lunedì 9 marzo 2020

NEOLIBERISMO

https://www.ilpost.it/2017/11/19/dibattito-neoliberismo/

Neoliberismo secondo la definizione del Fondo Monetario è una teoria economica che poggia su due assiomi fondamentali. Il primo la competizione è sempre una cosa positiva e deve essere favorita tramite deregolamentazioni e apertura al commercio internazionale. Il secondo: lo stato deve avere nell’economia il ruolo più ridotto possibile: quindi bisogna privatizzare, tagliare la spesa, ridurre il debito pubblico e il deficit. 
Il suffisso “neo”, in questo caso, significa che i suoi aderenti hanno riscoperto l’importanza del liberismo classico, che agli albori della scienza economica sosteneva la capacità del mercato di auto-regolarsi e la necessità per lo stato di non intromettersi troppo in questo processo.
Negli ultimi decenni i due assiomi fondamentali del liberismo, apertura alla concorrenza e ritiro dello stato dall’economia, hanno conosciuto una grandissima diffusione. Forse non è proprio “tutta colpa del neoliberismo”, ma quello che è accaduto a partire dagli anni Ottanta fino alla Grande crisi porta incisi i suoi segni, nel bene e nel male.
Le teorie neoliberiste si affermano negli anni settanta quando dopo trent'anni di politiche di aumento di spese statali per sostenere l'occupazione e fornire servizi pubblici l'economia entra in recessione in presenza di inflazione e disoccupazione. Al posto della centralità dello stato, la nuova dottrina sosteneva la necessità della sua riduzione, del suo ritiro entro confini più ristretti possibile, in modo da lasciare libere di esprimersi le forze dell’inconoscibile mercato di Hayek. Era propria da Tatcher e Reagan. Quest'ultimo  la espresse perfettamente durante il discorso inaugurale della sua presidenza, nel gennaio del 1981: «Il governo non è la soluzione. Il governo è il problema».

La fine del consenso keynesiano e l’inizio del consenso neoliberale sembrò all’epoca una scelta obbligata. Lo stato sociale non era più sostenibile ai livelli degli anni Sessanta e Settanta. Sembrava che i governi facessero solo danni quando intervenivano in economia e l’apertura al commercio internazionale appariva davvero qualcosa da accettare in maniera acritica. A molti sembrò che l’era della differenza tra destra e sinistra fosse definitivamente tramontata, così come in maniera speculare l’era della destra sembrava definitivamente conclusa quando al termine della Seconda guerra mondiale si era affermato il “consenso keynesiano”. 

Dobbiamo però riconoscere  che è scarsamente dimostrato che si produca benessere riducendo le regole, tagliando la spesa pubblica e aprendosi al commercio internazionale. Il problema non è il neoliberismo in quanto tale, ma la sua versione dogmatica e intransigente che più che dalle penne degli economisti emerge dai discorsi dei politici o dai libri degli intellettuali che presentano un mondo chiaramente diviso tra bianco e nero. E questo fa sì che anche le critiche al neoliberismo assumano gli stessi toni intransigenti. Non c’è niente di male nella concorrenza, nel mercato o nel commercio internazionale – se questi strumenti vengono utilizzati nelle giuste condizioni e nei modi corretti. Dove il neoliberismo sbaglia , «è nel credere che esista un’unica e universale ricetta per migliorare la performance economica»(Rodnik). Bisogna stare attenti a non buttare via le buone idee dell’agenda neoliberista insieme alla sua versione più radicale. Allo stesso tempo non bisogna credere che abbiamo davanti una sola strada da percorrere. Anche se il neoliberismo fosse la via migliore verso la crescita economica, esistono anche altri valori che una società dovrebbe cercare di perseguire: l’inclusione e la giustizia sociale, la stabilità, la democraticità. A volte questi valori possono essere in contrasto con il perseguimento della crescita economica e questo pone una scelta che, conclude Rodrik, «non può essere fatta sulla base di tecnocratiche ricette economiche: la politica deve giocare un ruolo centrale». E il campo dove gioca questo ruolo è quello dove vige ancora l’antica divisione tra sinistra e destra. È già accaduto in passato che decidessimo che fosse possibile giocare soltanto in una di queste metà campo. Il dibattito di questi anni ci insegna che le cose non stanno davvero così. 
Poi c'è la follia della critica al neoliberalismo. Non c'è disastro, dall'incendio della Grenfell Tower a Londra al crollo del ponte Morandi a Genova, che non sia colpa del neoliberismo. Che, nell'accezione contemporanea, non significa un accidenti di niente e significa qualsiasi accidente, come scriveva Simone Weil delle lobby(oggi si direbbe poteri forti): in campagna elettorale (roba di ottant'anni fa) quando uno non sa che dire ma vuole fare colpo, dice che è tutta colpa delle lobby; nessuno sa chi siano, che faccia abbiano, esattamente quali magheggi esplodano dal loro cilindro, quali veleni iniettino nelle vene della società, insomma non si capisce che accidenti siano queste lobby ma si capisce che sono le madri di ogni accidente.
Oggi, oltre alle immortali lobby, siamo al neoliberismo,