giovedì 12 marzo 2020


LE NOTTI BIANCHE
Fëdor Dostoevskij

[...] Proprio così, io sono timido con le donne e sono agitato, non lo nego, non meno di quanto lo foste voi un momento fa quando quel signore vi ha spaventata... Ora provo una sorta di paura. Mi sembra un sogno, mentre io neppure in sogno mi sono mai immaginato che un giorno avrei parlato con una donna».
«Come? Pos-si-bi-le?».
«Sì, se il mio braccio trema è perché mai finora è stato stretto da un braccio così grazioso e sottile come il vostro. Sono completamente disabituato alle donne, anzi non sono mai stato abituato ad esse; vivo solo, infatti... Non so neppure come si faccia a parlare con esse. Ecco, anche adesso non so se per caso non ho detto qualche sciocchezza. Ditemelo francamente; ve lo premetto: non sono permaloso...».
«No, per nulla, per nulla; al contrario. E se volete che sia sincera, vi dirò che alle donne piace questa timidezza; se poi volete sapere ancora di più, vi dirò che essa piace anche a me e che non vi caccerò finché non saremo giunti fino a casa mia».[...]

NOTTE PRIMA

Era una notte meravigliosa. Una di quelle notti come forse possono essercene soltanto quando si è giovani, egregio lettore. Il cielo era così stellato e così luminoso che, guardandolo, involontariamente veniva fatto di chiedersi: possibile che sotto un cielo come questo possano vivere persone adirate e lunatiche di vario genere? Anche questa è una domanda giovanile, caro lettore, molto giovanile, ma volesse Dio che essa sorgesse più spesso nella vostra anima!... Accennando alle persone lunatiche e adirate di vario genere non potei fare a meno di pensare anche alla nobile condotta da me tenuta durante tutta quella giornata. Fin dal mattino aveva preso a torturarmi una straordinaria angoscia. Improvvisamente mi era parso di esser solo, abbandonato da tutti e che tutti mi sfuggissero. Ognuno, naturalmente, è in diritto di chiedermi: ma chi sono questi tutti? Perché sono ormai otto anni che vivo a Pietroburgo e non ho saputo allacciare si può dire neppure una sola conoscenza. Ma a che mi servirebbero le conoscenze? Anche così conosco l'intera Pietroburgo: ecco perché mi era parso che tutti mi abbandonassero quando l'intera Pietroburgo improvvisamente aveva cominciato a fare i bagagli e a partire per la dacia. Cominciai a temere di rimanere solo e per tre interi giorni vagai per la città immerso in una profonda malinconia, senza decisamente comprendere che cosa mi stesse accadendo. Sia che mi recassi sul Nevskj Prospékt, oppure al giardino, sia che passeggiassi sul lungofiume non incontravo neppure una sola persona di quelle che per un anno intero ero stato solito incontrare in quegli stessi posti a una determinata ora. Esse, naturalmente, non mi conoscono, ma io le conosco. Io le conosco intimamente; si può dire che abbia studiato a fondo le loro fisionomie e mi rallegro quando sono allegre e mi rattristo quando sono crucciate. Ho quasi fatto amicizia con un vecchietto che incontro ogni santo giorno a una certa ora sulla Fontanka. La sua fisionomia è così imponente e pensierosa e borbotta continuamente qualcosa fra i denti gesticolando con la mano sinistra, mentre nella destra tiene una lunga canna nodosa con il pomo d'oro. Anch'egli mi ha notato e nutre un sincero interesse per me. Se dovesse succedere che io non mi trovassi a quella data ora allo stesso posto sulla Fontanka, sono sicuro che sarebbe preso dalla malinconia. Ecco perché, talvolta, siamo quasi sul punto di salutarci, specialmente quando entrambi siamo di buon umore. Or non è molto, quando è accaduto che non ci vedessimo per due interi giorni, incontrandoci il terzo giorno stavamo per portare la mano al cappello, ma per fortuna ci siamo ripresi a tempo, abbiamo abbassato la mano e siamo passati l'uno accanto all'altro con un moto di reciproca simpatia. Anche le case sono mie conoscenti. Mentre cammino sembra che ognuna mi corra incontro per la strada, e guardandomi con tutte le sue finestre, quasi mi dica: «Buon giorno; come va la vostra salute? Anch'io, grazie a Dio, sto bene, e nel mese di maggio mi sopralzeranno di un piano». Oppure: «Come va la vostra salute? Quanto a me domani inizieranno i lavori di restauro». Oppure: «È mancato poco che bruciassi: ho preso uno spavento!», e così via. Tra di esse ho le mie predilette, le mie amiche intime. Una di esse ha intenzione di farsi curare da un architetto quest'estate. Di proposito andrò a trovarla ogni giorno per badare che, Dio non voglia, la curino male!... Ma non dimenticherò ciò che accadde a una casetta assai carina color rosa chiaro. Era una casetta in muratura così graziosa che mi guardava così cordialmente, mentre squadrava tanto orgogliosamente le sue goffe vicine, che il mio cuore si rallegrava ogni volta che mi capitava di passarle davanti. Improvvisamente la settimana scorsa passai per quella strada e non appena alzai lo sguardo sulla mia amica udii un grido straziante: «Mi stanno dipingendo di giallo!». Scellerati! Barbari! Non hanno risparmiato nulla: né le colonne, né i cornicioni, e la mia amica è diventata gialla come un canarino. Poco ci mancò che in quell'occasione mi venisse un travaso di bile e fino ad oggi non ho ancora avuto il coraggio di andare a rivedere la mia poveretta dipinta del colore del Celeste Impero.
E così, lettore, voi capite, in che maniera io conosco tutta Pietroburgo.
Vi ho già detto come fui torturato dall'inquietudine per tre giorni interi, finché non ne indovinai il motivo. Stavo male per la strada (quello non c'è, quest'altro non c'è, dove è andato a finire quel tale?) e anche in casa mi sentivo a disagio. Per due sere mi sforzai di scoprire che cosa mi mancasse nel mio angolo e perché mi trovassi talmente a disagio se ci restavo, e osservavo con perplessità le mie pareti verdi e affumicate, il soffitto coperto di ragnatele, allevate con grande successo da Matrëna, passavo in rassegna tutto il mio mobilio ed esaminavo ogni sedia chiedendomi se per caso non stesse lì il guaio (infatti, se nella mia stanza anche una sola sedia non si trova là, dove stava il giorno prima, io non mi sento più io), guardavo la finestra, ma tutto invano... non ne provavo alcun sollievo! Mi saltò pure in testa di chiamare Matrëna e di farle una ramanzina per le ragnatele e, in generale, per la sua sciatteria; ma lei si limitò a guardarmi con stupore e poi se ne andò senza rispondermi nemmeno una parola, così che le ragnatele sono tutt'ora felicemente appese al loro posto. Finalmente soltanto stamane ho capito di che si tratta. Eh, essi mi piantano per andarsene in dacia! Perdonate la parolina triviale, avevo altro da pensare che allo stile elevato!... perché tutto ciò che c'era a Pietroburgo o si era già trasferito, o si accingeva a trasferirsi alla dacia; perché ogni rispettabile signore dall'aspetto posato, che noleggiava una carrozza, ai miei occhi diventava immediatamente un rispettabile padre di famiglia che, dopo aver atteso alle sue incombenze quotidiane, partiva senza bagagli per recarsi in seno alla sua famiglia, alla dacia; perché ogni passante aveva ora un'aria del tutto particolare, con la quale sembrava dicesse a ogni persona che incontrava: «Noi, signori, siamo qui solo di passaggio, ma tra un paio d'ore partiremo per la dacia». Se si apriva una finestra sui vetri della quale prima avevano tambureggiato delle piccole dita sottili e bianche come lo zucchero, e si sporgeva la testolina di una graziosa fanciulla che aveva chiamato il fioraio carico di vasi di fiori, subito mi figuravo che quei fiori venissero acquistati solo a quello scopo, ossia assolutamente non per gioire di essi e della primavera nel soffocante appartamento cittadino, ma per portarli con sé alla dacia quando tra poco tutti vi si sarebbero trasferiti. Ma non basta: avevo già fatto tali progressi nel mio nuovo, particolare genere di scoperte 62
che ero ormai in grado di stabilire infallibilmente, dal solo aspetto, in quale località di villeggiatura ciascuno vivesse. Gli abitanti delle isole Kàmennyj e Aptèkarskij oppure della strada di Petergòf si distinguevano per la studiata raffinatezza delle maniere, per gli eleganti abiti estivi e per gli stupendi equipaggi sui quali venivano in città. Gli abitanti di Pàgolovo e delle località più distanti a prima vista incutevano rispetto per il proprio aspetto assennato e posato; il frequentatore dell'isola Krestòvskij si distingueva per il suo aspetto imperturbabilmente allegro. Se mi capitava di incontrare una lunga processione di carrettieri che avanzavano pigramente con le redini in mano accanto ai loro carri carichi di montagne di mobili di ogni sorta, di tavoli, di sedie, di divani alla turca e non alla turca e di altre carabattole domestiche, in cima alle quali, sopra tutto questo, sovente era installata una cuoca mingherlina, che custodiva la roba dei padroni come la pupilla dei propri occhi; se guardavo le barche pesantemente cariche di suppellettili domestiche che scivolavano per la Nevà o la Fontanka in direzione di Èërnaja Reèka o delle isole, i carri e le barche si decuplicavano e si centuplicavano ai miei occhi; mi sembrava che tutto si fosse messo in moto e fosse partito, che tutto stesse trasferendosi a carovane alla dacia; mi sembrava che tutta Pietroburgo minacciasse di trasformarsi in un deserto, così che infine cominciai a provare un sentimento di vergogna, di offesa e di tristezza; decisamente non avevo né dove andare in villeggiatura, né motivo per andarvi. Sarei stato pronto a partire con qualunque carro, ad andarmene via assieme a qualunque cittadino dall'aspetto rispettabile che avesse noleggiato una carrozza; ma nessuno, decisamente nessuno, mi invitava; come se si fosserodimenticati di me, come se per loro io fossi stato veramente un estraneo!
Camminai molto e a lungo, così che, secondo la mia abitudine, ero ormai riuscito a dimenticarmi completamente dove fossi, quando, a un tratto, mi trovai nei pressi della barriera del dazio. Di colpo mi sentii allegro, mi avviai oltre la sbarra e mi misi a camminare in mezzo ai campi seminati e ai prati senza avvertire la stanchezza, ma sentendo al contrario con tutto il mio essere non so che fardello cadere dalla mia anima. Tutte le persone che passavano in carrozza mi guardavano così affabilmente che davvero sembrava che fossero lì-lì per salutarmi; tutti erano così lieti per qualche cosa e tutti, senza esclusione, fumavano il sigaro. E anch'io ero felice come non mi era mai accaduto prima. Era come se a un tratto mi fossi ritrovato in Italia, tanto forte era l'effetto che produceva la natura su di me, cittadino mezzo ammalato, quasi soffocato tra le mura della città.
V'è qualcosa di inesprimibilmente toccante nella nostra natura pietroburghese, quand'essa, con l'avvento della primavera, d'un tratto mostra tutta la sua possanza, tutte le forze donatele dal cielo e si riveste sfarzosamente di foglie, si fa variopinta di fiori... In un certo qual modo essa mi fa involontariamente pensare a una fanciulla gracile e malaticcia che talvolta guardate con compassione, talvolta con una sorta di pietoso amore e di cui talvolta non vi accorgete affatto, ma che all'improvviso, per un attimo, non si sa come, diventa indicibilmente, miracolosamente bella e voi, colpiti, estasiati, involontariamente vi chiedete: quale forza ha fatto brillare di un simile fuoco questi occhi tristi e pensosi? Che cosa ha fatto affluire il sangue in queste guance pallide e scavate?
Che cosa ha inondato di passione i teneri tratti di questo viso? Per che cosa palpita così questo petto? Che cosa improvvisamente ha richiamato la forza, la vita e la bellezza nel volto di questa povera fanciulla, facendolo brillare di un simile sorriso, animandolo di un riso così luminoso e scintillante? Vi guardate attorno cercando qualcuno, vi sforzate di indovinare... Ma l'attimo passa e, forse, l'indomani stesso voi incontrerete di nuovo lo stesso sguardo pensoso e distratto di prima, lo stesso volto pallido, la stessa rassegnata timidezza nei movimenti e persino un pentimento, persino le tracce di un'angoscia e di un dispetto che agghiacciano l'anima per quella momentanea infatuazione... E vi dispiace che quella momentanea bellezza sia appassita così in fretta e irreparabilmente, che essa abbia brillato dinanzi a voi così ingannevolmente e così invano, vi dispiace di non aver avuto il tempo nemmeno di innamorarvi di essa...
E tuttavia la mia notte fu migliore del giorno! Ecco come andò.
Tornai in città assai tardi ed erano già le dieci suonate quando arrivai nei pressi della mia abitazione. Camminavo sulla riva del canale sulla quale a quell'ora non si incontra anima viva. Vero è che io abito nella zona più lontana della città. Camminavo e cantavo. Infatti, quando sono felice, 63
immancabilmente canticchio qualcosa sottovoce, come fa qualunque persona felice che non abbia né amici, né intimi conoscenti e che nei momenti lieti non abbia nessuno con cui dividere la propria gioia. A un tratto mi accadde l'avventura più inattesa.
In disparte, appoggiata al parapetto del canale, era ritta una donna; con i gomiti appoggiati sulla ringhiera ella fissava molto attentamente l'acqua del canale. Portava un cappellino giallo assai grazioso e una civettuola mantellina nera. «È una fanciulla», pensai, «e sicuramente bruna». Ella, a quanto sembra, non udì i miei passi e non fece alcun movimento quando, trattenendo il respiro e col cuore che mi batteva forte, le passai accanto. «Strano!», pensai, «probabilmente è profondamente assorta in qualche pensiero», e all'improvviso mi arrestai come inchiodato al terreno. Avevo udito un singhiozzo sordo. Sì! Non mi ero ingannato: la fanciulla piangeva, un istante dopo ecco un altro singhiozzo e un altro ancora. Mio Dio! Mi si strinse il cuore. E per quanto io sia timido con le donne, tuttavia quello era un momento tale... Mi voltai, feci un passo verso di lei e avrei immancabilmente esclamato: «Signora!», se soltanto non avessi saputo che questa esclamazione era stata già pronunciata mille volte in tutti i romanzi russi sul gran mondo. Soltanto questo mi trattenne. Ma, mentre stavo cercando un'altra parola, la fanciulla si riscosse, si guardò intorno, si ricompose, abbassò gli occhi e mi scivolò accanto proseguendo lungo la riva. Subito la seguii, ma ella indovinò la mia intenzione, abbandonò la sponda del canale, attraversò la strada e salì sul marciapiede. Io non osai attraversare la strada. Il mio cuore palpitava come quello di un uccellino catturato. A un tratto un caso fortuito mi trasse d'impaccio.
Sul marciapiede dirimpetto, non lontano dalla mia fanciulla, comparve improvvisamente un signore in frac, di età rispettabile, mentre non si può dire che altrettanto rispettabile fosse la sua andatura. Egli camminava barcollando e appoggiandosi cautamente al muro. La fanciulla, al contrario, procedeva diritta come una freccia, frettolosa e timida, come camminano di solito tutte le fanciulle che non desiderano che qualcuno si offra di accompagnarle a casa di notte e, naturalmente, il signore barcollante non l'avrebbe mai raggiunta se il mio destino non gli avesse ispirato di ricorrere a metodi straordinari. All'improvviso, senza dire una parola, il mio signore scatta e si mette a correre a gambe levate all'inseguimento della mia sconosciuta. Lei andava come il vento, ma il signore ondeggiante si avvicinava sempre più, la raggiunse, la fanciulla lanciò un grido e... e io benedico il destino per l'eccellente nodoso bastone che in quell'occasione si trovò a essere nella mia mano destra. In un attimo fui dall'altra parte della strada, in un attimo l'importuno signore comprese di che cosa si trattava, prese in considerazione il mio incontrovertibile argomento, tacque, rimase indietro e solo quando eravamo ormai molto lontani protestò contro di me in termini assai energici. Ma le sue parole ci giunsero a malapena.
«Datemi il braccio», dissi alla mia sconosciuta, «e non si azzarderà più a darci fastidio». In silenzio ella mi diede il suo braccio ancora tremante per l'agitazione e lo spavento. O importuno signore! Come ti ho bendetto in quell'istante! La guardai di sfuggita: era assai graziosa e bruna: avevo indovinato; sulle sue ciglia nere ancora scintillavano piccole lacrime del suo recente spavento oppure della sua passata pena, non lo so. Ma sulle sue labbra già brillava un sorriso. Anche lei mi lanciò uno sguardo furtivo, arrossì leggermente ed abbassò gli occhi.
«Ecco, vedete, perché mi avete respinto dianzi? Se ci fossi stato io non sarebbe successo nulla...».
«Ma io non vi conoscevo: pensavo che anche voi...».
«Ma ora forse mi conoscete?».
«Un pochino. Ecco, ad esempio, perché tremate?».
«Oh, voi avete indovinato fin dal primo sguardo!», risposi estasiato per il fatto che la mia fanciulla era intelligente: questo non nuoce mai alla bellezza. «Sì, avete indovinato fin dal primo sguardo con chi avete a che fare. Proprio così, io sono timido con le donne e sono agitato, non lo nego, non meno di quanto lo foste voi un momento fa quando quel signore vi ha spaventata... Ora provo una sorta di paura. Mi sembra un sogno, mentre io neppure in sogno mi sono mai immaginato che un giorno avrei parlato con una donna».
«Come? Pos-si-bi-le?».
«Sì, se il mio braccio trema è perché mai finora è stato stretto da un braccio così grazioso e sottile come il vostro. Sono completamente disabituato alle donne, anzi non sono mai stato abituato ad esse; vivo solo, infatti... Non so neppure come si faccia a parlare con esse. Ecco, anche adesso non so se per caso non ho detto qualche sciocchezza. Ditemelo francamente; ve lo premetto: non sono permaloso...».
«No, per nulla, per nulla; al contrario. E se volete che sia sincera, vi dirò che alle donne piace questa timidezza; se poi volete sapere ancora di più, vi dirò che essa piace anche a me e che non vi caccerò finché non saremo giunti fino a casa mia».
«Voi farete sì che cesserò subito di esser timido», cominciai a dire mentre l'estasi mi soffocava, «e allora, addio tutte le mie risorse!...».
«Risorse? Quali risorse, a che scopo? Ecco, questo è di cattivo gusto».
«Perdonatemi, non lo farò più, mi è sfuggito; ma come volete che in un momento come questo non vi sia in me il desiderio...».
«Di piacermi, forse?».
«Ebbene, sì; ma siate, per l'amor di Dio, siate buona. Giudicate un po' chi sono io! Ecco che ho già ventisei anni e non mi sono mai incontrato con nessuno. Come posso mai parlar bene, con disinvoltura e a proposito? Sarà più conveniente anche per voi se tutto si svolgerà con franchezza e apertamente... Io non sono capace di tacere quando in me parla il cuore. Ma fa lo stesso... Ci crederete? Mai con una sola donna, mai, mai! Neppure una conoscenza! E ogni giorno non faccio che sognare che finalmente un giorno incontrerò qualcuno. Ah, se sapeste quante volte sono stato innamorato in questo modo!...».
«Ma come, dunque? Di chi?...».
«Di nessuno, di un ideale, di colei che ci appare in sogno. Nei miei sogni costruisco intere storie d'amore. Oh, voi non mi conoscete! Certo, non se ne può fare a meno, ho incontrato due o tre donne, ma che razza di donne erano mai quelle? Erano tutte certe massaie, che... Ma vi farò ridere se vi racconterò che diverse volte ho pensato di mettermi a parlare così, semplicemente, con qualche aristocratica per la strada, di mettermi a parlare, si capisce timidamente, rispettosamente, appassionatamente: di dirle che muoio di solitudine, che non mi scacciasse, che non ho modo di far conoscenza con alcuna donna; di farle capire che rientra persino tra i doveri di una donna di non respingere la timida preghiera di una persona infelice quale sono io. Che, infine, tutto quello che chiedo è soltanto che mi dica due parole qualsiasi, fraterne, affettuose, che non mi scacci subito, che mi creda sulla parola, che ascolti quel che ho da dire, che rida di me, se le fa piacere, che mi rincuori, che mi dica due parole, soltanto due parole, e poi possiamo anche non incontrarci mai più!... Ma voi ridete... D'altronde è proprio per questo che parlo...».
«Non ve ne abbiate a male; rido perché siete il nemico di voi stesso e se aveste tentato, forse ci sareste riuscito, anche se la cosa si fosse svolta per la strada; con quanto maggiore semplicità, tanto meglio... Non c'è una sola donna buona, purché non fosse stupida o non fosse in quel momento particolarmente irritata per qualche ragione, che avrebbe pensato di scacciarvi senza dirvi quelle due parole da voi implorate con tanta timidezza... Del resto, che cosa dico! Naturalmente vi avrebbe preso per un pazzo. Stavo giudicando in base a come sono fatta io. Io so molte cose, su come vive la gente in questo mondo!».
«Oh, vi ringrazio», gridai, «voi non sapete che cosa avete fatto per me ora!».
«Va bene, va bene! Ma ditemi, da che cosa avete capito che ero una donna con la quale...
be', che voi ritenevate degna... di attenzione e di amicizia... insomma che non ero "una massaia", per usare la vostra espressione. Perché vi siete deciso ad avvicinarvi a me?».
«Perché? Perché? Ma voi eravate sola e quel signore era troppo ardito, ora è notte: converrete con me che era mio dovere...».
«No, no, ancora prima, laggiù, dall'altra parte della strada. Infatti voi volevate avvicinarvi a me, non è vero?».
«Laggiù, dall'altra parte della strada? Davvero non so come rispondervi; temo... Sapete, oggi ero felice; camminavo e cantavo; sono stato fuori città; non avevo mai vissuto dei momenti così 65
felici. Voi... Forse mi è sembrato... Insomma, scusatemi se ve lo rammento: mi è sembrato che voi piangeste e io... io non potevo sentirlo... mi si stringeva il cuore... Oh, Dio mio! Ma certo, non potevo forse provar pena per voi? Era forse peccato provare una fraterna compassione nei vostri confronti? Scusatemi, ho detto compassione... Insomma, possibile che abbia potuto offendervi se involontariamente ho pensato di avvicinarmi a voi?...».
«Smettete, basta, non parlate più...», disse la fanciulla abbassando gli occhi e stringendomi il braccio. «È colpa mia che ho parlato di questo argomento; tuttavia sono felice di non essermi sbagliata sul vostro conto... ma eccomi arrivata a casa; debbo svoltare da questa parte, nel vicolo; da qui sono due passi... Addio, vi ringrazio...».
«E così, è possibile, dunque, che non ci vediamo più?... Possibile che tutto finisca così?».
«Vedete», disse ridendo la fanciulla, «dapprima volevate soltanto due parole, e ora... Del resto io non vi dirò nulla... Può darsi che ci incontriamo di nuovo...».
«Tornerò qui domani», dissi io. «Oh, scusatemi, io già vi sto chiedendo...».
«Sì, voi siete impaziente... Voi quasi esigete...».
«Sentite, sentite!», la interruppi io. «Perdonatemi se vi dirò di nuovo qualcosa... Ma ecco di che si tratta: io non posso fare a meno di tornare qui domani. Io sono un sognatore; è così poca la mia vita reale e vivo così di rado momenti come questo di adesso, che non posso fare a meno di riviverli nei miei sogni. Io sognerò di voi tutta la notte, tutta la settimana, per un anno intero.
Ritornerò immancabilmente qui domani, esattamente qui, in questo stesso punto, esattamente a quest'ora, e sarò felice ricordando quanto è avvenuto oggi. Questo luogo mi è già caro. Ho già due o tre posti come questo a Pietroburgo. Una volta mi sono persino messo a piangere a causa di un ricordo, come voi... Chissà, forse anche voi, dieci minuti fa, piangevate a causa di un ricordo... Ma perdonatemi, ci sono ricaduto un'altra volta; forse anche voi siete stata particolarmente felice qui...».
«Va bene», disse la fanciulla, «forse tornerò anch'io qui domani, alle dieci. Vedo che non posso ormai impedirvi... Ecco di che cosa si tratta, io debbo trovarmi qui; non crediate che vi abbia dato appuntamento; vi avverto che io debbo trovarmi qui per motivi miei. Ma ecco... be', ve lo dirò francamente: non cambierà nulla anche se voi verrete; in primo luogo vi potranno essere ancora delle seccature, come oggi, ma lasciamo perdere questo... Insomma desidererei soltanto vedervi...
per dirvi due parole. Soltanto, vedete, non mi giudicherete male ora? Non penserete che do appuntamenti con troppa facilità?... Non ve l'avrei dato, se... Ma che questo resti un mio segreto!
Facciamo soltanto prima un patto...».
«Un patto? Parlate, dite, ditemi tutto prima; sono d'accordo su qualunque cosa, sono disposto a tutto», gridai colmo di entusiasmo, «rispondo di me stesso: sarò obbediente, rispettoso...
Voi mi conoscete...».
«Proprio perché vi conosco vi invito per domani», disse ridendo la fanciulla. «Vi conosco a perfezione. Ma badate, venite solo a una condizione; in primo luogo (solo, siate buono, esaudite la mia preghiera; vedete, vi parlo con sincerità) non innamoratevi di me... Questo è impossibile, ve lo assicuro. Per un'amicizia sono disponibile, eccovi la mia mano... Ma innamorarsi no, ve ne prego!».
«Ve lo giuro», gridai afferrandole la manina...
«Basta, non giurate, so bene che siete pronto ad accendervi come la polvere pirica. Non giudicatemi male se vi parlo così. Se sapeste... Anch'io non ho nessuno con cui scambiare una parola, a cui chiedere un consiglio. Non è per la strada, si intende, che si possono trovare dei consiglieri, voi siete un'eccezione. Io vi conosco come se fossimo amici da vent'anni... Non è vero che non mi tradirete?...».
«Lo vedrete... solo non so come farò a sopravvivere queste ventiquattr'ore».
«Fatevi un sonno profondo; buona notte e ricordate che io mi sono già messa nelle vostre mani. Ma voi l'avete detto così bene dianzi: si può forse render conto di ogni nostro sentimento, persino di un moto di solidarietà fraterna! Sapete, era così ben detto che subito mi è balenata l'idea di confidarmi con voi...».
«Ma, in nome di Dio, a che proposito? Su che cosa?».
66
«A domani. Lasciamo che questo rimanga per ora un segreto. Sarà meglio per voi, somiglierà, almeno alla lontana, a un romanzo. Forse domani ve lo dirò, oppure no... Prima voglio parlare ancora un po' con voi, dobbiamo conoscerci meglio...».
«Oh, sì. Domani vi racconterò tutto di me! Ma cosa è mai questo? È come se mi stesse accadendo un miracolo... Mio Dio, dove sono? Ma ditemi, siete forse scontenta di non esservi adirata, come avrebbe fatto un'altra, e di non avermi scacciato fin dal principio? In due minuti voi mi avete reso felice per sempre. Sì, felice. Chissà? Forse mi avete riconciliato con me stesso, avete risolto i miei dubbi... Forse mi capitano momenti come questo... Sì, domani vi racconterò tutto, voi saprete tutto...».
«Va bene, accetto; sarete voi a cominciare...».
«D'accordo».
«Arrivederci!».
«Arrivederci!».
E ci separammo. Camminai per tutta la notte; non riuscivo a decidermi a far ritorno a casa.
Ero talmente felice... a domani!

NOTTE SECONDA

«E così siete sopravvissuto!», esclamò ella ridendo e stringendomi ambedue le mani.
«Sono qui già da due ore; voi non sapete come sono stato tutto quest'oggi!».
«Lo so, lo so... ma veniamo al fatto. Sapete perché sono venuta? Davvero non per chiacchierare di sciocchezze come ieri. Ecco cosa vi dico: in futuro dobbiamo comportarci più assennatamente. Ho pensato a lungo a tutto ciò ieri».
«Ma in che cosa, in che cosa dobbiamo essere più assennati? Per parte mia sono pronto, ma davvero non mi è mai accaduto nulla di più assennato in vita mia di quanto mi sta accadendo ora».
«Davvero? In primo luogo vi prego di non stringermi tanto forte le mani; in secondo luogo vi comunico che oggi ho riflettuto a lungo su di voi».
«Be', e cosa avete concluso?».
«Che cosa ho concluso? Ho concluso che bisogna ricominciare tutto da capo, perché, in fin dei conti, ho capito che voi mi siete ancora del tutto sconosciuto, che ieri mi sono comportata come una bambina ed è risultato, si capisce, che la colpa di tutto è del mio buon cuore, cioè ho finito col lodare me stessa, come va sempre a finire quando si comincia ad analizzare il proprio comportamento. E perciò, per rimediare al mio errore, ho deciso di scoprire tutto di voi fin nei minimi particolari. Ma poiché non c'è nessuno che possa darmi informazioni su di voi, siete voi stesso che mi dovete raccontare tutto, vita, morte e miracoli. Dunque, che specie d'uomo siete?
Presto, incominciate, raccontatemi la vostra storia».
«La mia storia!», gridai io sgomento, «la mia storia! Ma chi vi ha detto che ho una storia? Io non ho una storia...».
«Ma allora come siete vissuto, se non avete una storia?», mi interruppe lei ridendo.
«Assolutamente senza alcuna storia! Sono vissuto, come si usa dire, per conto mio, ossia completamente solo, solo, del tutto solo, capite che cosa vuol dire solo?».
«Ma come sarebbe a dire solo? Volete dire, forse, che non vedete mai nessuno?».
«Oh, no, per vedere gente ne vedo, ma ciononostante io sono solo».
«Ma come, voi dunque non parlate con nessuno?».
«In senso stretto, con nessuno».
«Ma chi siete, spiegatevi! Aspettate, ho indovinato: certamente avete una nonna, come me.
È cieca e perciò è tutta una vita che non mi lascia andare da nessuna parte così che ho quasi del tutto disimparato a parlare. E quando due anni fa ho fatto una scappatella, vedendo che non mi si poteva trattenere, ha preso, mi ha chiamato a sé e ha appuntato con una spilla il mio abito al suo.
Così da allora ce ne stiamo sedute per giornate intere: lei fa la calza, anche se è cieca, mentre io me 67
ne sto lì seduta a cucire o a leggerle un libro ad alta voce. Questa è la nostra strana usanza: sono già due anni che sto lì, con l'abito appuntato al suo in questo modo...».
«Ah, mio Dio, che sventura! Ma no, no, io non ho una nonna così».
«Ma se non l'avete, come fate a starvene rinchiuso in casa?...».
«Ascoltate, volete sapere che genere d'uomo io sia?».
«Sì, sì, certo!».
«Nel senso stretto del termine?».
«Nel senso più stretto del termine!».
«Allora prego: io sono un tipo».
«Un tipo, un tipo! Ma quale tipo?», gridò la fanciulla scoppiando a ridere fragorosamente come se fosse stato un anno intero che non ci riusciva. «Sì, con voi ci si diverte davvero! Guardate: ecco una panchina; sediamoci! Di qua non passa nessuno, nessuno ci sentirà. Cominciate, dunque, la vostra storia! Infatti non riuscirete a convincermi: voi avete una storia, ma sembra che vi nascondiate. Innanzitutto spiegatemi che cos'è un tipo».
«Un tipo? Un tipo è un originale, è una persona ridicola!», risposi scoppiando anch'io a ridere contagiato dalla sua fanciullesca risata. «È un carattere. Ascoltate: sapete che cos'è un sognatore?».
«Un sognatore? Scusate, ma come si fa a non saperlo? Anch'io sono una sognatrice! Cosa non mi passa per la testa, a volte, mentre me ne sto seduta accanto alla nonna! Così comincio a sognare in modo tale, mi lascio trasportare tanto dalle mie fantasie... sogno addirittura di andare sposa di un principe cinese... Qualche volta è anche bello sognare! No, del resto, Dio solo lo sa!
Specialmente se si ha qualcosa a cui pensare anche senza di questo», soggiunse la fanciulla questa volta con tono abbastanza serio.
«Ottimamente! Se dunque una volta siete andata sposa a un principe cinese ciò significa che mi comprenderete perfettamente. Dunque, ascoltate... Ma scusatemi: non so ancora come vi chiamate».
«Finalmente! Ce ne avete messo a ricordarvene!».
«Ah, mio Dio! Non mi è neppure venuto in mente, stavo così bene anche così...».
«Mi chiamo Nàst'enka».
«Nàst'enka e nient'altro?».
«E nient'altro! Non vi basta forse, insaziabile che non siete altro?».
«Pensate che sia poco? È molto, al contrario, è moltissimo. Nàst'enka, voi siete una fanciulla davvero buona se fin dalla prima volta siete diventata subito per me Nàst'enka!».
«Proprio così! Su, dunque!».
«Allora, Nàst'enka, ascoltate dunque che storia ridicola ne vien fuori».
Mi sedetti accanto a lei, assunsi una posa pedantescamente seria e cominciai a raccontare come se stessi leggendo un libro:
«A Pietroburgo, Nàst'enka, ci sono, se non lo sapete, degli angoletti piuttosto strani. In tali luoghi pare che non getti lo sguardo neppure il sole che risplende per tutti gli abitanti di Pietroburgo, ma che vi occhieggi un altro sole, nuovo, come creato apposta per questi angoli e che risplenda su ogni cosa con una luce diversa, particolare. In questi angoli, cara Nàst'enka, scorre una vita, come dire, completamente diversa, che non assomiglia a quella che ferve accanto a noi, ma è come quella che forse si svolge nello sconosciuto reame di qualche favola, e non qui, in questa nostra seria, arciseria epoca. E questa vita è un miscuglio di qualcosa di puramente fantastico, di fervidamente ideale e, nello stesso tempo (ahimè, Nàst'enka!), di qualcosa di squallidamente prosaico e banale, per non dire di incredibilmente volgare».
«Mio Dio, che preambolo! Cosa mi toccherà mai sentire?».
«Sentirete, Nàst'enka (mi sembra che non mi stancherò mai di chiamarvi Nàst'enka), sentirete che in tali angoli vivono delle strane persone: i sognatori. Il sognatore, se proprio occorre darne una definizione precisa, non è un uomo, ma, sapete, una sorta di essere di genere neutro. Egli prende dimora per lo più in qualche angolo inaccessibile, come se volesse nascondersi in esso 68
persino alla luce del giorno, e se si ritira in casa sua mette radici nel suo angolo come una lumaca, oppure per lo meno è assai simile a quel curioso animale che è nello stesso tempo un animale e una casa insieme, e che si chiama tartaruga. Cosa ne pensate, perché egli è così affezionato alle sue quattro pareti immancabilmente dipinte di verde, annerite, squallide e indecentemente impregnate di fumo di tabacco? Perché questo buffo personaggio quando viene a trovarlo qualcuno dei suoi rari conoscenti (ma finisce che i suoi conoscenti si dileguano), quest'uomo buffo lo accoglie con un'aria così confusa, con un'espressione tanto alterata in viso e con un tale imbarazzo, che sembra che egli abbia appena commesso un delitto tra quelle sue quattro mura, che abbia stampato banconote false o che abbia composto dei versi di cattiva qualità per inviarli a qualche rivista accompagnati da una lettera anonima nella quale si afferma che il vero autore di essi è morto e che il suo amico ritiene suo sacro dovere pubblicare le composizioni poetiche dell'estinto? Perché, ditemi un po' voi, Nàst'enka, la conversazione è così stentata tra questi due interlocutori? Perché né una risata, né un'espressione vivace esce dalla bocca dell'amico giunto all'improvviso, che pure, in altre occasioni, ama tanto sia le risate che le espressioni vivaci, e i discorsi sul gentil sesso, e altri allegri argomenti?
Perché, infine, questo amico, che probabilmente è una conoscenza recente, persino alla sua prima visita (perché una seconda, infatti, in questo caso non ce ne sarà ormai più e l'amico non ritornerà un'altra volta), perché questo stesso amico si confonde a tal punto, si irrigidisce tanto con tutta la sua arguzia (ammesso che ne abbia), guardando il volto abbattuto del padrone di casa che, a sua volta, ha fatto ormai in tempo a smarrirsi completamente e a perdere completamente la trebisonda, dopo aver compiuto sforzi titanici, ma vani, per rendere fluida e vivace la conversazione, per dimostrare di conoscere anche lui le maniere mondane, per parlare anche lui del gentil sesso e per piacere, foss'anche solo con questa sua arrendevolezza, a quel poveraccio andato a finire nel posto sbagliato, per errore venuto a fargli visita? Perché, infine, l'ospite a un tratto afferra il cappello e se ne va in gran fretta, ricordandosi improvvisamente di una faccenda urgentissima che non è mai esistita, liberando in qualche maniera la mano dalle calorose strette del padrone di casa che si sforza in tutti i modi di dimostrargli il proprio rammarico e di riparare al guaio commesso? Perché l'amico che se ne va scoppia a ridere appena uscito dalla porta e giura a se stesso di non mettere mai più piede in casa di quel tipo bizzarro, benché quel tipo bizzarro, in fin dei conti, sia un ottimo ragazzo, e perché, nello stesso tempo, egli non riesce assolutamente a trattenere la sua fantasia dal piccolo capriccio di paragonare, sia pure alla lontana, la fisionomia del suo interlocutore di poco prima durante tutto il tempo della loro conversazione con l'aspetto di quello sventurato gattino che i bambini hanno strapazzato, terrorizzato e maltrattato in ogni modo, dopo averlo catturato con l'inganno, facendolo confondere completamente, il quale, infine, è riuscito a rifugiarsi al sicuro da loro sotto una sedia, al buio, e lì per un'ora intera non può fare a meno di rizzare il pelo, di stronfiare minacciosamente, di lavarsi con entrambe le zampe il musetto offeso e di guardare a lungo dopo di ciò con ostilità la natura, la vita e perfino i resti del pranzo dei padroni messi da parte per lui dalla compassionevole governante?».
«Ascoltate», mi interruppe Nàst'enka, che mi aveva ascoltato per tutto quel tempo con gli occhi e la boccuccia spalancati per lo stupore, «ascoltate: non so assolutamente perché tutto questo sia accaduto e perché proprio voi mi facciate delle domande così ridicole; ma quello che so con sicurezza è che tutte queste avventure sono accadute sicuramente a voi, parola per parola».
«Senza dubbio», risposi io con l'espressione più seria.
«Be', se non c'è dubbio, continuate», replicò Nàst'enka, «perché desidero molto sapere la conclusione».
«Voi volete sapere, cara Nàst'enka, che cosa faceva nel suo angolo il nostro eroe, o, per meglio dire, che cosa facevo io, visto che l'eroe di tutta questa vicenda sono io, con la mia propria, modesta persona; volete sapere perché mi sia tanto turbato e smarrito per un'intera giornata a causa della visita inattesa di un amico. Voi volete sapere perché mi sia tanto agitato e sia tanto arrossito quando si è aperta la porta della mia stanza, perché non sia stato capace di accogliere degnamente il mio ospite e sia così ignominiosamente perito sotto il peso della mia ospitalità».
69
«Ma sì, sì!», rispose Nàst'enka, «sta proprio qui il punto. Ascoltate: voi raccontate in maniera stupenda, ma non si potrebbe raccontare in maniera un po' meno stupenda? Parlate, infatti, come se steste leggendo un libro».
«Nàst'enka!», replicai con voce solenne e severa, trattenendo a stento le risa, «cara Nàst'enka, so che so raccontare in maniera stupenda, ma, scusatemi, non so farlo in altra maniera.
Ora, mia cara Nàst'enka, io assomiglio allo spirito del re Salomone che è rimasto rinchiuso per mille anni in un'anfora con sette sigilli e dalla quale, infine, hanno tolto tutti e sette i sigilli. Ora, mia cara Nàst'enka, dopo che ci siamo incontrati di nuovo dopo un così lungo distacco - perché, infatti, io vi conosco già da molto tempo, Nàst'enka, e questo è il segno che io stavo cercando proprio voi e che era destino che ci incontrassimo - ora nella mia testa si sono aperte migliaia di valvole ed io debbo riversar fuori migliaia di parole, altrimenti soffocherò. Quindi vi prego di non interrompermi, Nàst'enka, e di ascoltarmi docilmente e ubbidientemente, altrimenti mi azzittirò».
«No, no, no! In nessuno caso! Parlate! Non dirò più una parola».
«Continuo, allora: c'è nella mia giornata, Nàst'enka, amica mia, un'ora che amo in maniera straordinaria. È l'ora in cui cessa quasi ogni specie di faccende, di occupazioni e di impegni e tutti si affrettano a casa per pranzare e coricarsi a riposare, e per la strada escogitano altre trovate divertenti per la serata, la notte e tutto il tempo libero che resta a loro disposizione. A quest'ora anche il nostro eroe - permettetemi, Nàst'enka, di raccontare in terza persona, perché in prima proverei un'enorme vergogna a raccontare tutto ciò - dunque, a quest'ora anche il nostro eroe, il quale non è rimasto neppure lui ozioso, si incammina dietro a tutti gli altri. Ma uno strano sentimento di soddisfazione aleggia sul suo volto pallido e come un po' gualcito. Egli guarda, non indifferente, il tramonto che va lentamente spegnendosi nel freddo cielo di Pietroburgo. Quando dico "guarda" non dico il vero: egli non guarda, bensì contempla in certo qual modo inconsapevolmente, come se fosse stanco o occupato contemporaneamente da qualche altro più interessante oggetto di riflessione, così che può dedicare attenzione a tutto ciò che lo circonda solo di sfuggita, quasi involontariamente. Egli è contento perché fino all'indomani l'ha finita con le sue noiose faccende, ed è felice come uno scolaro al quale abbiano dato il permesso di lasciare la panca della scuola e di dedicarsi ai suoi giochi preferiti e alle sue birichinate. Guardatelo un po' dall'esterno, Nàst'enka: vi accorgerete subito che questo sentimento gioioso ha già fatto effetto sui suoi deboli nervi e sulla sua fantasia morbosamente eccitata. Eccolo tutto assorto in qualche suo pensiero... Pensate che si tratti del pranzo? Della serata odierna? Che cosa guarda così intentamente? Forse quel signore dall'aspetto rispettabile che con tanta perfezione si è inchinato alla dama che gli è passata accanto su una scintillante carrozza tirata da focosi cavalli? No, Nàst'enka, che gliene importa adesso di tutte queste sciocchezze! Adesso egli è già ricco di una sua speciale vita; chissà come, a un tratto, egli è diventato ricco e l'ultimo raggio del sole che si spegne non ha brillato invano così giocondamente davanti a lui, suscitando nel suo cuore riconfortato un intero sciame di impressioni. Adesso egli nota a malapena la strada di cui prima ogni minimo particolare poteva colpirlo. Adesso "la dea della fantasia" (avete letto Žukovskij, cara Nàst'enka?) aveva già tessuto con la sua mano capricciosa il suo aureo ordito e aveva cominciato a sviluppare dinanzi a lui gli arabeschi di una vita inaudita e fantastica, e, chissà, forse con la sua mano capricciosa l'aveva già trasportato al settimo cielo di cristallo dall'ottimo marciapiede di granito per il quale stava facendo ritorno a casa. Provate a fermarlo adesso e domandategli all'improvviso dove si trova e per quali vie sta camminando: probabilmente non ricorderebbe nulla, né dove stava andando, né dove si trova adesso e, arrossendo per la stizza, sicuramente inventerebbe qualcosa per salvare le apparenze. Ecco perché ha sussultato così, ha quasi gridato e si è guardato attorno con spavento quando una vecchia assai rispettabile l' ha cortesemente fermato nel mezzo del marciapiede per chiedergli la strada perché si era smarrita.
Aggrottando le sopracciglia per la stizza egli prosegue il suo cammino senza quasi accorgersi che più di un passante sorride guardandolo e si volta indietro, e che una bambinetta, che si è scansata impaurita al suo passaggio, è scoppiata a ridere fragorosamente guardando con gli occhi sgranati il suo largo sorriso contemplativo e i gesti che fa con le braccia. Ma sempre la stessa fantasia ha afferrato nel suo volo giocoso sia la vecchia, sia i passanti curiosi, sia la bambina che rideva, sia i 70
contadini che stanno cenando lì, sui loro barconi che affollano la Fontanka (poniamo che in quel momento il nostro eroe stia passando lungo di essa), e ha tessuto tutti e tutto capricciosamente dentro alla sua tela, come mosche in una ragnatela, e, con i suoi nuovi acquisti, questa testa balzana è ormai entrato in casa propria, nella sua diletta tana, si è ormai seduto a pranzo, ha ormai pranzato da un pezzo ed è tornato in sé soltanto quando la pensierosa ed eternamente triste Matrëna, che lo accudisce, ha ormai sparecchiato e gli ha portato la pipa, è tornato in sé e con meraviglia si è ricordato che ha proprio già pranzato senza decisamente accorgersi di come ciò sia avvenuto. Nella stanza si è fatto buio; nella sua anima c'è un senso di vuoto e di tristezza; un intero reame di sogni è crollato attorno a lui senza lasciar traccia, senza rumore e fragore, è balenato come una visione notturna e nemmeno lui ricorda che cosa abbia sognato. Ma un'oscura sensazione che gli fa leggermente dolere e palpitare il petto, un nuovo desiderio stuzzica ed eccita seducentemente la sua fantasia evocando inavvertitamente un intero sciame di fantasmi. Nella piccola stanza regna il silenzio; la solitudine e il torpore cullano l'immaginazione; essa si infiamma e ribolle pian piano come l'acqua nella caffettiera della vecchia Matrëna che placidamente traffica lì accanto, in cucina, preparando il suo caffè casalingo. Ecco che esso già sprizza fuori a fiotti, che già il libro preso in mano senza scopo e a caso, scivola giù dalle mani del mio sognatore il quale non è giunto nemmeno alla terza pagina. La sua immaginazione è di nuovo tesa ed eccitata e a un tratto, di nuovo, un mondo nuovo, una vita nuova e affascinante brilla davanti a lui nella sua splendida prospettiva. Un nuovo sogno - una nuova felicità! Un altro sorso di raffinato, voluttuoso veleno! Oh, che cosa ci può mai essere di attraente per lui nella nostra vita reale? Al suo sguardo alterato io e voi, Nàst'enka, viviamo in maniera così pigra, lenta, fiacca; al suo sguardo noi siamo tutti così scontenti del nostro destino, ci struggiamo talmente a causa della nostra vita! E, in verità, guardate come, effettivamente, a prima vista tutto quello che c'è fra noi è freddo, tetro, come adirato... "Poveretti!", pensa il mio sognatore. Né è strano che lo pensi! Guardate questi magici fantasmi che in modo così incantevole, così capriccioso, con tanta noncuranza e larghezza si compongono davanti a lui in un quadro così magico e ispirato, dove in primo piano, come personaggio principale, naturalmente, campeggia lui, il nostro sognatore, con la sua cara persona. Guardate quali svariate avventure, quale interminabile sciame di entusiastici sogni. Voi domanderete, forse, di che cosa sogna. A che serve chiederlo? Ma sogna di tutto... del destino del poeta, dapprima misconosciuto e poi coronato d'alloro; dell'amicizia con Hoffmann; della notte di San Bartolomeo, di Diane Vernon, di un ruolo eroico nella presa di Kazàn' da parte di Ivàn Vasìl'eviè, di Clara Mowbray, di Evfia Dance, di Hus davanti al consesso dei prelati, della rivolta dei morti nel Roberto (ricordate la musica: sembra di sentire odore di cimitero!), di Minna e di Brenda, della battaglia della Berezina, della lettura di un poema nel salotto della contessa V.D., di Danton, di Cleopatra e i suoi amanti, della casetta a Kolomna, del proprio angoletto con una graziosa creatura accanto che vi ascolta in una serata d'inverno con la boccuccia aperta e gli occhi sgranati, come mi state ascoltando voi, mio piccolo angioletto... No, Nàst'enka, che cosa ci può essere mai di attraente per lui, per questo voluttuoso poltrone in quella vita nella quale io e voi tanto desideriamo entrare? Egli pensa che sia una vita povera, misera, e non ha il presentimento che forse anche per lui un giorno suonerà la triste ora in cui per un solo giorno di questa misera vita sarà pronto a dare tutti i suoi fantastici anni, e neppure in cambio della gioia, della felicità, e non vorrà neppure scegliere in quell'ora di tristezza, di pentimento e di sconfinato dolore. Ma per intanto quel momento terribile non è ancora venuto ed egli non desidera nulla perché egli è al di sopra dei desideri, perché egli ha tutto presso di sé, perché egli è sazio, perché egli è come un pittore che dipinge la propria vita e se la ricrea ogni momento secondo un nuovo capriccio. E infatti questo mondo fiabesco, fantastico viene creato con tanta facilità, con tanta naturalezza! Come se davvero non fosse un fantasma! In verità a momenti si sarebbe pronti a credere che tutta quella vita non sia un'eccitazione dei sensi, un miraggio, un inganno dell'immaginazione, bensì qualcosa di reale, di autentico, di vero! Perché, ditemi Nàst'enka, perché in tali momenti lo spirito si turba? Perché per qualche magia, per qualche sconosciuto capriccio, il battito del polso si accelera, sprizzano le lacrime dagli occhi del sognatore, ardono le sue guance pallide e umide e tutta la sua esistenza trabocca di una tale irresistibile gioia? Perché 71
intere nottate insonni trascorrono in un attimo, in un'allegria e felicità inesauribili, e perché quando i rosei raggi dell'alba entrano attraverso le finestre, illuminando la tetra stanza con la loro luce dubbiosa e fantastica, come avviene da noi a Pietroburgo, il nostro sognatore esausto, sfinito dai tormenti, si getta sul letto e si addormenta mentre vien meno per l'estasi il suo spirito morbosamente scosso ed egli prova una fitta languidamente dolce al cuore? Sì, Nàst'enka, ci si può ingannare e viene fatto involontariamente di credere che una passione autentica, vera, agiti la sua anima, che vi sia qualcosa di vivo, di tangibile nei suoi sogni incorporei! E com'è potente l'inganno, in effetti!
Ecco, ad esempio, che l'amore è sceso nel suo petto con tutta la sua inesauribile gioia e tutti i suoi penosi struggimenti... Gettate soltanto uno sguardo su di lui e convincetevene! Credereste forse, guardandolo, cara Nàst'enka, che in realtà egli non ha mai conosciuto colei che tanto ha amato nei suoi sogni appassionati? Possibile che egli non l'abbia veduta all'infuori delle sue affascinanti visioni e che questa passione l'abbia soltanto sognata? Possibile davvero che essi non abbiano trascorso, mano nella mano, tanti anni della propria vita, loro due soli, respingendo lontano tutto il mondo e unendo il proprio mondo, la propria vita, con la vita dell'altro? E non era forse lei, a tarda ora, venuto il momento del distacco, non era forse lei ad appoggiare il capo singhiozzando disperata sul suo petto, senza udire la tempesta scatenatasi sotto quel cielo inclemente, senza udire il vento che strappava e portava via le lacrime dalle sue nere ciglia? Possibile che tutto ciò fosse un sogno, anche quel giardino cupo, abbandonato e selvaggio con i vialetti ricoperti di muschio, solitario e tetro, dove essi tanto sovente passeggiavano insieme, dove hanno sperato, hanno sofferto e hanno amato, si sono amati l'un l'altra così a lungo, "così a lungo e teneramente!". E quella strana casa dei suoi antenati, nella quale ella ha condotto per tanto tempo un'esistenza solitaria e triste, assieme al vecchio, cupo marito, eternamente silenzioso e bilioso, che incuteva spavento a loro che, timidi come bambini, mesti e paurosi, si celavano l'un l'altro il proprio amore? Come si tormentavano, come temevano, com'era puro e innocente il loro amore e (si capisce, Nàst'enka!) com'erano malvagi gli uomini! E, Dio mio, non è lei che egli ha incontrato poi, lontano dalle sponde della patria, sotto un cielo straniero, meridionale, caldo, nella meravigliosa città eterna, nello splendore di un ballo, tra il frastuono della musica, in un palazzo (immancabilmente in un palazzo), sommerso in un mare di luci, su quel balcone avvinto da mirti e da rosai, dove lei, riconoscendolo, si è tolta così frettolosamente la maschera e, sussurrandogli: "Io sono libera", tremando tutta, si è gettata tra le sue braccia e, lanciando un grido estatico, stringendosi l'uno all'altra, in un attimo hanno dimenticato sia il dolore che la separazione e i tormenti e la cupa casa e il vecchio e il tenebroso giardino nella patria lontana e la panchina sulla quale, con un ultimo bacio appassionato, ella si era strappata dai suoi abbracci irrigiditi in un disperato spasimo... Oh, ne converrete, Nàst'enka, sussulteremmo, ci turberemmo e arrossiremmo anche noi come uno scolaro che s'è appena ficcata in tasca la mela rubata nel giardino dei vicini, se in quel momento un qualche aitante e sano ragazzone, gioviale e burlone, il nostro amico non invitato, aprisse la porta della nostra stanza e, come se niente fosse, gridasse: "Arrivo in questo momento da Pàvlovsk, fratello!". Mio Dio! Il vecchio conte è morto, si apre un'era di inaudita felicità, e qui, invece, la gente arriva da Pàvlovsk!».
A questo punto tacqui pateticamente dopo aver esaurito le mie patetiche esclamazioni.
Ricordo che avevo una voglia terribile di scoppiare a ridere a crepapelle perché già sentivo che in me aveva preso ad agitarsi un demonietto ostile e già cominciavo a sentirmi serrare la gola, sussultare il mento e gli occhi farsi sempre più umidi... Mi attendevo che Nàst'enka, che mi ascoltava sgranando i suoi occhietti intelligenti, scoppiasse a ridere con quella sua risata fanciullesca e irrefrenabilmente allegra, e già mi pentivo di essermi spinto troppo oltre e di aver inutilmente raccontato ciò che già da tanto tempo ribolliva nel mio cuore, ciò di cui potevo parlare come se lo leggessi in un libro poiché già da tanto tempo avevo preparato una condanna su me stesso e ora non avevo saputo trattenermi dal leggerla, anche se, bisogna riconoscerlo, non mi attendevo che sarei stato compreso; ma, con mia grande sorpresa, ella rimase in silenzio e, lasciato passare qualche istante, mi strinse leggermente il braccio e con una sorta di timida partecipazione mi domandò:
«Possibile che veramente abbiate trascorso così tutta la vostra vita?».
72
«Tutta la vita, Nàst'enka», risposi io, «tutta la vita e, a quel che sembra, così la finirò!».
«No, non è possibile», disse lei con inquietudine, «ciò non avverrà; in tal modo, anch'io, forse vivrò tutta la vita accanto alla nonna. Ascoltate, sapete che non è assolutamente bene vivere a questo modo?».
«Lo so, Nàst'enka, lo so!», gridai io non riuscendo più a trattenermi. «E ora so meglio che in qualsiasi altro momento di aver sciupato invano i miei anni migliori! Ora lo so e la consapevolezza di ciò mi fa più male perché Dio stesso mi ha mandato voi, mio buon angelo, per dirmelo e dimostrarmelo. Ora, mentre vi seggo accanto e parlo con voi, ho persino paura a pensare al futuro perché nel mio futuro c'è di nuovo la solitudine, c'è di nuovo questa stantia, inutile vita; e di che cosa potrò mai sognare se già nella realtà sono stato così felice accanto a voi! Oh, siate benedetta, voi, cara fanciulla, per non avermi respinto fin dal primo momento, per il fatto che ormai posso dire di aver vissuto almeno due sere nella mia vita!».
«Oh, no, no!», gridò Nàst'enka e delle piccole lacrime brillarono nei suoi occhi, «no, non sarà più così; noi non ci separeremo così! Cosa sono mai due sere!».
«Oh, Nàst'enka, Nàst'enka! Sapete per quanto tempo mi avete riconciliato con me stesso?
Sapete che ormai non penserò più di me stesso tanto male come mi succedeva in certi momenti?
Sapete che ormai, forse, non mi angoscerò più di aver commesso un delitto e un peccato nella mia vita, perché una vita come questa è un delitto e un peccato? E non pensiate che io abbia esagerato in qualcosa, per l'amor di Dio non pensate questo, Nàst'enka, perché a volte nella mia vita sopravvengono dei momenti di una tale angoscia, di una tale angoscia... Perché, in quei momenti, mi comincia già a sembrare che non sarò mai capace di vivere una vita reale, perché mi è già sembrato di aver perduto ogni tatto, ogni fiuto per ciò che è reale e autentico; perché, infine, ho maledetto me stesso; perché dopo le mie fantastiche notti ormai mi prendono dei momenti di rinsavimento che sono orribili! E intanto senti la folla degli uomini rumoreggiare e ruotare attorno a te presa nel turbine della vita, senti, vedi come vive la gente, come vivono nella realtà, vedi che la vita per loro non è preclusa, che la loro vita non svaporerà come un sogno, come una visione, che la loro vita si rinnova eternamente, che essa è eternamente giovane e che non un solo momento di essa è simile all'altro, mentre è così squallida e monotona fino alla volgarità la timida fantasia, schiava delle tenebre, dell'idea, schiava della prima nube che improvvisamente nasconde il sole facendo stringere per l'angoscia l'autentico cuore pietroburghese, che ha tanto caro il proprio sole, e quando si è presi dall'angoscia - quale mai fantasia vi può essere? Senti che essa, infine, si stanca, si esaurisce per l'eterna tensione, questa inesauribile fantasia, perché, infatti, diventi più maturo, cresci e ti stanno stretti i tuoi precedenti ideali: essi cadono in polvere, in frantumi; e se non c'è un'altra vita ti tocca ricostruirla con questi frantumi. E intanto la tua anima domanda e desidera qualcos'altro! E invano il sognatore fruga, come in mezzo alla cenere, tra i suoi vecchi sogni, cercando in questa cenere almeno un pezzetto di brace per soffiarci sopra e riscaldare con la fiamma nuovamente divampata il cuore raggelato facendo rinascere in esso tutto ciò che prima v'era di tanto dolce, che toccava l'anima, che faceva ardere il sangue, che strappava lacrime dagli occhi e che ingannava tanto sontuosamente! Sapete, Nàst'enka, fino a che punto sono arrivato? Sapete che già mi tocca celebrare l'anniversario delle mie sensazioni, l'anniversario di ciò che un tempo mi era così caro, ma che in realtà non è mai esistito - questo anniversario, infatti, viene celebrato per ricordare sempre quelle stupide, incorporee fantasticherie - e di fare questo perché non ci sono più neppure queste stupide fantasticherie, perché non vi è più con che cosa guadagnarsele vivendo: infatti anche le fantasticherie si guadagnano vivendo! Sapete che ora amo ricordare e visitare in determinate ricorrenze i luoghi dove un tempo sono stato a modo mio felice, che amo costruire il mio presente in armonia con ciò che è irrimediabilmente passato e sovente vago come un'ombra, senza necessità e senza scopo, mestamente e malinconicamente, per i vicoli e le vie di Pietroburgo? Quali ricordi a ogni passo! Ti viene in mente, per esempio, che qui, esattamente un anno fa, esattamente in questa stagione, esattamente a quest'ora, vagavi su questo stesso marciapiede altrettanto mestamente di ora! E ti viene in mente che anche allora i sogni erano tristi e sebbene nulla allora fosse meglio di adesso, tuttavia ti sembra che la vita allora fosse in un certo modo più facile e tranquilla, che non vi 73
fossero quei pensieri neri che ora non ti vogliono abbandonare; che non vi fossero questi rimorsi, questi tenebrosi, tetri rimorsi che non ti danno requie né giorno né notte. E domandi a te stesso: dove sono i tuoi sogni? E scuotendo la testa esclami: come volano via in fretta gli anni! E di nuovo ti domandi: cosa ne hai fatto dei tuoi anni? Dove hai seppellito il tuo tempo migliore? Hai vissuto, oppure no? Guarda, ti dici, guarda che freddo fa nel mondo. Passeranno ancora gli anni e al loro seguito giungerà la tetra solitudine, giungerà la tremolante vecchiaia col bastone, e dietro ad esse l'angoscia e lo sconforto. Impallidirà il tuo mondo fantastico, morranno, appassiranno i tuoi sogni e cadranno a terra come le foglie ingiallite cadono dagli alberi... Oh, Nàst'enka! Sarà davvero triste restare solo, completamente solo e non avere neppure che cosa rimpiangere: niente, assolutamente niente... perché tutto ciò che ho perduto, tutto questo non era nulla, uno stupido, rotondo zero, non era nient'altro che un sogno!».
«Basta, non impietositemi oltre!», proferì Nàst'enka, asciugandosi una lacrimuccia che le era rotolata giù dagli occhi. «Ora è finita! Ora saremo in due; ora, qualunque cosa mi succeda, noi non ci separeremo mai. Ascoltate. Sono una fanciulla semplice, ho studiato poco, sebbene la nonna mi avesse preso un precettore; tuttavia io vi comprendo perché tutto ciò che ora mi avete raccontato l'ho vissuto io stessa quando la nonna mi ha appuntata al suo abito. Naturalmente non l'avrei raccontato così bene come avete fatto voi, io non ho studiato», soggiunse timidamente ancora un po'
impressionata dal mio discorso patetico e dal mio stile elevato, «ma sono assai contenta che voi vi siate completamente aperto con me. Ora vi conosco, vi conosco del tutto, a fondo. E sapete cosa vi dico? Vi voglio raccontare anch'io la mia storia, tutta intera, senza nascondervi nulla, e voi dopo mi darete un consiglio. Voi siete una persona molto saggia; mi promettete che mi darete questo consiglio?».
«Ah, Nàst'enka», replicai, «sebbene io non abbia mai dato consigli a nessuno, e tanto meno consigli saggi, tuttavia ora vedo che se noi vivremo sempre così la cosa sarà molto saggia e ognuno di noi darà all'altro moltissimi saggi consigli! Dunque, mia buona Nàst'enka, quale consiglio vi occorre? Ditemelo francamente; ora mi sento così allegro, felice, audace e saggio che per cercare la parola giusta non dovrò mettermi la mano in tasca!».
«No, no!», mi interruppe Nàst'enka scoppiando a ridere, «non mi occorre soltanto un consiglio saggio, mi occorre un consiglio dato col cuore, da fratello, come se voi mi voleste bene da quando siete nato!».
«Va bene, Nàst'enka, va bene!», gridai con entusiasmo, «e se fossero già vent'anni che io vi amassi, non vi amerei più forte di quanto vi ami ora!».
«Datemi la vostra mano!», disse Nàst'enka.
«Eccola!», risposi porgendole la mano.
«E allora cominciamo la storia!».
STORIA DI NÀST'ENKA
«Metà della mia storia la conoscete già, cioè sapete che ho una vecchia nonna...».
«Se anche l'altra metà è altrettanto breve di questa...», la interruppi ridendo.
«Tacete e state ad ascoltare. Anzitutto un patto: non mi interrompete, altrimenti, forse, perderei il filo. Ascoltate dunque buono buono.
«Ho una vecchia nonna. Andai a vivere da lei quando ero ancora una bambina perché mio padre e mia madre erano morti. Bisogna credere che la nonna un tempo fosse più ricca perché ora parla spesso di tempi migliori. Ella mi insegnò a parlare francese e poi mi prese un precettore. A quindici anni (ora ne ho diciassette) smisi di studiare. Proprio a quell'epoca commisi una marachella; che cosa abbia fatto non ve lo dirò; vi basti sapere che la mancanza non era grave. La nonna, però, un mattino mi chiamò e mi disse che, dato che lei era cieca, non era in grado di badare a me, e, presa una spilla, appuntò il mio abito al suo e disse che saremmo state lì sedute così tutta la vita, naturalmente se non fossi diventata più buona. Insomma, dapprima non c'era modo di 74
allontanarsi: mi toccava lavorare, leggere e studiare sempre lì, accanto alla nonna. Una volta provai a giocare d'astuzia e convinsi Fekla a sedersi al mio posto. Fekla è la nostra inserviente ed è sorda.
Fekla si sedette al mio posto; la nonna in quel momento si era addormentata sulla poltrona e io mi recai poco distante, da un'amica. La cosa finì male. La nonna si svegliò mentre non c'ero e domandò qualcosa pensando che io fossi sempre lì seduta, ubbidiente, al mio posto. Fekla vede che la nonna domanda qualcosa, ma non sente che cosa chiede, pensa, pensa che cosa può fare e infine stacca la spilla e via di corsa...».
A questo punto Nàst'enka si fermò e si mise a ridere. Scoppiai a ridere anch'io. Allora lei smise subito.
«Sentite, non ridete della nonna. Io rido perché è buffo... Che farci, se la nonna è in questo stato e non ci sono che io che, nonostante tutto, le voglio un po' di bene? Be', quella volta mi presi davvero una bella lavata di capo: fui subito rimessa al mio posto e davvero non c'era più modo di fare un passo.
«Ho dimenticato, però, di dirvi che abbiamo, cioè che la nonna ha, una casa di sua proprietà, cioè una casetta minuscola, tre finestre in tutto, tutta di legno e vecchia come la nonna, e che, di sopra, c'è un mezzanino; un giorno in questo mezzanino si trasferì un nuovo pigionante...».
«Dunque prima ce n'era un altro?», osservai di sfuggita.
«Certo che c'era», rispose Nàst'enka, «e sapeva star zitto meglio di voi. A dire il vero egli muoveva a stento la lingua. Era un vecchietto rinsecchito, muto, cieco e zoppo, così che, alla fine, gli divenne impossibile vivere in questo mondo e morì; dopo di che ci fu necessario trovare un altro pigionante perché senza pigionante noi non potremmo vivere: assieme alla pensione della nonna queste sono tutte le nostre entrate. Il nuovo pigionante, come a farlo apposta, era un giovane non di qui, un forestiero. Poiché non stette a mercanteggiare, la nonna lo prese e poi mi domandò:
"Nàst'enka, il nostro pigionante è giovane oppure no?". Io non volevo mentire: "Così così", dico,
"non è che sia proprio giovane, ma non è neppure vecchio". "Ed è di bell'aspetto?", mi domandò la nonna.
«Non volli mentire neppure questa volta. "Sì, nonna", le risposi, "è di bell'aspetto!". "Ah", fece la nonna, "che punizione! Bada, nipote, ti raccomando: non guardarlo troppo. Ah, che tempi!
Guarda un po': un pigionante così da poco ed ha persino un bell'aspetto: questo non succedeva una volta!".
«La nonna vorrebbe che tutto fosse com'era una volta. Una volta lei era più giovane, il sole riscaldava di più, la panna non inacidiva tanto in fretta: non fa che parlare dei tempi di una volta!
Ecco dunque che io me ne sto seduta e taccio, ma fra di me penso: come mai è proprio la nonna a mettermi in mente certe cose, come mai mi domanda se il pigionante è bello, se è giovane... Ma ci pensai solo un momento e poi ripresi a contare le maglie e a fare la calza e in seguito me ne dimenticai completamente.
«Una mattina si presenta da noi il pigionante e dice che gli era stato promesso che la tappezzeria della stanza sarebbe stata rinnovata. Poi, una parola tira l'altra (alla nonna, infatti, piace chiacchierare) e lei mi dice: "Va' nella mia stanza da letto, Nàst'enka, e prendi l'abaco". Io saltai su subito, facendomi, chissà perché, tutta rossa, e dimenticandomi che ero appuntata con la spilla; invece di staccarla pian piano, in modo che il pigionante non se ne avvedesse, diedi uno strattone tale che mi trascinai dietro la poltrona della nonna. Quando mi accorsi che il pigionante aveva scoperto tutto sul mio conto, arrossii, rimasi lì come se fossi inchiodata al suolo e all'improvviso scoppiai a piangere: provavo una tale vergogna e una tale amarezza che avrei voluto sprofondare sottoterra! La nonna mi grida: "Perché te ne stai lì così?". E io peggio che mai... Il pigionante non appena si accorse che mi vergognavo a causa della sua presenza immediatamente salutò e se ne andò!
«Da quel giorno non appena udivo un rumore nell'ingresso mi sentivo come morire. Ecco, pensavo, adesso il pigionante viene qui, e pian piano staccavo la spilla. Solo che invece non era mai lui: egli non veniva. Passarono due settimane; il pigionante manda a dire per mezzo di Felka che ha molti libri francesi e tutti buoni, così che si può leggerli; non vorrebbe la nonna che io glieli 
leggessi per scacciare la noia? La nonna acconsentì con riconoscenza, solamente domandava di continuo se si trattava di libri morali oppure no, perché se sono immorali, mi diceva, tu, Nàst'enka, non puoi assolutamente leggerli perché impareresti delle brutte cose.
«"Ma cosa volete mai che impari, nonna? Che cosa c'è scritto?".
«"Ah", mi dice, "vi si descrive come i giovanotti seducono le fanciulle per bene e col pretesto di sposarle le rapiscono dalla casa dei genitori e poi abbandonano queste sventurate fanciulle alla loro sorte così che esse periscono nella maniera più pietosa. Io", mi dice la nonna, "ne ho letti molti di questi libri e tutto è descritto tanto bene che la notte rimani sveglia a leggerli di nascosto. Per cui tu, Nàst'enka", mi dice, "bada di non leggerli. Che libri ha mandato?", mi domanda.
«"Sono tutti romanzi di Walter Scott, nonna".
«"Romanzi di Walter Scott? Basta, vedi se non c'è sotto qualche sotterfugio. Guarda se non c'è per caso nascosto dentro qualche bigliettino amoroso".
«"No, nonna", le rispondo, "non c'è nessun biglietto".
«"Guarda un po' sotto la rilegatura: a volte quei briganti li nascondono sotto la rilegatura!...".
«"No, nonna, non c'è niente neppure sotto la rilegatura".
«"Volevo ben dire!".
«Così cominciammo a leggere Walter Scott e in un mese circa ne leggemmo quasi la metà.
Poi egli ne mandò degli altri e degli altri ancora, ci mandò Puškin, così che, alla fine, senza libri non riuscivo più a stare e cessai di pensare a come fare per sposare un principe cinese.
«Così stavano le cose, quando una volta mi accadde di incontrarmi sulla scala col nostro pigionante. La nonna mi aveva mandata a prendere non so che cosa. Egli si fermò, io arrossii e anche lui arrossì; tuttavia scoppiò a ridere, mi salutò, mi chiese della salute della nonna e poi disse:
"Allora, avete letto i libri?". "Sì", risposi, "li ho letti". Quindi aggiunsi: " Ivanhoe e Puškin sono quelli che mi sono piaciuti di più". Quella volta la conversazione finì lì.
«Una settimana dopo ci capitò di nuovo di incontrarci sulla scala. Questa volta non era stata la nonna a mandarmi, ma ero andata di mia iniziativa. Erano le due passate e il nostro pigionante a quell'ora stava facendo ritorno a casa. "Buon giorno!", mi dice. Ed io: "Buon giorno!".
«"Allora", mi dice, "non vi annoiate a starvene seduta tutto il giorno assieme alla nonna?".
«Non appena egli mi fece questa domanda io, non so proprio perché, arrossii, mi vergognai e di nuovo mi sentii offesa, evidentemente per il fatto che gli estranei cominciavano a farmi domande su questo argomento. Avrei voluto andarmene senza rispondere, ma non ne ebbi la forza.
«"Ascoltate", mi dice, "voi siete una brava ragazza! Scusatemi se vi parlo a questo modo, ma vi assicuro che voglio il vostro bene più di vostra nonna. Non avete nessuna amica che possiate andare a trovare?".
«Gli rispondo che non ne avevo nessuna, che ne avevo avuta una sola, Màšen'ka, ma anche quella se ne era andata a Pskov.
«"Ascoltate", mi dice, "volete venire con me a teatro?".
«"A teatro? E la nonna?".
«"Uscite pian piano, senza che la nonna se ne accorga...".
«"No", dissi io, "non voglio ingannare la nonna. Addio, signore!".
«"Addio", fece lui, senza aggiunger nient'altro.
«Dopo pranzo, però, si presenta da noi; si siede, parla a lungo con la nonna, le domanda se esce mai di casa, se ha dei conoscenti e a un tratto dice: "Ho preso un palco all'opera per stasera.
Danno Il barbiere di Siviglia; alcuni miei conoscenti avevano promesso che sarebbero venuti con me, ma poi hanno rinunciato, così mi sono rimasti i biglietti".
«" Il barbiere di Siviglia!", esclamò la nonna, "ma è lo stesso Barbiere che davano una volta?".
«"Sì", fa lui, "è proprio lo stesso Barbiere", e mi lanciò uno sguardo. Capii tutto, arrossii e il cuore cominciò a palpitarmi per l'attesa!
76
«"Eh già", fa la nonna, "come si fa a non conoscerlo! Io stessa una volta ho fatto la parte di Rosina nel teatro di famiglia!".
«"Non vorreste dunque andarci stasera?", disse il pigionante. "Ho dei biglietti che altrimenti andrebbero perduti".
«"Sì, forse potremmo andare", dice la nonna, "perché no? Ma la mia Nàst'enka non è mai stata a teatro".
«Mio Dio, che felicità! Ci preparammo subito, ci mettemmo eleganti e partimmo. La nonna, sebbene sia cieca, aveva voglia di ascoltare la musica, inoltre è una buona vecchia e voleva soprattutto farmi divertire: da sole non ci saremmo mai andate. Quale impressione mi facesse Il barbiere di Siviglia non ve lo starò a dire, vi dirò soltanto che per tutta la sera il nostro pigionante mi guardò con tanta bontà, parlò così affettuosamente, che mi avvidi subito che quella mattina aveva voluto mettermi alla prova proponendomi di andarci da sola. Che felicità! Mi coricai così orgogliosa, così allegra, che il cuore mi palpitava tanto che mi venne una leggera febbre e per tutta la notte non feci che sognare Il barbiere di Siviglia.
«Pensai che dopo di ciò egli avrebbe cominciato a venire da noi sempre più spesso, ma non fu così. Egli smise quasi del tutto di farci visita. Veniva sì e no una volta al mese, e soltanto per invitarci a teatro. Ci andammo ancora un paio di volte, ma io ero assai scontenta. Vedevo che egli provava semplicemente pietà di me per la vita appartata che conducevo con la nonna, e nient'altro.
Alla lunga non ne potei più: non riuscivo più né a star seduta, né a leggere, né a lavorare; talvolta scoppiavo a ridere e facevo qualche dispetto alla nonna, qualche volta semplicemente mi mettevo a piangere. Alla fine dimagrii e poco ci mancò che non mi ammalassi. La stagione operistica terminò e il pigionante cessò del tutto di venire da noi; quando ci incontravamo, sempre sulla scala, si capisce, egli si inchinava senza dire nulla con un'espressione così seria come se non volesse parlare, e quando lui era già fuori della porta, io me ne stavo ancora lì sulle scale, rossa come una ciliegia, perché il sangue aveva cominciato a salirmi alla testa ogni volta che lo incontravo.
«Ed ecco ora la fine. Esattamente un anno fa, nel mese di maggio, il pigionante viene da noi e dice alla nonna che egli ha concluso i suoi affari qui e che deve andarsene per un anno a Mosca.
Io, non appena udii queste parole, impallidii e caddi come morta sulla sedia. La nonna non si accorse di nulla e lui, dopo aver annunciato che lasciava la nostra casa, ci salutò e uscì.
«Cosa potevo fare? Ci pensai a lungo torturandomi e infine mi decisi. L'indomani egli sarebbe partito così decisi che quella sera, quando la nonna si sarebbe coricata, avrei posto fine a tutta la faccenda. E così accadde. Preparai un fagotto con i miei abiti e biancheria a sufficienza e con quel fagotto in mano, più morta che viva, salii al mezzanino dal nostro pigionante. Penso di averci messo un'ora intera a salire quella scala. Quando aprii la porta della sua stanza egli, vedendomi, gettò un grido. Pensò che fossi un'apparizione e si precipitò a offrirmi un bicchier d'acqua perché mi reggevo a stento in piedi. Il cuore mi batteva così forte che sentivo un dolore alla testa e la mia mente si annebbiava. Quando mi riebbi cominciai direttamente col deporre il mio fagotto sul suo letto, mi sedetti accanto ad esso, mi coprii il volto con le mani e scoppiai a piangere a dirotto. Egli, credo, aveva capito tutto in un attimo e se ne stava ritto davanti a me guardandomi con un'espressione così triste che il cuore mi si spezzava.
«"Ascoltate", cominciò, "ascoltate, Nàst'enka, io non posso far nulla; per il momento non possiedo nulla, nemmeno un posto decente; come riusciremmo a tirare avanti, anche se vi sposassi?".
«Parlammo a lungo, ma alla fine io fui presa dall'esasperazione e dissi che non potevo continuare a vivere con la nonna, che sarei fuggita, che non volevo stare appuntata al suo vestito e che poteva fare quello che voleva, ma io sarei andata a Mosca con lui perché non potevo vivere senza di lui. La vergogna, l'amore e l'orgoglio si erano messi a parlare tutti insieme dentro di me e io, quasi presa dalle convulsioni, mi gettai sul letto. Avevo tanta paura di un rifiuto!
«Egli rimase seduto per alcuni istanti in silenzio, poi si alzò, si avvicinò a me e mi prese la mano.
77
«"Ascoltate, mia buona, mia cara Nàst'enka!", prese a dire anche lui piangendo, "ascoltate.
Vi giuro che se mai sarò in grado di sposarmi sarete voi immancabilmente a rendermi felice; vi assicuro che voi soltanto potete rendermi felice. Ascoltate: io vado a Mosca e mi fermerò laggiù esattamente un anno. Spero di sistemare i miei affari. Quando tornerò, e se voi non avrete cessato di amarmi, vi giuro che saremo felici. Ora è impossibile, io non posso, io non ho il diritto di promettervi nulla. Ma vi ripeto, se ciò non si verificherà tra un anno, avverrà immancabilmente un giorno o l'altro; nel caso, si capisce, che voi non preferiate un altro a me, perché io non posso né oso legarvi con nessuna promessa".
«Ecco cosa mi disse e l'indomani partì. Era stato convenuto di comune accordo di non dire nemmeno una parola di ciò alla nonna. E a questo punto tutta la mia storia è pressoché finita. È
trascorso esattamente un anno. Egli è tornato, è già qui da ben tre giorni e, e...».
«Che cosa, dunque?», esclamai impaziente di udire la conclusione.
«E finora non si è fatto vivo!», rispose Nàst'enka, come facendo appello a tutte le sue forze,
«nulla».
A questo punto si fermò, rimase per un po' in silenzio, chinò la testa e a un tratto, coprendosi il volto con le mani, scoppiò a piangere in modo tale che mi si spezzava il cuore ascoltare quei singhiozzi.
Non mi sarei mai aspettato una simile conclusione.
«Nàst'enka!», cominciai a dire con voce timida e suadente, «Nàst'enka! Non piangete, per l'amor di Dio! Come fate a saperlo? Forse non è ancora qui...».
«È qui, è qui!», insistette Nàst'enka. «Egli è qui, lo so. Ci eravamo messi d'accordo, già allora, quella sera, la vigilia della sua partenza: dopo esserci detti tutto quello che vi ho raccontato e dopo esserci messi d'accordo venimmo qui a passeggiare, sulla riva di questo canale. Erano le dieci; ci sedemmo su questa panchina; io non piangevo più e provavo un senso di dolcezza ad ascoltare quello che lui mi diceva. Egli mi disse che subito dopo il suo arrivo sarebbe venuto da noi e, se non lo avessi rifiutato, avremmo detto tutto alla nonna. Adesso egli è arrivato, lo so, e non viene, non viene!».
E scoppiò di nuovo in lacrime.
«Mio Dio! Possibile che non si possa fare nulla per alleviare il vostro dolore?», esclamai balzando su dalla panchina in preda alla più completa disperazione. «Ditemi, Nàst'enka, non potrei andare almeno io da lui?...».
«È forse mai possibile?», disse lei sollevando all'improvviso la testa.
«No, si capisce, no!», osservai riprendendomi. «Ah, ecco cosa potete fare: scrivetegli una lettera».
«No, è impossibile, non si può!», ribatté lei con decisione, ma abbassando di nuovo la testa e senza guardarmi.
«Come non si può? Perché non si può?», continuai io ostinandomi sulla mia idea. «Sapete, Nàst'enka, che bella lettera potreste scrivergli! C'è lettera e lettera e... Ah, Nàst'enka, è così!
Fidatevi di me, fidatevi! Non vi darò un cattivo consiglio. Tutto si può aggiustare. Avete pur fatto voi il primo passo, perché ora...».
«Non si può, non si può! Sembrerebbe che io volessi impormi...».
«Ah, mia buona Nàst'enka!», la interruppi senza riuscire a trattenere il sorriso, «no, no davvero; voi, in fondo, ne avete il diritto, dato che lui vi ha fatto una promessa. E da ogni sintomo vedo che è una persona di animo delicato, che si è sempre comportato bene», continuai sempre più entusiasta della logicità delle mie argomentazioni e dei miei convincimenti, «come si è comportato?
Si è impegnato con una promessa. Egli vi ha detto che non avrebbe sposato nessun'altra all'infuori di voi, se mai si sposerà; quanto a voi, vi ha lasciato piena libertà di rifiutarlo in qualsiasi momento... In tal caso voi siete autorizzata a compiere il primo passo, ne avete il diritto, rispetto a lui voi avete il privilegio, per esempio, di scioglierlo dalla parola data, se lo voleste..».
«Sentite, voi come scrivereste?».
«Che cosa?».
78
«Ma questa lettera».
«Ecco, scriverei così: "Egregio signore..."».
«Bisogna proprio cominciare così, "Egregio signore"?».
«Assolutamente! D'altronde, perché? Io credo...».
«Su, su! E poi?».
«"Egregio signore!
«"Scusatemi se io...". Del resto, no, non occorre nessuna scusa! Qui è il fatto stesso che giustifica ogni cosa! Scrivete semplicemente:
«"Vi scrivo. Perdonate la mia impazienza, ma per un intero anno mi sono cullata nella speranza; è forse una colpa se ora non posso sopportare nemmeno un giorno di incertezza? Ora che siete ormai qui avete forse mutato le vostre intenzioni. In tal caso questa lettera vi farà sapere che non mi ribello e non ve ne faccio una colpa. Io non vi faccio una colpa se non ho potere sul vostro cuore; vuol dire che tale è il mio destino!
«"Voi siete un uomo d'animo nobile. Voi non sorriderete e non vi inquieterete per le mie righe impazienti. Ricordatevi che le scrive una povera fanciulla, che ella è sola, che non ha nessuno che possa ammaestrarla e consigliarla e che non è mai stata capace di dominare il proprio cuore. Ma perdonatemi se, sia pure per un solo attimo, il dubbio si è insinuato nel mio cuore. Voi non siete capace di recare offesa, neppure nel pensiero, a colei che vi ha tanto amato e tanto vi ama"».
«Sì, sì! È proprio come l'avevo pensata io!», esclamò Nàst'enka e i suoi occhi brillarono di gioia. «Oh, voi avete sciolto tutti i miei dubbi, è Dio stesso che vi ha mandato! Vi ringrazio, vi ringrazio!».
«Di che cosa? Per il fatto che è stato Dio a mandarmi?», replicai guardando estasiato il suo visetto felice.
«Sì, non fosse che per questo».
«Ah, Nàst'enka! È vero: noi ringraziamo certe persone per il semplice fatto che sono qui, accanto a noi. Io vi ringrazio per il fatto di avervi incontrato, per il fatto che per tutta la mia vita mi ricorderò di voi!».
«Su, basta, basta! Ed ora ecco, ascoltate: allora ci accordammo che, non appena sarebbe arrivato, mi avrebbe subito dato sue notizie lasciandomi una lettera in un certo luogo, a casa di certi miei conoscenti, gente buona e semplice, che non sa nulla di tutto questo; oppure, se non fosse stato possibile scrivermi una lettera, dato che non sempre si può spiegare tutto per lettera, il giorno stesso del suo arrivo sarebbe venuto qui alle dieci in punto, nel luogo dove avevamo fissato di incontrarci.
Del suo arrivo sono già a conoscenza, ma sono trascorsi ormai tre giorni e non c'è traccia né della lettera, né di lui. Alla mattina mi è impossibile sfuggire alla sorveglianza della nonna. Consegnate voi la mia lettera domani a quelle brave persone delle quali vi ho parlato: penseranno loro a fargliela recapitare; e se ci sarà una risposta me la porterete voi domani sera alle dieci».
«Ma la lettera, la lettera? Prima bisogna scriverla! Per cui verrà tutto rinviato a dopodomani».
«La lettera...», replicò Nàst'enka con un lieve imbarazzo, «La lettera... ma...».
Ma non terminò la frase. Ella dapprima girò dall'altra parte il suo visetto, arrossì come una rosa e all'improvviso sentii nella mia mano la lettera, che evidentemente era stata già scritta da un pezzo ed era pronta e sigillata. Un certo caro, grazioso ricordo balenò nella mia mente.
«R,o-Ro, s,i-si, n,a-na,», attaccai.
«Rosina!», ci mettemmo a cantare assieme, mentre io per l'entusiasmo stavo quasi per abbracciarla e lei, arrossendo quanto ne era capace, rideva tra le lacrime le quali, simili a piccole perle, brillavano sulle sue ciglia nere.
«Su, basta, basta! Addio ora!», disse lei in fretta. «Eccovi la lettera ed eccovi l'indirizzo a cui la dovete portare. Addio! Arrivederci! A domani!».
Ella mi strinse forte ambedue le mani, mi fece un cenno col capo e volò via come una freccia nel suo vicolo. Io rimasi lì fermo a lungo accompagnandola con gli occhi.
«A domani! A domani!», balenò nella mia mente quando fu sparita alla mia vista.

NOTTE TERZA

Oggi è stata una giornata malinconica, piovosa, senza una schiarita, proprio come la mia futura vecchiaia. Mi opprimono tali strani pensieri, tali tenebrose sensazioni, tali problemi ancora per me non chiari fanno ressa nella mia testa e, chissà perché, non ho né le forze, né la volontà di risolverli. Non tocca a me risolvere tutte queste questioni!
Oggi non ci vedremo. Ieri, quando ci siamo salutati, il cielo ha cominciato a coprirsi di nuvole e si è levata la nebbia. Io le dissi che oggi sarebbe stata una brutta giornata; lei non mi ha risposto: non voleva parlare contro se stessa; per lei oggi doveva essere una giornata luminosa e limpida e nemmeno una nuvoletta doveva oscurare la sua felicità.
«Se pioverà, non ci vedremo!», disse, «io non verrò».
Pensai che non si sarebbe neppure accorta della pioggia di oggi, e invece non è venuta.
Ieri è stato il nostro terzo incontro, la nostra terza notte bianca...
Tuttavia, come la gioia e la felicità rendono bello l'uomo! Come arde d'amore il cuore!
Sembra che tu voglia riversare tutto il tuo cuore in un altro cuore, desideri che tutto sia allegro, che tutto rida! E com'è contagiosa questa gioia! Ieri nelle sue parole c'era tanta tenerezza, c'era tanta benevolenza nei miei confronti nel suo cuore... Come mi corteggiava, come mi vezzeggiava, come rinfrancava e blandiva il mio cuore! Oh, quanta civetteria ispira la felicità! Ed io... lo prendevo tutto per oro colato; io pensavo che lei...
Ma, mio Dio, come ho potuto pensare questo? Come ho potuto essere così cieco quando tutto era stato già preso da un altro, nulla era più mio; quando, infine, persino questa sua tenerezza, la sua premura, il suo amore... sì, il suo amore nei miei confronti, non erano altro che la contentezza per l'imminente incontro con l'altro, il desiderio di imporre anche a me la sua felicità?... Quando poi lui non è venuto, quando abbiamo atteso invano, allora lei si è aggrondata, è stata presa dalla timidezza ed ha avuto paura. Tutti i suoi movimenti, tutte le sue parole hanno cessato di essere lievi, giocosi e allegri come prima. E, cosa strana, ella ha raddoppiato le sue attenzioni verso di me, come se istintivamente desiderasse riversare su di me tutto ciò che ella augurava a se stessa, ciò che ella temeva che non si avverasse. La mia Nàst'enka si è allora fatta così timida, si è così spaventata che, credo, ha capito, finalmente, che io l'amo e ha avuto compassione del mio povero amore. Infatti, quando siamo infelici noi avvertiamo più fortemente l'infelicità degli altri; il sentimento non si disperde, bensì si concentra...
Mi ero recato da lei col cuore traboccante e non stavo nella pelle per l'impazienza mentre attendevo l'ora del nostro incontro. Non presentivo quello che avrei provato, non presentivo che tutto ciò non sarebbe finito come mi sarei immaginato. Ella era raggiante di gioia, ella aspettava la risposta. La risposta era lui stesso. Egli avrebbe dovuto arrivare, accorrere al suo richiamo. Ella era arrivata un'ora intera prima di me. Dapprincipio scoppiava a ridere ogni momento, rideva a ogni parola che dicevo. Io avevo cominciato a parlare, ma tacqui.
«Sapete perché sono così contenta?», mi disse. «Perché sono così contenta di guardarvi?
Perché vi voglio così bene oggi?».
«Ebbene?», domandai e il mio cuore cominciò a tremare.
«Vi voglio bene perché non vi siete innamorato di me. Un altro, infatti, al vostro posto avrebbe cominciato a importunarmi, ad attaccarmisi alle costole, a sospirare, a fare lo svenevole, mentre voi, invece, siete così caro!».
A questo punto mi strinse il braccio così forte che io quasi gridai. Ella scoppiò a ridere.
«Mio Dio! Che amico siete!», riprese dopo un istante con tono assai serio. «Sì, è stato Dio che vi ha mandato! Cosa ne sarebbe stato di me se non ci foste stato voi qui ora con me? Come siete disinteressato! Con quanta correttezza mi amate! Quando mi sposerò saremo molto amici, più che se fossimo fratelli. Io vi amerò quasi quanto amo lui...».
80
In quell'istante provai una terribile tristezza, ma ciononostante qualcosa di simile a una risata prese ad agitarsi nella mia anima.
«Siete fuori di voi», dissi, «avete paura; pensate che non verrà».
«Dio vi perdoni!», replicò lei, «se fossi meno felice, mi metterei a piangere per la vostra sfiducia, per i vostri rimproveri. D'altronde voi mi ci avete fatto pensare e mi avete dato un argomento su cui riflettere a lungo; ma ci penserò dopo, adesso riconosco che avete detto la verità.
Sì! È come se non fossi più padrona di me stessa; sono tutta assorbita dall'attesa e sento tutte le cose, per così dire, troppo leggermente. Ma basta, smettiamo di parlare dei sentimenti...».
In quell'istante risuonarono dei passi e dall'oscurità spuntò un passante che si dirigeva verso di noi. Ci mettemmo entrambi a tremare; lei fu lì lì per gridare. Io lasciai andare la sua mano e feci per scostarmi. Ma ci eravamo sbagliati: non era lui.
«Di che cosa avete paura? Perché avete lasciato la mia mano?», disse lei porgendomela di nuovo. «Che c'è di strano? Lo incontreremo insieme. Voglio che egli veda come ci amiamo».
«Come ci amiamo!», esclamai io.
Oh, Nàst'enka, Nàst'enka!, pensai, quante cose hai detto con questa parola! Un amore come questo, Nàst'enka, in certi momenti fa raggelare il cuore e opprime l'anima. La tua mano è fredda, la mia è ardente come il fuoco. Come sei cieca, Nàst'enka!... Oh, come sono insopportabili le persone felici in certi momenti! Ma non riesco a essere in collera con te!...
Infine il mio cuore traboccò.
«Ascoltate, Nàst'enka!», esclamai, «sapete come mi sono sentito tutto il giorno?».
«Cosa c'è? Raccontate subito! Perché avete taciuto tutto questo tempo?».
«Innanzitutto, Nàst'enka, ho eseguito tutti i vostri incarichi, ho consegnato la lettera, sono stato dai vostri buoni conoscenti, poi... poi sono tornato a casa e mi sono coricato».
«Tutto qui?», mi interruppe lei scoppiando a ridere.
«Sì, è quasi tutto qui», replicai facendomi forza perché nei miei occhi già stavano spuntando delle stupide lacrime. «Mi sono svegliato un'ora prima del nostro appuntamento, ma è come se non avessi dormito. Non so che cosa avessi. Venivo a raccontarvelo ed era come se il tempo per me si fosse arrestato, come se un'unica sensazione, un unico sentimento dovesse rimanere in me da quel momento per sempre, come se un solo istante dovesse prolungarsi per un'eternità intera e come se tutta la vita si fosse fermata per me... Quando mi sono svegliato mi è parso che non so quale motivo musicale, a me ben noto, che avevo udito da qualche parte una volta, dimenticato e voluttuoso, mi tornasse ora alla mente. Mi sembrava che per tutta la vita esso avesse voluto effondersi dalla mia anima e che solamente ora...».
«Ah, mio Dio, mio Dio!», mi interruppe Nàst'enka, «ma com'è mai possibile? Non capisco nemmeno una parola».
«Ah, Nàst'enka! Desideravo trasmettervi in qualche modo questa strana impressione...», cominciai a dire con una voce lamentosa, nella quale ancora si celava una speranza, benché assai remota.
«Basta, smettetela, basta!», esclamò lei e in un attimo indovinò tutto, la briccona!
D'improvviso divenne straordinariamente ciarliera, allegra, birichina. Mi prese a braccetto, rideva, voleva che anch'io ridessi e a ogni mia parola imbarazzata faceva eco una sua risata così sonora, così prolungata... Cominciai ad andare in collera e lei a un tratto si mise a far la civetta.
«Ascoltate», cominciò, «a dire il vero provo perfino dispetto che voi non vi siate innamorato di me. Provate un po' a raccapezzarvi negli uomini dopo di ciò! Ma ciononostante, signor inflessibile, non potete fare a meno di lodarmi per la mia semplicità. Io vi dico tutto, proprio tutto, qualunque sciocchezza mi frulli per la testa».
«Ascoltate! Sono le undici, mi sembra?», pronunciai queste parole quando i cadenzati rintocchi di una campana risuonarono da una lontana torre civica. Ella si fermò di colpo, cessò di ridere e cominciò a contare.
«Sì, sono le undici», disse infine con voce timida e indecisa.
81
Mi pentii subito di averla spaventata costringendola a contare i rintocchi e mi maledissi per quell'accesso di gelosia. Provai tristezza per lei e non sapevo come riscattare la mia colpa. Mi misi a consolarla, a ricercare le cause della sua assenza, a fare svariate ipotesi, a svolgere delle argomentazioni. Non si sarebbe potuto ingannare nessun altro più facilmente di lei in quel momento e infatti chiunque in quei momenti ascolta con gioia qualsiasi parola di conforto ed è felicissimo se trova soltanto anche l'ombra di una giustificazione.
«È davvero buffo», cominciai a dire via via riscaldandomi e compiacendomi della straordinaria perspicuità delle mie dimostrazioni, «non è possibile che non sia venuto; Nàst'enka, voi avete ingannato e condotto fuori strada anche me, così che ho persino perso il conto del tempo...
Provate a pensarci un momento: ha appena ricevuto la vostra lettera; supponiamo che non possa venire, supponiamo che pensi di rispondervi, in tal caso la sua lettera non giungerà prima di domani. Domani mattina presto andrò a prenderla e vi farò subito sapere. Supponete poi mille altre circostanze fortuite, per esempio che non fosse a casa quando è arrivata la lettera e che egli non l'abbia ancora letta... Qualsiasi cosa può accadere».
«Sì! Sì!», rispose Nàst'enka, «non ci avevo pensato; naturalmente può accadere qualsiasi cosa», proseguì con il tono più arrendevole, nel quale, però, come una fastidiosa dissonanza, si avvertiva qualche altro recondito pensiero. «Ecco che cosa farete», continuò, «andate laggiù domattina il più presto possibile e, se vi daranno qualche cosa, fatemelo subito sapere. Sapete dove abito, non è vero?», e mi ripeté il suo indirizzo.
Poi a un tratto ella si fece così tenera, così timida con me... Sembrava che ascoltasse attentamente quel che le dicevo, ma quando le rivolsi non so che domanda tacque, si confuse e voltò dall'altra parte la sua testolina. La guardai negli occhi - proprio così: stava piangendo.
«Ma possibile, possibile? Che bambina siete! Che fanciullaggine!... Basta!».
Ella tentò di sorridere e di calmarsi, ma il suo mento tremava e il suo petto continuava a palpitare.
«Sto pensando a voi», mi disse dopo un momento di silenzio, «voi siete così buono che dovrei essere di pietra per non sentirlo... Sapete che cosa mi è venuto in mente adesso? Vi paragonavo l'uno all'altro. Perché lui non è voi? Perché lui non è così come siete voi? Egli è peggiore di voi, sebbene io lo ami più di voi».
Io non risposi nulla. Sembrava che ella aspettasse che io dicessi qualcosa.
«Naturalmente, forse, io ancora non lo comprendo del tutto, non lo conosco a fondo. Sapete, io ho sempre come avuto paura di lui; egli era sempre così serio, così altero, per così dire.
Naturalmente so che questa è solo l'apparenza e che nel suo cuore c'è più tenerezza che nel mio...
Mi ricordo come mi ha guardata quando mi sono recata da lui col fagotto; ma tuttavia in un certo modo io lo rispetto troppo: è come se in un certo modo non fossimo alla pari, non è vero?».
«No, Nàst'enka, no», risposi, «ciò significa che voi lo amate più di ogni altra cosa al mondo e assai più di voi stessa».
«Sì, mettiamo pure che sia così», replicò l'ingenua Nàst'enka, «ma, sapete che cosa mi è venuto in testa adesso? Solamente ora non parlerò di lui, ma così, in generale; è un'idea che mi è venuta in testa già da molto tempo. Ascoltate, perché non siamo tutti come fratelli gli uni per gli altri? Perché anche la persona migliore nasconde sempre qualcosa all'altro e non gliene parla?
Perché non dire francamente, subito, quello che si ha nel cuore, se si sa che le nostre parole non saranno dette al vento? Invece ognuno appare per così dire più burbero di quanto non sia effettivamente, come se tutti avessero paura di fare un torto ai propri sentimenti se li esternassero troppo in fretta...».
«Ah, Nàst'enka! Voi dite il vero; ma ciò accade per molti motivi», la interruppi io che a mia volta in quel momento più che mai raffrenavo i miei sentimenti.
«No, no!», ribatté lei appassionatamente. «Ecco, voi, per esempio, non siete come gli altri!
Io, veramente, non saprei come dirvi ciò che sento; ma mi sembra che voi, ecco, per esempio, anche adesso... mi sembra che voi sacrifichiate qualcosa per me», soggiunse timidamente guardandomi di sfuggita. «Perdonatemi se vi parlo in questo modo: sono una fanciulla semplice, conosco poco il 82
mondo e, veramente, a volte, non sono capace di parlare», soggiunse con voce tremante per non so quale nascosto sentimento e sforzandosi nello stesso tempo di sorridere, «ma volevo soltanto dirvi che vi sono riconoscente e che anch'io ho gli stessi sentimenti... Oh, possa Dio darvi felicità per questo! Quanto a quello che mi avete detto quella volta a proposito del vostro sognatore è assolutamente falso, cioè, voglio dire, assolutamente non vi riguarda. Voi state guarendo, voi siete davvero una persona del tutto diversa rispetto a come vi siete descritto. Se un giorno vi innamorerete, che Dio vi conceda di essere felice assieme a lei! A lei invece non auguro nulla perché lei sarà felice assieme a voi. Lo so, sono anch'io una donna e voi dovete credermi se ve lo dico...».
Ella tacque e mi strinse forte la mano. Neanch'io riuscivo a dir nulla per l'emozione.
Passarono alcuni minuti.
«Sì, è evidente che egli non verrà oggi!», disse infine sollevando la testa. «È tardi!...».
«Verrà domani», dissi io con la voce più suadente e sicura possibile.
«Sì», soggiunse lei rallegrandosi. «Ora mi rendo conto anch'io che verrà soltanto domani.
Be', arrivederci! A domani! Se pioverà, forse non verrò. Ma dopodomani verrò, verrò immancabilmente, qualunque cosa mi accada; fatevi trovare qui immancabilmente; voglio vedervi, vi racconterò tutto».
E poi, quando ci salutammo, ella mi porse la mano e, guardandomi con uno sguardo limpido, mi disse:
«Ora noi staremo sempre insieme, non è vero?».
Oh, Nàst'enka, Nàst'enka! Se tu sapessi come sono solo ora!
Quando hanno battuto le nove non ho potuto più restarmene nella mia stanza, mi sono vestito e sono uscito, nonostante il cattivo tempo. Sono rimasto lì, seduto sulla nostra panchina. Ho fatto per recarmi nel loro vicolo, ma ho provato vergogna e sono tornato sui miei passi senza guardare le loro finestre quando non ero ormai che a due passi dalla loro casa. Sono tornato a casa con un'angoscia come non ne avevo mai provate prima. Che tempo umido e uggioso! Se fosse stato bel tempo avrei passeggiato da quelle parti tutta la notte...
Ma a domani, a domani! Domani lei mi racconterà tutto.
Tuttavia oggi non è arrivata nessuna lettera. Ma, d'altronde, doveva essere così. Essi sono già insieme...

NOTTE QUARTA

Mio Dio, come terminò tutto questo! Come terminò tutto questo!
Arrivai lì alle nove. Ella era già lì. La scorsi già da lontano; era in piedi come allora, la prima volta, appoggiata con i gomiti alla ringhiera del canale e non mi sentì avvicinarmi.
«Nàst'enka!», la chiamai, dominando a forza la mia emozione.
Lei si voltò rapidamente verso di me.
«Allora?», disse. «Allora? Presto!».
La guardai perplesso.
«Allora, dov'è la lettera? Avete portato la lettera?», ripeté afferrandosi con la mano alla ringhiera.
«No, non ho nessuna lettera», risposi infine. «Dunque non è ancora venuto?».
Ella impallidì spaventosamente e per lungo tempo mi guardò immobile. Avevo infranto la sua ultima speranza.
«Be', Dio sia con lui!», proferì infine con voce che le si spezzava, «Dio sia con lui, se mi abbandona in questo modo».
Ella abbassò gli occhi e poi avrebbe voluto guardarmi ma non ci riuscì. Ancora per alcuni istanti lottò per vincere la propria emozione, ma improvvisamente si voltò, si appoggiò con i gomiti alla balaustra del canale e scoppiò a piangere a dirotto.
83
«Basta, basta!», cominciai a dire, ma guardandola non ebbi la forza di continuare, e, del resto, che cosa avrei dovuto dirle?
«Non mi consolate», disse piangendo, «non parlate di lui, non ditemi che verrà, che non mi ha abbandonata in modo così crudele, in modo così disumano come ha fatto. Perché, perché? C'era forse qualcosa nella mia lettera, in quella mia disgraziata lettera?...».
A questo punto i singhiozzi le spezzarono la voce; guardandola mi sentivo straziare il cuore.
«Oh come tutto ciò è disumanamente crudele!», riprese. «E neppure una riga, neppure una riga! Se almeno mi avesse risposto che non ha bisogno di me, che mi ripudia; invece no, neppure una riga in tre interi giorni! Come gli è facile oltraggiare, offendere una povera fanciulla indifesa, che non ha altra colpa, all'infuori di quella di amarlo! Oh, quanto ho patito in questi tre giorni! Mio Dio, mio Dio! Quando mi ricordo che sono stata io ad andare da lui la prima volta, che mi sono umiliata e ho pianto davanti a lui, che ho implorato da lui non foss'altro che una briciola d'amore...
E dopo tutto ciò!... Ascoltate», disse rivolgendosi verso di me, e i suoi occhietti neri scintillarono,
«ma le cose non stanno così, non possono stare così; è innaturale! O voi, o io ci siamo ingannati; forse non ha ricevuto la lettera... Forse non sa ancora nulla... Com'è possibile, giudicate voi stesso, ditemelo, per l'amor di Dio, spiegatemelo - questo io non lo posso capire - com'è possibile comportarsi in modo tanto barbaramente rozzo come si è comportato lui con me! Neppure una parola! Persino con l'infima delle persone di questo mondo si mostra un po' di compassione. Forse egli ha sentito dire qualcosa sul mio conto, forse qualcuno gli ha parlato male di me?», gridò rivolgendo a me la sua domanda. «Cosa ne pensate?».
«Ascoltate, Nàst'enka, domani andrò da lui a nome vostro».
«Ebbene?!».
«Gli domanderò di ogni cosa, gli racconterò tutto».
«Ebbene, ebbene?!».
«Scrivetegli una lettera. Non dite di no, Nàst'enka, non dite di no! Lo costringerò ad apprezzare il vostro comportamento, egli saprà tutto, e se...».
«No, amico mio, no», mi interruppe. «Basta! Neppure una parola, neppure una sola parola di più da parte mia, neppure una riga - basta! Io non lo conosco, io non lo amo, io lo di...
men...ti...che...rò».
Ella non riuscì a terminare la frase.
«Calmatevi, calmatevi! Sedetevi qui, Nàst'enka», dissi io facendola accomodare sulla panchina.
«Ma io sono calma. Basta! È così! Sono soltanto delle lacrime, si asciugheranno! Cosa credete, che mi ucciderò, che mi getterò nel canale?...».
Il mio cuore traboccava; avrei voluto parlare ma non potevo.
«Ascoltate!», continuò lei prendendomi per la mano, «ditemi, voi non vi sareste comportato così, non è vero? Non avreste abbandonato colei che era venuta ella stessa a voi, non avreste irriso così svergognatamente il suo debole, stupido cuore? Voi l'avreste risparmiata, non è vero? Voi avreste pensato che ella era sola, che non era in grado di badare a se stessa, che non aveva saputo difendersi dall'amore che provava per voi, che non era colpevole, che ella, infine, non era colpevole... che non aveva fatto nulla di male!... Oh, mio Dio, mio Dio...».
«Nàst'enka!», gridai infine, incapace ormai di dominare la mia emozione. «Nàst'enka! Voi mi straziate! Voi esulcerate il mio cuore, voi mi uccidete, Nàst'enka! Non posso più tacere! Io debbo infine dire, esprimere, quello che mi ribolle dentro il cuore...».
Dicendo queste parole feci per alzarmi in piedi. Ella mi prese per la mano e mi guardò con stupore.
«Cosa avete?», proferì infine.
«Ascoltate!», le dissi con tono deciso. «Ascoltatemi, Nàst'enka! Quello che sto per dirvi sono tutte assurdità, tutte cose irrealizzabili, tutte sciocchezze! Io so che questo non potrà mai accadere, ma non posso tacere. In nome di ciò che vi fa ora soffrire vi supplico anticipatamente di perdonarmi!...».
84
«Allora che cosa c'è, che cosa c'è?», domandò cessando di piangere e guardandomi intentamente mentre una strana curiosità brillava nei suoi occhietti stupiti, «che cosa avete?».
«Ciò è irrealizzabile, ma io vi amo, Nàst'enka! Ecco che cosa c'è! Ebbene, ora tutto è stato detto!», dissi facendo un gesto sconsolato con la mano. «Ora vedrete voi, se potrete ancora parlare con me come avete fatto sinora, se potrete, infine, ascoltare ciò che io vi dirò...».
«E allora?», mi interruppe Nàst'enka, «che cosa cambia con questo? Lo sapevo da un pezzo che voi mi amate, soltanto mi pareva che mi amaste così, semplicemente, in un'altra maniera... Ah, mio Dio, mio Dio!».
«All'inizio è stato semplicemente, Nàst'enka, ma adesso, adesso... sono proprio nella situazione in cui eravate voi allora, quando vi siete recata da lui con il vostro fagotto. Anzi in una situazione peggiore, Nàst'enka, perché lui allora non amava nessun'altra, e voi invece sì».
«Che cosa mi dite mai! In fondo io non vi capisco affatto. Ma ascoltatemi, a che scopo, cioè non a che scopo, ma perché voi così, a un tratto... mio Dio! Sto dicendo delle sciocchezze! Ma voi...».
E Nàst'enka si confuse del tutto. Le sue gote avvamparono e abbassò gli occhi.
«Che posso fare, Nàst'enka, cosa posso fare! Sono colpevole, ho abusato... Ma no invece, io non sono colpevole, Nàst'enka; lo avverto, lo sento, perché il cuore me lo dice, che sono nel giusto, perché io non posso in alcun modo offendervi, in alcun modo oltraggiarvi! Ero vostro amico; ebbene sono anche ora vostro amico; non ho commesso alcun tradimento. Ecco, ora mi colano le lacrime: esse non fanno male a nessuno. Si asciugheranno, Nàst'enka...».
«Ma sedetevi, dunque, sedetevi», mi disse facendomi sedere sulla panchina, «oh, mio Dio!».
«No! Nàst'enka, non mi siederò; ormai non posso rimanere più qui, voi ormai non potete più vedermi; vi dirò tutto e poi me ne andrò. Voglio dirvi soltanto che voi non avreste mai saputo che io vi amavo. Avrei serbato il mio segreto. Non mi sarei messo a tormentarvi col mio egoismo in un momento come questo. No! Ma non ho potuto resistere; avete parlato voi di questo; la colpa è vostra, mentre io non ho alcuna colpa. Voi non potete scacciarmi da voi...».
«Ma no, dunque, no, io non Vi scaccio, no!», disse Nàst'enka nascondendo come meglio poteva il proprio turbamento, poverina.
«Non mi scacciate? No! E io che già pensavo di fuggire lontano da voi... E me ne andrò davvero, soltanto prima vi dirò tutto, perché quando ora parlavate io non riuscivo a restar fermo, quando piangevate, quando vi torturavate perché, perché (dirò la parola, Nàst'enka), perché siete stata ripudiata, perché è stato respinto il vostro amore, ho sentito, ho provato tanto amore per voi, ho sentito che nel mio cuore c'era tanto amore per voi. Tanto amore, Nàst'enka!... E allora ho provato tanta amarezza per il fatto che non potevo recarvi alcun aiuto con questo mio amore... che il mio cuore si spezzava e io, io non ho potuto più tacere, ho dovuto parlare, Nàst'enka, ho dovuto parlare!...».
«Sì, sì! Parlatemi, parlatemi così!», disse Nàst'enka per un inspiegabile impulso. «Vi parrà forse strano che io vi parli così, ma... parlate! Vi dirò dopo! Vi racconterò tutto dopo!».
«Voi provate compassione di me, Nàst'enka; voi provate semplicemente compassione di me, mia piccola amica! Ma vada come deve andare! Ormai ciò che è detto, è detto! Non è vero? Ebbene, ora voi sapete tutto. Ebbene, questo è il punto di partenza. Bene, dunque! Ora tutto questo va benissimo, però ascoltatemi. Quando voi ve ne stavate lì seduta e piangevate, fra di me ho pensato (oh, permettetemi di dirvi quel che ho pensato!), ho pensato che (ma ciò, certo, è impossibile, Nàst'enka), ho pensato, che voi... ho pensato che voi in qualche maniera... ebbene, in qualche maniera del tutto inconsapevole, ormai non lo amavate più. In tal caso - ho pensato già questo anche ieri, anche due giorni fa, Nàst'enka - in tal caso io farei in modo tale, farei assolutamente in modo tale che voi mi amaste: infatti avete ben detto, l'avete ben detto voi stessa, Nàst'enka, che voi già quasi vi siete del tutto innamorata di me. Ebbene, che altro ancora? Be', ecco, questo è quasi tutto quello che vi volevo dire; resta soltanto da dire che cosa accadrebbe se voi vi innamoraste di me, soltanto questo, nient'altro! Ascoltate, dunque, amica mia - poiché voi, nonostante tutto, siete mia amica - io, naturalmente, sono una persona semplice, povera, talmente insignificante, ma non è 85
questo il punto (non so come, ma non riesco mai a dire quello che voglio: è l'imbarazzo, Nàst'enka), però vi amerei in una maniera tale che, se anche voi amaste ancora colui che non conosco, tuttavia il mio amore non vi sarebbe di peso. Soltanto sentireste, soltanto avvertireste, che ogni istante accanto a voi batte un cuore riconoscente, un cuore ardente che per voi... Oh, Nàst'enka, Nàst'enka! In che stato mi avete ridotto!...».
«Non piangete dunque, non voglio che voi piangiate», disse Nàst'enka, alzandosi velocemente dalla panchina, «andiamo, alzatevi, venite con me, non piangete, dunque, non piangete», disse asciugandomi le lacrime col suo fazzoletto, «su, andiamo ora; forse vi dirò qualcosa... Sì, se egli ora mi ha abbandonata, se si è dimenticato di me, sebbene io lo ami ancora (non voglio ingannarvi)... ma ascoltate, rispondetemi. Se io, per esempio, mi innamorassi di voi, cioè se io soltanto... Oh, amico mio, amico mio! Quando penso, quando penso che quella volta vi ho offeso, che ho riso del vostro amore quando vi ho lodato per il fatto che non vi eravate innamorato di me!... Oh, mio Dio! Ma come ho fatto a non prevederlo, come ho fatto a non prevedere, come ho fatto a essere così stupida, ma... ebbene, ebbene, ho deciso, vi dirò tutto...».
«Ascoltate, Nàst'enka, sapete cosa vi dico? Me ne andrò lontano da voi, ecco cosa vi dico!
Non faccio altro che tormentarvi. Ecco che ora avete dei rimorsi per il fatto che vi siete presa gioco di me, invece io non voglio, non voglio che, oltre al vostro dolore... è naturalmente colpa mia, Nàst'enka, ma addio!».
«Fermatevi, ascoltatemi: potete aspettare?».
«Come aspettare, aspettare che cosa?».
«Io lo amo; ma ciò passerà, deve passare, non può non passare; sta già passando, lo sento...
Chissà, forse finirà oggi stesso, perché io lo odio, perché lui si è fatto beffe di me, mentre voi avete pianto qui assieme a me, perché voi non mi ripudiereste come ha fatto lui, perché voi mi amate, mentre lui non mi amava, perché, infine, vi amo io stessa... sì, vi amo! Vi amo come voi mi amate; ve l'ho detto io stessa prima, lo avete sentito - vi amo perché voi siete migliore di lui, perché il vostro animo è più nobile del suo, perché, perché lui...».
La poveretta era tanto agitata che non terminò la frase, appoggiò il capo sulla mia spalla, poi sul mio petto, e scoppiò a piangere amaramente. Io cercavo di consolarla, di calmarla, ma lei non poteva smettere; continuava a stringere la mia mano e mi diceva tra i singhiozzi: «Aspettate, aspettate; ecco, ora smetterò! Vi voglio dire... Non dovete pensare che queste lacrime... è solo un momento di debolezza, aspettate che adesso passerà...». Finalmente smise di piangere, si asciugò gli occhi e riprendemmo a passeggiare. Avrei voluto parlare, ma ancora per molto tempo ella continuò a chiedermi di aspettare. Rimanemmo in silenzio... Infine ella si fece forza e cominciò a dire...
«Ecco che cosa voglio dirvi», cominciò a dire con voce debole e tremolante, nella quale tuttavia risuonava qualcosa che mi penetrava direttamente nel cuore facendolo dolcemente gemere,
«non pensate che io sia così inconstante e leggera, non pensate che io sia capace di dimenticare e di tradire così facilmente e in fretta... Io l'ho amato per un anno intero e vi giuro che non gli sono mai stata infedele, nemmeno col pensiero. Egli ha disprezzato tutto questo; egli si è fatto beffe di me -
Dio sia con lui! Ma egli mi ha ferito e ha oltraggiato il mio cuore. Io, io non lo amo, perché posso amare solo ciò che è magnanimo, che mi comprende, che è nobile; perché io stessa sono tale ed egli è indegno di me, ebbene, Dio sia con lui! È stato meglio così, piuttosto che mi accadesse di rimanere ingannata nelle mie speranze e di scoprire in seguito che specie di uomo era... Ebbene, ora è finita! Ma chi lo può sapere, mio buon amico», continuò stringendo la mia mano, «come si fa a saperlo, forse anche tutto il mio amore non era che un inganno dei sentimenti, dell'immaginazione, forse esso è nato da un capriccio, da una sciocchezza, dal fatto che ero sotto la sorveglianza della nonna. Forse è destino che io ami un altro, e non lui, non un uomo come quello, ma un altro, che abbia compassione di me e, e... Ma lasciamo stare questo», si interruppe Nàst'enka, soffocando per l'emozione, «volevo soltanto dirvi che se, nonostante che io lo ami (anzi, no, che io lo abbia amato), se, nonostante ciò, voi ancora direte... se voi sentirete che il vostro amore è così grande da esser capace di scacciare dal mio cuore quello precedente... se voi vorrete aver pietà di me, se non vorrete abbandonarmi al mio destino, senza conforto, senza speranza, se vorrete amarmi sempre come mi 86
amate ora, vi giuro che la mia riconoscenza... che il mio amore sarà, infine, degno del vostro...
Prenderete ora la mia mano?».
«Nàst'enka», gridai mentre i singhiozzi mi soffocavano, «Nàst'enka!... Oh, Nàst'enka!...».
«Su, basta, basta! Adesso davvero basta!», disse lei riuscendo a stento a dominarsi, «ora tutto è stato detto, non è vero? È così? Ebbene ora voi siete felice, e anch'io sono felice; non diciamo più nemmeno una parola su ciò; aspettate; siate paziente con me... Parlate di qualcos'altro, per l'amor di Dio!...».
«Sì, Nàst'enka, sì! Non parliamone più, ora sono felice, io... Su, Nàst'enka, su, parliamo di qualcos'altro, presto, presto, parliamo; sì! Sono pronto...».
E non sapevamo di che cosa parlare, ridevamo, piangevamo, dicevamo mille parole senza nesso e senza senso; ora passeggiavamo per il marciapiede, ora all'improvviso tornavamo sui nostri passi e attraversavamo la strada; poi ci fermavamo e di nuovo attraversavamo la strada riportandoci sulla riva del canale; eravamo come dei bambini...
«Ora vivo solo, Nàst'enka», cominciavo a dire, «ma domani... Be', naturalmente, sapete, Nàst'enka, io sono povero, in tutto ho milleduecento rubli, ma non fa nulla...».
«Si capisce, no, ma la nonna ha la pensione; perciò non ci sarà di peso. Dobbiamo prendere la nonna con noi».
«Naturalmente, dobbiamo prendere la nonna con noi... Soltanto, ecco, Matrëna...».
«Ah, sì, anche noi abbiamo Fekla!».
«Matrëna è buona, ha soltanto un difetto: manca di fantasia, Nàst'enka, manca assolutamente di fantasia; ma non fa nulla!...».
«Fa lo stesso; possono stare entrambe con noi; solamente voi domani stesso trasferitevi a casa nostra».
«Come? A casa vostra? Va bene, sono pronto...».
«Sì, starete a pigione da noi. Di sopra c'è un mezzanino; è vuoto; prima c'era una pigionante, una vecchia, una nobile, ma se n'è andata e la nonna, lo so, vuole prendere un giovanotto; "Perché un giovanotto?", le ho chiesto, e lei mi fa: "Ma, così, io sono ormai vecchia, soltanto tu, Nàst'enka, non pensare che io ti voglia offrire in sposa a lui". Ho indovinato che era proprio per questo...».
«Ah, Nàst'enka!...».
Ed entrambi scoppiammo a ridere.
«Ma basta, basta. Ma voi dove abitate? Me lo sono scordata».
«Laggiù, presso il ponte ***skij, nella casa di Barannikov».
«È quella casa grande?».
«Sì, è quella casa grande».
«Ah, la conosco, è una bella casa; ma, sapete, lasciatela e venite da noi il più presto possibile...».
«Domani stesso, Nàst'enka, domani stesso; laggiù ho un piccolo debito per l'affitto, ma non fa nulla... Presto riceverò lo stipendio...».
«Sapete, io forse darò delle lezioni; terminerò gli studi e darò delle lezioni...».
«Magnifico... quanto a me presto riceverò una gratifica, Nàst'enka...».
«E così domani voi diventerete il mio pigionante...».
«Si, e andremo a vedere Il barbiere di Siviglia, presto, infatti, lo daranno di nuovo».
«Sì, ci andremo», rispose Nàst'enka ridendo, «anzi no, invece del Barbiere di Siviglia andremo piuttosto a vedere qualcos'altro...».
«Va bene, andremo a vedere qualcos'altro; è naturale, sarà meglio, non avevo pensato...».
Mentre dicevamo queste cose camminavamo tutti e due come immersi nel fumo, nella nebbia, come se noi stessi non sapessimo cosa ci stesse accadendo. Ora ci fermavamo a parlare a lungo nello stesso posto, ora ci mettevamo di nuovo a camminare e andavamo a finire Dio sa dove, e di nuovo risa, di nuovo lacrime... Ora Nàst'enka improvvisamente voleva tornare a casa, io non osavo trattenerla e volevo accompagnarla fino alla porta di casa; ci mettevamo in cammino e improvvisamente, un quarto d'ora dopo, ci ritrovavamo sulla riva del canale presso la nostra 
panchina. Ora lei emetteva un sospiro e di nuovo una lacrimuccia le spuntava dagli occhi; io mi perdevo d'animo, mi sentivo raggelare... Ma ella subito mi stringeva la mano e mi trascinava di nuovo a passeggiare, a chiacchierare, a parlare...
«Adesso è ora che torni a casa; credo che sia molto tardi», disse finalmente Nàstenka,
«smettiamo di fare i bambini a questo modo!».
«Sì, Nàst'enka, soltanto ormai non riuscirò più a prender sonno; non tornerò a casa».
«Anch'io credo che non riuscirò più a prender sonno; soltanto accompagnatemi...».
«Certamente!».
«Ma questa volta davvero arriveremo assolutamente fino a casa».
«Certamente, certamente...».
«Parola d'onore?... perché, prima o poi, bisogna pur tornare a casa!».
«Parola d'onore», risposi ridendo...
«Allora, andiamo!».
«Andiamo».
«Guardate il cielo, Nàst'enka, guardate! Domani sarà una giornata stupenda; che cielo azzurro, che luna! Guardate: ecco, adesso quella nuvola gialla la coprirà, guardate, guardate!... No, le è passata accanto. Guardate dunque, guardate!...».
Ma Nàst'enka non guardava la nuvola, ella se ne stava ferma, in silenzio, come inchiodata al suolo; un momento dopo cominciò con una sorta di timidezza a stringersi forte a me. La sua mano cominciò a tremare nella mia mano; la guardai... Ella si appoggiò a me ancora più forte.
In quell'istante passò accanto a noi un giovane. Egli a un tratto si fermò, ci guardò fissamente e poi fece di nuovo alcuni passi. Il mio cuore tremò...
«Nàst'enka», dissi sottovoce, «chi è, Nàst'enka?».
«È lui!», mi rispose lei in un bisbiglio, stringendosi ancora di più a me trepidando... Io mi reggevo a stento sulle gambe.
«Nàst'enka! Nàst'enka! Sei tu!», risuonò una voce dietro a noi e in quello stesso istante il giovane fece alcuni passi verso di noi...
Mio Dio, come gridò! Come sussultò! Come si strappò dalle mie braccia e gli volò incontro!... Io ero lì fermo e li guardavo come colpito a morte. Ma appena ella gli ebbe porto la mano, appena si fu gettata tra le sue braccia, improvvisamente di nuovo si voltò verso di me, in un lampo mi fu accanto e, prima che riuscissi a raccapezzarmi, mi gettò entrambe le braccia al collo e mi baciò forte e con ardore. Poi, senza dire una parola, si lanciò di nuovo verso di lui, lo prese per le mani e lo trascinò con sé.
Io rimasi lì a lungo a guardarli... Finalmente entrambi sparirono alla mia vista.

MATTINO

Le mie notti ebbero fine il mattino dopo. Era una brutta giornata. Pioveva e la pioggia batteva tristemente contro i vetri della mia finestra; nella cameretta era buio e nel cortile c'era una luce cupa. La testa mi faceva male e mi girava; la febbre mi serpeggiava per le membra.
«C'è una lettera per te, bàtjuška, l'ha portata il postino della posta cittadina», disse Matrëna sopra di me.
«Una lettera! Di chi?», gridai saltando su dalla sedia.
«Non lo so, bàtjuška, guarda, forse c'è scritto dentro di chi è».
Ruppi il sigillo. Era di lei!
«Oh, perdonatemi, perdonatemi!», mi scriveva Nàst'enka, «Ve ne supplico in ginocchio, perdonatemi! Ho ingannato Voi e me stessa. È stato un sogno, un fantasma... Mi sono tormentata per Voi tutt'oggi; perdonatemi, perdonatemi!...
«Non incolpatemi, perché io non sono mutata in nulla nei Vostri confronti; io Vi ho detto che Vi avrei amato e anche ora io Vi amo, anzi più che amo. Oh, mio Dio! Se vi potessi amare entrambi nello stesso tempo! Oh, se Voi foste lui!».
«Oh, se lui foste Voi!», mi balenò nella mente. Mi tornarono alla mente le tue parole, Nàst'enka!
«Dio vede che cosa sarei pronta a fare per Voi ora! So quanta pena e tristezza provate ora. Io Vi ho offeso, ma sapete che quando si ama non si ricordano a lungo le offese. E Voi mi amate!
«Vi ringrazio! Sì, Vi ringrazio per il Vostro amore. Perché nella mia memoria esso si è impresso come un dolce sogno che si ricorda a lungo dopo essersi risvegliati; perché ricorderò in eterno l'istante in cui Voi tanto fraternamente mi avete aperto il Vostro cuore e tanto magnanimamente avete accolto in dono il mio, ferito a morte, per proteggerlo, blandirlo, guarirlo...
Se mi perdonerete, il ricordo di Voi si innalzerà dentro di me come un sentimento di eterna riconoscenza che non verrà mai cancellato dalla mia anima... Conserverò questo ricordo, gli sarò fedele, non lo tradirò, non tradirò il mio cuore: esso è troppo costante. Anche ieri esso ha fatto ritorno a colui al quale appartiene per sempre.
«Ci incontreremo, Voi verrete da noi, non ci abbandonerete, Voi sarete in eterno un amico, un fratello per me... E quando mi vedrete, mi porgerete la mano... vero? Me la porgerete perché mi avete perdonato, non è vero? Voi mi amate come prima, non è vero?
«Oh, amatemi, non mi abbandonate, perché io Vi amo tanto in questo momento, perché io sono degna del Vostro amore, perché io me lo meriterò... amico mio caro! La settimana prossima ci sposeremo. Egli è tornato innamorato, non mi ha mai dimenticata... Non arrabbiateVi se Vi scrivo di lui. Ma io voglio venire da Voi assieme a lui; Voi gli vorrete bene, non è vero?...
«Perdonateci, ricordate e vogliate bene alla Vostra
Nàst'enka».
Rilessi a lungo quella lettera con le lacrime agli occhi. Infine essa mi cadde di mano e mi coprii il viso.
«Rondinella! Eh, rondinella», prese a dire Matrëna.
«Cosa c'è, vecchia?».
«Ho tolto dal soffitto tutte le ragnatele; ora puoi anche sposarti, invitare degli ospiti, sarebbe proprio ora...».
Guardai Matrëna... Era una vecchia ancora vigorosa, giovane, ma, non so perché, improvvisamente mi parve che avesse lo sguardo spento, che fosse rugosa, ricurva, decrepita... Non so perché, a un tratto mi parve che anche la mia stanza fosse invecchiata come lei. Le pareti e il pavimento si scrostavano, tutto si era sbiadito; c'erano ancora più ragnatele. Non so perché, quando guardai fuori dalla finestra mi parve che la casa di fronte fosse anch'essa diventata decrepita e sbiadita, che l'intonaco sulle colonne si stesse scrostando e sgretolando, che i cornicioni fossero anneriti e pieni di crepe e che le pareti, prima di un giallo intenso e vivace, fossero tutte chiazzate...
Fosse che il raggio di sole che inaspettatamente aveva fatto capolino da dietro alle nuvole si fosse di nuovo nascosto dietro una nuvola gonfia di pioggia e che tutto di nuovo si fosse offuscato davanti ai miei occhi; oppure, forse, che davanti ai miei occhi fosse balenata in tutto il suo squallore e la sua tristezza l'intera prospettiva del mio futuro ed io mi fossi visto tale, quale sono adesso, esattamente quindici anni dopo, invecchiato, in quella stessa stanza, con quella stessa Matrëna, che non è diventata per nulla più perspicace durante tutti questi anni.
Ma che io mi ricordi dell'offesa subita, Nàst'enka! Che spinga una nuvola scura sulla tua limpida, serena felicità, che io, con un amaro rimprovero, susciti la tristezza nel tuo cuore, lo ferisca con un segreto rimorso e lo faccia battere tristemente nell'istante della beatitudine, che gualcisca anche uno solo dei teneri fiori che hai intrecciato tra i tuoi riccioli neri, quando ti sei accostata assieme a lui all'altare... Oh, no, questo mai, mai! Sia limpido il tuo cielo, sia luminoso e sereno il tuo caro sorriso, sii benedetta tu per l'attimo di beatitudine e di felicità che hai donato a un altro cuore solitario e riconoscente!
Mio Dio! Un intero attimo di felicità! È forse poco, foss'anche esso il solo in tutta la vita di un uomo?...