostanza.
«Dobbiamo fare quella visita aFinsbury Circus, è vero» disse Herr Liesecke, mentre le sgusciava davanti e raggiungeva il corridoio proprio mentre la musica iniziava.
«Margaret...» bisbigliò acutamente zia Juley. «Margaret, Margaret!
Fräulein Mosebach ha lasciato la sua bella borsetta sulla poltrona.» Infatti, ecco lì la reticella di Frieda, con dentro il taccuino degli indirizzi, il dizionario tascabile, la cartina di Londra e il denaro.
«Oh, che seccatura... che famiglia siamo! Fr... Frieda!» «Sst!» fecero tutti quelli che trovavano bella la musica.
«Ma avranno bisogno del numero di Finsbury Circus...» «Se permette... potrei...» disse il sospettoso giovanotto, e divenne molto rosso.
«Oh, gliene sarei gratissima.» Egli prese la borsetta - il denaro tintinnava all'interno - e scivolò con essa lungo il corridoio. Fece appena in tempo a raggiungerli alla porta girevole, ricevendo un grazioso sorriso dalla ragazza tedesca e un bell'inchino dal suo cavaliere. Tornò alla sua poltrona vendicato del mondo. La fiducia che quelle persone gli avevano dimostrato era insignificante, ma egli sentì che cancellava la propria personale sfiducia in loro e che probabilmente non l'avrebbero «fregato» riguardo all'ombrello. Questo giovanotto era stato «fregato» in passato - malamente, forse in modo schiacciante e ora spendeva gran parte delle sue energie nel difendersi contro l'ignoto. Ma quel pomeriggio - forse grazie alla musica - capì che di tanto in tanto bisogna rilassarsi, altrimenti a che vale vivere?
Wickham Place, West End, sebbene rappresentasse un rischio, era sicuro quanto la maggior parte delle cose ed egli avrebbe rischiato.
Così, quando il concerto finì e Margaret disse: «Noi stiamo molto vicini e ora io vado a casa. Può venire con me, così ritroveremo il suo ombrello?» egli rispose: «Grazie» del tutto tranquillamente, e la seguì fuori dalla Queen's Hall. Margaret avrebbe preferito che non si mostrasse così ansioso di aiutare una signora a scendere una scala o di portarle il programma: era di una classe abbastanza vicina alla sua perchè quei modi l'irritassero. Ma nel complesso lo trovava interessante (a quel tempo tutti, nel complesso, interessavano le Schlegel) e mentre le sue labbra parlavano di cultura, il suo cuore progettava d'invitarlo al tè.
«Come ci si sente stanchi dopo tanta musica!» cominciò.
«Trova opprimente l'atmosfera della Queen's Hall?» «Sì, molto.» «Ma quella del Covent Garden lo è ancora di più.» «Ci va spesso?» «Quando il lavoro me lo permette, frequento il loggione per la RoyalOpera.» Helen avrebbe esclamato: «Anch'io. Adoro il loggione», accattivandosi in tal modo il giovanotto. Helen poteva fare queste cose. Invece Margaret aveva un orrore quasi morboso di «far parlare la gente» o «far ingranare le cose». Era stata nel loggione del Covent Garden, ma non lo «frequentava», preferendo i posti più costosi; tanto meno lo adorava. Quindi non disse nulla.
«Quest'anno ci sono stato tre volte: al Faust, alla Tosca e...» Com'era, Tannhauser o Tannhoyser? Meglio non azzardare.
A Margaret non piacevano la Tosca e il Faust. Quindi, per una ragione o per l'altra, camminarono in silenzio, accompagnati dalla voce della signora Munt, che era in difficoltà con il nipote.
«In un certo modo ricordo il passaggio, Tibby, ma quando il suono d'ogni strumento è così bello è difficile distinguere l'uno dall'altro. Sono certa che tu e Helen mi portate ai concerti migliori. Non una nota ottusa dal principio alla fine. Vorrei soltanto che i nostri amici tedeschi fossero rimasti fino all'ultimo.» «Ma certamente non hai dimenticato il tamburo che batteva senza sosta il do minore, zia Juley?» intervenne la voce di Tibby. «Nessuno lo potrebbe. E' inconfondibile.» «Un punto particolarmente fragoroso?» azzardò la signora Munt.
«S'intende che non mi sono mai curata d'essere una esperta» aggiunse, avendo mancato il colpo. «M'importa soltanto della musica... il che è molto diverso. Tuttavia dirò questo a mia difesa: so quando una cosa mi piace e quando non mi piace. Ad alcuni succede lo stesso con i quadri. Possono entrare in una galleria d'arte... come la signorina Conder... ed esprimere subito la loro impressione su tutti i quadri esposti. Io non ne sono mai stata capace. Ma la musica è molto diversa dai quadri, secondo me. Quando si tratta di musica il mio giudizio è sicuro, saldo come una casa, e ti assicuro, Tibby che non sono affatto di facile contentatura. C'era una cosa... un pezzo francese riguardo a un fauno... per la quale Helen andava in estasi, ma io l'ho trovata estremamente brillante e superficiale, e l'ho detto, e oltre tutto non ho cambiato parere.» «Lei è d'accordo?» domandò Margaret. «Pensa che la musica sia tanto diversa dalla pittura?» «Io... credo di sì, in un certo senso» disse il giovane.
«Io pure. Invece mia sorella sostiene che sono proprio la stessa cosa. Facciamo grandi discussioni su questo. Lei dice che io sono ottusa; io dico che lei è sdolcinata.» Prendendo l'aire, esclamò: «Bene, non le sembra assurdo? A che servono le arti se sono intercambiabili? A che serve l'orecchio se ti dice le stesse cose dell'occhio? L'unico scopo di Helen è tradurre i temi musicali nel linguaggio della pittura e i dipinti nel linguaggio della musica. E' molto ingegnoso e nel farlo ella dice molte cose carine, ma a che pro, vorrei sapere? Ah, sono tutte sciocchezze, radicalmente false.
Se Monet in realtà è Debussy, e Debussy in realtà è Monet, nessuno di questi due signori vale un fico secco... ecco come la penso».
Evidentemente quelle due sorelle litigavano.
«Per esempio, proprio la sinfonia che abbiamo appena ascoltato... lei non la lascia in pace. Le appiccica significati dal principio alla fine; la trasforma in letteratura. Mi chiedo se tornerà mai il giorno in cui la musica sarà trattata come musica. Eppure, non so.
C'è mio fratello... il ragazzo dietro di noi. Lui tratta la musica come musica e, oh, buon Dio! mi fa arrabbiare più di chiunque, mi rende semplicemente furiosa. Con lui non mi azzardo nemmeno a discutere.» Una famiglia infelice, anche se di talento.
«Ma, naturalmente, il vero «briccone» è Wagner. Lui ha fatto più di chiunque altro, nel diciannovesimo secolo, per confondere le arti. Io credo che oggi la musica si trovi in una situazione gravissima, anche se straordinariamente interessante. Di tanto in tanto nella storia compaiono questi geni terribili, come Wagner, che scuotono tutte le fonti del pensiero in una volta. Per un momento è splendido. Certi spruzzi come non ce n'erano mai stati. Ma poi... un gran mucchio di fango; e le fonti... il fatto è che oggi comunicano troppo facilmente l'una con l'altra e nessuna scorrerà del tutto limpida. Ecco cos'ha fatto Wag-ner.» Questi discorsi svolazzavano via dal giovane come uccelli. Se solo avesse saputo parlare in quel modo, avrebbe conquistato il mondo. Oh, farsi una cultura! Oh, pronunciare correttamente i nomi stranieri!
Oh, essere un uomo ben informato, che discorre con disinvoltura di qualsiasi argomento abbordato da una signora! Ma ci sarebbero voluti anni. Con un'ora a pranzo e poche ore sparse la sera, com'era possibile mettersi alla pari con donne che disponevano di tutto il loro tempo e leggevano costantemente fin dall'infanzia? Il suo cervello poteva essere pieno di nomi, poteva anche sapere chi fossero Monet e Debussy; il guaio era che non riusciva a metterli insieme in una frase, non riusciva a farli «parlare»... e nemmeno a dimenticare del tutto l'ombrello rubato. Sì, l'ombrello era il vero guaio. Dietro Monet e Debussy rimaneva l'ombrello, come il battito incessante d'un tamburo. «Immagino che non ci saranno difficoltà per l'ombrello» pensava. «Non che vi dia davvero importanza. Penserò invece alla musica. Immagino che non ci saranno difficoltà per l'ombrello.» Prima, quel pomeriggio, si era preoccupato per il posto a teatro.
Aveva fatto bene a spendere ben due scellini? E prima ancora si era domandato: «Devo provare a fare a meno del programma?». C'era sempre stato qualcosa a preoccuparlo, per quanto riusciva a ricordare, sempre qualcosa che lo distraeva dalla ricerca della bellezza. Poiché egli cercava la bellezza e perciò i discorsi di Margaret svolazzavano via da lui come uccelli.
Margaret continuava a parlare, dicendo di tanto in tanto: «Non pare anche a lei? Non è della stessa opinione?». E una volta si fermò per dire: «Ah, m'interrompa!» riempiendolo di terrore. Ella non lo attraeva, benché lo riempisse di timoroso rispetto. Il corpo era magro, la faccia sembrava tutta denti e occhi, i riferimenti al fratello e alla sorella erano tutt'altro che caritatevoli. Con tutta la sua intelligenza e cultura, con ogni probabilità era una di quelle donne senz'anima, atee, che la signorina Corelli ha così ben smascherato. Era sorprendente (e allarmante) che a un tratto ella dovesse dire: «Spero che entri a prendere il tè».
«Spero che entri a prendere il tè. Ci farebbe molto piacere. L'ho trascinata così fuori strada.» Erano arrivati a Wickham Place. Il sole era tramontato e sull'acqua stagnante a lato del fiume, nell'ombra profonda, fluttuava una bruma leggera. Sulla destra, il fantastico profilo dei palazzi di appartamenti torreggiava nero contro le tinte sfumate della sera; sulla sinistra, le case più vecchie alzavano un parapetto irregolare e dai contorni netti contro il grigio. Margaret frugò nella borsetta alla ricerca della chiave. Naturalmente l'aveva dimenticata. Quindi, afferrato il suo ombrello per il puntale, si protese e batté alla finestra della sala da pranzo.
«Helen! Facci entrare!» «Bene» disse una voce.
«Hai preso l'ombrello di questo signore.» «Ho preso cosa?» disse Helen, aprendo la porta. «Oh, che succede!
Entri! Come va?» «Helen, non puoi essere tanto scombinata. Hai preso l'ombrello di questo signore alla Queen's Hall e lui ha dovuto disturbarsi a venire fin qui per recuperarlo.» «Oh, mi spiace molto!» esclamò Helen, con i capelli che le svolazzavano intorno alla testa. Appena rientrata aveva tolto il cappello e si era buttata nella grande poltrona della sala da pranzo.
«Non faccio che rubare ombrelli. Mi scusi! Venga dentro e ne scelga uno. Il suo ha il manico curvo o a pomo? Il mio è a pomo... almeno credo.» La luce venne accesa e cominciarono a perquisire l'ingresso, mentre Helen, che aveva di colpo abbandonato la Quinta sinfonia, commentava l'operazione con piccoli gridi acuti.
«Tu non parlare, Meg! Una volta hai rubato il cilindro di seta d'un vecchio signore. Proprio così, zia Juley. E' un fatto assodato. Ha creduto che fosse un manicotto. Oh, cielo! Ho fatto cadere il cartello «In casa e Fuori». Dov'è Frieda? Tibby, perchè mai non... no, non ricordo più quello che volevo dire. Non era questo, ma va' a dire alle domestiche di sbrigarsi con il tè. Per caso è questo il suo ombrello?» Lo aprì. «No, è tutto bucato lungo le stecche. E' un ombrello spaventoso. Deve essere mio.» Ma non lo era.
Il giovane glielo prese, mormorò qualche parola di ringraziamento e scappò via, con l'andatura cadenzata dell'impiegato.
«Ma se vuole restare...» gridò Margaret. «Ah, Helen, come sei stata stupida!» «Che ho mai fatto?» «Non vedi che l'hai spaventato? Io volevo che restasse. Non avresti dovuto parlare di furti o di buchi negli ombrelli. Ho visto i suoi begli occhi diventare così infelici. No, adesso è inutile.» Perché Helen si era lanciata in strada, gridando: «Ehi, si fermi!» «Oso dire che è meglio così» opinò la signora Munt. «Non sappiamo niente di quel giovane, Margaret, e il vostro salotto è pieno di piccole cose molto allettanti.» Ma Helen esclamò: «Zia Juley, come puoi? Mi fai vergognare sempre di più. Avrei preferito che fosse stato veramente un ladro e avesse portato via i cucchiai degli apostoli, piuttosto che essere... Be', non mi resta che chiudere la porta d'ingresso, immagino. Un'altra topica di Helen».
«Sì, credo che i cucchiai degli apostoli sarebbero potuti andarsene come scotto» disse Margaret. Poi, vedendo che la zia non capiva, aggiunse: «Ricordi lo «scotto»? Era una delle espressioni di papà: scotto all'ideale, alla sua fede nella natura umana. Rammenti come si fidava degli estranei e, se quelli l'imbrogliavano, diceva: «Meglio venire imbrogliati che essere sospettosi...» e che l'abuso di fiducia è opera dell'uomo, ma l'abuso di mancanza di fiducia è opera del demonio».
«Già, ora rammento qualcosa del genere» disse la signora Munt, piuttosto acidamente, perchè aveva una gran voglia di aggiungere: «E' stata una fortuna che vostro padre prendesse in moglie una donna ricca». Ma questo era scortese, per cui si accontentò di dire: «Be', avrebbe potuto anche rubare il quadretto di Ricketts».
«Magari lo avesse fatto» disse fermamente Helen.
«No, io sono d'accordo con zia Juley» disse Margaret. «Preferisco diffidare della gente, piuttosto che perdere il mio piccolo Ricketts.
Ci sono dei limiti.» Il fratello, trovando banale l'incidente, era sgattaiolato di sopra per vedere se c'erano scones con il tè. Scaldò la teiera - quasi troppo abilmente - respinse il tè Orange Pekoe che la cameriera aveva preparato, buttò nella teiera cinque cucchiaini di una miscela superiore, la riempì d'acqua davvero bollente, poi gridò alle signore di sbrigarsi o avrebbero perduto l'aroma.
«Va bene, zietta Tibby» gridò Helen, mentre Margaret, di nuovo pensierosa, diceva: «In un certo senso, vorrei che avessimo in casa un vero ragazzo... il tipo di ragazzo cui piace stare con gli uomini.
Ricevere sarebbe molto più facile».
«E io pure» disse la sorella. «Tibby s'interessa soltanto alle donne colte che cantano Brahms.» E quando lo raggiunsero disse in tono piuttosto aspro: «Perchè non hai fatto sentire a quel giovane che era il benvenuto, Tibby? Devi fare un po' la parte del padrone di casa, sai. Avresti dovuto prendergli il cappello e convincerlo a rimanere, invece di lasciarlo travolgere da donne urlanti».
Tibby sospirò e si tirò un lungo ciuffo di capelli sulla fronte.
«Oh, è inutile che tu faccia il superiore. Dico sul serio.» «Lascia in pace Tibby!» disse Margaret, la quale non poteva sopportare che suo fratello venisse rimproverato.
«Questa casa è un autentico gallinaio» brontolò Helen.
«Oh, mia cara!» protestò la signora Munt. «Come puoi dire cose così terribili? Il numero di uomini che vengono qui mi ha sempre sbalordita. Se c'è un pericolo, è proprio il contrario.» «Sì, ma Helen vuol dire che è il genere sbagliato di uomini.» «No, non voglio dire questo» la corresse Helen. «Il genere è giusto, ma ci mostra soltanto il suo lato sbagliato e io dico che è colpa di Tibby. In casa dovrebbe esserci qualcosa... un... non so che cosa.» «Un tocco dei W', forse?» Helen le mostrò la lingua.
«Chi sono i W'?» chiese Tibby.
«I W' sono cose che io, Meg e zia Juley conosciamo e tu no, ecco tutto!» «Immagino che la nostra sia una casa di femmine» disse Margaret, «e che si debba semplicemente accettarla. No, zia Juley, non intendo che è piena di donne. Sto cercando di dire una cosa molto più intelligente. Intendo che era irrevocabilmente femminile, anche al tempo di papà. Sono sicura che capisci! Be', ti farò un altro esempio. Ti scandalizzerà, ma non importa. Supponi che la regina Vittoria avesse dato un pranzo e che gli invitati fossero stati Leighton, Millais, Swinburne, Rossetti, Meredith, Fitzgerald, etc'.
Credi che a quel pranzo ci sarebbe stata un'atmosfera artistica?
Santo Cielo, no! Le sedie stesse su cui si sarebbero seduti avrebbero fatto in modo che questo non avvenisse. Ed è così anche per casa nostra: deve essere femminile e tutto ciò che noi possiamo fare è impedire che sia effeminata. Proprio come un'altra casa che potrei nominare, ma non nomino, era irrevocabilmente maschile e tutto ciò che i suoi abitanti possono fare è impedire che sia brutale.» «La casa di cui parli è quella dei W', immagino» disse Tibby.
«Non ti diremo niente dei W', piccolo» esclamò Helen, «quindi non pensarci. E d'altro canto non m'importa nulla se lo scopri, quindi, in entrambi i casi, non credere d'aver fatto qualcosa d'intelligente.
Dammi una sigaretta.» «Tu fai proprio tutto quello che puoi per la casa» disse Margaret.
«Il salotto puzza di fumo.» «Se fumassi anche tu, forse la casa diventerebbe maschile tutt'a un tratto. Probabilmente l'atmosfera è una questione di piccole cose.
Persino il pranzo della regina Vittoria... se qualche particolare fosse stato appena un po' diverso... magari se lei avesse portato un attillato abito a disegni liberty, invece che in raso color magenta...» «Con uno scialle indiano sulle spalle...» «Appuntato sul petto con una spilla di Cairngorm...» Scoppi di irriverente ilarità - non dimentichiamoci che erano per metà tedesche - accolsero questi suggerimenti e Margaret disse in tono meditabondo: «Certo sarebbe inconcepibile che la Famiglia Reale s'interessasse di arte». E la conversazione divagò sempre di più, la sigaretta di Helen si trasformò in un puntino nel buio, i grandi caseggiati di fronte si cosparsero di finestre illuminate, che sparivano e si riaccendevano e sparivano senza sosta. Dietro di esse la strada di maggior transito ruggiva sommessamente: una marea che non poteva mai quietarsi, mentre a est, invisibile dietro i fumi di Wapping, sorgeva la luna.
«A proposito, Margaret. Potevamo portare quel giovanotto in sala da pranzo, dopo tutto. C'è soltanto il piatto di maiolica... e quello è saldamente fissato alla parete. Sono davvero addolorata che non abbia preso il tè.» Perché questo piccolo incidente aveva impressionato le tre donne più di quanto si potrebbe supporre. Rimase come l'orma di un folletto, un'allusione al fatto che non tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili, che sotto quelle sovrastrutture di ricchezza e arte vagava un ragazzo malnutrito, che aveva recuperato il suo ombrello, certo, ma non si era lasciato dietro un indirizzo né un nome.
6
Noi non ci occupiamo dei poverissimi. Questi sono inimmaginabili e li possono avvicinare soltanto gli esperti di statistica o i poeti.
La nostra storia tratta della gente di buona famiglia, o di coloro che sono obbligati a far finta di esserlo.
Il ragazzo, Leonard Bast, stava all'estremo limite della gente di buona famiglia. Non era nell'abisso, ma poteva vederlo e a volte una persona che conosceva vi era caduta dentro e non contava più. Sapeva di essere povero e lo ammetteva; sarebbe morto piuttosto che confessare una qualsiasi inferiorità rispetto al ricco. Forse questo era splendido da parte sua. Tuttavia egli era inferiore alla maggior parte dei ricchi, su ciò non vi è il minimo dubbio. Non era bene educato quanto l'uomo ricco medio, né altrettanto intelligente, né altrettanto sano, né altrettanto amabile. La sua mente e il suo corpo erano parimenti denutriti, perché povero, e siccome era moderno bramavano di continuo un nutrimento migliore. Se fosse vissuto alcuni secoli or sono, nelle civiltà a forti tinte del passato, avrebbe avuto una posizione sociale ben definita e il suo reddito avrebbe corrisposto al suo rango. Ma ai suoi tempi era sorto l'angelo della Democrazia, che adombra le classi con ali coriacee e proclama: «Tutti gli uomini sono uguali... cioè, tutti gli uomini che possiedono un ombrello», così egli era obbligato ad affermare la propria appartenenza alla gente perbene per timore di scivolare nell'abisso dove nulla conta più e gli asserti della Democrazia non si possono sentire.
Mentre si allontanava da Wickham Place, sua prima cura fu provare ch'egli valeva quanto le signorine Schlegel. Oscuramente ferito nel suo orgoglio, tentò di ferirle a sua volta. Probabilmente non erano signore. Delle vere signore lo avrebbero invitato al tè? Certamente erano fredde e d'indole cattiva. A ogni passo il suo senso di superiorità cresceva. Una vera signora avrebbe parlato d'una cosa volgare come rubare un ombrello? Forse erano ladre, dopo tutto, e se fosse entrato nella casa gli avrebbero sbattuto in faccia un fazzoletto imbevuto di cloroformio. Proseguì compiaciuto fino al Palazzo del Parlamento. Qui lo stomaco vuoto fece valere i propri diritti e gli disse che era uno sciocco.
«Buonasera, signor Bast.» «Buonasera, signor Dealtry.» «Bella serata.» «Buonasera.» Il signor Dealtry, un collega d'ufficio, passò oltre e Leonard restò lì a chiedersi se doveva prendere il tram, fin dove poteva arrivare con un penny, oppure andare a piedi. Decise di andare a piedi - non è bene lasciarsi andare e aveva già speso abbastanza denaro alla Queen's Hall - e attraversò il ponte di Westminster, passò davanti all'Ospedale di San Tommaso e percorse l'immensa galleria che passa sotto la linea principale delle ferrovie del Sud-Ovest, aVauxhall. Nella galleria si fermò ad ascoltare il rombo dei treni. Un dolore acuto gli trafisse il capo ed egli sentì con chiarezza la forma esatta delle proprie orbite. Si spinse avanti per un altro chilometro e mezzo e non rallentò l'andatura finché non fu all'imbocco di una strada chiamata Camelia Road, dove allora abitava.
Qui si fermò di nuovo e guardò sospettosamente a destra e a sinistra, come un coniglio che stia per lanciarsi nel suo buco. Un caseggiato d'appartamenti, costruito in estrema economia, torreggiava da entrambi i lati. Più avanti lungo la strada se ne stavano costruendo ancora due e, oltre questi, una vecchia casa veniva demolita per far posto a un altro paio. Era il tipo di scenario che si può osservare in ogni zona di Londra: mattoni e calcina che s'innalzano e cadono con l'instancabilità dell'acqua d'una fontana, via via che la città accoglie sempre più uomini sul suo suolo. Ben presto Camelia Road sarebbe spiccata come una fortezza e, per un po', avrebbe goduto di un'ampia vista. Soltanto per un po'. Anche in Magnolia Road si progettava la costruzione di grandi case d'appartamenti. E nel giro di pochi anni, forse, i fabbricati di entrambe le strade sarebbero stati abbattuti e nuovi edifici, di dimensioni al presente inimmaginabili, sarebbero sorti dove i primi erano caduti.
«Buonasera, signor Bast.» «Buonasera, signor Cunningham.» «Molto grave questo declino del tasso di natalità a Manchester.» «Prego?» «Molto grave questo declino del tasso di natalità a Manchester» ripeté il signor Cunningham, dando due colpetti al giornale della domenica da cui la calamità in questione gli era appena stata annunciata.
«Ah, sì» disse Leonard, il quale non intendeva certo lasciargli capire che non aveva comprato nessun giornale della domenica.
«Se continua così, nel 1960 la popolazione d'Inghilterra sarà stazionaria.» «Non lo dica nemmeno.» «Io lo trovo gravissimo, eh?» «Buonasera, signor Cunningham.» «Buonasera, signor Bast.» Quindi Leonard entrò nel Casamento B e, invece di salire le scale, scese in quello che gli agenti immobiliari chiamano seminterrato e tutti gli altri cantina. Aprì la porta e gridò «Salve!» con la pseudo-giocondità del londinese. Non ci fu risposta. «Salve!» ripeté.
Il salotto era vuoto, benché la luce elettrica fosse stata lasciata accesa. Sul volto di Leonard comparve un'espressione di sollievo e il giovane si lasciò cadere sulla poltrona.
Il salotto conteneva, oltre alla poltrona, due sedie, un pianoforte, un tavolino a tre gambe e quello che veniva definito un «angolo intimo». Una parete era occupata dalla finestra, un'altra dalla mensola del caminetto, «habillé» e sovraccarica di Cupidi. Di fronte alla finestra c'era la porta e di fianco alla porta una libreria, mentre sul pianoforte era disteso uno dei capolavori di Maude Goodman. Era un piccolo nido d'amore, non sgradevole quando le tende erano tirate, le lampade accese e la stufa a gas spenta. Ma aveva quella nota di provvisorietà superficiale che si sente così spesso nelle abitazioni moderne. Era stato acquisito troppo facilmente e troppo facilmente lo si poteva abbandonare.
Scalciando per togliersi gli stivaletti, Leonard colpì il tavolo a tre gambe e la fotografia in cornice che vi teneva il posto d'onore scivolò di lato, cadde nel caminetto e il vetro si ruppe. Egli imprecò in modo incolore e la raccolse. La fotografia rappresentava una giovane donna di nome Jacky ed era stata fatta al tempo in cui le giovani donne di nome Jacky venivano spesso fotografate a bocca aperta. Denti di una bianchezza abbagliante si stendevano lungo entrambe le mascelle di Jacky e le appesantivano la testa ai lati, tanto erano grandi e numerosi. Credetemi sulla parola, quel sorriso era semplicemente stupendo, e soltanto voi e io potremmo essere schizzinosi, protestando che la vera gioia comincia dagli occhi e che quelli di Jacky non si accordavano con il sorriso, ma erano ansiosi e affamati.
Leonard tentò di tirar fuori i frammenti di vetro, si tagliò le dita e imprecò di nuovo. Una goccia di sangue cadde sulla cornice, un'altra la seguì, spandendosi sulla fotografia rimasta senza protezione. Egli imprecò più vigorosamente e corse in cucina, dove si lavò le mani. La cucina era grande come il salotto; attraverso di essa si entrava in una camera da letto. Questa completava il focolare di Leonard. Egli aveva affittato l'appartamento ammobiliato e di tutti gli oggetti che l'ingombravano nessuno gli apparteneva, a parte la fotografia incorniciata, i Cupidi e i libri.
«Maledizione, maledizione, maledizione» borbottò, insieme a parole che aveva imparato da uomini più anziani. Poi si posò una mano sulla fronte e disse: «Oh, maledizione a tutto quanto...» il che significava qualcosa di diverso. Si riprese. Bevve un po' di tè, nero e senza aroma, che ancora era rimasto su uno scaffale in alto. Ingoiò briciole polverose di torta. Poi tornò in salotto, si sedette un'altra volta e cominciò a leggere un volume di Ruskin.
«Dieci chilometri e mezzo a nord di Venezia...» Con quale perfezione si apre il famoso capitolo! Che sublime capacità di esortazione e poesia! L'uomo ricco ci parla della sua gondola.
«Dieci chilometri e mezzo a nord di Venezia, i banchi di sabbia, che più vicino alla città superano di poco il livello della bassa marea, a poco a poco diventano più alti e infine si congiungono in distese di acquitrini salati, che qua e là si sollevano in montagnole informi e sono interrotti da strette strisce di mare.» Leonard stava tentando di formare il suo stile sul modello di Ruskin: capiva che era il più grande maestro della Prosa Inglese.
«Consideriamo un poco l'una dopo l'altra ognuna di queste caratteristiche; e innanzi tutto (poiché riguardo ai fusti delle colonne è già stato detto abbastanza) ciò che ha di molto peculiare questa chiesa, è la sua luminosità.» C'era qualcosa da imparare in questo bel periodo? Poteva adattarlo alle esigenze della vita quotidiana? Poteva inserirla, con qualche modifica, nella prossima lettera che avrebbe scritto a suo fratello, il lettore laico? Per esempio...
«Consideriamo per un momento l'una dopo l'altra ognuna di queste caratteristiche; e innanzi tutto (poiché riguardo alla mancanza di ventilazione è già stato detto abbastanza) ciò che ha di molto peculiare questo appartamento è la sua oscurità.» Qualcosa gli disse che le modifiche non sarebbero andate bene; e quel qualcosa, se egli l'avesse saputo, era lo spirito della Prosa Inglese. «Il mio appartamento è buio e soffocante.» Queste erano le parole per lui.
E la voce nella gondola continuava a fluire, cantando melodiosamente di Sforzo e di Autosacrificio, piena di alti fini, piena di bellezza, piena persino di comprensione e amore per gli uomini, eppure eludendo in certo modo tutto ciò che nella vita di Leonard era reale e persistente. Perché era la voce di uno che non era mai stato sporco né affamato e non era mai riuscito a immaginare che cosa siano la sporcizia e la fame.
Leonard l'ascoltava con reverenza. Sentiva che gli faceva del bene e che se continuava con Ruskin, e i concerti alla Queen's Hall, e qualche quadro di Watts, un giorno avrebbe tirato fuori la testa dalle acque grigie e avrebbe veduto l'universo. Egli credeva nei mutamenti improvvisi, una credenza che può anche essere giusta, ma che esercita una particolare attrazione sulle menti immature. E' la base di gran parte della religione popolare; nel campo degli affari domina la Borsa e diventa quel «pizzico di fortuna» con cui si spiegano tutti i successi e i fallimenti. «Se solo avessi un pizzico di fortuna, tutto si metterebbe a posto... Certo, ha una splendida casa a Streatham e una Fiat 20 cavalli, ma bada che ha avuto fortuna...
Mi spiace che mia moglie sia tanto in ritardo, non ha mai fortuna nel prendere i treni.» Leonard era superiore a questa gente; credeva nello sforzo e in una costante preparazione al mutamento che desiderava. Ma di un retaggio che si espande gradualmente non aveva alcuna idea: sperava di arrivare alla Cultura tutt'a un tratto, un po' come il fautore d'un rinnovamento religioso spera di arrivare a Gesù. Quelle signorine Schlegel c'erano arrivate; avevano fatto il colpo; le loro mani stringevano le fila, una volta per tutte. E intanto il suo appartamento era buio e soffocante.
Poi si udì un rumore per le scale. Egli chiuse il biglietto da visita di Margaret tra le pagine di Ruskin e aprì la porta. Entrò una donna, della quale la cosa più semplice da dire è che non era rispettabile. Il suo aspetto era spaventoso. Sembrava tutta stringhe e cordoni da campanelli - nastri, catenine, collane di paccottiglia che tintinnavano e attiravano l'attenzione - e intorno al collo un boa di piume azzurre, con le code disuguali. La gola era nuda, a parte un doppio filo di perle, le braccia erano nude fino al gomito e si potevano ancora intravedere fino alla spalla, attraverso un pizzo a buon mercato. Il cappello fiorito sembrava uno di quei piccoli cesti rotondi, coperti di flanella, in cui da bambini seminavamo senape e crescione, i quali in certi punti germogliavano, in altri no. Essa lo portava spinto all'indietro. Quanto all'acconciatura, o meglio acconciature, erano troppo complicate per poterle descrivere, ma una parte dei capelli scendeva sulla schiena, dove si posava come uno spesso cuscinetto, mentre un'altra, creata per un destino più frivolo, s'increspava intorno alla fronte. Il viso... il viso non ha importanza. Era quello della fotografia, ma più vecchio, e i denti non erano tanti come il fotografo aveva fatto credere, e certamente non così bianchi. Sì, Jacky aveva passato la sua primavera, qualunque fosse stata questa primavera. Stava discendendo più rapidamente della maggioranza delle donne negli anni neutri e l'espressione dei suoi occhi lo confessava.
«Olà!» disse Leonard, salutando l'apparizione con grande vivacità e aiutandola a togliersi il boa.
Jacky, con voce rauca, rispose: «Olà!» «Sei stata fuori?» chiese lui. La domanda sembrava superflua, ma in realtà non doveva esserlo, perchè la signora rispose: «No» aggiungendo: «Oh, sono così stanca».
«Stanca?» «Eh?» «Io lo sono, stanco» disse Leonard, appendendo il boa.
«Oh, Len, sono così stanca.» «Sono stato a quel concerto che ti ho detto» la informò Leonard.
«Cosa?» «Sono tornato appena è finito.» «E' venuto nessuno?» domandò Jacky.
«Non che io sappia. Ho incontrato il signor Cunningham fuori e abbiamo scambiato due parole.» «Cosa, non il signor Cunningham?» «Sì.» «Ah, vuoi dire il signor Cunning-ham.» «Sì. Il signor Cunningham.» «Io sono stata a prendere il tè da un'amica.» Il suo segreto essendo infine rivelato al mondo e accennato persino il nome dell'amica, Jacky non fece altri esperimenti nella difficile e stancante arte della conversazione. Non era mai stata una grande parlatrice. Anche ai tempi della fotografia si era affidata al sorriso e alla figura per attrarre, e adesso che era Al tramonto,@ Al tramonto,@ Ragazzi, ragazzi, sono al tramonto,non era probabile che le venisse la parlantina. Occasionali scoppi di canto (di cui il precedente è un esempio) le uscivano ancora dalle labbra, ma le espressioni discorsive erano rare.
Si sedette sulle ginocchia di Leonard e cominciò ad accarezzarlo.
Ormai era una donna massiccia di trentatré anni e il suo peso lo infastidiva, ma non era il caso di dire nulla. Poi ella chiese: «E' un libro che stai leggendo?» ed egli rispose: «E' un libro, sì» e glielo tolse dalle mani, che del resto non fecero resistenza. Ne cadde il biglietto da visita di Margaret. Cadde al rovescio, ed egli mormorò: «Il segnalibro».
«Len...» «Che c'è?» chiese lui, in tono un po' seccato, perchè Jacky aveva un unico argomento di conversazione quando sedeva sulle sue ginocchia.
«Mi ami?» «Jacky, lo sai che ti amo. Come puoi fare certe domande?» «Ma mi ami proprio, Len, vero?» «Certo che sì.» Una pausa. L'altra domanda doveva ancora venire.
«Len...» «Be'? Che c'è?» «Len, metterai tutto a posto?» «Non sopporto più che tu me lo chieda» disse il ragazzo, infiammandosi tutt'a un tratto. «Ho promesso di sposarti quando sarò maggiorenne, e questo basta. Io ho una parola sola. Ho promesso di sposarti appena avrò ventun anni e non tollero che si continui ad assillarmi. Di assilli ne ho già abbastanza. A parte la mia parola, non è probabile che ti scarichi, dopo che ho speso tanti quattrini.
Del resto sono un inglese e non torno mai sulla mia parola. Jacky, sii ragionevole. Certo che ti sposerò. Solo smettila di tormentarmi.» «Quand'è il tuo compleanno, Len?» «Te l'ho detto e ridetto, l'undici novembre prossimo. Ora togliti un po' dalle mie ginocchia; qualcuno deve preparare la cena, immagino.» Jacky passò in camera da letto e cominciò a occuparsi del suo cappello. Questo significava soffiarvi sopra con piccoli sbuffi secchi. Leonard riordinò il salotto e si mise a preparare il loro pasto serale. Infilò un penny nel contatore del gas e ben presto l'appartamento puzzò di esalazioni metalliche. Chissà perchè non riusciva a calmarsi e, mentre cucinava, continuò a lagnarsi amaramente.
«E' davvero orribile quando non ci si fida di te. Mi fa impazzire di rabbia, quando io ho dato a intendere a tutta la gente di qui che sei mia moglie - va bene, va bene, sarai mia moglie - e ti ho comprato l'anello da portare al dito, e ho preso questo appartamento ammobiliato, che è molto più di quanto io possa permettermi, e anche così non sei contenta, e io non ho neanche detto la verità quando ho scritto a casa.» Abbassò la voce. «Lui vi metterebbe fine.» In un tono d'orrore, non privo d'un certo compiacimento, ripeté: «Mio fratello vi metterebbe fine. Sto andando contro il mondo intero, Jacky.
«Io sono fatto così, Jacky. Non mi curo di quello che dicono gli altri. Vado diritto per la mia strada, io. Questo è sempre stato il mio modo di agire. Non sono uno dei tuoi smidollati dalle gambe a «x». Se una donna è nei guai, non la lascio nelle pesti. Non è questo il mio stile. No, grazie.
«E ti dico un'altra cosa. Ci tengo moltissimo a migliorare me stesso con la Letteratura e l'Arte, ampliando così le mie vedute. Per esempio, quando sei entrata stavo leggendo Ruskin, Le pietre di Venezia. Non lo dico per vantarmi, ma per mostrarti che tipo d'uomo sono. E posso assicurarti che ho tratto un vero godimento da quel concerto di musica classica, oggi pomeriggio.» A tutti i suoi stati d'animo Jacky rimase del pari indifferente.
Quando la cena fu pronta - e non prima - emerse dalla camera da letto, dicendo: «Ma tu mi ami, vero?» Cominciarono con un brodo che Leonard aveva preparato sciogliendo un dado in acqua bollente. Seguì la lingua - un maculato cilindro di carne, con un po' di gelatina sopra e molto grasso giallo sotto - e per finire un altro dado sciolto in acqua (gelatina di ananas), che Leonard aveva preparato in precedenza. Jacky mangiò abbastanza di gusto, guardando di tanto in tanto il suo uomo con quegli occhi ansiosi, ai quali non corrispondeva nient'altro nel suo aspetto e tuttavia sembravano riflettere la sua anima. E Leonard fece in modo di convincere il suo stomaco che stava facendo un pasto nutriente.
Dopo cena fumarono sigarette e scambiarono qualche frase. Lei notò che la sua «foto» era stata rotta. Lui trovò il modo di dichiarare, per la seconda volta, d'essere tornato diritto a casa dopo il concerto alla Queen's Hall. Ora Jacky sedeva sulle sue ginocchia. Gli abitanti di Camelia Road camminavano avanti e indietro fuori dalla finestra, proprio al livello delle loro teste, e la famiglia dell'appartamento al pianterreno cominciò a cantare «Ascolta, anima mia, è il Signore».
«Questo motivo mi dà proprio ai nervi» disse Leonard.
Jacky lo stette a sentire, poi disse che, dal canto suo, lo trovava bello.
«No; ti suonerò io qualcosa di bello. Alzati un momento, cara.» Andò al piano e strimpellò un po' di Grieg. Suonava male e senza gusto, ma l'esecuzione ebbe il suo effetto, perchè Jacky disse che pensava di andarsene a nanna. Quando si fu ritirata, un nuovo ambito d'interessi s'impadronì del ragazzo, il quale cominciò a riflettere su ciò che aveva detto della musica quella strana signorina Schlegel: quella che torceva tanto il viso quando parlava. Poi i suoi pensieri divennero tristi e invidiosi. C'era la ragazza di nome Helen, che gli aveva fregato l'ombrello, e la ragazza tedesca che gli aveva sorriso così amabilmente, e un Herr non-so-chi, e una zia non-so-cosa, e il fratello: tutti, tutti con le fila ben strette in mano. Avevano salito quella stretta, ricca scala a Wickham Place per entrare in qualche vasta stanza, dove lui non avrebbe mai potuto seguirli, nemmeno se avesse letto dieci ore al giorno. Oh, non serviva a nulla, quella sua costante aspirazione. Alcuni nascono colti; gli altri farebbero meglio a dedicarsi alle cose che si ottengono facilmente.
Vedere la vita con giudizio e nella sua interezza non era per i suoi pari.
Dal buio oltre la cucina una voce chiamò: «Len?».
«Sei a letto?» chiese lui, aggrottando la fronte.
«Mhm.» Poco dopo lei lo chiamò di nuovo.
«Devo pulirmi gli stivaletti per domattina» rispose lui.
Poco dopo lo chiamò ancora.
«Vorrei finire questo capitolo.» «Che cosa?» Egli si tappò le orecchie contro quella voce.
«Cos'hai detto?» «Niente, Jacky, niente; sto leggendo un libro.» «Cosa?» «Cosa?» rispose egli, contagiato dell'abbietta sordità di lei.
Poco dopo Jacky lo chiamò di nuovo.
Intanto Ruskin aveva visitato Torcello e stava ordinando ai gondolieri di condurlo a Murano. Mentre scivolava sulla laguna mormorante, gli venne fatto di pensare che la follia di uomini come Leonard non poteva diminuire la potenza della Natura, né la loro infelicità intristire la sua bellezza.
7
«Oh, Margaret» esclamò la zia il mattino dopo, «è successa una cosa terribile. Finalmente ti trovo da sola.» La cosa terribile non era molto grave. Un appartamento del riccamente ornato caseggiato di fronte era stato preso in affitto, ammobiliato, dalla famiglia Wilcox, «venuta in città, senza dubbio, nella speranza di entrare nella buona società di Londra». Che la signora Munt fosse la prima a scoprire questa disgrazia non era affatto strano, poiché ella s'interessava a quegli appartamenti tanto da seguirne tutte le vicende con attenzione instancabile. In teoria li disprezzava: hanno distrutto quell'atmosfera da vecchio mondo... tolgono il sole... gli appartamenti sono fatti per la gente ordinaria. Ma, se si fosse saputa la verità, le sue visite a Wickham Place la divertivano il doppio da quando erano sorte le Wickham Mansions, e arrivava a saperne più lei in due giorni che le sue nipoti in due mesi, o il nipote in due anni. Attraversava la strada come se andasse a zonzo, faceva amicizia con i portieri e domandava quali fossero le pigioni, esclamando per esempio: «Come! Centoventi sterline per un seminterrato? Non le prenderete mai!» E quelli rispondevano: «Noi ci proviamo, signora». Gli ascensori, i montacarichi, il sistema di rifornimento del carbone (una grande tentazione per un portiere disonesto) erano tutte cose che conosceva benissimo e forse rappresentavano un sollievo dall'atmosfera politico-economica-estetica che regnava in casa Schlegel.
Margaret accolse la notizia con calma e non fu d'accordo che quel fatto avrebbe gettato un'ombra sulla vita della povera Helen.
«Oh, ma Helen non è una ragazza senza interessi» esclamò. «Ha una quantità d'altre cose e persone cui pensare. Ha fatto una falsa partenza con i Wilcox e sarà desiderosa quanto noi di non avere più nulla a che fare con loro.» «Per essere una ragazza intelligente, cara, parli in modo davvero strano. Helen dovrà pur avere ancora a che fare con loro, adesso che stanno tutti qui di fronte. E' possibile che incontri quel Paul per la strada. Non può certo non salutarlo.» «Naturale che deve salutarlo. Ma guarda qui; occupiamoci dei fiori.
Stavo per dire che la voglia d'interessarsi di lui è morta, e che altro importa? Io considero quel disastroso incidente (in occasione del quale sei stata così gentile) come l'uccisione d'un nervo di Helen. Ora è morto e non le darà più fastidio. Le uniche cose che contano sono quelle che c'interessano. Salutare, magari andarli a trovare e lasciare biglietti da visita, perfino un pranzo: queste sono tutte cose che possiamo fare coi Wilcox, se lo gradiranno; ma l'altra cosa, la sola importante... mai più. Capisci?» La signora Munt non capiva e in effetti Margaret stava facendo un'affermazione quanto mai discutibile: che qualunque emozione, qualunque interesse, una volta vivacemente suscitato, possa morire del tutto.
«Inoltre ho l'onore d'informarti che i Wilcox sono seccati con noi.
Non te lo dissi allora... avrebbe potuto farti arrabbiare e avevi già abbastanza noie... ma io scrissi una lettera alla signora W', scusandomi per il disturbo che Helen aveva dato loro. Non mi rispose.» «Che villania!» «Chissà. O non piuttosto buon senso?» «No, Margaret, vera villania.» «In ogni caso possiamo stimarlo un fatto rassicurante.» La signora Munt sospirò. Doveva tornare a Swanage l'indomani, proprio quando le nipoti avevano bisogno di lei. Altri rimpianti le si affollavano nell'animo: per esempio, quanto magnificamente avrebbe ignorato Charles se l'avesse incontrato faccia a faccia. L'aveva già veduto mentre ordinava qualcosa al portiere... e aveva un'aspetto molto ordinario con il cappello a cilindro. Ma disgraziatamente le girava le spalle e, benché ella avesse ignorato le sue spalle, non poteva considerare d'averlo veramente snobbato.
«Ma sarai cauta, vero?» «Oh, certo. Diabolicamente cauta.» «E anche Helen deve essere cauta.» «Cauta in che cosa?» chiese Helen, che proprio allora entrò nella stanza con la cugina.
«Niente» disse Margaret, colta da un momentaneo imbarazzo.
«Cauta in che cosa, zia Juley?» La signora Munt assunse un'aria misteriosa. «E' solo che una certa famiglia, di cui conosciamo il nome ma che non menzioniamo, come hai detto tu stessa ieri sera dopo il concerto, ha preso dai Matheson l'appartamento qui di fronte: quello con le piante sul balcone.» Helen cominciò una risposta scherzosa, poi sconcertò tutti arrossendo. La signora Munt ne fu tanto turbata che esclamò: «Come, Helen, non t'importerà mica che vengano, vero?» facendo intensificare il rossore dell'altra fino a un cupo color cremisi.
«Certo che non m'importa» disse Helen con una certa irritazione. «E' che tu e Meg ve ne fate un tale assurdo problema, mentre non lo è affatto.» «Io non me ne faccio un problema» protestò Margaret, a sua volta un po' irritata.
«Be', ne hai tutta l'aria; vero, Frieda?» «Tutto quello che posso dire è che non lo sento come un problema; sei proprio fuori strada.» «No, non se ne fa un problema» le fece eco la signora Munt. «Questo posso testimoniarlo. Lei non è d'accordo su...» «Ascolta!» la interruppe Fräulein Mosebach. «Mi sembra di sentire Bruno nell'atrio.» Infatti Herr Liesecke doveva venire a Wickham Place a prendere le due ragazze più giovani. Non stava entrando nell'atrio: in realtà, non sarebbe arrivato prima di cinque minuti. Ma Frieda risolse una situazione delicata dicendo che lei e Helen avrebbero fatto meglio ad aspettare Bruno da basso, lasciando Margaret e la signora Munt a finire di sistemare i fiori. Helen acconsentì. Ma, come per dimostrare che davvero la situazione non era delicata, si fermò nel vano della porta per esclamare: «Hai detto l'appartamento dei Matheson, zia Juley? Sei meravigliosa! Io non avevo mai saputo che quella donna dal busto troppo stretto si chiamasse Matheson.» «Vieni, Helen» disse la cugina.
«Vai, Helen» disse la zia; e quasi senza riprender fiato continuò, rivolgendosi a Margaret: «Helen non può ingannarmi. Gliene importa».
«Oh, zitta!» sussurrò Margaret. «Frieda ti sentirà e sa essere tanto seccante.» «Gliene importa» insistette la signora Munt, muovendosi pensierosa per la stanza e togliendo dai vasi i crisantemi morti. «Io lo sapevo che gliene importava... come a qualsiasi altra ragazza! Un'esperienza simile! Gente d'una volgarità spaventosa! Io ne so più di te su di loro, cosa che tendi a dimenticare, ma se Charles avesse dato a te quel passaggio in auto... be', saresti arrivata alla casa in uno stato disastroso. Oh, Margaret, già me li immagino pigiati contro la finestra del salotto. C'è la signora Wilcox... l'ho vista. C'è Paul.
C'è Evie, che è una sfacciata. C'è Charles... quello l'ho visto per primo. E chi potrebbe essere un uomo anziano con i baffi e una faccia color rame?» «Il signor Wilcox, probabilmente.» «Lo immaginavo. Dunque c'è anche il signor Wilcox.» «E' una vergogna descrivere la sua faccia come «color rame» protestò Margaret. «Ha una carnagione notevole per un uomo della sua età.» La signora Munt, trionfando su altri punti, poteva permettersi di concedere al signor Wilcox una bella carnagione. Quindi passò da essa al piano strategico che le sue nipoti dovevano seguire in futuro.
Margaret cercò di fermarla.
«Helen non ha preso la notizia come mi aspettavo, ma il nervo Wilcox è veramente morto in lei, per cui non c'è bisogno di piani.» «Tanto vale essere preparate.» «No... tanto vale non essere preparate.» «Perché?» «Perché...» Il suo pensiero sorgeva dall'oscura zona di confine. Non sapeva spiegarlo a parole, ma sentiva che quanti si preparano in anticipo a tutte le emergenze della vita, possono equipaggiarsi a spese della gioia. E' necessario prepararsi a un esame, o a un pranzo, o a un possibile crollo delle azioni in Borsa; chi mira ai rapporti umani deve adottare un altro metodo, o fallire. «Perché preferisco rischiare» fu la sua imperfetta conclusione.
«Ma immagina la sera» esclamò la zia, indicando le Mansions con la canna dell'innaffiatoio. «Accendi la luce elettrica qui o là, ed è quasi come stare nelle stessa stanza. Una sera dimenticano di tirare le tende e li vedrete; la sera dopo ve ne dimenticate voi e vi vedranno loro. Impossibile starsene seduti fuori sui balconi.
Impossibile innaffiare le piante, o anche parlare. Immagina se uscite di casa e loro fanno lo stesso nello stesso momento, dall'altra parte della strada. Eppure tu mi dici che i piani non sono necessari e che preferisci rischiare.» «Spero di correre rischi per tutta la vita.» «Oh, Margaret, è molto pericoloso.» «Dopo tutto» continuò la nipote con un sorriso, «il rischio non è mai mai grosso finché si ha denaro.» «Vergogna! Che discorso disgustoso!» «Il denaro smussa gli spigoli delle cose» disse la signorina Schlegel. «Dio aiuti chi non ne ha.» «Ma questa è proprio nuova!» disse la signora Munt, che collezionava idee nuove come uno scoiattolo colleziona noci ed era particolarmente attratta da quelle che erano portatili.
«Nuova per me; la gente di buon senso lo riconosce da anni. Tu e io e i Wilcox poggiamo sul denaro come su un'isola. E' così stabile sotto i nostri piedi che dimentichiamo persino che esista. Solo quando vediamo traballare qualcuno vicino a noi, ci rendiamo conto di quanto significa un reddito indipendente. Ieri sera, quando discorrevano qui davanti al fuoco, ho cominciato a pensare che l'essenza stessa del mondo è di natura economica e che l'abisso più profondo non è la mancanza d'amore, ma la mancanza di quattrini.» «Io direi che questo è cinismo.» «Io pure. Però, quando siamo tentate di criticare il prossimo, Helen e io dovremmo ricordare che siamo su queste isole, mentre la maggioranza degli altri sta sotto la superficie del mare. Non sempre i poveri possono raggiungere quelli che vogliono amare e quasi mai fuggire da quelli che non amano più. Noi ricchi sì. Immagina che tragedia, lo scorso giugno, se Helen e Paul Wilcox fossero stati poveri e non avessero potuto ricorrere ai treni e alle automobili per separarsi.» «Questo suona più simile al socialismo.» «Chiamalo come ti pare. Io lo chiamo vivere la propria vita a carte scoperte. Sono stanca di quei ricchi che fanno finta d'essere poveri e credono di dar prova di comprensione umana ignorando i mucchi di denaro che tengono i loro piedi al di sopra delle onde. Io mi reggo su seicento sterline l'anno, Helen pure, Tibby potrà contare su ottocento, e appena i nostri mucchi di sterline si sgretolano nel mare vengono subito rinnovati... dal mare, sì, dal mare. E tutto quello che pensiamo sono i pensieri di persone che dispongono di seicento sterline, e così tutto quello che diciamo; e siccome noi non abbiamo bisogno di rubare ombrelli, dimentichiamo che sotto il mare la gente ha bisogno di rubarli, e a volte lo fa, e quello che quassù è uno scherzo, là sotto è realtà...» «Stanno uscendo... ecco Fräulein Mosebach. Davvero, per essere una tedesca si veste in modo delizioso. Oh...!» «Che c'è?» «Helen ha guardato verso l'appartamento dei Wilcox.» «Perché non dovrebbe?» «Scusami, ti ho interrotto. Cosa stavi dicendo della realtà?» «Rimuginavo a voce alta, come al solito» rispose Margaret, in tono improvvisamente distratto.
«Dimmi una cosa, comunque. Sei per i ricchi o per i poveri?» «Troppo difficile. Fammi un'altra domanda. Sei per la povertà o per la ricchezza? Per la ricchezza. Urrà per la ricchezza!» «Per la ricchezza!» le fece eco la signora Munt, che finalmente si era, per così dire, assicurata la sua noce.
«Sì. Per la ricchezza. Denaro per sempre!» «E' quello che dico io, e la maggior parte dei miei conoscenti a Swanage, temo, ma mi stupisce che tu sia d'accordo con noi.» «Grazie tante, zia Juley. Mentre io sproloquiavo di teorie, tu hai sistemato i fiori.» «Di nulla, mia cara. Vorrei che mi permettessi di aiutarti in cose più importanti.» «Bene, vuoi farmi un grande piacere? Verresti con me all'ufficio di collocamento? C'è una domestica che non dice né sì né no.» Avviandosi a quella volta, anch'esse alzarono lo sguardo verso l'appartamento dei Wilcox. Evie era al balcone, «fissandole nel modo più villano», secondo la signora Munt. Oh, sì, era una seccatura, su questo non c'erano dubbi. Se si trattava d'un fugace incontro, Helen era corazzata, però... Margaret cominciava a perdere la sua sicurezza. Che il nervo morente potesse risvegliarsi, se quella famiglia le veniva a vivere proprio sotto gli occhi? E Frieda Mosebach si sarebbe fermata da loro ancora per due settimane, e Frieda era acuta, abominevolmente acuta, nonché capacissima di osservare: «Ami uno dei giovani signori qui di fronte, vero?».
L'osservazione sarebbe stata falsa, ma del tipo che, se pronunciata abbastanza spesso, può diventare vera; proprio come l'osservazione che «Inghilterra e Germania sono destinate a combattersi» rende la guerra più probabile ogni volta che viene ripetuta e per questo la si trova continuamente nella peggiore stampa di entrambi i paesi. Anche le emozioni private hanno la loro stampa d'infimo ordine? Margaret pensava di sì, e temeva che la buona zia Juley e Frieda ne fossero due tipici esemplari. Con le loro continue ciance potevano spingere Helen a una ripetizione dei desideri di giugno. Una ripetizione, niente di più; non potevano spingerla a un amore durevole. Esse...
Margaret lo vedeva chiaramente... erano «giornalismo»: mentre il padre, con tutti i suoi difetti e le sue convinzioni errate, avrebbe saputo consigliare la figlia nel modo giusto.
L'ufficio di collocamento riceveva le visite mattutine. Una fila di carrozze riempiva la strada. La signorina Schlegel aspettò il suo turno e alla fine dovette accontentarsi di un'insidiosa «provvisoria», essendo stata respinta dalle domestiche vere per via delle molte scale di casa sua. Questo insuccesso la depresse e, anche quando lo ebbe dimenticato, la depressione rimase. Tornando a casa guardò di nuovo verso l'appartamento dei Wilcox e si decise al passo piuttosto matronale di parlare della cosa con Helen.
«Helen, devi dirmi se questo fatto ti preoccupa.» «Se cosa?» disse Helen, che si stava lavando le mani prima di pranzo.
«L'arrivo dei W'» «No, certo che no.» «Davvero?» «Davvero.» Poi Helen ammise d'essere un poco preoccupata per la signora Wilcox; intendeva dire che la signora Wilcox poteva calarsi entro profondi sentimenti passati e soffrire di cose che non toccavano affatto gli altri membri di quel clan. «A me non importa nulla se Paul segna a dito casa nostra e dice: «Qui abita la ragazza che ha cercato di accalappiarmi». Ma a lei potrebbe dispiacere.» «Se perfino questo ti preoccupa, possiamo decidere qualcosa. Grazie al nostro denaro, non c'è ragione per cui dobbiamo stare vicino a persone che non ci piacciono o alle quali noi non piacciamo. Potremmo anche andar via per un po'.» «Be', io sto per andarmene. Poco fa Frieda mi ha invitato a Stettino e tornerò soltanto dopo Capodanno. Credi che basti? O devo lasciare il paese per sempre? Davvero, Meg, cosa ti è successo per agitarti tanto?» «Oh, sto diventando una zitellona, immagino. Credevo che non me ne importasse niente, ma in realtà io... sarei molto seccata se t'innamorassi per la seconda volta dello stesso uomo, e sai» si schiarì la gola, «sei diventata rossa stamattina, quando zia Juley ti ha aggredita. Non te ne avrei fatto parola, altrimenti.» Ma la risata di Helen suonò sincera, mentre alzava al cielo una mano insaponata e giurava che mai, in nessun luogo e in nessuna maniera, si sarebbe nuovamente innamorata d'un membro della famiglia Wilcox, i più remoti collaterali inclusi.
8
L'amicizia tra Margaret e la signora Wilcox, che doveva svilupparsi così rapidamente e con risultati tanto strani, era forse cominciata a Spira, in primavera. Può darsi che la signora più anziana, mentre guardava la rossa, volgare cattedrale e ascoltava i discorsi tra Helen e suo marito, avesse scoperto nell'altra sorella, la meno attraente delle due, una comprensione più profonda, un giudizio più fermo. Lei sapeva percepire queste cose. Forse era stata la signora Wilcox a volere che le signorine Schlegel fossero invitate a Casa Howard e la presenza di Margaret era stata particolarmente desiderata. Tutte queste sono congetture: la signora Wilcox ha lasciato poche indicazioni chiare dietro di sé. Certo è che fece visita a Wickham Place due settimane dopo, proprio il giorno in cui Helen doveva partire con la cugina per Stettino.
«Helen!» esclamò Fräulein Mosebach in tono di stupito rispetto (ora la cugina si confidava con lei) «la madre ti ha perdonata!» Poi, ricordando che in Inghilterra il nuovo arrivato non dovrebbe mai far visita per primo, il suo tono da rispettoso divenne critico ed ella mise in dubbio che la signora Wilcox fosse «eine Dame».
«Al diavolo tutta la famiglia!» sbottò Margaret. «Helen, invece di ridacchiare e far piroette, va' a finire di fare i bagagli. Perché quella donna non ci lascia in pace?» «Non so più cosa fare con Meg» replicò Helen, crollando a sedere sulla scala. «E' fissata con i Wilcox. Meg, Meg, non amo il signorino, non amo il signorino, Meg, Meg. Può un cristiano parlare più chiaro?» «E' più che certo che il suo amore è morto» dichiarò Fräulein Mosebach.
«Più che certo, Frieda, ma ciò non toglie che sia seccata con i Wilcox perché ora dovrò restituire la visita.» Allora Helen fece finta di scoppiare in lacrime e Fräulein Mosebach, che la trovava divertentissima, la imitò. «Oh, buu, buu!
Buu, buu oh! Meg andrà in visita e io no. «Perché, ragazza mia?» Perché devo andare in Tedescheria.» «Se vuoi davvero partire, fila a fare i bagagli; se no, va' dai Wilcox al posto mio.» «Ma, Meg, Meg, io non amo il signorino; io non amo il... Oh, cribbio, chi sta scendendo le scale? Giuro che è mio fratello, Oh, perdindirindina!» Un maschio - persino un maschio come Tibby - bastava a far cessare gli scherzi. La barriera del sesso, benché si stia abbassando tra le persone civili, è ancora alta, e più alta dal lato delle donne. Helen poteva dire tutto alla sorella e molto alla cugina riguardo a Paul; al fratello non diceva nulla. Non era pruderie, perché ora parlava dell'«ideale Wilcox» ridendone, e perfino con crescente brutalità. E non era nemmeno cautela, perché Tibby ripeteva di rado le cose che non lo riguardavano di persona. Era piuttosto la sensazione che avrebbe tradito un segreto nel campo degli uomini e che, per quanto insignificante esso fosse da questo lato della barriera, sarebbe diventato importante dall'altra. Quindi smise, anzi cominciò a scherzare su altri soggetti, finché le sue tolleranti parenti la convinsero a salire di sopra. Fräulein Mosebach la seguì, ma indugiò un momento per dire gravemente a Margaret al di sopra della ringhiera: «Va tutto bene... Helen non ama il signorino... non è stato degno di lei».
«Sì, lo so; ti ringrazio molto.» «Ho creduto giusto dirtelo.» «Ancora molte grazie.» «Che c'è?» domandò Tibby. Nessuno glielo disse ed egli andò in sala da pranzo a mangiare prugne Elvas.
Quella sera Margaret fece un passo decisivo. La casa era molto silenziosa e la nebbia - ormai siamo in novembre - premeva contro le finestre come uno spettro cui s'impediva di entrare. Frieda, Helen e i loro bagagli erano andati. Tibby, che non si sentiva bene, stava disteso sul divano vicino al fuoco. Margaret sedeva accanto a lui, pensando. La sua mente scattava da un impulso all'altro e infine li passò tutti in rivista. La persona pratica, che sa subito quello che vuole, e in genere non sa nient'altro, l'accuserà d'indecisione. Ma questo era il modo in cui lavorava la sua mente. E quando agiva nessuno poteva dire che mancasse di determinazione. Andava a colpo sicuro come se non ci avesse riflettuto affatto. La lettera che scrisse alla signora Wilcox splendeva dell'innato colore della risolutezza. La pallida ombra del pensiero era in lei un alito piuttosto che una patina, un alito che lascia i colori tanto più vivi quando viene spazzato via.Gentile signora Wilcox, devo scriverle qualcosa di scortese. Sarebbe meglio che noi non ci vedessimo. Tanto mia sorella quanto mia zia hanno dato motivo di dispiacere alla sua famiglia e, nel caso di mia sorella, la cosa potrebbe ripetersi. Per quanto ne so, ella non pensa più a suo figlio. Ma non sarebbe bene, né per Helen né per lei, che s'incontrassero e pertanto è opportuno che la nostra conoscenza, cominciata così piacevolmente, debba finire.
Temo che lei non sia d'accordo su questo; anzi, so che non lo è, dato che è stata tanto gentile da venire a farci visita. Da parte mia è soltanto un istinto e senza dubbio l'istinto è sbagliato. Mia sorella direbbe certamente che è sbagliato. Le scrivo a sua insaputa e spero che non vorrà accomunarla alla mia scortesia.
Mi creda, Sua devotissima M'J' Schlegel Margaret spedì questa lettera per posta. Il mattino dopo ricevette la seguente risposta consegnata a mano:Cara signorina Schlegel, non avrebbe dovuto scrivermi una lettera simile. Venivo proprio per dirle che Paul è andato all'estero.
Ruth Wilcox Le guance di Margaret avvamparono. Non poté finire la prima colazione. Bruciava di vergogna. Helen le aveva detto che il giovanotto stava per lasciare l'Inghilterra, ma altre cose le erano sembrate più importanti e se n'era dimenticata. Tutte le sue assurde preoccupazioni crollarono e al loro posto sorse la certezza d'essere stata villana con la signora Wilcox. A Margaret la villania faceva l'effetto d'un sapore amaro in bocca. Avvelenava la vita. A volte era necessaria, ma guai a chi se ne serviva senza un vero bisogno.
Indossò in fretta un cappello e uno scialle, proprio come una donna del popolo, e si tuffò nella nebbia, che ancora persisteva. Le sue labbra erano serrate, teneva la lettera in mano e in questo stato attraversò la strada, entrò nel vestibolo marmoreo del caseggiato di fronte, eluse i portieri e salì di corsa le scale fino al secondo piano.
Si fece annunciare e con sua sorpresa fu subito introdotta nella camera da letto della signora Wilcox.
«Oh, signora Wilcox, ho fatto una grossa balordaggine. Non so dirle quanto me ne vergogni e ne sia dispiaciuta.» La signora Wilcox annuì gravemente. Era offesa e non fingeva il contrario. Stava seduta a letto, scrivendo lettere su un tavolino da ammalati posato sulle ginocchia. Sopra un altro piccolo tavolo accanto a lei c'era il vassoio della prima colazione. La luce del fuoco, quella della finestra e d'un candeliere che gettava un tremulo alone intorno alle sue mani, si combinavano per creare una strana atmosfera di dissolvimento.
«Sapevo che doveva partire per l'India in novembre, ma me n'ero dimenticata.» «Si è imbarcato il diciassette per la Nigeria, in Africa.» «Lo sapevo... lo so. Sono stata assurda in tutto e per tutto. Mi vergogno moltissimo.» La signora Wilcox non rispose.
«Non so dirle quanto sia spiacente e spero che mi perdonerà.» «Non importa, signorina Schlegel. E' stato bello da parte sua venire subito da me.» «Invece sì che importa» esclamò Margaret. «Sono stata villana con lei; e mia sorella non si trova a Londra, per cui non c'era nemmeno questa scusa.» «Davvero?» «E' appena andata in Germania.» «Partita anche lei» mormorò l'altra. «Sì, certo, non c'è più pericolo... assolutamente nessun pericolo, ora.» «Era preoccupata anche lei!» esclamò Margaret, eccitandosi sempre di più e prendendo una sedia senza esservi invitata. «E' una cosa straordinaria! Vedo bene che lo era. Aveva la mia stessa sensazione: Helen non deve rivederlo.» «Pensavo fosse meglio.» «E perché?» «Questa è una domanda molto difficile» disse la signora Wilcox con un sorriso, perdendo un poco la sua espressione seccata. «Penso l'abbia espresso benissimo lei nella sua lettera: era un istinto, che può anche essere sbagliato.» «Non è che suo figlio ancora...» «Oh, no; lui spesso... il mio Paul è molto giovane, capisce.» «Allora cos'era?» L'altra ripeté: «Un istinto che può anche essere sbagliato».
«In altre parole, appartengono a categorie di persone che possono innamorarsi, ma non potrebbero vivere insieme. Questo è spaventosamente probabile. Temo che, in nove casi su dieci, la natura spinga da una parte e il carattere umano dall'altra.» «Queste sono davvero «altre parole»» disse la signora Wilcox. «Io non avevo nulla di tanto coerente nelle mia testa. Mi sono semplicemente allarmata quando ho saputo che il mio ragazzo s'interessava di sua sorella.» «Ah, ho sempre voluto chiederglielo. Come ne è venuta a conoscenza?
Helen si stupì tanto quando nostra zia arrivò e lei si fece avanti per sistemare le cose. Gliel'aveva detto Paul?» «Non c'è nulla da guadagnare a discorrere di questa faccenda» disse la signora Wilcox dopo un momento di pausa.
«Signora Wilcox, era molto arrabbiata con noi lo scorso giugno? Io le scrissi una lettera e lei non mi rispose.» «Certo ero contraria a prendere l'appartamento della signora Matheson. Sapevo che era di fronte a casa vostra.» «Ma adesso va tutto bene?» «Credo di sì.» «Lo crede soltanto? Non ne è sicura? Vorrei che questi piccoli pasticci fossero chiariti completamente.» «Oh, sì, ne sono sicura» disse la signora Wilcox, muovendosi a disagio sotto le coperte. «Sembro sempre incerta su tutto. E' il mio modo di parlare.» «Allora va bene, ne sono sicura anch'io.» A questo punto la cameriera entrò per ritirare il vassoio. Le due donne furono interrotte e, quando ripresero la conversazione, questa si indirizzò su percorsi più normali.
«Ora devo salutarla... lei starà per alzarsi.» «No... per favore, rimanga ancora un poco... starò a letto tutto il giorno. Lo faccio, di tanto in tanto.» «La credevo una di quelle persone che si alzano di buonora.» «A Casa Howard... sì; ma non c'è nulla per cui alzarsi a Londra.» «Nulla per cui alzarsi?» esclamò Margaret, scandalizzata. «Quando ci sono le mostre d'autunno e nel pomeriggio suona Isaye! Per non parlare della gente.» «La verità è che sono un po' stanca. Prima ci sono state le nozze, poi la partenza di Paul, e ieri, invece di riposarmi, ho fatto un giro di visite.» «Nozze?» «Sì. Charles, il mio primogenito, si è sposato.» «Davvero!» «Abbiamo preso l'appartamento principalmente per questo motivo e anche perché Paul potesse provvedersi del suo corredo africano.
L'appartamento appartiene a una cugina di mio marito, che ce l'ha molto gentilmente offerto. Così prima del matrimonio abbiamo potuto fare la conoscenza dei parenti di Dolly, che non avevamo mai incontrato fino ad allora.» Margaret chiese chi fossero i familiari di Dolly.
«I Fussell. Il padre è un ufficiale dell'Armata Indiana... a riposo; il fratello è nell'esercito. La madre è morta.» Forse erano questi gli «uomini abbronzati senza mento» che Helen aveva intravisto un giorno dalla finestra. Margaret provava un certo interesse per le vicende della famiglia Wilcox. Aveva preso questa abitudine per via di Helen e le restava ancora attaccata. Chiese altre informazioni sulla signorina Dolly Fussell, che le furono date in tono piano, senza emozione. La voce della signora Wilcox, benché dolce e irresistibile, aveva un'espressività limitata. Faceva pensare che quadri, concerti e persone fossero tutti di scarso e uguale valore. Soltanto una volta si era animata... parlando di Casa Howard.
«Charles e Albert Fussell si conoscono da un certo tempo.
Appartengono allo stesso club e sono entrambi appassionati di golf.
Anche Dolly gioca a golf, benché non sia tanto brava, credo, e si sono conosciuti in un doppio misto. Lei piace a tutti noi, siamo molto contenti. Si sono sposati l'undici, pochi giorni prima che Paul s'imbarcasse. Charles desiderava moltissimo che suo fratello gli facesse da testimonio, così ha insistito per sposarsi l'undici. I
Fussell avrebbero preferito dopo Natale, ma sono stati molto carini a questo proposito. Ecco la fotografia di Dolly... in quella cornice doppia.» «E' sicura che non disturbo, signora Wilcox?» «Sicurissima.» «Allora resterò. Mi fa piacere.» Fu esaminata la fotografia di Dolly. Portava la dedica «Alla cara Mims», che la signora Wilcox spiegò essere «il nome con cui Dolly eCharles hanno stabilito che lei mi avrebbe chiamata». Dolly aveva un'aria sciocca e una di quelle facce triangolari che tanto spesso attraggono gli uomini robusti. Era molto carina. Da lei Margaret passò a Charles, le cui sembianze dominavano dall'altra parte. Meditò sulle forze che avevano unito quei due finché Dio non li avesse divisi. Trovò il tempo di sperare che sarebbero stati felici.
«Sono andati a Napoli per la luna di miele.» «Fortunati loro!» «Stento a immaginarmi Charles in Italia.» «Non gli piace viaggiare?» «Gli piace, ma non si lascia incantare dagli stranieri. Quello che lo diverte di più è girare per l'Inghilterra e credo che l'avrebbe spuntata se il tempo non fosse stato così orrendo. Come regalo di nozze suo padre gli ha comprato un'automobile, che attualmente teniamo noi a Casa How-ard.» «Suppongo che là abbiate un garage?» «Sì. Mio marito ne ha costruito uno piccolo soltanto il mese scorso, a ovest della casa, non lontano dall'olmo, dove prima si trovava il recinto del pony.» Le ultime parole avevano un suono indescrivibile.
«Dov'è finito il pony?» domandò Margaret dopo una pausa.
«Il pony? Oh, è morto, molto tempo fa.» «Mi ricordo dell'olmo. Helen me ne ha parlato come di un albero assolutamente splendido.» «E' il più bell'olmo dell'Hertford-shire. Sua sorella le ha detto dei denti?» «No.» «Oh, questo potrebbe interessarla. Ci sono denti di maiale incastrati nel tronco, a circa un metro e venti dal suolo. La gente di campagna ce li mise molto tempo fa e si diceva che masticando un pezzo di corteccia si guarisse dal mal di denti. Ora i denti sono quasi coperti e all'albero non viene più nessuno.» «Io lo farei. Amo il folklore e tutte le superstizioni che vanno scomparendo.» «Pensa che l'albero guarisse davvero il mal di denti, se ci si credeva?» «Naturalmente. Avrebbe guarito da qualsiasi cosa... un tempo.» «Certo ricordo casi... sa, io vivevo a Casa Howard molto prima che la conoscesse il signor Wilcox. Ci sono nata.» La conversazione deviò di nuovo. Al momento sembrava poco più che una chiacchierata senza scopo. Margaret mostrò interesse quando la sua ospite le disse che Casa Howard era di sua proprietà. Si annoiò nel sentir descrivere troppo minuziosamente la famiglia Fussell, le preoccupazioni di Charles riguardo a Napoli, gli spostamenti del signor Wilcox e di Evie, che stavano visitando lo York-shire in auto.
Margaret non poteva sopportare di annoiarsi. Si distrasse, giocherellò con la doppia cornice, la lasciò cadere, ruppe il vetro di Dolly, si scusò, fu perdonata, si tagliò un dito, fu compassionata, e infine disse che doveva andarsene: c'erano tutte le faccende di casa da fare e doveva parlare con il maestro di equitazione di Tibby.
Allora risuonò di nuovo la nota curiosa.
«Addio, signorina Schlegel, addio. Grazie d'essere venuta. Mi ha sollevato il morale.» «Ne sono felice!» «Io... io mi domando se lei pensa mai a se stessa.» «Non penso ad altro» disse Margaret, arrossendo, ma lasciando la mano in quella della malata.
«Chissà. Me lo domandavo anche a Heidelberg.» «Personalmente, io ne sono sicura!» «Quasi quasi credo...» «Sì?» chiese Margaret, perché ci fu una lunga pausa: una pausa che in certo modo era affine al vacillare del fuoco, alla luce tremula della lampada da lettura sulle loro mani, alla macchia bianca della finestra; una pausa di ombre mutevoli ed eterne.
«Quasi quasi credo che lei dimentichi di essere una ragazza.» Margaret era stupita e un poco seccata. «Ho ventinove anni» osservò. «Non è che sia proprio una ragazzina.» La signora Wilcox sorrise.
«Perché dice questo? Vuol farmi intendere che sono stata priva di tatto e villana?» Un vigoroso cenno negativo.
«Intendevo dire soltanto che io ho cinquantun anni e per me sia lei sia sua sorella... lo legga in qualche libro; io non so esprimermi con chiarezza.» «Ah, ho capito... inesperienza. Lei vuol dire che io non sono meglio di Helen, eppure ho la pretesa di darle consigli.» «Sì. Lei ha capito. Inesperienza è la parola giusta.» «Inesperienza» ripeté Margaret, in tono serio e tuttavia vivace.
«Certo, io ho ancora tutto da imparare... assolutamente tutto... proprio come Helen. La vita è molto difficile e piena di sorprese.
Comunque, sono arrivata a questo. Essere umili e gentili, andare diritti per la propria strada, amare la gente piuttosto che compatirla, ricordarsi di quelli che stanno sott'acqua... be', non si possono fare tutte queste cose in una volta, anche perché sono tanto contraddittorie. E' qui che interviene la misura: vivere con misura.
Non cominciare dalla misura, però. Solo i pedanti lo fanno. Lasciare che la misura intervenga come ultima risorsa, quando le cose migliori hanno fallito, e un punto morto... buon Dio, mi sono messa a predicare!» «Davvero, lei espone magnificamente le difficoltà della vita» disse la signora Wilcox, ritraendo la mano nell'ombra. «E' proprio quello che avrei voluto dire io stessa al riguardo.»
9
Non si può accusare la signora Wilcox di aver fornito a Margaret molte nozioni sulla vita. E Margaret, dal canto suo, ha fatto giusta mostra di modestia e finto un'inesperienza che certamente non sentiva. Aveva diretto la casa per più di dieci anni; aveva ricevuto gente, quasi con distinzione; aveva allevato una sorella deliziosa e stava tirando su un fratello. Di sicuro, se l'esperienza è acquisibile, lei l'aveva acquisita.
Tuttavia il piccolo pranzo che offrì in onore della signora Wilcox non fu un successo. La nuova amica non legò con quel «paio di deliziose persone» che erano state invitate per conoscerla e l'atmosfera fu di educato smarrimento. I suoi gusti erano semplici, le sue nozioni culturali scarse, non s'interessava del Nuovo Circolo Inglese d'Arte, né della linea che separa Giornalismo e Letteratura, argomento che venne lanciato nella conversazione come una lepre. Le deliziose persone scattarono dietro di essa con grida di gioia, Margaret in testa, e solo a metà del pasto si resero conto che l'invitata più importante non aveva preso parte all'inseguimento. Non c'erano argomenti d'interesse comune. La signora Wilcox, la cui vita era stata spesa al servizio del marito e dei figli, non aveva niente da dire a estranei che non ne avevano mai fatto parte e che avevano la metà dei suoi anni. I discorsi intelligenti l'allarmavano e inaridivano la sua delicata immaginativa; erano l'equivalente sociale di un'automobile, tutta scatti, mentre lei era una manciata di fieno, un fiore. Due volte si lagnò del tempo, due volte criticò il servizio dei treni sulla Great Northern Railway. Gli altri assentirono energicamente, per passare subito ad altro, e quando ella chiese se vi fossero notizie di Helen, la padrona di casa era troppo occupata a «situare» Rothenstein per rispondere. La domanda fu ripetuta: «Spero che sua sorella sia ormai sana e salva in Germania». Margaret si controllò e disse: «Sì, grazie; ho avuto sue notizie martedì». Ma il demone della parlantina era in lei e un attimo dopo aveva di nuovo preso l'aire.
«Soltanto martedì, perché vivono niente di meno che a Stettino. Ha mai conosciuto nessuno che vive a Stettino?» «Mai» disse gravemente la signora Wilcox, mentre il suo vicino di tavola, un giovane impiegato nei ranghi più bassi del Ministero dell'Educazione, cominciava a parlare su come dovrebbero essere le persone che vivono a Stettino. Esisteva una cosa come la Stettinità?
Margaret intervenne con la solita irruenza.
«La gente, a Stettino, cala i carichi nelle imbarcazioni da magazzini pensili. Almeno, lo fanno i nostri cugini, ma non sono particolarmente ricchi. La città non è interessante, a parte un orologio che gira gli occhi e la veduta dell'Oder, che è davvero qualcosa di speciale. Ah, signora Wilcox, a lei piacerebbe l'Oder! Il fiume, o meglio i fiumi... sembrano esservene dozzine... sono di un azzurro intenso, e la pianura che attraversano è di un verde intensissimo.» «Davvero! Dev'essere una veduta bellissima, signorina Schlegel.» «Così dico io, ma Helen, che mescola sempre le cose, sostiene che è come una musica. Il corso dell'Oder deve essere come una musica. Ha l'obbligo di ricordarle un poema sinfonico. La parte vicino al pontile è in si minore, se ricordo bene, ma più in giù le cose diventano estremamente confuse. C'è un tema paludoso, in parecchie chiavi allo stesso tempo, che significa rive melmose, un altro per il canale navigabile, e la foce nel Baltico è in do diesis maggiore, pianissimo.» «Cosa ne pensano i magazzini pensili?» chiese l'uomo, ridendo.
«Un mucchio di bene» rispose Margaret, lanciandosi inaspettatamente su una nuova pista. «Io credo che sia un'affettazione paragonare l'Oder alla musica, e anche voi, ma i magazzini pensili di Stettino prendono sul serio la bellezza, cosa che noi non facciamo e che non fa l'inglese medio, il quale anzi disprezza tutti quelli che lo fanno. Ora non dite «i tedeschi non hanno gusto», o mi metto a urlare. Non ce l'hanno. Ma... ma... e questo è un «ma» importantissimo!... loro prendono sul serio la poesia. Prendono davvero sul serio la poesia.» «Serve a qualcosa?» «Sì, sì. Il tedesco sta sempre all'erta per la bellezza. Può non scoprirla per stupidità, oppure male interpretarla, ma chiede continuamente alla bellezza di entrare nella sua vita e io credo che alla fine questo avvenga. A Heidelberg conobbi un grasso veterinario la cui voce si rompeva in singhiozzi quando recitava qualche sdolcinata poesia. E' così facile per me riderne... per me che non recito mai poesie, né buone né cattive, e non riesco a ricordare un solo frammento di verso che mi commuova. Il mio sangue bolle... be', io sono mezzo tedesca, attribuitelo quindi al patriottismo... quando sento il compiaciuto disprezzo dell'isolano medio per le cose teutoniche, sia che si tratti di Böcklin o del mio veterinario. «Oh, Böcklin» dicono «si affanna dietro alla bellezza e popola troppo coscientemente di dei la Natura.» Naturale che Böcklin si affanna, perché vuole qualcosa: la bellezza e tutti gli altri doni intangibili che fluttuano per il mondo. Perciò a lui i paesaggi non riescono, e a Leader sì.» «Non sono certo di essere d'accordo. E lei?» disse il giovanotto, rivolgendosi alla signora Wilcox .
Questa rispose. «Io penso che la signorina Schlegel espone ogni cosa magnificamente» e un senso di gelo cadde sulla conversazione.
«Non intendevo snobbarla. Quello che ha appena detto mi ha interessato moltissimo. In genere la Germania non sembra piacere alla gente. Desideravo da tempo sentire l'altra campana.» «L'altra campana? Allora lei non è d'accordo. Oh, bene! Ci dica la sua opinione.» «Io non ho opinione. Ma mio marito» la sua voce si addolcì, il senso di gelo aumentò, «ha pochissima fiducia nel Continente e tutti i nostri figli hanno preso da lui.» «Per quali motivi? Hanno la sensazione che le cose sul Continente stiano andando male?» La signora Wilcox non aveva idea; badava poco ai motivi. Non era intellettuale, neppure attenta, ed era strano che, ciononostante, riuscisse a dare un'idea di grandezza. Margaret, zigzagando con i suoi amici sul Pensiero e l'Arte, era conscia di una personalità che trascendeva le loro e faceva apparire piccine le loro attività. Non c'era asprezza nella signora Wilcox; non c'era nemmeno critica; era amabile e non una parola scortese o dura era uscita dalle sue labbra.
Cionondimeno ella e la vita quotidiana non erano a fuoco: l'una o l'altra doveva apparire indistinta. E a quella colazione ella sembrava più sfocata del solito, più vicina alla linea che separa la vita quotidiana da un'altra che può essere d'importanza maggiore.
«Ammetterà, però, che il Continente... sembra sciocco parlare di «continente», ma in realtà esso è tutto più simile a se stesso di quanto una qualsiasi sua parte lo sia all'Inghilterra. L'Inghilterra è unica. Ma prenda ancora un po' di gelatina, prima. Stavo dicendo che il Continente, bene o male, s'interessa alle idee. La sua letteratura e la sua arte hanno quella che si potrebbe chiamare la mania dell'invisibile, e la conservano persino nella decadenza e nell'affettazione. In Inghilterra c'è più libertà d'azione, ma per la libertà di pensiero vada nella burocratica Prussia. Laggiù la gente discute con umiltà questioni vitali che noi qui ci riteniamo troppo in gamba per toccarle con le molle.» «Io non voglio andare in Prussia» disse la signora Wilcox, «nemmeno per ammirare l'interessante veduta che lei stava descrivendo. E, quanto a discutere con umiltà, sono troppo vecchia. A Casa Howard non discutiamo mai di nulla.» «Allora dovreste farlo!» disse Margaret. «La discussione mantiene viva la casa. Non può reggersi soltanto su mattoni e calcina.» «Non può reggersi senza di essi» disse la signora Wilcox, comprendendo inaspettatamente il pensiero e suscitando, per la prima e l'ultima volta, una debole speranza nei petti delle deliziose persone. «Non può reggersi senza di essi e talora io penso... ma non posso aspettarmi che la vostra generazione sia d'accordo, poiché persino mia figlia in questo dissente da me.» «Non si preoccupi di noi o di lei. Dica!» «Talora penso che sia più saggio lasciare l'azione e la discussione agli uomini.» Ci fu un breve silenzio.
«Nessuno nega che gli argomenti contro il suffragio siano in effetti straordinariamente forti» disse una ragazza che le sedeva di fronte, chinandosi in avanti e sbriciolando il suo pane.
«Lo sono? Io non m'intendo di argomenti. Non sono che troppo grata di non avere il voto.» «Noi però non intendevamo il voto, vero?» intervenne Margaret. «Non dissentiamo forse su qualcosa di molto più vasto, signora Wilcox? Se le donne debbano rimanere quello che sono state dagli albori della storia; o se, siccome gli uomini si sono spinti tanto avanti, anch'esse possano progredire un poco ora. Io dico di sì. Ammetterei persino un mutamento biologico.» «Non so, non so.» «Devo tornare al mio magazzino pensile» disse l'uomo. «Sono diventati terribilmente severi.» Anche la signora Wilcox si alzò.
«Oh, venga un poco di sopra. La signorina Quested suona. Le piace Mcdowell? Non le importa che abbia soltanto due suoni? Se deve proprio andare, l'accompagno alla porta. Non vuole nemmeno prendere il caffè?» Uscirono dalla sala da pranzo, chiudendosi la porta alle spalle e, mentre si abbottonava la giacca, la signora Wilcox disse: «Che vita interessante conducete voi tutti a Londra!».
«No, non è così» disse Margaret, mutando di colpo stato d'animo.
«Conduciamo una vita da scimmie parlanti. Signora Wilcox... mi creda... nel fondo abbiamo qualcosa di tranquillo e stabile. Davvero lo abbiamo. Tutti i miei amici lo hanno. Non finga d'essersi divertita a colazione, perché l'ha trovata detestabile, ma mi perdoni venendo un'altra volta da sola, o invitandomi a casa sua.» «Sono abituata ai giovani» disse la signora Wilcox, e a ogni parola che pronunciava i contorni delle cose note diventavano indistinti.
«Sento un mucchio di chiacchiere a casa, perché, come voi, riceviamo molto. Da noi si parla più di sport e di politica, ma... mi sono divertita molto, signorina Schlegel, cara, glielo dico sinceramente, vorrei soltanto aver potuto unirmi di più alla conversazione. In primo luogo, oggi non mi sento particolarmente bene. Inoltre, voi giovani vi muovete così rapidamente che ne resto stordita. Charles è lo stesso, Dolly lo stesso. Ma siamo tutti sulla stessa barca, vecchi e giovani. Non lo dimentico mai.» Tacquero per un momento. Poi, con una rinata emozione, si strinsero la mano. La conversazione cessò di colpo quando Margaret rientrò in sala da pranzo; le deliziose persone stavano parlando della sua nuova amica e l'avevano liquidata come non interessante.
10
Passarono parecchi giorni.
La signora Wilcox era una di quelle persone deludenti - ve ne sono molte - che fanno balenare l'intimità e poi la ritirano? Suscitano interesse e affetto, tenendo sospesa intorno a loro la vita del nostro spirito. Poi si ritirano. Quando c'entra la passione fisica, c'è un nome preciso per questo comportamento - civettare - e se portato abbastanza oltre è punibile per legge. Ma nessuna legge nemmeno l'opinione pubblica - punisce coloro che civettano con l'amicizia, benché il dolore sordo che infliggono, il senso di sforzo mal diretto e di esaurimento, possa essere intollerabile. La signora Wilcox era una di queste persone?
Margaret lo temette da principio, perché, con l'impazienza di una londinese, voleva che ogni cosa fosse definita immediatamente.
Diffidava dei periodi di quiete, essenziali alla vera crescita.
Desiderando registrare la signora Wilcox come un'amica, affrettò la cerimonia, per così dire, matita alla mano, insistendo tanto di più in quanto il resto della famiglia non c'era e l'occasione sembrava favorevole. Ma la donna anziana non si lasciava mettere fretta.
Rifiutò d'inserirsi nell'ambiente di Wickham Place e di riprendere la discussione su Helen e Paul, che Margaret avrebbe utilizzato come scorciatoia. Prese tempo, o forse si lasciò prendere dal tempo, e quando la crisi arrivò tutto era pronto.
La crisi si aprì con un biglietto: voleva la signorina Schlegel accompagnarla a fare spese? Natale si avvicinava e la signora Wilcox pensava d'essere indietro con i regali. Aveva passato qualche altro giorno a letto e doveva recuperare il tempo perduto. Margaret accettò e un malinconico mattino, alle undici, si avviarono in carrozza.
«Prima di tutto» cominciò Margaret, «dobbiamo redigere una lista e spuntare via via i nomi delle persone. Mia zia lo fa sempre e questa nebbia può infittire in qualsiasi momento. Ha qualche idea?» «Pensavo che saremmo andate da Harrod's o agli Haymarket Stores» disse la signora Wilcox in tono abbastanza sfiduciato. «Là si è sicure di trovare tutto. Io non sono brava a far compere. Il chiasso confonde tanto, e sua zia ha perfettamente ragione: bisognerebbe fare una lista. Prenda il taccuino, allora, e scriva il suo nome in cima alla pagina.» «Oh, evviva!» disse Margaret, scrivendolo. «Com'è gentile da parte sua incominciare da me!» Ma non voleva che le regalasse nulla di costoso. La loro conoscenza era più singolare che intima ed ella presagiva che il clan dei Wilcox avrebbe reagito male a qualsiasi spesa fatta per estranei; le famiglie più unite sono così. Non voleva essere considerata una seconda Helen, che carpiva regali non potendo accalappiare giovanotti, o esporsi, come una seconda zia Juley, agli insulti di Charles. Una certa austerità di condotta era la cosa migliore, perciò aggiunse: «Ma, veramente, non voglio una strenna. In realtà, preferirei di no».